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2.5.24

Dopo 55 anni identificata la “Jane Doe” di Midtown grazie al dna di una vittima del 9/11/2001: la ragazza era stata brutalmente uccisa ., e altre storie doi viaggi nel tempo

 repubblica  02 MAGGIO 2024 ALLE 09:46


di Massimo Basile

Patricia Kathleen McGlone aveva 16 anni ed era scomparsa nel 1969. Riconosciuta dopo 50 anni grazie ai test genetici su una vittima dell’11 settembre


New York - La Jane Doe di Midtown ha finalmente un nome, a più di vent’anni dal ritrovamento dello scheletro, nascosto sotto un pavimento di un edificio a Manhattan: si chiamava Patricia Kathleen McGlone, era una ragazza di 16 anni scomparsa nel 1969 e di cui nessuno aveva saputo più niente. Il corpo, in posizione fetale, legato con un filo elettrico, era stato trovato nel 2003 dagli operai di una ditta di costruzione, che stavano demolendo un pavimento in vista dell’abbattimento di tutto l’edificio.Quello era stato il momento in cui era nata la storia di Jane Doe, l’equivalente di “signora Bianchi”, la sconosciuta vittima di un crimine. Per darle un’identità è stata decisiva la prova del dna su una delle vittime dell’attacco terroristico alle Torri gemelle, l’11 settembre del 2001. I dati genetici sono combaciati e il quadro investigativo si è chiuso. A risolvere parte di questo "cold case" durato 55 anni è stato il detective Ryan Glas, del dipartimento della polizia di New York.
È una storia comprensibile solo rimandando all’indietro il nastro. Ventuno anni fa gli operai stavano prendendo a martellate un pavimento di un vecchio edificio in demolizione, quando a un certo punto era rotolata la parte superiore di un cranio. I muratori avevano trovato il resto dello scheletro di quella che era apparsa subito una giovane donna. Il corpo era stato avvolto in un tappeto e immerso nel cemento. L’autopsia aveva stabilito che la ragazza era stata strangolata. Uniche indicazioni sulla possibile identità: un anello d’oro con incise le iniziali “PMCG”, una moneta da dieci centesimi del 1969 e un soldatino giocattolo di colore verde.
La vittima era stata soprannominata “Midtown Jane Doe”, la signora Bianchi di Midtown, la zona centrale di Manhattan, dove era l’edificio, nella zona di Hell’s Kitchen. Tra il 1964 e il ’69 la palazzina era un popolare nightclub chiamato Steve Paul’s The Scene, dove si erano esibiti molti gruppi rock, i Doors e Jimi Hendrix. Per quattordici anni quel corpo era rimasto senza nome, fino a quando il caso non era stato riaperto nel 2017, grazie ai progressi nella tecnica del dna. Jane Doe aveva ripreso il suo vero nome: Patricia McGlone. Era nata nell’aprile del 1953, ma poiché i suoi genitori erano morti e lei non aveva fratelli o sorelle, era stato necessario fare ricerche per trovare altri parenti, da cui prelevare il dna per la comparazione e la conferma definitiva.
Il figlio di un cugino della vittima aveva raccontato al detective Glas che la madre, ormai scomparsa, si era sottoposta a un tampone dna per accertare se i resti di una donna morta nel crollo delle Torri gemelle fosse stata la sorella. Il raffronto dei dati ha confermato l’identità di Patricia, studentessa in un istituto cattolico, descritta come una che scappava spesso da scuola e viveva sempre sul filo, fino a quando non aveva trovato chi aveva messo fine alla sua vita. La polizia non ha trovato denunce riguardo la sua scomparsa, avvenuta cinquantacinque anni fa. Come fosse finita nelle mani di uno, o più criminali, è qualcosa che probabilmente non sapremo mai.


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 nuova sardegna  30\4\2024

Il viaggio nei segreti dei nostri avi con l’albero genealogico sardo

di Luigi Soriga

La pagina Facebook fondata da due amiche di Capoterra: Elisa Melis e Valentina Vincis




