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21.8.24

In Trentino c'è uno degli ultimi caseifici turnari, dove si fa formaggio che appartiene a tutti

altro   che  panettone  ad   agosto ne  ho arlato  nel  post  : <<  la  politica    spara  cazzate  e  le  ditte     le  calvacano per  fare pubblicita  il   caso   della deputata     daniela  dondi  (  FdI  )   ha proposto    d'istituire per legge  la  giornatra del panettone  >> si dovrebbero  promuovere   prodotti locali  e  produzioni  come questa 

In Trentino c'è uno degli ultimi caseifici turnari, dove si fa formaggio che appartiene a tutti


Nel paese di Peio, in Val di Sole, lavora da metà Ottocento un caseificio in cui il latte non si compra né si vende. I soli 5 soci condividono il latte e si spartiscono equamente i formaggi, secondo un sistema comunitario che è quasi estinto 

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Carolina Pozzi
Carolina PozziEditor di CiboToday18 agosto 2024 11:00



Sulle nostre montagne, fare il formaggio è sempre stato questione di sopravvivenza, ancor prima che di gusto. La risposta al trovare dei modi — con procedimenti che hanno qualcosa di magico — per preservare nel tempo una materia prima delicata e deperibile: il latte. Mentre la produzione industriale ha rimosso gli aspetti ‘romantici’ del gesto, ci sono zone in cui resistono tradizioni antiche, che raccontano di quando caseificare era uno sforzo collettivo. La maniera di far vivere comunità alpine mettendo insieme le risorse e godendo alla pari dei risultati. Questa è la storia dell’ultimo caseificio turnario del Trentino, che a Peio distribuisce agli allevatori un formaggio che in fondo appartiene a tutti.

Formaggi in stagionatura al Caseificio Turnario di Pejo
Formaggi in stagionatura al Caseificio Turnario di Pejo

Cosa sono i caseifici turnari, antenati delle latterie sociali

Il sistema di lavoro delle latterie turnarie si è consolidato dalla metà dell’Ottocento, con diversi casi sulle Alpi di TrentinoVenetoFriuli e fino alla Slovenia. Mentre nelle piccole comunità l’allevamento intensivo era cosa assolutamente sconosciuta, pressoché ogni famiglia possedeva qualche capo di bestiame, magari un paio di vacche oppure alcune capre. Erano in pochi invece a disporre degli spazi, delle attrezzature nonché del tempo per trasformare il latte, che quindi si consegnava a un casaro che lo lavorava per tutti.

La lavorazione del latte nelle vasche di rame al Caseificio Turnario di Pejo
La lavorazione del latte nelle vasche di rame al Caseificio Turnario di Pejo

Niente di troppo diverso — a pensarci bene — dai forni comunitari che c’erano in ogni paese, dove si portava il proprio impasto per la cottura. Il contesto degli antichi caseifici turnari però è ancora più specifico: non sarebbe stato possibile infatti lavorare per ciascuno i piccoli quantitativi, e così tutto il latte veniva travasato e manipolato insieme a quello degli altri. Per la distribuzione del formaggio, poi, si procedeva in maniera precisa.

Come funziona il caseificio turnario di Peio, l’ultimo che resiste in Trentino

Con l’andare dei decenni, questa produzione collettiva ha preso la forma delle latterie sociali. A volte ancora di dimensioni molto ridotte, ma ai conferitori si riconosceva un compenso in denaro relativo al latte consegnato, oppure al prodotto lasciato in vendita. Nei turnari invece si fa diversamente: il caseificio non acquista il latte, ma semplicemente lo lavora al posto dei soci.

Formatura dei formaggi al Caseificio Turnario di Pejo
Formatura dei formaggi al Caseificio Turnario di Pejo

Il formaggio prodotto giornalmente, la caserada, spetta per intero a ogni allevatore, secondo un meccanismo — appunto — di turni quotidiani. E i conferitori possono avere diritto a più caserade a seconda del quantitativo di latte consegnato. Avviene ancora esattamente così a Peio, dove resiste l’ultimo caseificio turnario del Trentino. Uno degli ultimi quattro su tutto l’arco alpino, con le realtà colleghe di Campolessi a Gemona del Friuli, di Valmorel in provincia di Belluno e infine un’ultima in Slovenia.

