IL CORO
Ma cos'è, alla fine, il martirio? Cos'è, in Occidente, se non qualcosa di remoto e quasi mitologico, e per ciò stesso irreale? Sono enormi tele barocche grondanti macelleria e vividi drappi, un trionfo di corpi membruti o gracili donzelle. Tavola imbandita, in fondo. Perché satollarsi in quel modo, e in quel mondo lacero e pomposo, era ferino e impudico. E poi sono giunte le dissacrazioni (e le dissezioni) psicoanalitiche: segni di nevrosi, quei dipinti e quei santi, masochismo ecc. Armi spuntate, razionalità miserande già irrise da un animo acuto come Svevo. E però il martirio è qui e pulsa, schianta e percuote, e non v'ha palma di vittoria che l'ingentilisca. Il martirio è semplicemente cristianesimo. Per questo le letture dopo Pasqua, compresi i passi del primo testamento, sono lì a ricordarlo, ogni giorno, a dimostrazione della loro eternità terrena. Un ossimoro e una realtà. Il martirio è affare dell'al di qua e lotta contro "il principe di questo mondo". Il martire è la perpetrazione del Dio fattosi umano versus il kamikaze, l'uomo fattosi Dio. Martire anche senza volerlo, perché uccidere un uomo, una donna, un bambino è sempre e comunque bestemmia.
Ma cos'è, alla fine, il martirio? Cos'è, in Occidente, se non qualcosa di remoto e quasi mitologico, e per ciò stesso irreale? Sono enormi tele barocche grondanti macelleria e vividi drappi, un trionfo di corpi membruti o gracili donzelle. Tavola imbandita, in fondo. Perché satollarsi in quel modo, e in quel mondo lacero e pomposo, era ferino e impudico. E poi sono giunte le dissacrazioni (e le dissezioni) psicoanalitiche: segni di nevrosi, quei dipinti e quei santi, masochismo ecc. Armi spuntate, razionalità miserande già irrise da un animo acuto come Svevo. E però il martirio è qui e pulsa, schianta e percuote, e non v'ha palma di vittoria che l'ingentilisca. Il martirio è semplicemente cristianesimo. Per questo le letture dopo Pasqua, compresi i passi del primo testamento, sono lì a ricordarlo, ogni giorno, a dimostrazione della loro eternità terrena. Un ossimoro e una realtà. Il martirio è affare dell'al di qua e lotta contro "il principe di questo mondo". Il martire è la perpetrazione del Dio fattosi umano versus il kamikaze, l'uomo fattosi Dio. Martire anche senza volerlo, perché uccidere un uomo, una donna, un bambino è sempre e comunque bestemmia.
Ieri notte un ennesimo furgone è piombato su London Bridge decimando i passanti, di cui uno giovanissimo. Una ragazzina musulmana di 16 anni, Asya Mustafa, risulta dispersa. Le altre vittime sono state finite a coltellate, proprio come nelle norcinerie secentesche. E non sono le sole. In Filippine, Siria, Afghanistan si sono ripetute eguali tragedie, il cui culmine simbolico s'è forse verificato a Kabul, con una bomba esplosa contro un corteo funebre! Lo sfregio della memoria trova un'agghiacciante eco nello spegnere il vivente, quella comunione d'amorosi sensi alla base d'ogni umanità.
È un coro di lacrime che ormai unisce Oriente e Occidente, quest'ultimo ancor barcollante, indocile a capirlo. Ma è pure un coro che può incendiare, e farsi forte, e distruggere il Male. Il martire non è solo chi subisce. Ma soprattutto il testimone. Testimoni sono i copti che hanno resistito alle conversioni forzate. Sono quelli che lottano per la pace, e la perseguono, ovunque ci sia seme di resistenza, sì, anche nei musulmani che sfidano il Daesh a rischio della vita, in quelli che, a Mosul, aiutano i cristiani a ricostruire una chiesa. Sono i laici, perché il laico, quello vero, crede: nella convivenza, nella democrazia, nei diritti. Applicati, difesi, non retoricamente proclamati. Perciò non è imbelle. Non intona al pianoforte motivetti freak. Martire è chi sa parlare ogni lingua, la lingua della resistenza e della prosecuzione. Martire è il coro che si oppone alla Babilonia dell'incomunicabilità e del panico (a Torino, un falso allarme-bomba ha mietuto mille feriti), alla Sodoma della non-accoglienza. Ricominciare a sentirsi coro, oggi, ovunque, rivivere i simboli, riappropriarsi della cultura, è l'unica speranza di vincere il mutismo della morte.
È un coro di lacrime che ormai unisce Oriente e Occidente, quest'ultimo ancor barcollante, indocile a capirlo. Ma è pure un coro che può incendiare, e farsi forte, e distruggere il Male. Il martire non è solo chi subisce. Ma soprattutto il testimone. Testimoni sono i copti che hanno resistito alle conversioni forzate. Sono quelli che lottano per la pace, e la perseguono, ovunque ci sia seme di resistenza, sì, anche nei musulmani che sfidano il Daesh a rischio della vita, in quelli che, a Mosul, aiutano i cristiani a ricostruire una chiesa. Sono i laici, perché il laico, quello vero, crede: nella convivenza, nella democrazia, nei diritti. Applicati, difesi, non retoricamente proclamati. Perciò non è imbelle. Non intona al pianoforte motivetti freak. Martire è chi sa parlare ogni lingua, la lingua della resistenza e della prosecuzione. Martire è il coro che si oppone alla Babilonia dell'incomunicabilità e del panico (a Torino, un falso allarme-bomba ha mietuto mille feriti), alla Sodoma della non-accoglienza. Ricominciare a sentirsi coro, oggi, ovunque, rivivere i simboli, riappropriarsi della cultura, è l'unica speranza di vincere il mutismo della morte.
© Daniela Tuscano
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