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21.8.24

In Trentino c'è uno degli ultimi caseifici turnari, dove si fa formaggio che appartiene a tutti

altro   che  panettone  ad   agosto ne  ho arlato  nel  post  : <<  la  politica    spara  cazzate  e  le  ditte     le  calvacano per  fare pubblicita  il   caso   della deputata     daniela  dondi  (  FdI  )   ha proposto    d'istituire per legge  la  giornatra del panettone  >> si dovrebbero  promuovere   prodotti locali  e  produzioni  come questa 

In Trentino c'è uno degli ultimi caseifici turnari, dove si fa formaggio che appartiene a tutti


Nel paese di Peio, in Val di Sole, lavora da metà Ottocento un caseificio in cui il latte non si compra né si vende. I soli 5 soci condividono il latte e si spartiscono equamente i formaggi, secondo un sistema comunitario che è quasi estinto 

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Carolina Pozzi
Carolina PozziEditor di CiboToday18 agosto 2024 11:00



Sulle nostre montagne, fare il formaggio è sempre stato questione di sopravvivenza, ancor prima che di gusto. La risposta al trovare dei modi — con procedimenti che hanno qualcosa di magico — per preservare nel tempo una materia prima delicata e deperibile: il latte. Mentre la produzione industriale ha rimosso gli aspetti ‘romantici’ del gesto, ci sono zone in cui resistono tradizioni antiche, che raccontano di quando caseificare era uno sforzo collettivo. La maniera di far vivere comunità alpine mettendo insieme le risorse e godendo alla pari dei risultati. Questa è la storia dell’ultimo caseificio turnario del Trentino, che a Peio distribuisce agli allevatori un formaggio che in fondo appartiene a tutti.

Formaggi in stagionatura al Caseificio Turnario di Pejo
Formaggi in stagionatura al Caseificio Turnario di Pejo

Cosa sono i caseifici turnari, antenati delle latterie sociali

Il sistema di lavoro delle latterie turnarie si è consolidato dalla metà dell’Ottocento, con diversi casi sulle Alpi di TrentinoVenetoFriuli e fino alla Slovenia. Mentre nelle piccole comunità l’allevamento intensivo era cosa assolutamente sconosciuta, pressoché ogni famiglia possedeva qualche capo di bestiame, magari un paio di vacche oppure alcune capre. Erano in pochi invece a disporre degli spazi, delle attrezzature nonché del tempo per trasformare il latte, che quindi si consegnava a un casaro che lo lavorava per tutti.

La lavorazione del latte nelle vasche di rame al Caseificio Turnario di Pejo
La lavorazione del latte nelle vasche di rame al Caseificio Turnario di Pejo

Niente di troppo diverso — a pensarci bene — dai forni comunitari che c’erano in ogni paese, dove si portava il proprio impasto per la cottura. Il contesto degli antichi caseifici turnari però è ancora più specifico: non sarebbe stato possibile infatti lavorare per ciascuno i piccoli quantitativi, e così tutto il latte veniva travasato e manipolato insieme a quello degli altri. Per la distribuzione del formaggio, poi, si procedeva in maniera precisa.

Come funziona il caseificio turnario di Peio, l’ultimo che resiste in Trentino

Con l’andare dei decenni, questa produzione collettiva ha preso la forma delle latterie sociali. A volte ancora di dimensioni molto ridotte, ma ai conferitori si riconosceva un compenso in denaro relativo al latte consegnato, oppure al prodotto lasciato in vendita. Nei turnari invece si fa diversamente: il caseificio non acquista il latte, ma semplicemente lo lavora al posto dei soci.

Formatura dei formaggi al Caseificio Turnario di Pejo
Formatura dei formaggi al Caseificio Turnario di Pejo

Il formaggio prodotto giornalmente, la caserada, spetta per intero a ogni allevatore, secondo un meccanismo — appunto — di turni quotidiani. E i conferitori possono avere diritto a più caserade a seconda del quantitativo di latte consegnato. Avviene ancora esattamente così a Peio, dove resiste l’ultimo caseificio turnario del Trentino. Uno degli ultimi quattro su tutto l’arco alpino, con le realtà colleghe di Campolessi a Gemona del Friuli, di Valmorel in provincia di Belluno e infine un’ultima in Slovenia.

