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15.11.21

14enne picchiata e minacciata perché si rifiuta di indossare il velo: denuncia madre e fratello maggiore


CRONACA ITALIA 15 NOVEMBRE 2021, 14:43
14enne picchiata e minacciata perché si rifiuta di indossare il velo: denuncia madre e fratello maggiore


                    BARBARA BUFFA 

Un'adolescente ha denunciato madre e fratello che per mesi l'hanno picchiata e minacciata per via della sua scelta di non indossare il velo islamico. Aperte le indagini sul suo caso.



Una 14enne è stata maltrattata per mesi dai familiari nella sua casa di Ostia.
Un’adolescente di religione islamica è stata maltratta e picchiata per mesi dalla madre e dal fratello, per via della sua scelta di non indossare il velo. La giovane ha sofferto a lungo in silenzio prima di decidere di rivolgersi ai carabinieri della stazione di Ostia, denunciando quanto vissuto fra le mura domestiche. Sul suo corpo sono state individuate ferite dovute alle aggressioni. Picchiata e minacciata da madre e fratello perché non vuole indossare il velo islamico


La madre 39enne e il fratello di 17 anni, spiega Il Corriere, l’avrebbero picchiata perché non seguiva gli obblighi della religione islamica e si rifiutava di indossare il velo per strada. I due l’avrebbero anche minacciata di portarla in Bangladesh, loro Paese d’origine, se non avesse accettato di obbedire agli ordini imposti.
14enne denuncia madre e fratello per maltrattamenti
Secondo quanto riferito da OstiaTv.it, la giovane avrebbe deciso di parlare con una sua insegnante delle continue aggressioni subite.
Quest’ultima avrebbe ascoltato il suo racconto, accompagnandola poi presso la stazione dei Carabinieri di via dei Fabbri Navali di Ostia. Qui ha potuto rendere noto alle autorità il resoconto dei maltrattamenti subiti, denunciando madre e fratello. Dopo averla ascoltata, i carabinieri l’hanno accompagnata all’ospedale Grassi per farla medicare. In seguito a un’aggressione subita da parte del fratello infatti, la giovane riportava graffi e ferite alla testa e alle braccia. I medici hanno decretato per lei alcuni giorni di prognosi. Ora la 14enne si trova in una struttura protetta ed è stata affidata ai servizi sociali.
Attualmente è inoltre seguita da alcuni psicologi.
L’ultimo maltrattamento subito dall’adolescente risalirebbe alla fine della scorsa settimana. Le forze dell’ordine hanno aperto le indagini sul suo caso. Gli investigatori hanno intenzione di comprendere se vi siano altri familiari coinvolti nella vicenda.
1522: il numero per denunciare la violenza
Il caso della giovane aggredita dai familiari a Ostia contribuisce a tracciare il triste disegno delle molte facce della violenza sulle donne. Solo nel secondo trimestre del 2021 il numero di richieste d’aiuto con chiamate al numero di pubblica utilità contro la violenza sulle donne è aumentato del 6,7%.
Dati Istat mostrano chiaramente che i mesi caratterizzati dal periodo di lockdown sono corrisposti con un netto aumento della violenza fra le mura domestiche.
Il numero 1522 nasce per prestare soccorso e supporto a tutte le donne che scelgono di chiamare e denunciare le violenze subite. Si tratta di un numero gratuito e disponibile 24 ore su 24, gestito da operatrici disponibili ad ascoltare le segnalazioni di chi chiama. L’accoglienza è disponibile in italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo.
La maggior parte delle donne che si mettono in contatto con il 1522 denuncia la violenza fisica come violenza principale.
Di tutte le forme di violenza subite però, quella psicologica risulta essere la più frequente.