Sassari Arrampicarsi indietro nei secoli, ramo dopo ramo, sull’albero del proprio passato. E provare a risalire sempre più indietro, partendo dal racconto di un nonno, per riesumare poi dentro le pagine impolverate che profumano di carta consuta, i misteri della propria famiglia. Insomma, scoprire quanti incroci, quante infinite casualità, quanti capricci del destino ci sono voluti per venire al mondo, ed essere l’ultima foglia.
Elisa Melis, 29 anni, ingegnera di Capoterra, è rimasta affascinata dalla genealogia, così per caso: «Mia nonna paterna ha avuto un’infanzia difficile. I genitori sono morti giovani, e non ha mai conosciuto i suoi nonni. Il filo della mia famiglia era spezzato, e io ho sempre avuto il desiderio di capire le mie origini. Così ho cominciato ad indagare, e ha provare quell’enorme emozione che la scoperta del proprio passato regala a ogni persona. Scartabellando gli archivi del cimitero ho individuato anche le tombe dei miei bisnonni: erano sepolti entrambi a Cagliari. E un giorno ho preso per mano mia nonna, che nel frattempo si era ammalata di demenza senile, e l’ho portata in quel cimitero. Lei, nonostante non fosse quasi mai lucida, quel giorno si è commossa, ha accarezzato e baciato la tomba di quei nonni che non aveva mai avuto la fortuna di abbracciare».
Elisa racconta questa esperienza alla sua amica Valentina Vincis, 29 anni, anche lei di Capoterra, laureata in medicina, anche lei con la fissa di riavvolgere il proprio nastro e navigare indietro tra le generazioni. È una folgorazione.
Il gruppo Fb Insieme decidono di creare qualcosa che in Sardegna non esisteva ancora. Così il 16 settembre 2018 fondano il gruppo Facebook “Albero Genealogico Sardegna”, e in un solo giorno collezionano 200 iscritti. Ora i membri sono arrivati a 1800, e ogni settimana il numero cresce di circa 60 nuove adesioni. «Il nostro intento – spiega Valentina – era quello di creare una comunità dove ciascuno potesse aiutare l’altro nella ricerca dei propri avi. Ed è sorprendente vedere quanto le persone siano collaborative tra loro. Basta che uno scriva un post, e subito c’è chi è pronto a dare una mano». Tipo: «La mia famiglia è di Sassari ma ho scoperto di avere un parente a Cagliari. Qualcuno potrebbe andare all’archivio storico di Cagliari e controllare questi dati?». E ancora: «La grafia di un documento scritto a mano è difficile da leggere. Qualcuno è in grado di decifrarla?».
Le scoperte Valentina, proprio aiutando una iscritta a ricostruire la sua storia, fa una scoperta inaspettata: «Lei è nata e vive tuttora in Emilia Romagna, ma facendo le ricerche i nostri rami si sono incrociati. Così, nel modo più casuale, ho ritrovato una parente che non sapevo di avere, perché i nostri bisnonni erano fratelli». Proprio due giorni fa, Elisa e Valentina, hanno pubblicato un post con il quale invitano i membri a condividere le scoperte più incredibili capitate nei loro viaggi a ritroso nel tempo.
Le curiosità Leggere gli oltre cento commenti fa capire quante sorprese possa riservare la genealogia. Ecco solo qualche esempio: «Mi è capitato matrimonio tra zia e nipote con dispensa, accusa di omicidio del neo sposo il giorno delle sue pubblicazioni di nozze, quadrisnonno con 5 mogli, le prime due erano sorelle di un altro mio trisnonno».
«Le notizie più interessanti trovate con i fogli matricolari, più di un parente partecipò alla prima guerra mondiale e uno di questi fu tra le vittime dell'affondamento del piroscafo Tripoli, per cui ricevette una onorificenza, ahimè da morto».
«Un fratellino di mia nonna morto subito dopo la nascita di cui non avevamo mai saputo nulla. Una bisnonna di mia nonna nobile. Un antenato che a fine '700 uccise un uomo a Gergei».
«Tra i miei antenati Onnis-Garau....un Garau era un inquisitore spagnolo approdato in Sardegna a Iglesias».
«Mio bisavolo aveva figli con altre donne ...».
«Ho scoperto che i miei bisnonni materni erano cugini di primo grado...»
«Dopo anni scopro che tre zii sono morti a Cagliari a causa dei bombardamenti del 43...nessuno in famiglia ne sapeva nulla...».
E questi sono solo dei piccoli esempi di quanti incastri occorrano per comporre il puzzle dell’umanità. Ma bisogna avere la pazienza di mettere la propria storia in rewind.


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SardiniaPost Magazine

“Dall’Africa alla Sardegna in 70mila anni. Il mio DNA vi racconta il viaggio”



Un viaggio di 70mila anni dall’Africa Orientale alla Sardegna. E’ lo straordinario reportage che apre il nuovo numero di SardiniaPost Magazine da oggi in edicola. 

