IL post in questione era stato scritto di getto qualche mese fa . E come i coccodrlli giornalistici lo avevo messo in word progres per tirarlo fuori proprio il 25 novembre .Quindi mi scusoin anticipo se i linl e gli eventi ivi riportatoi dovessero essere superati e non più raggiungibili . Questa è la mia risposta a chi la pena cosi : « violenza sule donne ? la risposta di Nordio non è il problema ma chi l'applaude»
Ora bado alle ciancie e vediamo al post
come ogni anno Il 25 novembre si celebra la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, una ricorrenza che dovrebbe rappresentare un momento di riflessione profonda, ma soprattutto un impegno quotidiano
.Una delle classiche iniziative é quell di Marsala, nella figura della nuova responsabile provinciale dell’UDI (Unione Donne in Italia), Francesca Parrinello, subentrata a Valentina Colli – presidente del Centro Antiviolenza “La Casa di Venere” che – traccia una panoramica delle sfide e delle azioni necessarie per affrontare il fenomeno. << Da 24 anni mi occupo di violenza sulle donne, e mi sento quasi come se il 25 novembre fosse diventato un esercizio retorico: scendiamo in piazza, contiamo le vittime del patriarcato [... ] e poi tutto si ripete. Non possiamo limitarci a gesti simbolici come le panchine rosse. Serve un impegno costante”, spiega Parrinello >> in Il 25 novembre un impegno collettivo per cambiare e dire no alla vittimizzazione secondaria articolo del portale itacanotizie.it Infatti Per le operatrici antiviolenza il focus non è solo il supporto alle vittime, ma altresì una visione a 360° del problema: <<Chiediamo atti concreti. Serve una rete capillare di professionisti formati, medici, magistrati, avvocati, forze dell’ordine, per evitare la vittimizzazione secondaria, quando le donne vengono giudicate o non credute” continua Parrinello. Un caso emblematico citato dalla professionista, riguarda un padre condannato per violenza domestica considerato idoneo per l’affidamento condiviso dei figli. “Il Tribunale, basandosi su una relazione del Ctu, lo ha definito una persona perbene e accudente. Come possiamo accettare questo?>> domanda sempre la stessa Francesca Parrinello. Le varie associazioni antifemminicidi sottolineano la necessità di istituire tribunali specializzati con magistrati formati in materia di violenza di genere. Paesi come Spagna e Inghilterra hanno già adottato simili approcci con risultati concreti: la Spagna, in particolare, ha ridotto i casi di violenza del 20% grazie a riforme strutturali introdotte oltre un decennio fa. Altri punti fondanti l’importanza dell’educazione sentimentale nelle scuole per scardinare alla radice il problema in futuro. Tuttavia, in Italia, anche solo introdurre l’educazione sessuale rappresenta una sfida, così come parlare agli studenti di cultura LGBT+ o transgender. Una questione critica per il nostro territorio spesso meta di sbarchi, è quella delle donne migranti vittime di discriminazioni multiple: La violenza che subiscono non è solo di genere, ma anche razzista, a partire dai Centri di permanenza per i rimpatri. La nostra politica non pratica l’accoglienza, ma il respingimento >> denuncia sempre la Parrinello.
La vera sfida è far sì che questa consapevolezza non si limiti a un solo giorno all’anno. La lotta contro la violenza sulle donne [ sia che si usino termini come patriarcato , maschilismo, femminicidio , violenza del genere ] deve essere un impegno costante, capace di lasciare un segno nelle aule di tribunale, nei governi e nelle scuole. Solo così potremo costruire una società più giusta e rispettosa per tutti\tutte\tuttə .
Oltre alla maturità contesta da parte di molti giovani , c'è anche un altro esame di maturità . Eco due storie
Inizialmente leggendo sulla nuova sardegna d'oggi la storia , vedi secondo articolo sotto , del marito e moglie che si sono dilpomati insieme a 64 anni e 73 anni ho pensato che visto l'alto numero di persone in età avanzata che si predono laureee o diplomi in questi casi ciò sia un segno che c'è un forte senso di colpa colettivo per non aver completato gli studi o un vuoto culturale da voler riempire prima di lasciare questa valle di lacrime .... ehm ... morire .Un altro motivo porebbe essere quello di volersi sentire giovani .