21.4.21

La violenza sulle donne non è solo femminicidio


Tutte le fonti storiche affermano che in quasi tutte le società tradizionali le donne furono discriminate; la loro istruzione fu limitata all’apprendimento di abilità domestiche, non ebbero accesso a nessuna posizione di potere. Il matrimonio fu quasi sempre considerato un mezzo necessario per garantire alla donna sostegno e protezione. Una donna sposata solitamente assumeva lo status del marito e andava a vivere con la famiglia di lui: in caso di maltrattamenti o di mancato mantenimento aveva scarse possibilità di rivalersi. Nel diritto romano, che influenzò il successivo diritto occidentale, marito e moglie erano ad esempio considerati un’unità, nel senso che la moglie era un vero e proprio “possesso del marito”; in quanto tale, la donna non godeva del controllo giuridico né della sua persona, né dei suoi figli, né delle sue terre, né dei suoi soldi. Le eccezioni dell’antica Babilonia e dell’antico Egitto, dove le donne godettero dei diritti di proprietà, e a Sparta amministravano di fatto l’economia, furono dunque fenomeni isolati; solo durante il Medioevo in alcuni paesi europei le donne poterono entrare a far parte delle corporazioni delle arti e dei mestieri. Nella seguente era industriale donne e bambini lavoravano anche per dodici ore di seguito nelle fabbriche con paghe nettamente inferiori ai loro colleghi maschi. Infine, nel novecento, la donna sembra aver definitivamente aver raggiunto l’uomo, grazie al diritto di voto e col raggiungimento dei titoli più ambiti e dei lavori di solito riservati all’uomo (come ad esempio la carriera militare). Tuttavia anche nel ventunesimo secolo esiste ancora una forma di violenza sulle donne: quella fisica, economica e psicologica e sessuale. Per analizzare questa nuova violenza molti enti pubblici hanno svolto ricerche, soprattutto per osservare l’espansione di questo fenomeno.
Moltissime donne hanno subito diversi tipi di violenza. In moltissimi casi (oltre l’88%) la violenza viene definita “domestica”, in quanto inflitta da partner o da ex partner (l’82%) oppure da parenti, nel 6,4% dei casi. Amici e conoscenti sono autori della violenza nel 4,5% delle occasioni, mentre il restante 7,1% ha come protagonisti sconosciuti.
Per quanto riguarda la violenza sessuale, non c'è dubbio che la stessa abbia nella vittima ha un profondo impatto sulla salute fisica e mentale, causando molte patologie croniche e quadri psichiatrici anche rilevanti in chi ha subito un’aggressione fisica o sessuale, nell’infanzia o nell’età adulta. L’imposizione di un rapporto sessuale non consenziente, può essere fonte di gratificazione sessuale per il responsabile, sebbene l’obiettivo nascosto sia spesso la manifestazione di potere e di dominio sulla vittima nonchè fonte di umiliazione. La legge stabilisce la scadenza per una denuncia di reato in sei mesi, dopo i quali il reato non è perseguibile. Se la vittima presenta querela nei tempi stabiliti (sei mesi dal reato) il reato può comunque andare in prescrizione, regolata da art. 157 c.p. (15 anni).
Premesso tutto ciò, mi chiedo perché ancor oggi chi ha subito una violenza sessuale non venga presa in giusta considerazione, c'è sempre un sentore nell'aria fatto di se, ma, se avesse.... che non fanno altro che perpetuare nella vittima un ulteriore abuso. Esiste anche chi si chiede il perché un donna non denunci subito di aver subito una violenza sessuale, i motivi sono tanti, vergogna, la paura, la sensazione di non essere ascoltata. Ogni donna che subisce una violenza sessuale deve elaborare la cosa, come se fosse un lutto, perché quella violenza ha decretato la morte dell'anima; ci sono le donne che in breve tempo riescono a trovare la forza di denunciare, altre anno bisogno di mesi, anni, spesso si sentono “merce avariata”, c'è anche chi non sarà mai capace di farlo tendendo dentro di se questo terribile dolore. Quindi quando sento o leggo di uomini che giocano sulla fragilità delle vittime per farsi scudo ed uscire indenni da questo terribile reato dico loro e a tutti i famigliari che difendono i loro congiunti anche di fronte all'evidenza di vergognarsi, che non possono essere considerati uomini.

31.10.16

la violenza e l'omicidio contro le donne è un semplice omicidio o un femminicidio ? secondo me il secondo . e second vo ?i

Inizialmente   ho condiviso 

per provocare e perchè credevo che il termine femminicidio fosse uno di quei neologismi linguisticament e ipocriti e politicament e corretti , questo post   di http://www.bastabugie.it becera pagina  clerico fascista  ( le mie solite condivisione senza leggere cio che cavolo cazzo condivido e prendendo poer buono il titolo , senza rendermi conto  come  mi è stato  fatto  notare  dall'amica  ed utente   : 


Daniela Tuscano Bel modo di provocare, postando un link fascista che peraltro afferma l'esatto contrario di quanto dici tu. Infatti, secondo loro, le stragi di donne sono episodi occasionali e rari, mentre vuoi mettere coi poveri maschietti ammazzati dalle perfide femmine? Ogni giorno ce n'è uno, no? Poi tu sei libero di considerarlo "neologismo astruso" (perché?), ma esiste, e non ci sarà barba di post sessista che mi farà cambiare idea. Si chiama femminicidio e tale resta.

