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20.4.22

L'iniziativa di Coneria Italiana, a Lamezia Terme: per un giorno valela lira la vecchia valuta. ., Buon compleanno Nutella: tutti i segreti della crema spalmabile più amata al mondo



E nella gelateria che si ispira agli anni '60 si paga in lire




Tornano le vecchie lire per un solo giorno, basterà portarle in cassa a Lamezia Terme e si avrà in cambio un gelato. È la trovata di Valentino Pileggi, ideatore di Coneria Italiana: “Il 21 aprile saremo la prima attività commerciale in Italia a permettere l’utilizzo delle vecchie lire”. Un’idea per riportare fra le mani e nel borsellino la vecchia moneta italiana, un gioco in realtà che vuole rendere omaggio alla memoria degli anni in cui il boom economico metteva il sorriso sui volti degli italiani e tutto sembrava
possibile. “Dato che il nostro format è ispirato agli anni ’60, dagli arredi con la radio d’epoca, la musica, le gonne a ruota delle ragazze e le fasce a pois per i capelli, ci è sembrato simpatico festeggiare così il primo anno dall’apertura”. Non volendo semplicemente regalare il prodotto, “vogliamo far tornare i nostri clienti agli anni in cui i loro genitori e nonni con le lire andavano a comperare il gelato”. Una caccia al tesoro fra le tasche di vecchi cappotti o in fondo ai cassetti, alla ricerca delle vecchie monete o delle banconote che per decenni hanno circolato in Italia e che ancora oggi sono indicate sul prezziario della gelateria: “In realtà è un modo diverso, e simpatico, per regalarlo. Basterà mostrare in cassa le lire”.

Un progetto che trae ispirazione dai ricordi in modo non effimero, ma con la concretezza del sapore della memoria: “Coneria Italiana nasce quasi per caso - racconta Pileggi, imprenditore lametino insieme al maestro gelatiere Gianfranco Buccafurni, noto per il gelato di Jacurso, e al socio di capitali Fabio Borrello - Parlando con mia madre Angela mi raccontava del cannoncino mantovano. Lei in Calabria è venuta per amore di mio padre, ma ricorda bene quel sapore dell’antica ricetta di Mantova che spopolava negli anni ’60”. Cialda come quella del cono riempita con budino e sormontata da panna montata, servita in orizzontale come una cornucopia, non freddo come il gelato e comodo visto che non sciogliendosi evita di sgocciolare. Una tradizione che ingolosisce ancora oggi i mantovani, “come in quegli anni il budino è solo di due gusti, vaniglia e cioccolato, mentre per il gelato i gusti spaziano”. Storicità e un pizzico di innovazione retrò, che non si trova solo negli arredi: “Sembra una novità vista con gli occhi di un calabrese, di un meridionale, ma il cannoncino da Mantova in giù non si conosce. Lo abbiamo rivisitato con la cialda fatta al momento e la panna montata in planetaria, senza estrusori”.

Proprio da questa particolare lavorazione artigianale ed estemporanea della cialda prende il nome Coneria Italiana, per sottolineare già nel nome l’intenzione di porre l’accento sul pregio di un prodotto che raccoglie nella sua croccante friabilità: la cialda che sa di biscotto, realizzata in maniera artigianale ed esattamente con gli stessi ingredienti del tempo: “Per i coni usiamo farina biologica di tipo 1, burro, latte fresco e solo uova fresche di galline allevate all’aperto”. Anche per i budini gli ingredienti ripercorrono quelli della memoria, come quando si facevano in casa con latte, panna, zucchero, vaniglia o cacao e amido di mais; stessa filosofia per i gelati che portano la firma di Buccafurni e il sapore della sua abilità, riconosciuta così tanto da aver fatto assurgere il piccolo paese calabrese di Jacurso alla notorietà. “Nel laboratorio a vista lavoriamo anche frutta locale per i sorbetti e i cremolati, composti da polpa di frutta e pochissimo zucchero aggiunto. Il tasso zuccherino è tarato in base all’acidità naturale della frutta e al grado di maturazione, per esempio in estate con pesca e malvasia non ne usiamo, mentre arriviamo al 15% in peso per il sorbetto di agrumi”. Un solo anno dall’apertura e già il riconoscimento, recentemente ricevuto al Sigep di Rimini, con il primo posto per il gusto al cioccolato di Francesco Buccafurni, figlio d’arte: un solo anno ma anni di lavoro al fianco del padre che ha saputo trasmettere passione e competenze, e da un tale maestro c’è tanto da imparare.