Foto di Valentino Congia. Trucco realizzato da Magda Pintus. Il costume il Quartucciu è stato messo a disposizione dalla signora Rina Daga


L’autrice, Daniela Pani, attraverso un test del DNA realizzato in un laboratorio di Houston, ha ricostruito il suo “albero genealogico remoto”. A partire dalla “paleo-nonna” africana che viveva ai piedi dei Monti Semien, dove nasce il leggendario Nilo Azzurro. Un viaggio che racconta la colonizzazione del mondo da parte dell’umanità. E che ci spiega, attraverso il racconto del DNA di uno di noi, la storia di tutti.
Siamo partiti dall’Africa e abbiamo vissuto là per decine di migliaia di anni. Fino a quando gli effetti climatici delle glaciazioni hanno aperto corridoi verdi nel deserto – quello che oggi chiamiamo deserto del Sahara – che ci hanno consentito di spostarci verso Nord, raggiungere l’Asia e poi proseguire il nostro cammino verso ogni angolo della Terra.
La cronaca nera ci ha fatto sapere che il DNA è come un’impronta digitale, ma non ci ha detto che le “impronte digitali” del DNA – tutte diverse tra loro – hanno dei tratti caratteristici che accomunano ancora oggi le persone che vivono in un certo territorio. E’ questa localizzazione a consentire di mettere in relazione il DNA di un individuo con quello delle persone che vivono nel mondo e di ricostruire il percorso dei suoi avi.
Daniela Pani ci racconta che una sua “paleo-nonna”, una nipote di quella africana, 40mila anni fa viveva nell’attuale Medio Oriente dove incontrò l’uomo di Neanderthal. E ci spiega che quell’incontro fu molto intenso. Tanto che, nel suo DNA (come in quello della maggior parte di noi) è ancora individuabile una certa percentuale del DNA di quel tipo umano che poi si estinse. Passarono ancora molti anni (circa 20mila) e le nipotine di quella “paleo-nonna” asiatica raggiunsero il Sud della Francia, l’attuale Costa Azzurra e finalmente, circa 6mila anni prima di Cristo, si decisero a raggiungere quell’isola che, un giorno, sarebbe stata chiamata Sardegna.
Un reportage scientifico che si legge come un racconto. Una storia assieme molto complessa e molto semplice che ci dice che apparteniamo tutti a una sola razza, la razza umana. Per sintetizzarlo (e per rendere un omaggio affettuoso e scherzoso alle nostre nonne africane) con l’aiuto di un po’ di trucco, l’autrice ne ha preso simbolicamente le sembianze. E ha indossato, sulla pelle scura, un tipico costume tradizionale sardo. Un’idea nata – come spiega l’editoriale che apre questo numero – all’inizio dello scorso gennaio con Pinuccio Sciola che, ascoltando tra i primi il racconto di questo test del DNA, restò molto colpito dalla perfetta coincidenza tra quel lunghissimo viaggio e quello che tutti i giorni viene affrontato da migliaia di bambini, di donne e di uomini che partono dall’Africa per raggiungere l’Europa.
Daniela Pani, esploratrice geografica e speleologa, ricercatrice per la National Geographics, nel raccontare il suo DNA racconta anche quello della maggior parte dei Sardi (formiamo infatti uno di quei gruppi che, messi in relazione tra loro, consentono di ricostruire le tappe del percorso dell’umanità) e ci fa scoprire che, proprio come la sua “paleo-nonna” asiatica, anche quella che per prima mese piede in Sardegna trovò qualcuno che c’era già prima di lei.
Passò qualche altri millennio, imparammo a organizzarci sempre meglio. A costruire villaggi. Cominciammo a mettere enormi pietre una sopra l’altra. Costruimmo i nuraghi. Ma questa, rispetto al viaggio che raccontiamo, è quasi storia di oggi.

31.10.22

Bernardo De Muro, l'arte oratoria è nel mio Dna

 (ANSA) - CAGLIARI, 31 OTT 
 E' considerato un fine educatore che fa interagire la pedagogia con la didattica. Ha compiuto 84 anni il 2 aprile, Bernardo De Muro, maestro di retorica, poeta, intellettuale, drammaturgo, docente.



