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21.4.21

La violenza sulle donne non è solo femminicidio


Tutte le fonti storiche affermano che in quasi tutte le società tradizionali le donne furono discriminate; la loro istruzione fu limitata all’apprendimento di abilità domestiche, non ebbero accesso a nessuna posizione di potere. Il matrimonio fu quasi sempre considerato un mezzo necessario per garantire alla donna sostegno e protezione. Una donna sposata solitamente assumeva lo status del marito e andava a vivere con la famiglia di lui: in caso di maltrattamenti o di mancato mantenimento aveva scarse possibilità di rivalersi. Nel diritto romano, che influenzò il successivo diritto occidentale, marito e moglie erano ad esempio considerati un’unità, nel senso che la moglie era un vero e proprio “possesso del marito”; in quanto tale, la donna non godeva del controllo giuridico né della sua persona, né dei suoi figli, né delle sue terre, né dei suoi soldi. Le eccezioni dell’antica Babilonia e dell’antico Egitto, dove le donne godettero dei diritti di proprietà, e a Sparta amministravano di fatto l’economia, furono dunque fenomeni isolati; solo durante il Medioevo in alcuni paesi europei le donne poterono entrare a far parte delle corporazioni delle arti e dei mestieri. Nella seguente era industriale donne e bambini lavoravano anche per dodici ore di seguito nelle fabbriche con paghe nettamente inferiori ai loro colleghi maschi. Infine, nel novecento, la donna sembra aver definitivamente aver raggiunto l’uomo, grazie al diritto di voto e col raggiungimento dei titoli più ambiti e dei lavori di solito riservati all’uomo (come ad esempio la carriera militare). Tuttavia anche nel ventunesimo secolo esiste ancora una forma di violenza sulle donne: quella fisica, economica e psicologica e sessuale. Per analizzare questa nuova violenza molti enti pubblici hanno svolto ricerche, soprattutto per osservare l’espansione di questo fenomeno.
Moltissime donne hanno subito diversi tipi di violenza. In moltissimi casi (oltre l’88%) la violenza viene definita “domestica”, in quanto inflitta da partner o da ex partner (l’82%) oppure da parenti, nel 6,4% dei casi. Amici e conoscenti sono autori della violenza nel 4,5% delle occasioni, mentre il restante 7,1% ha come protagonisti sconosciuti.
Per quanto riguarda la violenza sessuale, non c'è dubbio che la stessa abbia nella vittima ha un profondo impatto sulla salute fisica e mentale, causando molte patologie croniche e quadri psichiatrici anche rilevanti in chi ha subito un’aggressione fisica o sessuale, nell’infanzia o nell’età adulta. L’imposizione di un rapporto sessuale non consenziente, può essere fonte di gratificazione sessuale per il responsabile, sebbene l’obiettivo nascosto sia spesso la manifestazione di potere e di dominio sulla vittima nonchè fonte di umiliazione. La legge stabilisce la scadenza per una denuncia di reato in sei mesi, dopo i quali il reato non è perseguibile. Se la vittima presenta querela nei tempi stabiliti (sei mesi dal reato) il reato può comunque andare in prescrizione, regolata da art. 157 c.p. (15 anni).
Premesso tutto ciò, mi chiedo perché ancor oggi chi ha subito una violenza sessuale non venga presa in giusta considerazione, c'è sempre un sentore nell'aria fatto di se, ma, se avesse.... che non fanno altro che perpetuare nella vittima un ulteriore abuso. Esiste anche chi si chiede il perché un donna non denunci subito di aver subito una violenza sessuale, i motivi sono tanti, vergogna, la paura, la sensazione di non essere ascoltata. Ogni donna che subisce una violenza sessuale deve elaborare la cosa, come se fosse un lutto, perché quella violenza ha decretato la morte dell'anima; ci sono le donne che in breve tempo riescono a trovare la forza di denunciare, altre anno bisogno di mesi, anni, spesso si sentono “merce avariata”, c'è anche chi non sarà mai capace di farlo tendendo dentro di se questo terribile dolore. Quindi quando sento o leggo di uomini che giocano sulla fragilità delle vittime per farsi scudo ed uscire indenni da questo terribile reato dico loro e a tutti i famigliari che difendono i loro congiunti anche di fronte all'evidenza di vergognarsi, che non possono essere considerati uomini.