Ma poi leggendo sull'unione sarda « Dall’abbandono della scuola al diploma: riscatto e orgoglio per sei donne di Sant’EliaHanno tra 24 e 54 anni, costrette dalla vita a lasciare gli studi hanno ricominciato grazie al Cpia e hanno raggiunto il grande traguardo. E qualcuna già pensa all’Università »
5 delle donne di Sant'Elia diplomate
Cagliari Gioia e soddisfazione hanno preso il posto di fatica, pianti e quella paura di non farcela che le ha tormentate per anni. Sei diplomi che rappresentano un monumento alla tenacia, una rivincita sulla vita e sulla scuola che avevano abbandonato da adolescenti. Sono tutte di Sant'Elia le neo-diplomate – tra i 24 e i 54 anni - che qualche giorno fa hanno sostenuto e superato l'esame di maturità riuscendo a conciliare studio, lavoro e famiglia «Ci sono stati giorni in cui ho pensato di mollare, ero troppo stanca e non ce la facevo più, ma le mie compagne mi hanno sostenuta e sono arrivata alla fine», raccontano a una sola voce Monica Augusti, Vanessa Quartieri, Romina Columbu, Marisa Mancuso, Desdemona Flutto e Marta Orofino, concordi nel dire che il ricordo più bello di questa esperienza resterà la loro amicizia nata nelle aule delle scuole serali. Alcune avevano abbandonato gli studi a causa di problemi di salute, altre per l'arrivo di un figlio in giovane età, qualcuna perché aveva imboccato un percorso scolastico sbagliato. Poi il lavoro, la famiglia e la vita che corre sembravano aver archiviato il capitolo istruzione. Ma non è mai troppo tardi: il riscatto scolastico è iniziato nella sede di Sant'Elia del Cpia, il Centro provinciale di istruzione degli adulti, la scuola pubblica che oltre alla licenza media e ai corsi di italiano, offre il biennio delle superiori. Qui hanno studiato con determinazione per due anni, hanno superato la paura di ricominciare e le prime prove scolastiche. Grazie al Cpia hanno vinto il premio Gramsci nel 2022 riuscendo a battere anche i licei in gara. «Quella è stata un'esperienza importante perché con il premio abbiamo potuto comprare i libri per il terzo anno», raccontano le studentesse - quasi tutte madri e lavoratrici – che avevano investito quella vincita nel loro futuro scolastico. Dopo il Cpia il loro percorso è proseguito alle serali secondarie di secondo grado: in cinque hanno scelto l'indirizzo Socio-sanitario, una sola l'Alberghiero. «Non è stato facile. Finivamo le lezioni oltre le 22 qualche volta alle 23. Per tornare a casa ci organizzavamo con i passaggi tra di noi o c'era il bus. Rientravamo a casa molto tardi e per molte la sveglia suona alle 6 per andare al lavoro. Ci sono stati giorni in cui ho veramente pensato di non farcela», spiegano le neo-diplomate che nella vita fanno le badanti, lavorano nel settore delle pulizie o sono impiegate. Raccontano i momenti più duri sorridendo, scambiandosi ricordi e complicità perché è finalmente arrivato il diploma e il meritato riposo. Non per tutte però: in due sognano l'università e hanno già iniziato a studiare per i test d'ingresso.
Sassari
C’è chi prova con pozioni misteriose, chi tenta la strada della chirurgia plastica e delle punturine strategiche nel viso. Chi si cimenta negli sport più estremi e chi va alla ricerca di fontane miracolose. Ma forse, la strada migliore per trovare l’eterna giovinezza, è quella scelta da Enrico Ganga e Annarita Soro: mettere da parte la carta d’identità e tornare sui banchi di scuola.Marito e moglie, due figli, 73 anni lui e 65 lei: nelle scorse settimane sisono diplomati all’istituto tecnico Salvator Ruju di Sassari, dopo aver frequentato per quattro anni il corso in Servizi per la Sanità e Assistenza Sociale. «Eh sì, questo rientro a scuola un po’ ci ha fatto tornare giovani – scherza Enrico -, siamo entrati nel mondo dei ragazzi, avevamo compagni di classe di ogni età, anche diciassettenni. Ed è stato uno scambio continuo, di conoscenze, di esperienze. E di stimoli allo studio e a imparare qualcosa di nuovo». Enrico e Annarita hanno frequentato in classi separate, lui in 5°B, lei in 5°C: «È stata una nostra scelta, mia moglie non voleva avere conflitti d’interesse» ride. Quattro anni fa, insieme, avevano preso la decisione di iscriversi al Ruju, attirati dalla scelta della scuola di pubblicizzare la possibilità di iscrizione per persone di ogni età. «In tutto, quest’anno, sono oltre 40 gli adulti che hanno ottenuto il diploma, tra cui anche alcuni studenti stranieri, confermando il valore formativo e inclusivo dell’istruzione per adulti, che offre un’opportunità concreta per chi desidera completare il proprio percorso scolastico o acquisire nuove competenze, conciliando studio, lavoro e vita familiare» spiega Renzo Mannoni, docente di Matematica nella scuola diretta da Franca Riu. Una avventura nata quasi per caso, quella di Enrico e Annaritaa, che li ha portato ad affrontare quattro anni intensi, con lezioni serali dal lunedì al venerdì.