Poi leggendo sia   sempre  sulla  mia  bacheca  ( qui l'intera  discussione )   di fb   questo commento di una  mia   amica  e  compaesana    avvocatessa

Marianna Bulciolu Il femminicidio , come l'infanticidio, è un omicidio più grave perché commesso il primo per motivi futili , come gelosia , possesso ecc. , il secondo perché commesso contro un bambino. Quindi nel femminicidio non rientrano tutti gli omicidi contro le donne , ma quelli che gli uomini commettono per certi motivi, e questo rappresenta, a mio avviso giustamente, un 'aggravante.

e da questo articolo  di  http://www.mentecritica.net/ sempre  della stessa    amica  daniela   che    riporto integralmente  

Femminicidio: Il Peccato Originale 


Dunque, i numeri. Dal solo mese di maggio ad oggi, fanno venti.
Intendo i casi. Le persone sono molte di più, perché alcune vicende sono avvenute nello stesso giorno coinvolgendo più persone.
Cito, in ordine sparso:
  • Roma, assassinio di Alessandra Iacullo, 25 anni, confessa il fidanzato cinquantenne: “Ero geloso”.
  • In varie regioni d’Italia, Ilaria, Chiara e Alessandra vengono uccise lo stesso giorno dai rispettivi partner. Erano intenzionate a lasciarli.
  • Napoli, donna accoltellata in aperta campagna, accusato l’ex marito, geloso.
  • Biloca, ragazza diciassettenne subisce un tentativo di stupro mentre si reca a scuola.
  • Bergamo, estetista aggredita dall’ex marito che aveva denunciato.
  • Calabria, trovata donna uccisa. Subiva violenze da parte del marito da una trentina d’anni.
  • Caserta, aspirante Miss Italia ridotta in fin di vita dal fidanzato che le spappola la milza. Lei si riprende: “Lo perdono, perché lo amo”.
  • Perugia, due stupri nella stessa notte.
  • Pesaro, l’ex partner d’una avvocata (molti giornali scrivono “avvocatessa”) le getta acido in faccia per lavare l’onta d’essere stato abbandonato.
  • Vicenza, dopo aver denunciato l’ex partner per maltrattamenti una donna viene sfregiata con l’acido da maschi incappucciati.
  • Acilia, dopo l’abbandono insegue la moglie con l’auto, fino a stritolarla. Poi inscena il suicidio (che, naturalmente, non va in porto).
  • Padova, poliziotto uccide la moglie e si suicida (questa volta, stranamente, ci riesce). I giornali titolano: “Motivi sentimentali”.
  • Frosinone, un operaio costringe la moglie a girare film porno davanti ai figli e la violenta ripetutamente. In più la minaccia con la frase: “Zitta o farai la fine di Melania Rea”.
  • Napoli, spranga l’ex moglie poi devasta il negozio del nuovo compagno di lei: “Non potevo sopportare di essere abbandonato”.
  • Napoli, picchia la moglie col matterello per ucciderla. Viene fermato in tempo.