Già nell’impostazione del progetto, nonché dalla sua apertura, “Coneria Italiana nasce con l’intenzione di avere impatto zero sull’ambiente. Carta riciclata e fibra vegetale per tovaglioli e palette, barattolo per il gelato da asporto in carta e di forma cilindrica come quello che andava in quegli anni, coppette gelato senza pla (acido poli lattico) quindi biodegradabili”. Un solo contenitore della spazzatura per rifiuti compostabili a disposizione dei clienti, “nella consumazione non produciamo rifiuti che non siano compostabili. Li abbiamo in produzione ma sono i packaging che derivano dai nostri fornitori”. Un’attenzione all’ambiente che si riflette anche, e soprattutto, nella scelta di spronare i clienti al riutilizzo delle vaschette da asporto, quelle in simil polistirolo per intendersi ma accuratamente scelto da fonti rinnovabili. “Alcuni mesi fa Dina Calagiuri, presidentessa di ‘Lamezia Zero Rifiuti’, mi propose di essere la prima gelateria a permettere l’asporto del gelato in contenitori portati da casa, vetro o plastica - prosegue Pileggi - Oppure si può comperare una nostra vaschetta e, terminato il consumo casalingo, lavarla e portarla per la volta successiva”.

Seguendo uno scrupoloso criterio sulle linee guida in materia igienico-sanitaria, i contenitori vengono posizionati su una tovaglietta lavabile per evitare il contatto con la superficie di lavoro, “dentro vi facciamo cadere il gelato a cascata, con una paletta preleviamo il gelato dalla carapina e con una seconda lo spatoliamo in modo che cada, facendo in modo che non entrino in contatto con il contenitore stesso. Una volta riempito di tutti i gusto scelti, con una terza paletta sistemiamo il gelato e quest’ultima - unica in contatto con il contenitore riutilizzato - viene subito messa in lavastoviglie.” Questo incoraggiamento al consumo consapevole del packaging viene spronato, non solo a parole, ma anche nei fatti: ai clienti che portano il recipiente da casa, o ne riutilizzano uno, viene riservato uno sconto sul prezzo del gelato. “Lo sconto equivale a quello che paghiamo noi per la vaschetta, essere vicini all’ambiente non ha un costo per l’attività, ma è una forma mentale".

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Spente 58 candeline. Il "Nutellificio" di Alba produce ogni giorno oltre 300 tonnellate di dolcezza, pari a 550mila vasetti, a cui si aggiungono undici stabilimenti Ferrero in tutto il globo: un totale di 770 milioni di barattoli venduti ogni anno e consumati da più di 110 milioni di famiglie



Buon compleanno Nutella. Era una piovosa mattina del 20 aprile 1964, quando dalla fabbrica Ferrero di Alba usciva il primo vasetto di quella che sarebbe diventata la crema da spalmare più famosa nel mondo. Oggi, dopo 58 anni, più che una crema di nocciole e cacao, la Nutella è una categoria dello spirito. Più che un dolce spuntino, è una passione travolgente. Più che un alimento, è un simbolo transgenerazionale. Non per nulla è entrata nell’immaginario collettivo come metafora del piacere e del desiderio, stregando artisti, scrittori e personaggi di successo, oltre a milioni e milioni di semplici consumatori. È così che la Nutella si è fatta strada non solo nelle dispense delle nostre case, ma anche nella letteratura, nella musica, su internet, nell’arte e al cinema.

(foto sito @ferrero)
(foto sito @ferrero) 

Il primo vasetto in etichetta aveva una grande fetta di pane, due nocciole e un nome morbido, intrigante, positivo. A ideare il prodotto fu Michele Ferrero, che a 39 anni riuscì a migliorare gli antesignani Giandujot e Supercrema, creati da suo padre nel dopoguerra, e tirò fuori dal cilindro quel marchio in grado di aprire la strada alle vendite internazionali, fino a farla diventare un vero e proprio fenomeno capace di accomunare i «baby boomers» ai sessantottini, gli «yuppies» degli anni Ottanta ai «Millennials» fino a raggiungere con immutato appeal le nuove generazioni. Infantile e innocente quanto affascinante e ossessionante, la Nutella è un prodotto per le famiglie con un retrogusto quasi peccaminoso, è un marchio socializzante in grado di mettere d’accordo tutti, una crema che vanta più imitazioni della Settimana Enigmistica ma resta inimitabile, grazie a una ricetta segretissima conservata ad Alba esattamente come avviene per la Coca-Cola ad Atlanta. Un esempio azzeccato di globalizzazione golosa, come certificato dai ricercatori dell’Ocse già un decennio fa.