Il Caseificio Turnario di Pejo
Il Caseificio Turnario di Pejo

Casolet, Pegaés, burro e cacioricotta: cosa produce il caseificio turnario di Peio

Nel paese di Peio, 1.200 metri di quota in Val di Sole, il casaro Daniele Caserotti — ex-studente dell’Istituto Agrario San Michele all’Adige — si occupa di fare il formaggio dall’età di 18 anni. Una vera missione, gestita quotidianamente su un registro in cui annota i litri di latte coi quali i soli 5 soci contribuiscono e di conseguenza la ripartizione del formaggio. Il caseificio lavora dal 1865, mentre risalgono agli Anni Trenta le tre caldaie in rame disposte nella saletta con vasche d’acqua per l’affioramento della panna, una per la salamoia e, a parte, le stanze (i vòlti) per la stagionatura.

Il casaro al lavoro al Caseificio Turnario di Pejo
Il casaro al lavoro al Caseificio Turnario di Pejo

Oltre al burro, la ricotta e i formaggi vaccini e caprini freschi, qui si fa infatti anche il Pegaés (un semigrasso da latte crudo a media e lunga stagionatura), il Casolet (a latte crudo intero e pasta molle, presidio Slow Food), poi TavièlaFormagèl e cacioricotta. Una parte è destinata inoltre al piccolo spaccio, aperto al pubblico. Il caseificio turnario di Peio, per il suo lavoro secolare, ha ricevuto nel 2019 il premio ‘Resistenza Casearia’ assegnato dalla manifestazione Cheese di Bra e ha aderito, insieme a quelle colleghe, alla 'Carta dei princìpi delle latterie turnarie’ stilata in occasione di una mostra fotografica itinerante nel 2022.


NEGOZIO-BOTTEGA
Caseificio Turnario di Pejo

Via San Giorgio, 2 Peio
Pagina Facebook
 cell 3397371072








26.7.23

Da licenziati diventano soci titolari e ora ripartono con la seconda sfida . Dopo un fallimento quattro ex dipendenti rilevano il market e lo portano al successo Super Dis a Predda Niedda (Sassari) si affilia al gruppo Frongia di Oristano

  da  la nuova  sardegna  del   26\7\2023

Lo vedi dagli sguardi, dai sorrisi, dalle battute. Lo intuisci dal cercarsi sempre l’uno con l’altro. C’è amicizia, complicità, c’è una storia creata e vissuta insieme, tra tempeste, paura di non farcela e pacche sulle spalle per darsi forza. È una squadra quella che si appresta ad affrontare una nuova avventura nel supermercato di Predda Niedda, circa 1000 metri quadri nella strada 2 a Sassari.  Si chiama ancora Super Dis  ma da giovedì 27 il suo nome  diventerà “Vicino a te”: entrerà a far parte della catena della famiglia Frongia di Oristano, di cui sarà il diciannovesimo punto vendita nell’isola.
Sarà un rapporto di affiliazione e collaborazione stretta, ma i proprietari del supermercato sassarese resteranno i quattro che lo hanno creato e portato avanti in questi anni, rilevando una attività in fallimento. Si chiamano