Cagliaritano di nascita e tempiese di origini, il suo cavallo di battaglia è l'arte di sedurre, incantare, persuadere con la parola credibile, onesta, essenziale, immaginifica."Contro l'impoverimento del lessico e l'appiattimento del linguaggio e per porre un freno al diluvio di parole ridondanti", spiega all'ANSA il letterato comunicatore, propugnatore della "circolarità del sapere e della conoscenza" e che, all'etimo del silenzio, ha dedicato un saggio. "La creatività nasce nel silenzio di ascolto - afferma De Muro - ho imparato a farmi guidare dallo stesso istinto che governa gerridi, api e ragni". A lui, tra l'altro, si deve la scelta del nome di una storica automobile della Fiat, la Croma. Per 40 anni ha insegnato retorica antica e arte oratoria a liceali, universitari, professionisti, manager. Da laico insegna ai giovani sacerdoti come rendere leggere le omelie. Al suo attivo conta
oltre 400 seminari su questa antica disciplina con la nuova retorica. Tanti i riconoscimenti, uno su tutti, primo premio internazionale sul tema della mitologia a Boston con l'opera "Apodiòniso figlio di Agenore".
Esperto di logopedia, ha superato grazie alla determinazione la sua balbuzie, "le mie corde vocali erano serpenti a sonagli", ricorda. E' vasta la sua produzione in narrativa, saggistica, teatro, poesia - sonetti, haiku - favolistica, aforismi. Apprezzatissimo tra gli altri il suo "Genova-Cantico del ponte Morandi" e il suo prezioso e originale saggio "Dizionario: l'albero della parola". "Ciò che colpisce nell'atto di parola e scrittura di De Muro - ha detto di lui Bachisio Bandinu - è il fascino intrigante dell'eloquenza come tensione interiore". "L'ho visto condurre quegli adolescenti, rapiti, silenti e sorpresi dal suo logos raffinato e comprensibile nel contempo", ricorda Roberta Soggia, docente di filosofia.La sua ultima fatica è un affascinante romanzo, "Storie e misteri nella Valle dei Nuraghi", ma sta per dare alle stampe "C'era una volta il punto e la virgola". "Stupore e meraviglia sono le chiavi per guardare in alto attraverso le parole del profondo", chiarisce il "chirurgo della parola". Il suo nome lo deve al grande tenore, suo omonimo e zio. Del compianto cantante a cui ha dedicato una monografia, "Bernardo De Muro parla di Bernardo De Muro", in occasione dei 130 anni dalla sua nascita, ricorda che fu lui a suggerire a suo padre, per l'11esimo e penultimo figlio, il nome. "Bernardo De Muro - sottolinea - è il nome che mi porto da 84 fresche primavere. E, da appassionato e critico musicale, non posso che andarne fiero".

Bernardo De Muro, l'arte oratoria è nel mio Dna
Bernardo De Muro, l'arte oratoria è nel mio Dna© Provided by ANSA

A 84 anni il suo ricco curriculum è un work in progress. Del resto "Per diventare giovani - recita un suo aforisma- ci vuole molto molto tempo".

29.10.21

DIRITTI Marcinelle, estratti i corpi mai identificati in 65 anni: “Anche mio padre, e lo troverò. L’ho promesso a mia madre”

 

repubblica  4\10\2021

Marcinelle, quasi settant'anni dopo via all'esumazione delle vittime senza nome: la battaglia di un orfano molisano commuove il Belgio


L'iniziativa è stata presa da Michele Cicora, figlio di uno dei 17 morti senza nome della tragedia che fece 262 vittime: ha promesso alla madre di riportarle la salma del padre a San Giuliano di Puglia prima che muoia. La polizia: "E' una storia che ci ha colpiti e abbiamo deciso di aiutarlo"




La polizia belga ha iniziato l'esumazione dei corpi di 17 delle 262 vittime della tragedia avvenuta nel 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle. Si tratta di 17 minatori che non sono mai stati formalmente identificati. Ben 136 dei 262 morti erano italiani.
L'iniziativa, che ha l'obiettivo di dare finalmente un nome a quelle persone, è stata presa da Michele Cicora, figlio di uno dei morti senza nome, ha reso noto la polizia federale. Cicora ha promesso alla madre di riportarle la salma del padre a San Giuliano di Puglia prima che muoia.
"E' una storia che ci ha colpiti e abbiamo deciso di aiutarlo", ha aggiunto la polizia. Si procederà al confronto dei denti e delle ossa con il Dna dei parenti. Verranno anche utilizzate informazioni conservate negli archivi del museo, sorto nel luogo della tragedia. Oltre a Cicora hanno richiesto l'esumazione anche una famiglia greca e una belga.
I prelievi del Dna in Italia e in Grecia sono stati effettuati con l'aiuto dell'Interpol. "Abbiamo anche un dovere di memoria nei confronti di quelle persone che erano venute qui per lavorare ma che hanno anche contribuito alla crescita economica del Belgio negli anni Cinquanta", osserva infine la polizia.