Lo stabilimento di Alba
Lo stabilimento di Alba 



Insomma, citando un fortunato slogan: che mondo sarebbe senza Nutella? Il grande «Nutellificio» di Alba produce ogni giorno oltre 300 tonnellate di crema, pari a 550mila vasetti. Un dolce fiume impressionante, ma che ovviamente non basta a soddisfare la richiesta internazionale. La Nutella, infatti, è prodotta in undici stabilimenti Ferrero in tutto il mondo, con maestranze di 97 nazioni. Ed è commercializzata in circa 160 paesi dei cinque continenti, raggiungendo un totale di oltre 400.000 tonnellate, pari a 770 milioni di barattoli venduti ogni anno e consumati da più di 110 milioni di famiglie. Tanto per dare l’idea, se si mettessero in fila i vasetti di Nutella prodotti in 12 mesi si arriverebbe a una lunghezza pari ad 1,7 volte la circonferenza terrestre e a un peso pari all’Empire State Building. Senza scordare i prodotti Ferrero nati sulla scia della crema da spalmare, dai B-ready ai Nutella Biscuits, diventati i biscotti più amati in Italia.
Dunque, potremmo dire che da sempre c’è un po’ di Nutella nella nostra vita e un po’ della nostra vita in Nutella. Lo sa bene Nanni Moretti, che nel film «Bianca» affoga l’ansia in un enorme barattolo alto un metro. E lo sanno bene anche gli strateghi del marketing, che nel 2013 hanno convinto la Ferrero a dare a ognuno la possibilità di sostituire il famoso logo sul vasetto con il proprio nome di battesimo, facendolo diventare un oggetto cult da consumare, da esibire o da conservare come una preziosa opera d’arte pop e personalizzata. Oggi è sulla rete e sui social network che si può cogliere tutta la forza aggregatrice di Nutella: ogni giorno decine di migliaia di persone in tutto il mondo le rivolgono un pensiero appassionato, pubblicando una foto su Instagram o uno status update su Twitter. È una passione globale, che unisce persone comuni e celebrità: la pagina di Facebook dedicata a Nutella in Italia conta circa 6 milioni di fan, quella mondiale supera i 35 milioni di follower. Cifre da capogiro, ma che hanno radici ben lontane, con l’esordio pubblicitario sul palcoscenico di Carosello nel 1967. Chi ricorda, all’inizio degli anni Settanta, le avventure di Jo Condor, l’intramontabile pennuto che fa dispetti agli abitanti della Valle Felice, salvati dal Gigante Amico, depositario della bontà del prodotto?

9.8.17

non è tuitto svernduto alle multinazionali o non s'importa tutto dall'estero .Noccioleto al posto del mais: un’innovazione tutta friulana che fa gola alle industrie dolciarie




Noccioleto al posto del mais: un’innovazione tutta friulana che fa gola alle industrie dolciarie
La svolta dell’azienda agricola di Marzia Giovanatto a Rive d’Arcano. La coltivazione ha buone prospettive di crescita

Si rompe la monotonia delle solite coltivazioni: mais e soia, soia e mais, perché si è sempre fatto così. Scricchiola l’immobilismo che finora si è aggrappato alle storie di padri, nonni e bisnonni, protagonisti di un’agricoltura di sussistenza: un po’ di terreno, che doveva rendere quel che poteva, e un paio di mucche in stalla. Perché continuare imperterriti a fare le stesse cose in un mondo di rapidi cambiamenti? La domanda coinvolge anche la vita nei campi. Perché rischiare di farsi strangolare dai grandi gruppi industriali che dettano condizioni capestro anche in campagna, riducendo i margini di guadagno delle piccole aziende? Perché non dare spazio a innovazione e creatività?
Queste domande hanno tormentato per un po’ di tempo Marzia Giovanatto, imprenditrice friulana che si è trovata a gestire una quindicina di ettari di terreno dell’azienda di famiglia. Alla fine del ragionamento ha prevalso la logica dell’innovazione. Così, in Friuli, è scoccata l’ora del nocciolo. A Rive d’Arcano, paese di poco più di duemila anime, ai piedi delle colline lungo la strada che congiunge San Daniele e Fagagna, si sta allargando la presenza delle piante eleganti, raccolte in ceppaia quasi per farsi compagnia, con il tronco sottile e slanciato, che producono una “tempesta” di nocciole. I piccoli frutti corazzati alimentano un mercato molto promettente. D’estate, poi, l’estensione di queste piantagioni esalta il verde intenso delle larghe foglie seghettate. È il segno dell’arricchimento di una diversità di colture, che modifica la struttura di paesaggi rurali quasi tutti eguali.

