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12.4.25

Ritrova buono postale del '57 stipulato dalla madre: valeva mille lire, oggi più di 40 mila euro. «Poste rifiuta di onorare il debito»



Stava riordinando la camera da letto della mamma ultracentenaria che ora vive in una casa di cura quando gli è capitata tra le mani una scatola di latta. Apertala, vi ha trovato un po’ di tutto: un abbonamento del tram di Trieste del ’54, vecchie cartoline, bigliettini e documenti del papà ormai deceduto e una busta con dentro un buono postale fruttifero di 1000 lire emesso nel 1957. Un capitale «dimenticato» per quasi 70 anni che oggi potrebbe valere la bellezza di 41 mila e 300 euro.
Chiesto il rimborso alle Poste, la signora Erminia, classe 1919, e il figlio Paolo Cucurachi, un simpatico 80enne di Calci (Pisa) da tempo in pensione (era luogotenente della Guardia di Finanza), si sono visti
però rigettare la domanda di rimborso nonostante Poste italiane e il Ministero dell'Economia e delle Finanze siano obbligati in solido a onorare i debiti esistenti.
«Sostengono che il titolo è caduto in prescrizione ma i cittadini devono sapere che lo Stato deve onorare i suoi debiti, anche quelli più stagionati – racconta Cucurachi -. Con Giustitalia, l’associazione di consumatori alla quale mi sono rivolto per riscuotere il mio credito, abbiamo intentato una causa civile ma, beffa delle beffe, dopo una prima udienza per il controllo del contraddittorio ci hanno fissato l'udienza di rinvio davanti al Tribunale di Roma per il 18 febbraio 2027. Una cosa ridicola, mia mamma ha 106 anni!».
Vedova dal 1988, la signora Erminia ha poi vissuto nella casa del figlio e della nuora a Calci dove è stato rinvenuto il prezioso Bfp. «Da più di un anno sta in una Rsa perché non riuscivo più a gestirla ma è qui vicino e vado a trovarla tutti i giorni – continua il figlio -. Quando ho trovato il suo titolo di credito, gliel’ho portato e lei si è subito illuminata. “Ma sì, mi ha detto, era il tuo regalo di cresima, avevi 8 anni. Quel titolo è per te... Non me lo ricordavo più”. Ci siamo fatti due risate e la cosa è finita lì. Dopo una decina di giorni in tv parlavano di un caso simile e ho scoperto dell’esistenza di Giustitalia e della possibilità di riscuoterlo. Così li ho chiamati... Quel buono non solo vale ancora, e moltissimo, ma è pure esigibile».
Nonostante siano passati quasi settant'anni, infatti, il buono pare essere ancora valido: «Per quanto concerne la presunta prescrizione del diritto al rimborso eccepita da Poste Italiane – spiega Francesco Di Giovanni, legale dell’associazione Giustitalia e avvocato del Foro di Roma - l’articolo 2935 del Codice Civile statuisce che "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere". Quindi, nel caso di specie (un buono di tipo “ordinario” di 30 anni che avrebbe raggiunto la maturazione massima nell’87), il giorno di decorrenza della prescrizione che è decennale comincia a decorrere dalla data del ritrovamento del titolo stesso. Non potrebbe essere altrimenti visto che la signora Erminia prima di tale data ignorava l’esistenza del suo credito. Abbiamo dimostrato con prove testimoniali che il ritrovamente risale all'aprile 2024 e quindi ha ancora 9 anni di tempo per riscuoterlo. Considerando che dopo l’udienza c'è la sentenza e probabilmente poi si andrà in Appello e, magari, in Cassazione, il rischio è che passino ancora 10 anni per una causa civile. È assurdo, visto l'età della signora. Abbiamo presentato istanza di anticipazione. È una questione di principio».
Se la causa andrà a buon fine, mamma e figlio si porteranno a casa 41mila e 300 euro. Una cifra calcolata da Giustitalia con il favore degli interessi legali, della rivalutazione e della capitalizzazione, dalla data di emissione a quella del ritrovamento. «Secondo il cosiddetto anatocismo bancario, la pratica che calcola gli interessi sugli interessi maturati su un debito e che le banche applicano normalmente sui mutui e l'Agenzia delle Entrate sulle cartelle esattoriali - sottolinea l'avvocato -. Non si capisce perché questo principio vale solo quando questi enti sono creditori e non debitori».
Secondo Giustitalia in Italia ci sono circa 10 milioni di titoli di credito antichi, tra buoni postali, libretti bancari, Bot, non riscossi ed ancora riscuotibili. Dice Di Giovanni: «Almeno un italiano su 3 possiede un titolo cartaceo. La differenza tra quelli di oggi e quelli di una volta? Che quelli degli anni 80 si chiamavano "serie oro" perché valevano effettivamente oro. C’è gente che si è comprata un appartamento con quei buoni. Oggi se ne faccio uno di 5000 euro, fra 15 anni mi danno forse il doppio della somma investita ma se io ne ho uno di un milione di lire del 1988 Poste lo valuta circa 7000 euro. Almeno sei volte tanto».
Aspettando che il Tribunale si pronunci sulla richiesta di anticipazione di istanza, Paolo Cucurachi, beneficiario del prezioso titolo di credito postale, ha già pensato a come investire l'ingente sommetta. «Ho avuto tre tumori, voglio investirli nella ricerca sanitaria - spiega-. Noi, tutto sommato, economicamente ce la caviamo: voglio che questi soldi facciano del bene a chi ne ha veramente bisogno. Ecco, magari qualcosa la utilizzeremo per festeggiare insieme alla mamma. Non è più autonoma ma, per il resto, è più in gamba che mai e merita tutto il nostro amore».