«La mia materia preferita? La psicologia. È stato interessante conoscere il pensiero di Freud e altri studiosi, che senza strumenti sono riusciti a esplorare e raccontare un elemento ancora misterioso come la mente umana» spiega Enrico. Nato a Selargius, vive a Sassari nel 1980, quando vinse un concorso alla Banca d’Italia. Prima, era stato autotrasportatore e dipendente Arst. La moglie Annarita, sassarese, lavorava in uno studio legale ed è lì che si sono conosciuti. Proprio come due giovani maturandi, i giorni prima dell’esame sono stati segnati dalla tensione: «Ansia? Parecchia! Certe notti non dormivo, pensando alle prove scritte. E poi la notte prima del colloquio finale è stata la più difficile». A supportarli, sono stati i compagni di scuola e i docenti: «Li ringraziamo tanto per averci accompagnati in questo splendido percorso». Ma anche i loro figli, Federico – imprenditore nel settore della ristorazione a Stintino – e Maria Cristina – dirigente della Asl di Parma – hanno giocato un ruolo fondamentale: «Facevano il tifo per noi, sin dal primo anno, ma ovviamente ancora di più in questo». Alla fine, il ribaltamento dei ruoli: «Più di una volta ci hanno aiutato a studiare. E certo, è stato strano che siano stati loro a farci le congratulazioni per aver superato gli esami: mi sembra ieri che festeggiavamo la laurea di nostra figlia» racconta Enrico con un sorriso. E adesso? «Io ho preso una pausa di riflessione – spiega Enrico -, mi piacerebbe viaggiare. Penso che sia un sorta di terapia, ma anche un modo per imparare e conoscere nuove cose: potrebbe essere la mia università». Annarita invece vuole tornare sui libri: «Vi racconto io la storia perché mia moglie in questo momento è negli uffici dell’Università, per provare a capire quale corso di laurea possa fare al caso suo dopo il diploma» spiega Enrico. È proprio vero, quindi: gli esami non finiscono mai.
Più forte della sordità: una biologa cagliaritana prima dirigente in Italia Marta Zuddas ha vinto un concorso all’Azienda ospedaliero universitaria di Cagliari. Un anedotto trovato nei commenti riporta che
Giulio Andreotti raccontava che alla visita di leva il medico che lo esaminò gli disse: " giovanotto, col suo fisico lei non andrà molto lontano". Pochi anno dopo, diventato ministro, andò a cercare il medico ma non lo trovò perchè deceduto... Auguri vivissimi alla dottoressa e un consiglio: vada a salutare l'insegnante che sosteneva la necessità del tutor...
unione sarda 15\7\2025
«L’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo». Lo dice Italo Calvino. E queste parole sono in linea con il percorso umano e professionale di Marta Zuddas, sorda, ma con una determinazione e una forza di volontà che le hanno fatto superare tutti gli ostacoli. Sino a diventare, è successo lo scorso novembre, la prima dirigente biologo in Italia affetta da sordità. Lavora all’ospedale San Giovanni di Dio, nella struttura complessa di Anatomia patologica diretta dalla professoressa Daniela Fanni. C’è un’immagine emblematica: Marta che firma il contratto di lavoro con l’Azienda ospedaliero universitaria di Cagliari, l’immagine della felicità. Eppure, il percorso di studio non è stato facile: «Dovevo compensare quello che non sentivo alle lezioni. È stato necessario studiare su più testi per poter essere al pari degli altri e qualcosa di più». La laurea – I titoli conquistati con grande tenacia: laurea in Scienze biologiche, specializzazione in virologia e microbiologia. In più un master a livello europeo sulle emergenze in campo sanitario come terremoti e guerre biologiche. Ogni tanto si sono manifestate difficoltà, spesso sotto forma di pregiudizi: «Il percorso della scuola è stato lineare. Gli insegnanti erano abbastanza attenti e a parte qualche piccolo episodio tutto è andato bene. All’Università ho trovato docenti sensibili ma anche situazioni non proprio piacevoli. Un’insegnante non voleva farmi laureare perché riteneva indispensabile che avessi al mio fianco un tutor. Diceva: una persona come lei deve avere necessariamente un tutor. Le ho risposto: mi mancano cinque esami, secondo lei ne ho bisogno. È stata una discussione accesa, le ho lanciato il libretto, mi dica se ho necessità di un sostegno. Poi ho risolto tutto con un altro professore». L’aiuto dei genitori – Tirocinio al Binaghi, prima come laureanda e poi come volontaria. Ha cominciato a lavorare in un laboratorio privato