 Vittoria Bazzu, 57 anni, Gavino Poddighe, 45, Stefania Demuru, 40 e Stefano Chessa, 51. Amici, tutti con grande esperienza nel commercio, reduci da chiusure, trasferimenti, periodi di cassa integrazione e fallimenti dei vari marchi per i quali hanno lavorato come dipendenti. Sino a quando, a cavallo tra il 2014 e il 2015, hanno deciso di provare a farcela  da soli. «E siamo diventati soci proprietari – racconta Vittoria con gli occhi che brillano  dall’emozione – Poteva sembrare una follia e invece eccoci qua. Ci abbiamo creduto, non abbiamo mollato».Al punto che la loro società  già da tre anni è entrata nel Top 1000, cioé nell’elenco delle mille aziende che vantano i fatturati più alti in Sardegna: si chiama Vsgs, acronimo che sta per Vittoria, Stefania, Gavino e Stefano e il volume d’affari supera i 4 milioni di euro.La sfida nel 2015 Verso la fine del 2014, dopo varie vicissitudini e periodi altalenanti, arriva la parola più temuta: fallimento. «È stato un momento terribile – dice Vittoria – perdere il lavoro significa tornare al punto di partenza, rimettersi in gioco e sperare che qualcun altro ti assuma. Per me, che avevo già 48 anni, sapevo che sarebbe stato molto difficile perché la mia età non piace al mercato. Ma non potevo immaginare di smettere di lavorare e come me altri colleghi, chi con famiglia a carico, tutti con spese da affrontare. Ho pensato che potevamo unirci, costruire il futuro con le nostre mani». Aggiunge Gavino: «Quando Vittoria mi ha spiegato la sua idea, l’ho accolta con entusiasmo. Avevamo dalla nostra una grande esperienza e conoscenze tra i fornitori e anche una buona dose di intraprendenza. Ho
pensato che potesse essere per noi una opportunità di rivincita e ci siamo lanciati, con il pieno appoggio delle nostre famiglie». Anche Stefania, che già lavorava con Vittoria, e poi Stefano, per anni titolare di un market apprezzatissimo nel quartiere di Prunizzedda a Sassari, hanno detto sì a occhi chiusi. «Avevamo una caratteristica in comune – dice Vittoria – lo spirito imprenditoriale, la voglia di mettersi in gioco pienamente consapevoli dei rischi ma anche della possibilità di realizzare il nostro sogno. Qualcuno ci avrà preso per matti, ma tornando indietro rifaremmo tutto».Dal 2015 a oggi Per prima cosa i nuovi soci-titolari hanno rilevato i macchinari del precedente supermercato, hanno chiesto e ottenuto un sostegno dalle banche e con un capitale di circa 100mila euro sono partiti. «Super Dis è stato inaugurato nel 2015 – dicono Vittoria e Gavino – e nella fase iniziale non avevamo una grande scelta di prodotti perché i fornitori non erano tanti». E la concorrenza agguerritissima, in una città in cui apre un supermercato dopo l’altro, e la grande distribuzione alimentare è presente con tutti i più importanti marchi nazionali ed esteri. Per i quattro soci la ripartenza è stata dura ed in quei momenti è stato fondamentale restare uniti e tenere sempre a mente l’obiettivo. Il buio è durato qualche anno, poi tra il 2018 e il 2019 la ruota ha iniziato a girare nel verso giusto, sia per il Super Dis di Sassari sia per il punto vendita di Osilo, più piccolo e seguito prevalentemente da Stefania. Se già prima della pandemia Super Dis era riuscito a ritagliarsi uno spazio significativo nel mercato, nel 2020 l’arrivo del Covid ha fatto aumentare i clienti e lievitare i guadagni. Perché il negozio, con le sue dimensioni a misura d’uomo, appariva più rassicurante rispetto agli ipermercati. E anche perché proprio in quel periodo è stata arricchita l’offerta della gastronomia, con menu diversi ogni giorno e piatti preparati dal capochef. I dipendenti, inizialmente 8 a Sassari compresi i soci-lavoratori, sono diventati 20. Altri 7 invece operano nel negozio di Osilo. Vicino a te Da giovedì nuovo nome, ancora più prodotti sardi tra gli scaffali (con la linea Bobore creata dai Frongia), un’ampia sezione enoteca, più attenzione verso chi è affetto da intolleranze alimentari varie e sguardo aperto verso nuove cucine come quelle di Cina e Giappone. Ma la formula vincente, nell’area organizzata in maniera più circolare e avvolgente, non si cambia e i pezzi forti, come la macelleria e ovviamente la gastronomia, restano. Si ricomincia, e sarà la seconda sfida, dopo la prima vinta con onore e orgoglio

13.7.22

Là dove ieri c’era la fogna della Storia da oggi ci sarà la bellezza e la dignità del lavoro e dell’inclusione la storia È la storia della “Locanda dei Girasoli”, una pizzeria gestita da una cooperativa di donne e uomini con sindrome di Down

https://www.facebook.com/LocandadeiGirasoli/
https://www.lalocandadeigirasoli.it/



da   https://www.facebook.com/lorenzotosa.antigone/



Questa è una storia di lavoro, dignità, bellezza. Dal finale straordinario.È la storia della “Locanda dei Girasoli”, una pizzeria gestita da una cooperativa di donne e uomini con sindrome di Down che, per 22 anni, ha animato con piatti di qualità e integrazione sociale il Quadraro a Roma, prima di essere costretti come tanti alla chiusura, nel gennaio di quest’anno.