Da sinistra, Renzo Tella, Stefano Zuliani (accovacciato in centro) e Marzia Giovanatto tra i noccioli di Rive d’Arcano (Udine)



La volontà di innovare. L’azienda di Marzia Giovanatto rischiava di restare una delle tante ruote di un meccanismo che produce per conto terzi mais per granaglie, foraggio e materie prime per impianti di biomassa. Perché non metterci la propria personalità nel lavoro? La risposta dell’imprenditrice costituisce l’incipit di una storia alla ricerca di nuove prospettive. L’incontro con Renzo Tella, consulente di impianti agricoli, ora suo braccio destro, è stato decisivo. Che cosa fare dei terreni a disposizione? Dapprima è nata l’idea di un allevamento di bufale: ad Aviano ce n’è uno in espansione.
«Ci siamo messi alla ricerca di qualche esperienza. Dopo la visita a una stalla di Viterbo – racconta Giovanatto – abbiamo scartato quel progetto appena abbozzato. Avrebbe provocato un impatto non indifferente nella zona, tra l’altro non avevamo professionalità nel settore del bestiame. Ma proprio lì, a Viterbo, ci siamo trovati coinvolti nella grande festa per la raccolta delle nocciole. Così è scattata la scintilla di una coltivazione tutta nostra: cinque ettari sperimentali, ai quali ne seguiranno altri». Il mercato mondiale delle nocciole è in mano alla Turchia, che è il Paese leader (oltre il 70 per cento). Ma l’Italia, che controlla un buon 15 per cento, se la cava molto bene: Lazio (proprio il Viterbese è l’area a maggior diffusione), Campania e Piemonte sono le principali aree di produzione, con qualità di tutto rispetto.
E ora anche il Friuli mette fuori la testa per raccogliere soddisfazioni da una domanda che è in crescita esponenziale, sostenuta soprattutto dall’industria dolciaria. Quanto rende la coltivazione di nocciole? Alcune valutazioni sono possibili con qualche conto a spanne, che ovviamente è soggetto alle oscillazioni del mercato: un ettaro può garantire, a pieno regime, 35-40 quintali di nocciole per un prezzo medio che si aggira attorno ai 300-350 euro al quintale. I numeri sono influenzati dalle varietà scelte. Va anche rilevato che c’è un formidabile uso della meccanizzazione in tutte le fasi operative, con abbassamento dei costi di manodopera, fino alla raccolta tra i filari, che è prevista tra la fine di settembre e ottobre. La pianta è resistente, poco esigente e generosa, non ha bisogno di tanto lavoro. Richiede cure minime ed entra in produzione dopo il terzo anno di vita. Non solo. E’ anche longeva: può superare il traguardo dei 70-80 anni.
Il marchio legato al territorio. La decisione di diversificare l’attività agricola non è stata lasciata al caso, ma inserita in un business plan, come previsto per ogni attività imprenditoriale. I terreni di Rive d’Arcano sono stati monitorati attraverso analisi tecniche compiute da un agronomo di Viterbo. Alcune zone del Friuli potrebbero essere adatte come terre di noccioli, anche in pianura, d’altronde le piante crescono allo stato spontaneo e selvatico in collina. Non a caso l’azienda agricola di Rive d’Arcano ha scelto come marchio La Nobile Friulana, con la scritta accompagnata dal simbolo delle nocciole: il marrone del frutto che contrasta con il verde intenso delle foglie.
«Tenga presente - precisa Marzia Giovanatto - che il legame con il nostro territorio è forte, perché siamo convinti che la migliore risposta alla globalizzazione, che alimenta crisi di identità di ogni genere, sia la riscoperta dei territori. Questa è la nostra piccola sfida ai prodotti distribuiti dalle grandi catene commerciali, che ci invadono spesso senza garanzie certificate». Il principio è richiamato in ogni confezione messa in vendita: il valore della terra d’origine. «Si trattava di partire con il piede giusto. Abbiamo preferito puntare su due varietà particolari di nocciolo – spiega Renzo Tella – che tenessero conto delle caratteristiche dei campi, del microclima della zona e della qualità del prodotto.