13.4.21

donne in fuga dalla violenza e donne che resistono

  Un altro  aspetto  , soprattutto  quello    della seconda  storia  , quello del femminicidio  e delle  violenze  in famiglia   che costringe    molte  donne  o   evadere  \ fuggire     ( prima storia  ) o a sopportare  per  anni ed  il bene dei figli  e magari a denunciare  ( sempre  che  rimangano vive  )  il  loro carnefice  \ aguzzino  . 

  •  La  prima   è presa da GENTE

  •                                         di MONICA MOSCA La pagina del direttore


  • La “moglie in fuga” che in Cina è diventata un faro per tutte quelle che invece restano

    È nata nel 1964 in Tibet, in una famiglia modesta. La chiamarono Su, un nome piccolo per una bambina piccola: nessuno poteva immaginare quale sarebbe stato il suo destino. Non certo il padre, che la considerava meno di niente e che non voleva farla studiare; nemmeno la madre, troppo acciaccata e spaventata dalle botte che ogni giorno prendeva dal marito. Su riuscì comunque a diplomarsi alle scuole superiori, caparbiamente, e lasciò il suo Paese: se ne andò in Cina, e poco dopo si sposò. Non che fosse innamorata, l’amore era qualcosa di ignoto e diverso. Aveva incontrato il futuro marito solo un paio di volte, quasi non lo conosceva, ma era normale per quei tempi e per quella cultura, e poi a lei quell’uomo pareva l’unica via per lasciarsi alle spalle la tristezza e la violenza. Ha lavorato come operaia, ha messo al mondo una figlia: per il resto, fino ad oggi, per quasi 38 anni è stata uno straccio sotto i piedi del marito: quando era fortunata, lui la umiliava e se ne andava di casa per settimane intere; quando era meno fortunata, lui la insultava furiosamente e i litigi finivano a schiaffi. Una sera la picchiò con una scopa. Su non aveva voce per gridare, non aveva forza per difendersi, non aveva nemmeno pensieri di ribellione: lavorava, accudiva la casa, e quando la figlia mise al mondo due gemelli lei andò in pensione e se ne prese carico, come era scontato che fosse. Soltanto la notte, quando i nipoti erano stati riconsegnati e il marito dormiva, si ritagliava un piccolo spazio per sé davanti alla Tv, per seguire le soap opera sudcoreane che un po’ la facevano sognare. Ed ecco, una sera, accadde l’impensabile. L’impossibile.Su vide distrattamente la pubblicità di un camper e qualcosa le scoppiò nel cervello. Ritornarono d’incanto i sogni da bambina, quando sui libri di scuola scopriva mondi lontanissimi e immaginava di viaggiare, libera, sola. Era il 2019. Per due anni, Su ha letto tutto ciò che ha trovato sui viaggi in solitaria, on the road, ha scaricato tutte le app per imparare a spostarsi senza cartine, ha scoperto molti trucchi per risparmiare ed essere autonoma durante gli spostamenti (come fare la doccia nei bagni pubblici, lavarci gli indumenti e cucinare su un fornelletto da campo). E finalmente, nel settembre 2020, quando i nipotini hanno iniziato l’asilo, nonna Su ha spiccato il volo: su una vecchia Volkswagen acquistata con i risparmi della vita e la sua piccola pensione, con una tenda che si monta sul tetto dell’auto e la notte la trasforma in un mini camper. La figlia era sconvolta, il marito le ha riso in faccia: da allora ad oggi non l’ha più visto né sentito.

    Su Min, questo il cognome, viaggia ormai da sei mesi. Sola. Ed è diventata senza volerlo una delle prime icone femministe della Repubblica popolare cinese: la sua storia è stata raccontata dal New York Times. Ora ha un milione e mezzo di followers, le donne le scrivono messaggi e la accolgono a ogni sosta portandole cibo e vestiti, per incontrarla, per conoscerla. “Ero infelice e disperata, ma non immaginavo ci potesse essere un’altra vita”, ha dichiarato. “Ora lo so, e sono felice”. Un giorno, in viaggio tra le montagne, Su ha acceso il cellulare e girato un video senza pretese: guidava e raccontava la sua storia, filmava e intanto montava la tenda, e intanto stendeva i vestiti su un filo teso fra i sedili posteriori dell’auto. Poi ha caricato il video su Douyin, il TikTok cinese. Tutto è cominciato così. In marzo, per la Giornata internazionale delle donne, il colosso della moda online Net-a-Porter l’ha voluta come testimonial del riscatto femminile in un Paese dove la strada per la parità di diritti è ancora troppa, perché il viaggio di Su è una metafora di libertà e indipendenza. Milioni di persone hanno condiviso il suo appello contro la violenza domestica e la sottomissione con l’hashtag #runawaywife (la moglie che scappa). Ai giornalisti che l’hanno intervistata, nonna Su ha detto di non volere il divorzio altrimenti il marito, secondo la legge cinese, resterebbe sulle spalle della figlia. “Mi va bene così”, ha risposto. “Quando ero a casa, desideravo tanto mangiare i peperoncini piccanti, ma non mi era permesso. Oggi li posso mangiare tutti i giorni”. Parte da qui, semplicemente, un viaggio che arriverà lontanissimo.