Il Caseificio Turnario di Pejo
Il Caseificio Turnario di Pejo

Casolet, Pegaés, burro e cacioricotta: cosa produce il caseificio turnario di Peio

Nel paese di Peio, 1.200 metri di quota in Val di Sole, il casaro Daniele Caserotti — ex-studente dell’Istituto Agrario San Michele all’Adige — si occupa di fare il formaggio dall’età di 18 anni. Una vera missione, gestita quotidianamente su un registro in cui annota i litri di latte coi quali i soli 5 soci contribuiscono e di conseguenza la ripartizione del formaggio. Il caseificio lavora dal 1865, mentre risalgono agli Anni Trenta le tre caldaie in rame disposte nella saletta con vasche d’acqua per l’affioramento della panna, una per la salamoia e, a parte, le stanze (i vòlti) per la stagionatura.

Il casaro al lavoro al Caseificio Turnario di Pejo
Il casaro al lavoro al Caseificio Turnario di Pejo

Oltre al burro, la ricotta e i formaggi vaccini e caprini freschi, qui si fa infatti anche il Pegaés (un semigrasso da latte crudo a media e lunga stagionatura), il Casolet (a latte crudo intero e pasta molle, presidio Slow Food), poi TavièlaFormagèl e cacioricotta. Una parte è destinata inoltre al piccolo spaccio, aperto al pubblico. Il caseificio turnario di Peio, per il suo lavoro secolare, ha ricevuto nel 2019 il premio ‘Resistenza Casearia’ assegnato dalla manifestazione Cheese di Bra e ha aderito, insieme a quelle colleghe, alla 'Carta dei princìpi delle latterie turnarie’ stilata in occasione di una mostra fotografica itinerante nel 2022.


NEGOZIO-BOTTEGA
Caseificio Turnario di Pejo

Via San Giorgio, 2 Peio
Pagina Facebook
 cell 3397371072








22.10.21

il cibo ed i prodotti locali posso essere l'incipit contro lo spopolamento dei piccoli borghi . il caso fare la festa" alle mele dell’Appenino. di Castel del Giudice, [ Isernia ]

Cazzeggiando in rete e cercano storie \ fatti curiosi per il blog ho appreso che  : Sabato 9 e domenica 10 ottobre i coltivatori di mele e prodotti bio di Abruzzo e Alto Molise si sono ritrovati a Castel del Giudice, un comune italiano di 311 abitanti della provincia di Isernia, in Molise. Fino al 1790 il suo territorio era ancora parte integrante dell' Abruzzo Citeriore secondo quanto risulta dalle Carte della Calcografia Camerale e di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, per "fare la festa" alle mele dell’Appenino.


 Oltre a degustazioni, visite guidate ai meleti e al birrificio agricolo, escursioni nella natura a piedi e in e-bike, esperienze a contatto con le api per grandi e piccoli, raccolta delle mele 



e delle patate viola, c'era  in programma anche l'esposizione fotografica itinerante a cura del fotografo Emanuele Scocchera, spettacoli di divertenti buskers, street band e laboratori.
Tale  manifestazione    è stata un’occasione unica per scoprire il simbolo della rinascita di un borgo che vuole contrastare lo spopolamento delle aree interne dell’Appennino. 

Parliamo della mela di Castel del Giudice, paese dell’Alto Molise ad 800 metri di altitudine al confine con l’Abruzzo, ad un passo da Castel di Sangro Roccaraso. Qui i filari di mele, che si differenziano per eclettiche varietà, occupano circa 50 ettari di superficie. Un tempo in stato di abbandono ed esposti a rischio idrogeologico, questi terreni sono stati recuperati grazie ad un progetto pubblico-privato che ha visto in prima linea il comune e alcuni imprenditori locali.
<< In particolare >>  da quel che siu egge  su  repubblica  del 8\10\2021    l'evento è    <<  nato nel 2003 riqualificando circa 20 ettari di meleti con l’idea di coltivare nel rispetto della biodiversità del territorio, il meleto biologico Melise è diventato motivo di sviluppo per quest’area di montagna a rischio spopolamento. Promosso dall’agronomo Michele Tanno e dalla sua associazione Arca Sannita, il “Giardino delle mele antiche” custodisce, a sua volta, circa 60 varietà di mele dell’Appennino molisano-abruzzese che rischiavano l’estinzione. Tra queste, mele dalle cultivar resistenti alla ticchiolatura, ideali per la montagna. Come la Limoncella, la più antica del meleto, o la Zitella, dal sapore dolce e dal colore giallo con sfumature rosa. Autoctona è anche la Gelata, caratterizzata da alcune parti vetrose, e la Tinella, molto piccola e piatta con la facciata rosa. Oltre alle autoctone, c’è la mela Florina, dal colore rosso, e la Dolorina, dalla forma più allungata e dal colore rosso brillante. Poi ci sono ancora la Primiera, le Golden LasaGolden DelicusGolden OrangeGala SansaGala Galaxi, Fuji kukuRedChiefRed Canada Renette Canada.>>