Incuriosito della vicenda    ho   fatto altre ricerche  con big  e  con gooole  ho trovato    la  stessa news   riportata     sotto diversi punti vista    da il   fatto quotidiano e  il  corriere  della sera   di cui trovate  sotto  dei  link  per  chi volesse  saperne   di più  o ricordare  l'avvenimento  . 



https://www.ilfattoquotidiano.it/



Michele Cicora, 69 anni, ha pochi ricordi del genitore scomparso l'8 agosto del 1956. In Belgio i cadaveri non riconosciuti si chiamano “Inconnu” e si trovano nel cimitero subito dietro Bois du Cazier, la miniera di Charleroi teatro dell'episodio


di Alan Scifo | 24 OTTOBRE 2021


“Ho fatto una promessa a mia madre: dovrò trovare i resti di mio padre morto a Marcinelle”. Michele Cicora, 69 anni, professore a Londra ma pugliese di origini, vede i primi frutti della sua battaglia per cercare la verità su suo padre, morto nella miniera di Marcinelle nella tragedia dell’8 agosto di 65 anni fa, quando sottoterra persero la vita 262 persone, di cui 136 italiani. Tra questi c’era Francesco, suo padre. “Io avevo 4 anni, ho solo qualche ricordo di lui. Da qualche anno sto cercando di trovare i resti di mio padre attraverso la riesumazione dei 17 corpi rimasti senza nome perché mai riconosciuti”.
In Belgio li chiamano “Inconnu” e si trovano nel cimitero subito dietro Bois du Cazier, la miniera di Charleroi oggi diventata un museo che raccoglie centinaia di visitatori l’anno. Tra l’erba verde e il grigio del cielo, quelle tombe senza nome sono ormai usurate dal tempo, in un silenzio che non rende loro onore: “Sono riuscito a contattare alcune fra le famiglie rimaste senza i loro cari. È giusto ricostruire ognuna di queste storie”. Dopo una lunga serie di vicissitudini burocratiche durate anni e qualche ostacolo incontrato, finalmente la promessa di Michele ha raggiunto l’obiettivo: le salme sono state riesumate ed è stato prelevato un campione dai resti al fine di arrivare al Dna e collegarlo a quello dei parenti. “Tutte le bare sono state disseppellite e sembravano in buono stato perché avevano un rivestimento in zinco – racconta Cicora – Tutte le istituzioni si stanno comportando con un alto grado di solidarietà perché hanno capito il dramma dei parenti delle vittime”. Tra questi ci sono altri italiani e tutte le loro famiglie sono state contattate da Michele Cicora che finalmente vede il traguardo: tanti sono abruzzesi, molti addirittura arrivano da un unico paese, Lettomanoppello, altri pugliesi e molisani, ma anche siciliani, tutte zone “vittime” dell’assurdo patto Italia-Belgio (celebrato addirittura quest’anno per il 75esimo anniversario) che illuse molti minatori italiani, trasferitisi in Belgio per cercare migliore fortuna, in cambio di un sacco di carbone per il governo italiano. Tra tutti i morti nella tragedia, i cui nomi vengono scanditi a ripetizione in una sala del museo, i 17 mai riconosciuti sono Pietro Basso, Pompeo Bruno, Rocco Ceccomancini, Edmondo Cirone, Eligio Di Donato, Dante Di Quilnio, Pasquale Ferrante, Michele Granata, Francesco Martinelli, Secondo Petronio, Eduardo Romasco, e altri di diverse nazionalità: François Allard, Oscar Pellegrims, Reinhold Heller, Ammar Belamri, Nikolaos Katsikis”.
Grazie al Dna, con gli attuali strumenti tecnologici, sarà finalmente possibile riconsegnare la memoria alle vittime e alle loro famiglie che adesso potranno porre un fiore sulla tomba dei loro cari. Questo accade nell’anno delle grandi celebrazioni per il sessantacinquesimo anniversario della tragedia, un evento molto sentito a Charleroi, dove ancora oggi tanti italiani vivono a pochi passi dalla miniera, in vecchie case un tempo usate dai minatori. La riesumazione delle salme ha portato molti a recarsi nel museo-miniera ad osservare un caso di cui si sta occupando la stampa belga e quella internazionale, mentre Michele Cicora attende con ansia di realizzare la promessa fatta a sua madre prima di morire.