  • Firenze, massacra la moglie incinta: “Non hai pulito bene la casa”.
  • Milano, si avventa sull’ex compagna e l’abbatte a coltellate. E continuerebbe a infierire sul corpo se non fosse fermato da un ragazzo diciassettenne che ha tentato vanamente di salvare la donna. Lui continua a farneticare: “Mi ha lasciato, non posso sopportarlo”.
  • Novara, otto minorenni (maschi) indagati per istigazione al suicidio della quattordicenne Carolina, ingiuriata e diffamata all’inverosimile.
  • Roma, una ragazza viene indotta a ubriacarsi quindi stuprata.
In ordine cronologico, questo è l’ultimo caso, posto li abbia ricordati tutti. Il più efferato, però, sintesi perfetta e atroce di tutti gli altri, è avvenuto però, come si sa, poche ore fa in Calabria:
  • Fabiana, 15 anni, accoltellata e bruciata, ancor viva, dal “fidanzatino” (così si legge su quasi tutti i media) maggiore di lei di un anno. Osceno l’articolo dell'”Unità” (!), che parla di “dramma della gelosia e dell’adolescenza”.
A ciò si aggiungano due dati:
  • A Modena, scarcerato dopo appena un anno Ivan Forte, che strangolò la fidanzata Tiziana da cui aveva avuto un figlio.
  • A Milano, la metà delle denunce per violenza sulle donne vengono archiviate.
Numeri. Semplici numeri. In svariate occasioni, anche da questa sede, ho analizzato le radici culturali, sociali e storiche del femminicidio. Non mancherò di ricordarle questa volta ancora, l’ennesima. Ma ogni capitolo s’arricchisce di dolenti, agghiaccianti novità.
Ne menziono solo uno, a paradigma della controffensiva maschile di fronte al fenomeno: la dotta dissertazione di tale prof. Tonello sul “Fatto Quotidiano” di alcuni giorni fa (“Femminicidio, i numeri sono tutti sbagliati” ).
Un testo pericoloso, sia per i contenuti, sia per il lessico all’apparenza neutro, distaccato, insomma “razionale”.
L’illustre cattedratico esordisce contestando i numeri di violenza antifemminile evocati dai media e sottolineando l'”enfasi” posta sulle venticinque donne uccise da inizio anno (il suo scritto risale all’11 maggio scorso). Annota anche, tra l’indignazione e lo scherno, che “si mescolano disinvoltamente aggressioni e omicidi, stupri e molestie, molestie psicologiche e aggressioni con l’acido”, mentre per lui solo gli omicidi (il termine “femminicidio” è ovviamente rifiutato, vedremo poi perché) possono semmai suscitare un campanello d’allarme poiché, in tutti gli altri casi, la donna non è stata uccisa. Stupri e sfregi con l’acido – soluzione “all’indiana”, barbara quant’altre mai, per negare la specificità della donna, quindi la sua esistenza, una sorta di burqa di fuoco: ma l’autore non vi fa caso – non sono da considerare delitti, la donna fisicamente non muore.
 