7.6.21

Osilo Chiesa di Nostra Signora di Bonaria

Ieri era una delle due giornate Fai di primavera . Quest'anno nella mia zona nord Sardegna era visitabile la chiesa campestre sul colle di Osilo di Bonaria . Peccato per la pioggia a non potuto vistare il resto del bellissimo paese , ma vista la buona cucina e la ricchezza dei prodotti locali ci ritornerò . Quindi la visita era il monumento da cui soprattutto nelle belle giornate si gode di una bellissima visita ( quasi rudere come potete vedere dalle mie foto ) trascuratissimo , andrebbe valorizzato meglio ed il Fai oltre a farlo visitare dovrebbe o restaurarlo o farlo restaurare dall'amministrazioni comunale e dai beni archeologici \ architettonici della provincia o della diocesi .















da https://www.facebook.com/enrico.napoleone/posts/10220777011829544

pochissimi chilometri dal mare, con l'isola dell'Asinara proprio di fronte, esiste un luogo nel quale si ha l'impressione di trovarsi improvvisamente proiettati a centinaia di km di distanza dalle spiagge sarde, in un paese medioevale dell'Umbria [ o della toscana , aggiunta mia ] .E' Osilo, arroccata a 600 mt. d'altezza con le sue 36 chiese, con i suoi vicoli lastricati, con i suoi palazzi e con il suo castello con una vista a 360 gradi, edificato intorno al 1300 dalla famiglia toscana dei Malaspina. Originari della Lunigiana, arrivati in Sardegna nel 1016 in occasione della spedizione contro gli arabi guidati da Museto. A seguito di quella spedizione i Malaspina ottennero in ricompensa, dalla Santa Sede, una serie di terre sulle quali fecero costruire fortificazioni: tra le quali il castello di Osilo a guardia delle frontiere dell'Anglona, della Nurra e della Gallura. E' un paese molto bello e curato Osilo, sicuramente poco noto agli stessi sardi, ma che vale assolutamente la pena di visitare

9.8.17

non è tuitto svernduto alle multinazionali o non s'importa tutto dall'estero .Noccioleto al posto del mais: un’innovazione tutta friulana che fa gola alle industrie dolciarie




Noccioleto al posto del mais: un’innovazione tutta friulana che fa gola alle industrie dolciarie
La svolta dell’azienda agricola di Marzia Giovanatto a Rive d’Arcano. La coltivazione ha buone prospettive di crescita

Si rompe la monotonia delle solite coltivazioni: mais e soia, soia e mais, perché si è sempre fatto così. Scricchiola l’immobilismo che finora si è aggrappato alle storie di padri, nonni e bisnonni, protagonisti di un’agricoltura di sussistenza: un po’ di terreno, che doveva rendere quel che poteva, e un paio di mucche in stalla. Perché continuare imperterriti a fare le stesse cose in un mondo di rapidi cambiamenti? La domanda coinvolge anche la vita nei campi. Perché rischiare di farsi strangolare dai grandi gruppi industriali che dettano condizioni capestro anche in campagna, riducendo i margini di guadagno delle piccole aziende? Perché non dare spazio a innovazione e creatività?
Queste domande hanno tormentato per un po’ di tempo Marzia Giovanatto, imprenditrice friulana che si è trovata a gestire una quindicina di ettari di terreno dell’azienda di famiglia. Alla fine del ragionamento ha prevalso la logica dell’innovazione. Così, in Friuli, è scoccata l’ora del nocciolo. A Rive d’Arcano, paese di poco più di duemila anime, ai piedi delle colline lungo la strada che congiunge San Daniele e Fagagna, si sta allargando la presenza delle piante eleganti, raccolte in ceppaia quasi per farsi compagnia, con il tronco sottile e slanciato, che producono una “tempesta” di nocciole. I piccoli frutti corazzati alimentano un mercato molto promettente. D’estate, poi, l’estensione di queste piantagioni esalta il verde intenso delle larghe foglie seghettate. È il segno dell’arricchimento di una diversità di colture, che modifica la struttura di paesaggi rurali quasi tutti eguali.