20.4.22

L'iniziativa di Coneria Italiana, a Lamezia Terme: per un giorno valela lira la vecchia valuta. ., Buon compleanno Nutella: tutti i segreti della crema spalmabile più amata al mondo



E nella gelateria che si ispira agli anni '60 si paga in lire




Tornano le vecchie lire per un solo giorno, basterà portarle in cassa a Lamezia Terme e si avrà in cambio un gelato. È la trovata di Valentino Pileggi, ideatore di Coneria Italiana: “Il 21 aprile saremo la prima attività commerciale in Italia a permettere l’utilizzo delle vecchie lire”. Un’idea per riportare fra le mani e nel borsellino la vecchia moneta italiana, un gioco in realtà che vuole rendere omaggio alla memoria degli anni in cui il boom economico metteva il sorriso sui volti degli italiani e tutto sembrava
possibile. “Dato che il nostro format è ispirato agli anni ’60, dagli arredi con la radio d’epoca, la musica, le gonne a ruota delle ragazze e le fasce a pois per i capelli, ci è sembrato simpatico festeggiare così il primo anno dall’apertura”. Non volendo semplicemente regalare il prodotto, “vogliamo far tornare i nostri clienti agli anni in cui i loro genitori e nonni con le lire andavano a comperare il gelato”. Una caccia al tesoro fra le tasche di vecchi cappotti o in fondo ai cassetti, alla ricerca delle vecchie monete o delle banconote che per decenni hanno circolato in Italia e che ancora oggi sono indicate sul prezziario della gelateria: “In realtà è un modo diverso, e simpatico, per regalarlo. Basterà mostrare in cassa le lire”.

Un progetto che trae ispirazione dai ricordi in modo non effimero, ma con la concretezza del sapore della memoria: “Coneria Italiana nasce quasi per caso - racconta Pileggi, imprenditore lametino insieme al maestro gelatiere Gianfranco Buccafurni, noto per il gelato di Jacurso, e al socio di capitali Fabio Borrello - Parlando con mia madre Angela mi raccontava del cannoncino mantovano. Lei in Calabria è venuta per amore di mio padre, ma ricorda bene quel sapore dell’antica ricetta di Mantova che spopolava negli anni ’60”. Cialda come quella del cono riempita con budino e sormontata da panna montata, servita in orizzontale come una cornucopia, non freddo come il gelato e comodo visto che non sciogliendosi evita di sgocciolare. Una tradizione che ingolosisce ancora oggi i mantovani, “come in quegli anni il budino è solo di due gusti, vaniglia e cioccolato, mentre per il gelato i gusti spaziano”. Storicità e un pizzico di innovazione retrò, che non si trova solo negli arredi: “Sembra una novità vista con gli occhi di un calabrese, di un meridionale, ma il cannoncino da Mantova in giù non si conosce. Lo abbiamo rivisitato con la cialda fatta al momento e la panna montata in planetaria, senza estrusori”.