dal  sito    della cooperativa 
La Locanda Dei Girasoli – Ristorazione inclusiva
Oggi, grazie allo sforzo della Regione Lazio, del Presidenze Zingaretti e di tante persone perbene, la notizia più bella: la Locanda dei Girasoli è salva, riaprirà i battenti. Non in un luogo qualunque ma nei locali Ater di via Taranto che per anni sono stati occupati abusivamente da Forza Nuova, prima di essere meritoriamente sgomberati dall’allora sindaca Raggi.Pensate che segnale, che messaggio politico profondo. Là dove ieri c’era la fogna della Storia da oggi ci sarà la bellezza e la dignità del lavoro e dell’inclusione.Non succede spesso, ma a volte la politica sa essere davvero bella.

23.6.21

anche con la birra si può fare del bene e creare lavoro il caso della birra del "Il progetto Cacciatori di briciole e della birra messina

da repubblica del 23\6\201 e dalla pagina https://www.repubblica.it/il-gusto/argomenti/Le_storie c'è ancora chi resiste al calo dei consumi e alle pressioni delle multinazionali \ colossi esteri che dopo aver iniziato a fare acquisti in italia con le Peroni e le Ichnusa. 




Poi hanno puntato ad acquisire quelle artigianali. Vista la resistenza italiana ora cambiano strategia. E si travestono

repubblica  del  23\6\2021

Cacciatori di briciole: una birra buona capace di fare del bene


Nata dall'associazione Volontarius di Bolzano, viene prodotta da pane nero altoatesino riciclato e i proventi delle vendite vanno a finanziare i servizi a finanziare i progetti del gruppo di volontari

Un gruppo di persone e una vocazione, quella di aiutare gli altri. Una vocazione che non permette di stare fermi, con le mani in mano, di chiudere gli occhi davanti alle difficoltà del mondo e che porta sempre a nuovi passi, nuovi progetti, nuovi tentativi di cambiare le cose. "Il progetto Cacciatori di briciole è nato così, da un'idea, dalla
voglia di continuare ad aiutare e a fare di più, magari uscendo dalle nostre bellissime montagne per andare ancora oltre". A parlare sono Christian Bacci e Irene Gillio Meina, Vicepresidente dell'Associazione Volontarius di Bolzano lui ed entrambi referenti del progetto che, prendendo spunto dalla raccolta e redistribuzione quotidiana che l'associazione attua di cibo (che altrimenti andrebbe buttato) presso i meno abbienti, ha portato alla creazione di una birra che fosse allo stesso tempo antispreco e solidale. Perché tutti i proventi della vendita della birra andranno a finanziare le attività dell'associazione. Un doppio goal, che è uffialmente partito e arrivato nei mercati il 4 giugno 2021, dopo una piccola conferenza stampa che ha già fatto tanto rumore. 
La loro Cacciatori di briciole prende la sua forza dal pane, quello riciclato e donato a Volontarius (che opera sul territorio altoatesino dalla fine degli anni '90) "da un'azienda che vuole restare anonima. La beneficenza come pubblicità non gli interessa" sottolina Bacci, "ha a cuore solo la possibilità di aiutare chi ne ha bisogno" ed è nata grazie alla visione di un documentario. "Abbiamo scoperto così, per caso, che la birra veniva prodotta già ai tempi dei Sumeri con il pane, principalmente da una farina mista di orzo e farro; il prodotto veniva fatto macerare con l'acqua e si trasformava poi in una bevanda considerata una proto birra. Avendo già dei contatti con un birrificio locale gli abbiamo presentato", nel mese di febbraio 2021 l'idea. "Ovvero di utilizzare un prodotto estremamente territoriale, il pane nero altoatesino, per una birra. Il birrificio (Batzen di Bolzano, uno dei più antichi della città, ndr) ha sposato subito il progetto e le sperimentazioni sono partite immediatamente. Siamo stati fortunati, perché la prima prova era già organoletticamente perfetta". Le bottiglie della prima cotta sono 4200 e sono serviti oltre 50 chili di pane per poterle portare sugli scaffali di botteghe e supermercati, "per ora solamente del nostro territorio, ma dalla prossima produzione contiamo di aumentare i numeri e oltrepassare i nostri confini. Sarebbe un grande successo". 