 corriere  della sera  

Marcinelle, la sfida vinta di Michele «Test del Dna sugli ultimi 17 minatori sconosciuti, c’è anche mio padre»

di Alessandro Fulloni

Dopo le insistenze del professor Cicora, figlio di una delle 262 vittima della sciagura del l’8 agosto 1956, la polizia belga ha avviato l’esumazione delle salme rimaste senza nome e cognome. «Ritrovare le loro generalità vuole dire onorare la nostra Europa»


Tre anni di insistenze, bussando alla porta di tanti uffici Ue e delle autorità belghe e italiane. Poi finalmente qualcuno ha aperto: e adesso finalmente è partita l’indagine sul Dna che potrà ridare un nome e un cognome a quei minatori morti nella sciagura di Marcinelle, l’8 agosto 1956, e mai identificati. Fu un’ecatombe che sconvolse l’Europa: le vittime in totale furono 262. Il tributo maggiore fu pagato dagli italiani, con 136 caduti. Ma tra i morti si contarono 13 nazionalità, Francia, Germania, Spagna... I cadaveri di 17 tra questi minatori non vennero mai identificati — sebbene i nomi di tutti siano noti — e le loro tombe stanno in un angolo verde e curato del Bois di Cazier, il sacrario dedicato alle vittime. Sopra le lapidi c’è scritto «Inconnu», sconosciuto. L’effetto nel guardare queste grosse pietre — quasi il fondamento dell’Europa unita — è lo stesso, lacerante, che si prova davanti a Redipuglia e davanti a tutti i sacrari che ricordano le vittime delle guerre europee, da Ypres al Carso e poi scendendo giù: Anzio, Salerno, Montecassino, El Alamein.
Tra i diciassette «sconosciuti» c’è anche Francesco, il papà di Michele Cicora. Proprio a quest’ultimo, oggi 69enne professore di italiano in una prestigiosa scuola a Londra, si deve la possibilità di ridare l’identità ai minatori. Grazie alla sua insistenza, qualche giorno fa la polizia belga ha avviato una colossale opera di monitoraggio del Dna preso dai corpi dei 17. Sono già dieci le salme esumate dal sacrario ed entro una settimana al massimo lo stesso toccherà alle restanti sette. La sequenza genetica verrà confrontata con quella dei familiari, tutti facenti parte di un’associazione, ed entro sette od otto mesi gli sconosciuti dovrebbero ritrovare nome e cognome. In questi giorni l’eco dell’iniziativa in Belgio è impressionante. Dai tg nazionali ai quotidiani locali di Vallonia e Fiandre, tutti ne stanno parlando. «È il segno che la memoria è ancora viva...» riflette a voce alta l’insegnante.





SU MARCINELLE, TUTTO QUELLO CHE C’È DA SAPERE



Così il Corriere raccontò la tragedia
Marcinelle, la tragedia dei "musi neri" italiani
"Cerco mio padre tra i 17 minatori sconosciuti"
Marcinelle, i 17 senza tomba






4.10.21

DNA never lies (Il DNA non mente mai ) parte II

 come  promesso   ecco il  seguito   della storia   di  Giacomo Calvia  raccontata nel post   del 2 luglio    DNA never lies (Il DNA non mente mai )

  dal  foglio parrocchiale   cittadino http://www.quiberchidda.it/pdf/21popol4.pdf 


finalmente la sua storia   ha  un  lieto fine  .

La storia di Francesca  iniziata    

Scomparso

Francesca Darima cerca la madre

Edizione:1999/2000
Data messa in onda:30/11/1999

La storia di Francesca Darima comincia nel vecchio ospedale San Giovanni di Roma dove è nata l'11 novembre del 1934. Molti anni fa all'interno dell'ospedale c'era un reparto, chiamato 'le Celate', riservato alle donne che volevano restare nell'anonimato, a volte partorendo anche con il volto coperto. Molti dei neonati venivano poi lasciati nello stesso ospedale, come è accaduto a Francesca. Le 'celate' erano soprattutto donne che appartenevano alla borghesia romana. Le loro gravidanze erano talvolta il frutto di relazioni con gerarchi fascisti o comunque con persone di ceti altolocati.