Proprio da questa particolare lavorazione artigianale ed estemporanea della cialda prende il nome Coneria Italiana, per sottolineare già nel nome l’intenzione di porre l’accento sul pregio di un prodotto che raccoglie nella sua croccante friabilità: la cialda che sa di biscotto, realizzata in maniera artigianale ed esattamente con gli stessi ingredienti del tempo: “Per i coni usiamo farina biologica di tipo 1, burro, latte fresco e solo uova fresche di galline allevate all’aperto”. Anche per i budini gli ingredienti ripercorrono quelli della memoria, come quando si facevano in casa con latte, panna, zucchero, vaniglia o cacao e amido di mais; stessa filosofia per i gelati che portano la firma di Buccafurni e il sapore della sua abilità, riconosciuta così tanto da aver fatto assurgere il piccolo paese calabrese di Jacurso alla notorietà. “Nel laboratorio a vista lavoriamo anche frutta locale per i sorbetti e i cremolati, composti da polpa di frutta e pochissimo zucchero aggiunto. Il tasso zuccherino è tarato in base all’acidità naturale della frutta e al grado di maturazione, per esempio in estate con pesca e malvasia non ne usiamo, mentre arriviamo al 15% in peso per il sorbetto di agrumi”. Un solo anno dall’apertura e già il riconoscimento, recentemente ricevuto al Sigep di Rimini, con il primo posto per il gusto al cioccolato di Francesco Buccafurni, figlio d’arte: un solo anno ma anni di lavoro al fianco del padre che ha saputo trasmettere passione e competenze, e da un tale maestro c’è tanto da imparare.

Già nell’impostazione del progetto, nonché dalla sua apertura, “Coneria Italiana nasce con l’intenzione di avere impatto zero sull’ambiente. Carta riciclata e fibra vegetale per tovaglioli e palette, barattolo per il gelato da asporto in carta e di forma cilindrica come quello che andava in quegli anni, coppette gelato senza pla (acido poli lattico) quindi biodegradabili”. Un solo contenitore della spazzatura per rifiuti compostabili a disposizione dei clienti, “nella consumazione non produciamo rifiuti che non siano compostabili. Li abbiamo in produzione ma sono i packaging che derivano dai nostri fornitori”. Un’attenzione all’ambiente che si riflette anche, e soprattutto, nella scelta di spronare i clienti al riutilizzo delle vaschette da asporto, quelle in simil polistirolo per intendersi ma accuratamente scelto da fonti rinnovabili. “Alcuni mesi fa Dina Calagiuri, presidentessa di ‘Lamezia Zero Rifiuti’, mi propose di essere la prima gelateria a permettere l’asporto del gelato in contenitori portati da casa, vetro o plastica - prosegue Pileggi - Oppure si può comperare una nostra vaschetta e, terminato il consumo casalingo, lavarla e portarla per la volta successiva”.

Seguendo uno scrupoloso criterio sulle linee guida in materia igienico-sanitaria, i contenitori vengono posizionati su una tovaglietta lavabile per evitare il contatto con la superficie di lavoro, “dentro vi facciamo cadere il gelato a cascata, con una paletta preleviamo il gelato dalla carapina e con una seconda lo spatoliamo in modo che cada, facendo in modo che non entrino in contatto con il contenitore stesso. Una volta riempito di tutti i gusto scelti, con una terza paletta sistemiamo il gelato e quest’ultima - unica in contatto con il contenitore riutilizzato - viene subito messa in lavastoviglie.” Questo incoraggiamento al consumo consapevole del packaging viene spronato, non solo a parole, ma anche nei fatti: ai clienti che portano il recipiente da casa, o ne riutilizzano uno, viene riservato uno sconto sul prezzo del gelato. “Lo sconto equivale a quello che paghiamo noi per la vaschetta, essere vicini all’ambiente non ha un costo per l’attività, ma è una forma mentale".

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Spente 58 candeline. Il "Nutellificio" di Alba produce ogni giorno oltre 300 tonnellate di dolcezza, pari a 550mila vasetti, a cui si aggiungono undici stabilimenti Ferrero in tutto il globo: un totale di 770 milioni di barattoli venduti ogni anno e consumati da più di 110 milioni di famiglie



Buon compleanno Nutella. Era una piovosa mattina del 20 aprile 1964, quando dalla fabbrica Ferrero di Alba usciva il primo vasetto di quella che sarebbe diventata la crema da spalmare più famosa nel mondo. Oggi, dopo 58 anni, più che una crema di nocciole e cacao, la Nutella è una categoria dello spirito. Più che un dolce spuntino, è una passione travolgente. Più che un alimento, è un simbolo transgenerazionale. Non per nulla è entrata nell’immaginario collettivo come metafora del piacere e del desiderio, stregando artisti, scrittori e personaggi di successo, oltre a milioni e milioni di semplici consumatori. È così che la Nutella si è fatta strada non solo nelle dispense delle nostre case, ma anche nella letteratura, nella musica, su internet, nell’arte e al cinema.