    la seconda è quella di Patrizia Cadau che ha lottato contro alienazione parentale ovvero un costrutto ascientifico e criminale per indurre le donne a cedere alla violenza.  Infatti  ha  dovuto affrontare   
    I ricorsi civili, due, in cui era stata accusata dal padre, e poi dai genitori di lui , di alienazione parentale e di essere responsabile del fatto che i bambini non volessero più vedere né l'uno né gli altri. Ecco cosa racconta sul suo facebook

      

    Il 27 settembre 2018, arrivavo a casa dopo avere passato due giorni infernali all'interno del Tribunale di Oristano.
    Il giorno prima, per la richiesta di rinvio a giudizio del violento, che il PM aveva definito "l'inferno in casa".
    Poi per la testimonianza al tribunale civile dove mi avevano trascinato i genitori del violento. I cosiddetti nonni.
    Perché non c'è limite all'infamia, alla bassezza morale, alla criminalità di chi arriva ad abusare di innocenti, fiancheggiando un violento, per quanto sia figlio. Tanto più che quella protezione si abbatte come una mannaia sui nipoti. Era un contesto surreale. Ed ero così stanca e sfinita che la sera prima, crollai a terra di punto in bianco, senza metafora. Semplicemente andai in tilt e svenni. Davanti ai miei figli, che porelli, ancora ricordano lo spavento.Ma mi rialzai.E il giorno dopo ero di nuovo in tribunale. È agli atti che dovetti deporre davanti al piccolo branco, il già rinviato a giudizio e i suoi famigli, e dovetti deporre per difendermi dalle accuse e anche dalle intimidazioni di questi soggetti che manco di fronte all'autorità riuscirono a dissimulare. Tanto da fare dire ad una giudice stupefatta "e meno male che siamo in un luogo protetto" e a chiedere immediatamente il rispetto dell'aula ma anche della mia persona. Ecco, la violenza per una vittima di violenza non finisce mai, e si arricchisce nel tempo di protagonisti, comparse, gattemorte, infami. Tutto viene usato a pretesto per colpire. Per fortuna in quei processi, sei giudici, sei, hanno detto che i miei figli sono credibili, che hanno un forte senso morale e dell'etica e che non hanno mai mentito, ne davanti a loro, ne davanti alle consulenze neuropsichiatriche. Sei giudici e un pubblico ministero hanno detto che nemmeno io mento, e che la mia condotta è sempre stata orientata a proteggere l'interesse supremo dei minori, minori attorno ai quali si configurava un quadro di abusi, di cui quei tre erano responsabili e complici. Padre e nonni. Come nelle migliori tradizioni di "famigghie" omertose. Il 27 settembre del 2018, però, ancora non lo sapevo, io ero solo sfatta e le prime sentenze sarebbero arrivate due anni dopo. E ancora non avevo visto niente, eh. E quindi sono tornata a casa con l'angoscia nel petto. Ma i miei figli, mi hanno accolta così, con una torta e un mare di abbracci. E da allora ogni volta che sono triste, preoccupata, disperata, annientata, avvilita, stanca, io tiro fuori questa foto e piango anche l'anima, pensando che sì, va tutto bene. Perché io dico la verità e continuerò a dirla finché mi lasceranno in vita.


    Ma le sua battaglia non è ancora finita ., Infatti recentemente ( ne ho parlato anch'io qui in queste pagine ) era in aula per il processo penale. Così come ci sarò nei prossimi giorni Per il reato di maltrattamenti in famiglia. Ed è , SIC , solo al primo grado

    Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

    Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...