Così sono state scelte la Tonda di Giffoni e la Gentile Romana. Entrambe garantiscono buone rese, intensità di sapore, croccantezza e fragranza. Abbiamo fatto crescere le piantine nel nostro vivaio, attraverso polloni di ceppaie certificate; in tal modo potenziamo i nostri impianti e aiutiamo chi vuole aderire al nostro progetto». L’idea di Giovanatto e Tella è un cantiere aperto. L’obiettivo è di creare una filiera completa di prodotti: dalla coltivazione alla vendita. Il risultato è l’auspicata nascita di una cooperativa: «Le condizioni ci sono. Pian piano altri si stanno aggregando, da Rive d’Arcano a Manzano, fino a Rovigo».
L’unione fa la forza. La coalizione dei piccoli potrebbe costituire una “sacra alleanza” per resistere alle incursioni dei grandi gruppi dell’industria dolciaria: «Noi abbiamo rifiutato le offerte di un rappresentante della Ferrero, perché le condizioni economiche erano decisamente basse». L’azienda di Rive d’Arcano ha evitato così di diventare una semplice catena di montaggio gestita da altri. È in trattative invece per la cessione di una parte del raccolto annuo a un’impresa friulana di gubane: soltanto una piccola parte - ci tengono a precisare - perchè la quantità più rilevante di nocciole sarà gestita in proprio.
Della nocciola non si scarta niente. Vale il detto del maiale: nulla da buttare, in un’ottica di trasformazione del prodotto. Intanto, tutte le varietà di frutta secca stanno conquistando i mercati, perché sono entrate nelle abitudini alimentari. In pratica, rappresentano degli eccellenti integratori naturali. Le nocciole devono essere tostate in appositi essiccatoi ad aria calda per ridurne il contenuto di acqua. «Noi non abbiamo ancora maturato l’esperienza in questo campo - spiega Renzo Tella - anche perché i nostri numeri sono ancora piccoli. Questo particolare processo industriale lo abbiamo affidato a un’azienda di Viterbo, dove i trattamenti sono all’avanguardia».
Le idee sono chiare per il futuro: nuovo laboratorio a Travesio, mentre altre operazioni (un po’ più in là nel tempo) saranno eseguite a Cimolais, dov’è stato individuato un piccolo sito nella zona industriale, d’altra parte i contributi regionali per le aree svantaggiate di montagna costituiscono un volano per nuove attività. Poi ci sono gli altri utilizzi delle nocciole. La farina pura al cento per cento è molto richiesta da pasticcerie e pastifici, e una parte miscelata con quella di mais (il cui giusto equilibrio resta un segreto aziendale) viene raccolta in appositi sacchetti e venduta per Polente furlane cun nolutes: «La morte sua è la polenta accompagnata con formaggio e insaccati». Le ultime novità riguardano i grissini con farina di mais e granaglie di nocciola e il Noccio-sprint, una crema con aggiunta di miele. Ed eccoci quindi al riferimento al maiale: tutto si tiene, perché anche i gusci producono reddito: sono infatti venduti per la combustione, tipo pellet, in un’ottica economica green.
Da qualche tempo, al progetto si è aggiunto anche Stefano Zuliani, ventitreenne di Castelnovo del Friuli, con diploma di grafica in tasca. Si è inserito nel team con l’obiettivo di far crescere l’immagine aziendale. Il suo ruolo è di metterci anche una buona dose di friulanità negli ingredienti delle pubbliche relazioni. «Nei casi aziendali come questo, che vivono dentro un’agricoltura di nicchia – spiega Zuliani – è fondamentale il legame con il territorio, anche
perché il mercato è locale». Il futuro è nel web, senza però dimenticare le tradizioni delle nostre comunità. Le radici sono il valore aggiunto che alimenta la filosofia di un’azienda che cerca in tutti i modi di sfruttare le buone potenzialità future.

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