(foto sito @ferrero)
(foto sito @ferrero) 

Il primo vasetto in etichetta aveva una grande fetta di pane, due nocciole e un nome morbido, intrigante, positivo. A ideare il prodotto fu Michele Ferrero, che a 39 anni riuscì a migliorare gli antesignani Giandujot e Supercrema, creati da suo padre nel dopoguerra, e tirò fuori dal cilindro quel marchio in grado di aprire la strada alle vendite internazionali, fino a farla diventare un vero e proprio fenomeno capace di accomunare i «baby boomers» ai sessantottini, gli «yuppies» degli anni Ottanta ai «Millennials» fino a raggiungere con immutato appeal le nuove generazioni. Infantile e innocente quanto affascinante e ossessionante, la Nutella è un prodotto per le famiglie con un retrogusto quasi peccaminoso, è un marchio socializzante in grado di mettere d’accordo tutti, una crema che vanta più imitazioni della Settimana Enigmistica ma resta inimitabile, grazie a una ricetta segretissima conservata ad Alba esattamente come avviene per la Coca-Cola ad Atlanta. Un esempio azzeccato di globalizzazione golosa, come certificato dai ricercatori dell’Ocse già un decennio fa.

Lo stabilimento di Alba
Lo stabilimento di Alba 



Insomma, citando un fortunato slogan: che mondo sarebbe senza Nutella? Il grande «Nutellificio» di Alba produce ogni giorno oltre 300 tonnellate di crema, pari a 550mila vasetti. Un dolce fiume impressionante, ma che ovviamente non basta a soddisfare la richiesta internazionale. La Nutella, infatti, è prodotta in undici stabilimenti Ferrero in tutto il mondo, con maestranze di 97 nazioni. Ed è commercializzata in circa 160 paesi dei cinque continenti, raggiungendo un totale di oltre 400.000 tonnellate, pari a 770 milioni di barattoli venduti ogni anno e consumati da più di 110 milioni di famiglie. Tanto per dare l’idea, se si mettessero in fila i vasetti di Nutella prodotti in 12 mesi si arriverebbe a una lunghezza pari ad 1,7 volte la circonferenza terrestre e a un peso pari all’Empire State Building. Senza scordare i prodotti Ferrero nati sulla scia della crema da spalmare, dai B-ready ai Nutella Biscuits, diventati i biscotti più amati in Italia.
Dunque, potremmo dire che da sempre c’è un po’ di Nutella nella nostra vita e un po’ della nostra vita in Nutella. Lo sa bene Nanni Moretti, che nel film «Bianca» affoga l’ansia in un enorme barattolo alto un metro. E lo sanno bene anche gli strateghi del marketing, che nel 2013 hanno convinto la Ferrero a dare a ognuno la possibilità di sostituire il famoso logo sul vasetto con il proprio nome di battesimo, facendolo diventare un oggetto cult da consumare, da esibire o da conservare come una preziosa opera d’arte pop e personalizzata. Oggi è sulla rete e sui social network che si può cogliere tutta la forza aggregatrice di Nutella: ogni giorno decine di migliaia di persone in tutto il mondo le rivolgono un pensiero appassionato, pubblicando una foto su Instagram o uno status update su Twitter. È una passione globale, che unisce persone comuni e celebrità: la pagina di Facebook dedicata a Nutella in Italia conta circa 6 milioni di fan, quella mondiale supera i 35 milioni di follower. Cifre da capogiro, ma che hanno radici ben lontane, con l’esordio pubblicitario sul palcoscenico di Carosello nel 1967. Chi ricorda, all’inizio degli anni Settanta, le avventure di Jo Condor, l’intramontabile pennuto che fa dispetti agli abitanti della Valle Felice, salvati dal Gigante Amico, depositario della bontà del prodotto?

diario di bordo n 117 anno III ormai anche i cantautori si vendono alla pubblicità .,Vive in una cella foderata di libri e si laurea da dietro le sbarre: «Una rivincita per me» ., Storia di un ragazzo adottato: «Così ho saputo tutto sulla donna che mi abbandonò»

  Concordo    con   l'intervento  pubblicato il   19\4\2025   dal il  Fatto    quotidiano  ma Sempre più frequentemente il cantautore, u...