Da sinistra, Renzo Tella, Stefano Zuliani (accovacciato in centro) e Marzia Giovanatto tra i noccioli di Rive d’Arcano (Udine)



La volontà di innovare. L’azienda di Marzia Giovanatto rischiava di restare una delle tante ruote di un meccanismo che produce per conto terzi mais per granaglie, foraggio e materie prime per impianti di biomassa. Perché non metterci la propria personalità nel lavoro? La risposta dell’imprenditrice costituisce l’incipit di una storia alla ricerca di nuove prospettive. L’incontro con Renzo Tella, consulente di impianti agricoli, ora suo braccio destro, è stato decisivo. Che cosa fare dei terreni a disposizione? Dapprima è nata l’idea di un allevamento di bufale: ad Aviano ce n’è uno in espansione.
«Ci siamo messi alla ricerca di qualche esperienza. Dopo la visita a una stalla di Viterbo – racconta Giovanatto – abbiamo scartato quel progetto appena abbozzato. Avrebbe provocato un impatto non indifferente nella zona, tra l’altro non avevamo professionalità nel settore del bestiame. Ma proprio lì, a Viterbo, ci siamo trovati coinvolti nella grande festa per la raccolta delle nocciole. Così è scattata la scintilla di una coltivazione tutta nostra: cinque ettari sperimentali, ai quali ne seguiranno altri». Il mercato mondiale delle nocciole è in mano alla Turchia, che è il Paese leader (oltre il 70 per cento). Ma l’Italia, che controlla un buon 15 per cento, se la cava molto bene: Lazio (proprio il Viterbese è l’area a maggior diffusione), Campania e Piemonte sono le principali aree di produzione, con qualità di tutto rispetto.
E ora anche il Friuli mette fuori la testa per raccogliere soddisfazioni da una domanda che è in crescita esponenziale, sostenuta soprattutto dall’industria dolciaria. Quanto rende la coltivazione di nocciole? Alcune valutazioni sono possibili con qualche conto a spanne, che ovviamente è soggetto alle oscillazioni del mercato: un ettaro può garantire, a pieno regime, 35-40 quintali di nocciole per un prezzo medio che si aggira attorno ai 300-350 euro al quintale. I numeri sono influenzati dalle varietà scelte. Va anche rilevato che c’è un formidabile uso della meccanizzazione in tutte le fasi operative, con abbassamento dei costi di manodopera, fino alla raccolta tra i filari, che è prevista tra la fine di settembre e ottobre. La pianta è resistente, poco esigente e generosa, non ha bisogno di tanto lavoro. Richiede cure minime ed entra in produzione dopo il terzo anno di vita. Non solo. E’ anche longeva: può superare il traguardo dei 70-80 anni.
Il marchio legato al territorio. La decisione di diversificare l’attività agricola non è stata lasciata al caso, ma inserita in un business plan, come previsto per ogni attività imprenditoriale. I terreni di Rive d’Arcano sono stati monitorati attraverso analisi tecniche compiute da un agronomo di Viterbo. Alcune zone del Friuli potrebbero essere adatte come terre di noccioli, anche in pianura, d’altronde le piante crescono allo stato spontaneo e selvatico in collina. Non a caso l’azienda agricola di Rive d’Arcano ha scelto come marchio La Nobile Friulana, con la scritta accompagnata dal simbolo delle nocciole: il marrone del frutto che contrasta con il verde intenso delle foglie.
«Tenga presente - precisa Marzia Giovanatto - che il legame con il nostro territorio è forte, perché siamo convinti che la migliore risposta alla globalizzazione, che alimenta crisi di identità di ogni genere, sia la riscoperta dei territori. Questa è la nostra piccola sfida ai prodotti distribuiti dalle grandi catene commerciali, che ci invadono spesso senza garanzie certificate». Il principio è richiamato in ogni confezione messa in vendita: il valore della terra d’origine. «Si trattava di partire con il piede giusto. Abbiamo preferito puntare su due varietà particolari di nocciolo – spiega Renzo Tella – che tenessero conto delle caratteristiche dei campi, del microclima della zona e della qualità del prodotto.