Egli passa quindi in rassegna i dati, a suo dire sicuri, dell’Istat e scopre cosa? Che la violenza sfociata in assassinio ai danni delle donne non solo non è aumentata, ma sarebbe addirittura in calo.
Certo, egli concede, “pure un solo cadavere è di troppo” ma in un Paese di 60 milioni di abitanti ci saranno sempre “i mafiosi, i violenti, i folli”. Di femminicidio poi nemmeno parlarne, il neologismo è orribile (esiste già il correlativo “omicidio”, perché coniarne un altro?) e, del resto, non significa nulla: assurdo paragonare l’inesistente la mattanza di donne p. es. alla Shoah perché – cito testualmente – “gli ebrei Samuel, Israel, Ruth o Esther venivano mandati dai nazisti nelle camere a gas per il solo fatto di essere di religione ebraica, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione. Le donne uccise da ex partner non vengono uccise ‘in quanto esseri umani di sesso femminile’ bensì esattamente per la ragione opposta: per essere quella donna che ha rifiutato quell’uomo”.
Si tratta del ragionamento d’un cattedratico, d’un professore universitario, che dovrebbe conoscere la storia.
Pur ritenendo impensabile, nel 2013, dover confutare simile concentrato d’ignoranza, stupidità e cattiveria, pure il frangente mi ci costringe, non foss’altro perché la maggioranza dell’opinione pubblica, e quasi la totalità dei maschi, vi aderisce volentieri, non pochi addirittura plaudendo (uno di loro, tra i commenti, ha persino invitato i suoi congeneri alla rivolta contro la disinformazione operata dal “nazifemminismo”). Mi appresto dunque a bere l’amaro calice.
1) Tonello rispolvera l’antico ma sempre efficace alibi del delinquente “folle, violento o mafioso”. Un modo – peraltro, tipicamente maschile – di gettare la colpa fuori di sé. Sull’altro, sul diverso. Non ha potuto, come certo avrebbe desiderato, imputare la responsabilità agli stranieri, magari islamici, perché gli autori di questi delitti sono tutti italiani, appartengono alle categorie sociali più disparate e la loro età varia dalla maturità, talora dalla vecchiaia, fino, negli ultimi casi, addirittura alla puerizia. I motivi ispiratori dei loro delitti sono però identici: gelosia, abbandono.
Resta da vedere se siano “folli, violenti o mafiosi”. Chiaramente no. Si tratta di persone del tutto normali, persino – come invocano le sempre protettive famiglie dei minorenni implicati – di “bravi ragazzi”, educati, rispettosi. Non i diversi da temere, entità astratte e mostruose emergenti dal fondo scuro della marginalità sociale, ma i nostri vicini di casa, gli stimati professionisti cui affideremmo una pratica, i valenti operai specializzati e i padri di famiglia amorevolmente premurosi coi figli. No, esimio luminare Tonello, il mostro non è il diverso, il mostro cova in ognuno di noi. Nel Suo linguaggio asciutto e nel piglio professorale col quale nega l’evidenza per non mettere in discussione il modello culturale e (dis)educativo imperante dall’alba dell’umanità.
2)  Ignoro cosa insegni Tonello. Spero, per lui ma soprattutto per i suoi studenti, non storia o materie affini. Sa infatti, o dovrebbe sapere, anche un alunno di dodici anni, nemmeno particolarmente edotto, che gli ebrei furono sterminati non “per il solo fatto di essere di religione ebraica”, ma per il solo fatto di esistere. Fossero o no convertiti al cristianesimo, per il pagano Hitler non aveva la minima importanza: ne è la più illustre, ma ovviamente non unica prova sant’Edith Stein, filosofa tra le più insigni del suo secolo, autrice d’importanti e pionieristici studi intorno alla donna, e martire ad Auschwitz nel 1942. Affermare che lo sterminio degli ebrei aveva motivazioni religiose significa non aver compreso nemmeno alla lontana, e forse nemmeno studiato, le radici del nazismo, e viene seriamente da chiedersi come l’individuo che osa sproloquiare simili bestialità possa permettersi di scrivere su una testata nazionale e/o d’insegnare negli atenei.
3) Sul cinismo e freddezza con la quale è liquidato, o notevolmente ridimensionato,  l’omicidio – come si ostina a definirlo Tonello – di “quella donna per aver rifiutato quell’uomo” la verecondia imporrebbe di sorvolare, ma non si può. Nella prosa che si vuole asettica e scientifica, in realtà sfilacciata e perniciosa, di Tonello non balena neppur per un attimo la futilità del movente. “Per essere quella donna che ha rifiutato quell’uomo” è infatti un’argomentazione risibile, un’aggravante e non un’attenuante del crimine. Soprattutto quando “quell'”uomo, assassino di “quella” donna, al contrario di ciò che asserisce Tonello, peraltro senza lo straccio di prove o statistiche altrove da lui così insistentemente addotte per confermare le sue tesi, non appartiene per nulla alla categoria dei “folli, violenti o mafiosi”.
4) “Le parole sono importanti!”, esclamerebbe ora il Nanni Moretti di “Palombella rossa”, parafrasando Pasolini. E giungiamo al famoso, o famigerato, termine “femminicidio” che Tonello, Gilda e molti/e altri non vogliono nemmeno sentir menzionare. Non esistono “femminicidi” secondo costoro, bensì “omicidi”. Vengano puniti come tali, e non facciamola tanto lunga.
Ebbene, “omicidio”, la cui etimologia Tonello evidentemente non conosce – zero in italiano oltre che in storia, quindi, per il nostro chiarissimo docente – deriva da “homo” e “cidium”, da “caedes” (=uccisione), e indica la morte d’un uomo per mano d’un altro uomo. Infatti: la morte d’un uomo.