La signora Darima non ha mai accettato alcuna proposta di adozione, non abbandonando mai la speranza di poter ritrovare la vera madre. Dopo aver trascorso i primi giorni di vita al brefotrofio di Roma, fu affidata ad una balia di Ripi, un paese in provincia di Frosinone. E' qui che andavano spesso a trovarla due signori, uno anziano e l'altro un po' più giovane, portandole molti regali. Finché un giorno queste stesse persone la condussero in una villa per farle conoscere finalmente la donna che l'aveva messa al mondo. Francesca Darima ricorda però di aver aspettato invano in una stanza con la volta circolare e con degli affreschi raffiguranti due angeli e delle rose.

In seguito, mentre frequentava il collegio San Filippo Neri di Roma, la donna ricorda un altro strano episodio accaduto durante una messa celebrata a Sant'Andrea della Valle: una donna dal volto coperto le si avvicinò chiedendole se avesse fatto la comunione, e poi le regalò una banconota rossa.

Denaro e lavoro alla signora Francesca non sono mai mancati. Qualcuno l'ha sempre protetta segretamente, facendo in modo che non avesse mai bisogno di nulla. La donna, infatti, dopo aver preso il diploma di infermiera, ha spesso lavorato in ambienti importanti, come assistente e dama di compagnia, e a volte sul suo conto corrente bancario ha trovato accrediti di somme considerevoli.

Ma, per tutta la vita, il suo pensiero costante è sempre rimasto quello di potere svelare un giorno il segreto che sta dietro alla sua nascita e conoscere la persona che l'11 novembre del '34 decise per qualche motivo di separarsi da lei.

Presso il brefotrofio di Roma esiste una lettera scritta dalla vera madre di Francesca, ma in Italia nessuna legge le consente di venirne in possesso. Tutti i tentativi e le ricerche condotte fino ad ora sono sempre state bloccate proprio quando si era vicini alla verità. L'unica notizia su questa misteriosa lettera è che sulla busta ci sono due iniziali: 'C. P.'

Francesca Darima ha preparato un appello, rivolgendosi alla madre con queste parole:

"Signora C. P. che l'11 novembre, alle ore 3,23 minuti deste alla luce una bambina all'ospedale San Giovanni vi prego, non andatevene, non negatemi il diritto di sapere la mia identità. Non andate avanti al giudizio di Dio senza aver dato giustizia a vostra figlia, perché lì non si concedono attenuanti. Ho visto morire tante persone, anche i più duri si sono ravveduti e ora prego Dio di non farvi morire, di ravvedervi..."



    le  cui    ultime  notizie      prima della svolta  di  Giugno \  Luglio     risalivano  al  

  • 11 ottobre 2004

    Alla ricerca di Francesca Darima manca l'ultimo tassello: incontrare la madre. Il segreto della sua identità è tuttora nascosto in una lettera sigillata con sopra le iniziali "C. P.", conservata nel brefotrofio in cui Francesca Darima è vissuta a Roma. Nessuna legge, però, le consente di conoscerne il contenuto. I progressi recenti delle sue ricerche le hanno consentito una ricostruzione della vita della madre. Sarebbe originaria di un paese della bassa Ciociaria e, nel 1934, sarebbe stata una novizia in attesa di prendere i voti. Francesca sarebbe nata da una sua relazione con un principe romano, ormai deceduto. Dopo aver partorito senza riconoscere la bambina, la donna sarebbe entrata in un convento di clausura col nome di suor Marianna. Dalle informazioni in possesso di di Francesca Darima oggi si troverebbe in un convento della Valle d'Aosta le cui suore, però, smentiscono.








E quindi la battaglia che lei ha condotto non prima di contattare Giacomo non sarebbero vere o si sono rilevate un buco nell'acqua ed i libri da lei scritti fallaci

2.7.21

DNA never lies (Il DNA non mente mai)



che storie interessanti si trovano leggendo i contatti di un tuo contatto . Una storia commovente Questa storia è commovente! Ed è bellissimo il fatto che l'anziana signora, dopo tanto tempo finalmente possa conoscere le sue origini e incontrare i suoi parenti... È una cosa meravigliosa!  
margine mi rassicura sull'attendibilità di questi test, ero piuttosto perplesso, dopo  gli errori   vedi il caso Omicidio di Meredith Kercher   e  forse  anche  quello  di  Yara Gambirasio  ora lo farò anch'io!!