Così sono state scelte la Tonda di Giffoni e la Gentile Romana. Entrambe garantiscono buone rese, intensità di sapore, croccantezza e fragranza. Abbiamo fatto crescere le piantine nel nostro vivaio, attraverso polloni di ceppaie certificate; in tal modo potenziamo i nostri impianti e aiutiamo chi vuole aderire al nostro progetto». L’idea di Giovanatto e Tella è un cantiere aperto. L’obiettivo è di creare una filiera completa di prodotti: dalla coltivazione alla vendita. Il risultato è l’auspicata nascita di una cooperativa: «Le condizioni ci sono. Pian piano altri si stanno aggregando, da Rive d’Arcano a Manzano, fino a Rovigo».
L’unione fa la forza. La coalizione dei piccoli potrebbe costituire una “sacra alleanza” per resistere alle incursioni dei grandi gruppi dell’industria dolciaria: «Noi abbiamo rifiutato le offerte di un rappresentante della Ferrero, perché le condizioni economiche erano decisamente basse». L’azienda di Rive d’Arcano ha evitato così di diventare una semplice catena di montaggio gestita da altri. È in trattative invece per la cessione di una parte del raccolto annuo a un’impresa friulana di gubane: soltanto una piccola parte - ci tengono a precisare - perchè la quantità più rilevante di nocciole sarà gestita in proprio.
Della nocciola non si scarta niente. Vale il detto del maiale: nulla da buttare, in un’ottica di trasformazione del prodotto. Intanto, tutte le varietà di frutta secca stanno conquistando i mercati, perché sono entrate nelle abitudini alimentari. In pratica, rappresentano degli eccellenti integratori naturali. Le nocciole devono essere tostate in appositi essiccatoi ad aria calda per ridurne il contenuto di acqua. «Noi non abbiamo ancora maturato l’esperienza in questo campo - spiega Renzo Tella - anche perché i nostri numeri sono ancora piccoli. Questo particolare processo industriale lo abbiamo affidato a un’azienda di Viterbo, dove i trattamenti sono all’avanguardia».
Le idee sono chiare per il futuro: nuovo laboratorio a Travesio, mentre altre operazioni (un po’ più in là nel tempo) saranno eseguite a Cimolais, dov’è stato individuato un piccolo sito nella zona industriale, d’altra parte i contributi regionali per le aree svantaggiate di montagna costituiscono un volano per nuove attività. Poi ci sono gli altri utilizzi delle nocciole. La farina pura al cento per cento è molto richiesta da pasticcerie e pastifici, e una parte miscelata con quella di mais (il cui giusto equilibrio resta un segreto aziendale) viene raccolta in appositi sacchetti e venduta per Polente furlane cun nolutes: «La morte sua è la polenta accompagnata con formaggio e insaccati». Le ultime novità riguardano i grissini con farina di mais e granaglie di nocciola e il Noccio-sprint, una crema con aggiunta di miele. Ed eccoci quindi al riferimento al maiale: tutto si tiene, perché anche i gusci producono reddito: sono infatti venduti per la combustione, tipo pellet, in un’ottica economica green.
Da qualche tempo, al progetto si è aggiunto anche Stefano Zuliani, ventitreenne di Castelnovo del Friuli, con diploma di grafica in tasca. Si è inserito nel team con l’obiettivo di far crescere l’immagine aziendale. Il suo ruolo è di metterci anche una buona dose di friulanità negli ingredienti delle pubbliche relazioni. «Nei casi aziendali come questo, che vivono dentro un’agricoltura di nicchia – spiega Zuliani – è fondamentale il legame con il territorio, anche
perché il mercato è locale». Il futuro è nel web, senza però dimenticare le tradizioni delle nostre comunità. Le radici sono il valore aggiunto che alimenta la filosofia di un’azienda che cerca in tutti i modi di sfruttare le buone potenzialità future.