Christian Bacci e la birra Cacciatori di briciole 

  Una birra, Cacciatori di briciole, che vuole essere un megafono per le attività dell'associazione che da sempre si "occupa di servizi alla persona. In tutto i progetti dell'associazione sono più di 40", ma la birra è strettamente legata all'attività più vecchia di Volontarius. Ovvero quella del riutilizzo e del riclo del cibo avanzato alle attività di ristorazione. "All'inizio giravamo con il camper una volta a settimana e portavamo un panino, un tè e una brioches ai senza tetto della città, del circondario, ma a lungo andare abbiamo visto che tutto questo non bastava più: i soldi che ci venivano erogati erano sempre meno e le persone che ne avevano bisogno sempre di più". Così è nata l'idea di andare a recuperare il cibo mancante, rispetto alle necessità, "da bar e panifici che altrimenti lo avrebbero buttato. Compreso il panificio che oggi ci fornisce anche del necessario per la produzione di Cacciatori di briciole", nome che assume un significato in più quando si va appena appena al di là delle apparenze. Non semplicemente un gioco di parole rispetto all'ingrediente principale, quindi, ma un rimando reale al lavoro che decine di volontari fanno, ogni giorno, sul territorio.

Il tutto grazie, spiega Irene Gillio Meina, "all'ampliamento della Legge Gadda contro lo spreco alimentare. Varata nel 2016 e ampliata nei suoi poteri nel 2019, poco prima dell'avvento del Covid, è una legge unica in Europa, che ha permesso non solo un crollo del volume del cibo sprecato quotidianamente in Italia, ma anche una crescita della consapevolezza" e soprattutto un cambio di mentalità rispetto al concetto consumistico degli acquisti di cibo e dei conseguenti sprechi. "La vera novità è che non agisce tramite sanzioni (come la normativa precedente, ndr), ma attraverso un incentivo che avviene sottoforma di importanti sgravi fiscali e di una sensibile semplificazione burocratica". Una legge che, di fatto, finalizza "all'inclusione sociale il recupero dei beni considerati primari per la vita di un essere umano", dal cibo ai medicinali, passando anche per la cancelleria. "E che di riflesso si sposa alla perfezione con le nostre finalità come Associazione". Ha aiutato infatti, spiegano i volontari, non solo nella realizzazione della birra solidale, ma anche in quella del Briciole Market: "un market in cui abbiamo superato il concetto di pacco solidale, in cui le persone potrebbero ritrovarsi prodotti che per attitudini, necessità o religione non possono utilizzare. Invece diamo ai nostri assistiti dei punti spesa a seconda del reddito familiare, che possono essere spesi come se fossero veri e propri soldi, acquistando dagli scaffali in totale autonomia". Un metodo per aiutare le persone ad avere quello di cui veramente hanno bisogno, che richiede una copertura del territorio di recupero dei beni capillare, permessa appunto "dalla Legge Gadda di cui" sottolinea sorridendo la volontaria, "sono diventata esperta mio malgrado, studiandola per aiutare noi e le aziende che ci aiutano". Una legge, tanti esseri umani di buona volontà e un progetto - fra i tanti - bello e buono, che vuole aiutare in due modi: incamerando soldi da investire in buone pratiche e raccontando queste buone pratiche a chi ne era lontano a causa di questo mondo frenetico, sempre meno solidale. 




La birra a Messina è una storia che risale al 1923, ma quella che rappresentava una tradizione nella storia produttiva della Sicilia rischiava di scomparire nel 2011, quando a causa dei modelli dominanti di economia fu chiuso lo storico stabilimento, ancora oggi dismesso e vandalizzato, con i dipendenti che rimasero senza lavoro. Dopo un anno e mezzo di presidi da parte dei lavoratori e vedendosi negare anche la possibilità di un prestito è intervenuta la Fondazione Comunità di Messina che non solo ha fatto da garante agli ex 15 operai, ma ha attratto importanti investimenti. Nel 2013 nasce così la cooperativa Birrificio Messina, con un nuovo stabilimento dove oggi viene prodotta La birra dello Stretto e la Doc15. A tramandare la ricetta “segreta” sono generazioni di mastri birrai che qui lavorano e hanno combattuto per salvare quella che a Messina è molto più che una tradizione.


Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

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