Tonello, Gilda e molti/e altri alzerebbero il sopracciglio, fors’anche si straccerebbero le vesti urlando al mio “nazifemminismo estremista”: ma via, lo sanno tutti, per uomo s’intende essere umano, pertanto anche la donna!
Ecco, è proprio il “pertanto” che guasta: se le parole sono importanti, l’ossimoro, da tutti considerato naturale e persino ovvio, del “neutro maschile” è insensato.
Il neutro maschile non include: anzi, è l’esclusione per antonomasia. Il neutro maschile è la cifra linguistica che giustifica ogni violenza, razzismo, prevaricazione, guerra, schiavitù, omofobia e, naturalmente, misoginia e sessismo. Dalla notte dei tempi. Il neutro maschile presuppone un’umanità modellata su un solo archetipo: il maschio, l’essere umano vero e proprio – esattamente come intendono i suoi difensori, non accorgendosi dell’equivoco -, immagine e incarnazione di Dio (alle donne, immagini solo terrene e, per giunta, malriuscite dell’uomo-maschio, non è infatti concesso il ministero sacerdotale né di rappresentare in nessun modo la divinità). Cui tutto è concesso, cui è stato dato in compito di dominare la Terra – e i suoi abitanti, a partire dalla compagna messagli al fianco.
Il linguaggio, espressione tipicamente e compiutamente umana, è dunque sempre stato in mano al maschio, declinato al maschile secondo sensibilità e mentalità maschili. Dalle quali la donna è di necessità esclusa; di qui l’esigenza di coniare nuovi termini. No, non è omicidio, è femminicidio. No, non si tratta del singolo uomo che uccide la singola donna, ma di tutta una mentalità che avalla, presuppone, prepara queste morti. E, se non tutte giungono a tale epilogo, il seme dell’odio è stato comunque gettato. Chi potrebbe rispettare e considerare di pari dignità un individuo ritenuto persino dai più grandi ingegni umani, non esclusi uomini piissimi e talora in odore di santità, infido, sensuale, lascivo, linguacciuto, di debole cervello e, in tempi più recenti, sottovalutato o cancellato dai libri di scuola, mercificato dal consumismo sessuale e degradato a puro oggetto di piacere? Eppure è questo che quotidianamente e, in varie forme a seconda delle latitudini e delle religioni, viene inculcato fin dalla più tenera età.
Oggi poi il sesso, perduta quell’aura di sacertà che lo contraddistingueva come compimento, diremmo linguaggio fisico, d’una intesa spirituale, è divenuto sfogo bruto e velleitario, da consumare subito e, anche in tal caso, da pretendere, in particolare se la ragazza è la “propria” ragazza, se è carina, se ha corrisposto a un bacio. Un rifiuto da parte sua viene ritenuto un’insopportabile onta, un’inconcepibile ribellione.
Già negli scorsi anni scrivevo che il problema del femminicidio non riguardava tanto le donne quanto gli uomini. La questione è maschile, non femminile. E questo, non è stato compreso del tutto nemmeno dalle stesse donne, se è vero che pure le più attente e sensibili, nel commentare lo strazio di Fabiana, la bambina arsa viva dal coetaneo per essersi rifiutata di cedere alla fregola di lui, si rivolgono alla madre dell’assassino rivolgendole aspri rimproveri: “…Perché, cara madre, se tuo figlio ha ritenuto che picchiare, violentare ed uccidere una donna fosse un suo diritto divino…se tuo figlio si è sentito in dovere di punire con la violenza “l’onta” subita dalla donna che lo aveva lasciato/rifiutato…se l’uomo che tu hai portato in grembo e cresciuto è arrivato a tanto…la colpa è ANCHE TUA! Che madre sei stata e che donna sei stata? Cosa hai insegnato a tuo figlio?”, chiede accorata Anna Rita Leonardi nella sua lettera aperta . Tutto vero, naturalmente: moltissime donne – l’ultimo caso, la miss che ha ritirato la denuncia al suo aguzzino – hanno introiettato la stessa misoginia di cui la società è imbevuta senza insegnare alcun rispetto verso le congeneri ai loro figli maschi.
Ma il padre, dov’era? I genitori non sono due? Perché, in casi simili, l’uomo non viene mai chiamato in causa? Non è stato lui, anche per legge, qui in Italia, fino al 1975, il “capofamiglia”? Non è lui la guida morale e spirituale della casa, l’essere umano per eccellenza, il rappresentante di Dio in terra e via esaltando? O lo è solo quando si tratta di ricevere privilegi e onori?
Scriveva Edith Stein negli anni Trenta del secolo scorso: “In origine fu affidato ad ambedue [all’uomo e alla donna, n.d.A.] il compito di conservare la propria somiglianza con Dio, di custodire la terra e di propagare il genere umano. […] Dopo il peccato, il rapporto reciproco si mutò, da puro legame di amore, in legame di dominio e soggezione, e fu sfigurato dalla concupiscenza”. L’umanità, e il maschio in particolare, non ancora divenuto uomo, sembrano a ogni latitudine, nel terzo millennio, ancora macchiati da questo peccato originale.
 


emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

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