 da 

È cominciato tutto per curiosità, con un kit per un esame del DNA acquistato su internet come regalo natalizio nel 2019. La nostra curiosità principale era scoprire l’origine etnica, se sarda, ispanica, nordafricana, o altro. Per vari contrattempi, i risultati giunsero solo a luglio 2020. Una volta tolta la curiosità sulla stima di etnia, guardammo le corrispondenze di DNA (sta a dire tutte quelle persone che condividono tra loro una o più porzioni di corredo genetico e per tale ragione possono definirsi parenti più o meno lontani) e lì ci fu una sorpresa: F.D., età compresa tra 80 e 90 anni, cugina di secondo grado.
A questo punto, non conoscendo nessun parente con quel cognome, feci l’unica cosa logica in questi casi, scrissi a colui che gestisce il profilo di DNA di questa signora su quel sito, C.S. E fu così che scoprii quanto segue: “Buongiorno Giacomo, la storia di mia madre è particolare, anche se comune a tante persone, ed è per questo che ci siamo rivolti a MyHeritage.
Mia madre è nata a Roma nel 1934, nell’ospedale San Giovanni, e appena nata da lì fu affidata ad un orfanotrofio. Non ha mai conosciuto i suoi genitori, ha vissuto la sua vita pienamente e con tante soddisfazioni, si è sposata, ha cresciuto noi figli. Una vita felice, convivendo con l’idea di non poter mai abbracciare i suoi genitori. Ora, negli ultimi anni della sua pur felice vita, a 86 anni, si sta tormentando: vorrebbe sapere, terminare la sua esistenza avendo anche solo un'idea approssimativa delle sue origini. L’analisi del DNA di mia madre evidenzia un 60% di etnia sarda, quindi con tutta probabilità sua mamma o suo papà erano di origini sarde, ma crediamo si possa trattare più della madre. Non abbiamo altri dati, nonostante le ricerche, la nascita di mia madre è avvolta nel mistero, non è stato possibile reperire nessun documento relativo alla nascita di mia madre, tantomeno relativo ai suoi genitori. Quindi Giacomo forse lei potrebbe aiutarci nell’esaudire il desiderio di mia mamma di sapere […] un cordiale saluto, C.S.”.
Da quel momento decidemmo di fare il possibile per aiutare questa nuova zia a scoprire i suoi genitori. Dissi a C. di acquistare un kit per il DNA da un altro sito che dà maggiori informazioni (23andMe), mentre io ne acquistai 3, uno per mia madre, uno per mio padre e uno per me. Ad agosto scoprimmo quindi che F.D. è cugina di primo grado di mio padre. Andando per passi, dovevamo scoprire se la parentela fosse dal lato Calvia-Casu oppure Gaias-Fresu. E così è cominciata la parte più bella di tutta questa storia, fatta di solidarietà, disponibilità, di persone che si sono prestate, spesso volontariamente
dopo il semplice racconto di questa vicenda, in una sequela di test del DNA che ci hanno portato a scoprire tutto.
Una cugina di mio padre si è offerta per fare il test e ai primi di dicembre stabilimmo a quale ramo familiare appartenesse la parentela e che il genitore in questione era il padre. A fine gennaio, grazie a un cugino che a sua volta si era reso disponibile, sapevamo il nome del padre di F.
Nel frattempo, però, erano già avviate le ricerche della madre, grazie a una stretta parentela con una famiglia originaria anch'essa di Berchidda, ma che oggi vive negli Stati Uniti d’America. E così, dopo aver ricostruito un ricco albero genealogico in pochissimo tempo (grazie a numerosi collaboratori), siamo stati in grado di selezionare alcune famiglie berchiddesi potenziali e la fortuna ci ha sorriso. A febbraio abbiamo fatto altri due test del DNA e al primo colpo abbiamo scoperto la madre di F.D. con una precisione del 50%. Infine, ai primi di giugno, la nostra ricerca si è conclusa dopo che un ultimo test ci ha confermato che la madre era una donna nubile, morta all’età di soli 45 anni nel 1942.
Così, un segreto durato per oltre 86 anni è stato svelato grazie al DNA che, come dicono negli USA, non mente mai. E tale verità svelata ha restituito un'identità a una donna, ma anche una cugina, una zia, una sorella per varie altre persone.
Tra poche settimane, F.D. verrà a Berchidda per conoscere i parenti, i luoghi che avrebbero potuto essere la sua casa e visitare le tombe dei suoi genitori. Non le restituiremo ciò che all’epoca le fu tolto dalla mentalità di quei tempi, ma la potremo accogliere con l’affetto che merita una berchiddese d.o.c. che solo un infausto destino ha portato lontano dal nostro paese.

 Pubblichero'  sempre  con il consenso  di Giacomo gli ulteriori  aggiornamenti  di questa  vicenda 

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