1.6.13

come tutelare la salute anche senza soldi \ dimagrire mangiando

Con l'imperversare della crisi  , come dicevamo in precedenza 1 2 , oltre ad  aumentare in contemporanea  al cibo fatto in casa  ed  ai G.a.s  (  gruppi  d'acquisto  solidale  , cioè direttamente  dal produttore al consumatore  )  aumenta  la  spesa     a  scapito della qualità  alimentare  gli acquisti  in  grossi centri commerciali o cibi  d'asporto  e del  cibo spazzatura  . Ecco quindo  l'aumento  di malattie  alimentari    ed  in particolare   dell'obesità  giovanile  .

In questo  sito   oltre  ad  un decalogo   di come  mantenersi in forma   mangiando  bene  il  più possibile  . Ecco  come      dimagrire senza  troppe  diete  \  rinunce  http://tinyurl.com/mzzwubt cioè in sintesi  
 Ridurre il consumo di alimenti di originale animale.
Ridurre il consumo di alimenti che hanno subito un intensivo processo di lavorazione, fra cui il pane bianco;
Ridurre e cercare di eliminare il consumo dicibo-spazzatura.

IL decalogo  per  una buona alimentazione ovvero  tuta  una serie  di  consigli  (  ovvi   certo visti i  continui programmi  e rubriche  salutari   sui media  , ma poco seguiti   dalla massa  )  per tutelare la salute anche quando ci sono meno soldi da destinare alla spesa alimentare. Cibi a km0 e con gli avanzi piatti da gourmet





A ogni pasto principale inserire almeno una porzione di cereali e derivati (pane, pasta, riso,mais, patate), privilegiando prodotti integrali e a ridotto contenuto in grassi; non dimenticando mai di aggiungere un piatto 'generoso' di verdura cotta o cruda




Non eccedere nel consumo di prodotti di origine animale come carne, salumi e insaccati, latticini e formaggi. Durante la settimana, a pranzo e a cena, alternare la varietà privilegiando la carne bianca, inserendo  il pesce (ottimo quello azzurro) 1-2 volte a settimana, le uova 1-2 volte a settimana e limita i formaggi a 2-3 volte a settimana





I legumi secchi o freschi (ceci, fagioli, lenticchie, fave, piselli) - alimenti che appartengono da sempre alla tradizione gastronomica italiana - possono dar vita, combinati con i cereali, a saporiti ed invitanti piatti unici. E' bene introdurli nell'alimentazione almeno due volte a settimana




Preferire l'olio extravergine d'oliva sia per la cottura che come condimento a crudo. Usare un tipo di cottura che possa permettere di limitarne la quantità




Pianifica, per quanto possibile, il menù settimanale e fare la spesa seguendo una lista degli acquisti preparata a casa. Non lasciarsi mai influenzare dalle campagne di marketing che invitano ad acquistare sottocosto prodotti alimentari non realmente necessari e spesso di dubbia qualità




Ridurre le quantità di alimenti e riciclarli ( esempio mangiare  a pranzo  il giorno dopo  gli avanzi  o  fare  con essi nuovi piatti  . es  la  scorsa settimana  m'era  avanzata della pasta  ,  l'ho   riusata   facendo :   con delle uova  ,   del formaggio  e del pane ( avanzato  dai giorni scorsi )    grattugiato   una frittata  di pasta  )   è utile per risparmiare e guadagnare salute




  Bere spesso: l'acqua di rubinetto o di fontane  . vanno   benissimo  anche infusi o tisane non zuccherate oppure  con poco zucchero  o  un cucchiaio di miele  



  Vivere una vita attiva. Ogni occasione della giornata è utile per muoversi di più  . basta , per  chi non vuole  fare palestra  o   troppi sforzi  una  camminata  di  30 minuti al giorno  o  45  minuti alla settimana  .



Fare con regolarità almeno 3 pasti al giorno, cominciando dalla prima colazione.



 O se  come  me   soffrite  di fame  da stress ( fate  come  me   , anche se  non sempre  riesco a mangiare  roba  leggera  )    2  spuntini  mangiando  roba leggera  ( frutta,  verdura     crackers  , ecc  ) 




e  per  finire   sappiate  che  Le verdure possono essere utilizzate anche per realizzare primi e secondi piatti.



Infatti  A tavola scegliere alimenti di origine vegetale (frutta e verdura di stagione, legumi e cereali), possibilmente prodotti localmente (a filiera corta). Le verdure possono essere utilizzate anche per realizzare primi e secondi piatti. Non dimenticare: 5 porzioni al giorno tra frutta e verdura

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...