e, in contemporanea, si è dedicata agli studi per la specializzazione. «I miei genitori e mia sorella», dice, «sono stati il vero supporto, mi hanno offerto sempre un aiuto. Ci sono stati dei momenti in cui dicevo: non ce la faccio e loro mi spronavano a non arrendermi, ad andare avanti». Idee molto chiare, incrollabile ottimismo: «Molte persone non avrebbero mai scommesso su di me, sulla mia capacità di arrivare sino in fondo. Tutto questo mi ha dato un grande slancio per dimostrare a me stessa che potevo farcela. Ho affrontato il concorso per l’Aou con grande serenità. Ero piena di energia positiva e quando ho saputo di aver superato la prova volevo spaccare il mondo. Al San Giovanni di Dio esamino i pap test. All’inizio ero perplessa. Mi sono detta: io sono una biologa. Che cosa posso fare? Mi sono trovata subito a mio agio. L’accoglienza è stata splendida. Ho cominciato da zero. Mi trovo benissimo. È un ambiente che mi piace e i rapporti con i colleghi sono ottimi». Al suo fianco, nei passaggi più importanti, c’è sempre stata Luciana Ledda, interprete della Lingua dei Segni italiana, amica e angelo custode. Le parole della figlia – Marta, 52 anni, cagliaritana, conosce la Lis ma riesce a comunicare benissimo con le persone leggendo il labiale dei suoi interlocutori. Ha fondato, insieme a Luca Rotondi, l’associazione “Emergenza sordi” per aiutare chi si trova nelle sue stesse condizioni. È mamma e avverte l’orgoglio del ruolo: «Ho una figlia di 18 anni, che il prossimo anno affronterà l’esame di maturità al liceo classico “Dettori”, e un bimbo di 11 anni che ha appena concluso la quinta elementare». Ci tiene a lanciare questo messaggio: «Voglio dimostrare ai sordi che gli obiettivi si possono raggiungere. Mai abbandonarsi al pessimismo e alla rassegnazione. Alle persone che sentono e che hanno pregiudizi dico che la sordità non è un limite». Si commuove quando ricorda quello che la figlia le ha detto non molto tempo fa: «Mamma, per me sei un modello e un punto di riferimento».
Credevo che il carcere fosse solo violenza , durezza , malessere . E chge le storie di redenzione fossero ua rarità e che si citassero sulle dita delle mani . Invece , cazzeggiando \ sminchionando in rete , ho trovato La storia ( vedere video sotto cattutrato da mediaset e diu cui trovate un frame a sinistra ) di Tommasina Crugliano, vittima di violenza domestica e condannata a dodici anni nel carcere di Piacenza, per aver ucciso il marito violento evidenzia le difficoltà delle detenute e il ruolo fondamentale dell’agente Carla nel sostegno emotivo.
Un abbraccio atteso oltre 46 anni. E' il 1978 quando Tommasina Crugliano, per tutti Masina, finisce in carcere appena 18enne. Varca le porte del penitenziario di Piacenza con mandibola e denti distrutti, dopo un volo dal quarto piano nel tentativo disperato di sfuggire al marito violento. Dentro casa botte e umiliazioni sono all'ordine del giorno, fino a quando Masina, che più di una volta cerca anche di togliersi la vita, non ce la fa più e lo uccide. Condannata a 12 anni di reclusione, Marina vive l'incubo del carcere. Un giorno però il suo sguardo incrocia quello di Carla, all'epoca 23enne agente di polizia penitenziaria. Ad agosto 2024 Carla, scrollando i social network, capita su un post: la copertina di un romanzo e la foto in bianco e nero di una ragazza. è proprio lei, Masina. In Germania si era rifatta una vita, che aveva poi raccontato proprio in quel libro. Poi l'incontro di persona, con la promessa di non perdersi di nuovo.Il racconto di tommasina crugliano, nota come masina, attraversa decenni segnati da violenza domestica, carcere e resistenza. Arrestata nel 1978 a soli 18 anni, la giovane arriva nel penitenziario di piacenza con evidenti segni di una caduta dal quarto piano, un gesto disperato per fuggire dalle percosse del marito. La sua vicenda si intreccia con quella di carla, agente di polizia penitenziaria di 23 anni, che incrocerà il suo destino all’interno della prigione. la drammatica esperienza di tommasina crugliano prima dell’arresto tommasina crugliano attraversa una fase della vita segnata da due drammi sovrapposti: la violenza domestica e la tentata fuga da una situazione insostenibile. Residente a piacenza, subisce percosse continue e umiliazioni in casa da parte del marito violento. Il clima familiare è dominato dalla paura e dall’insensata crudeltà, che la spingono più volte a pensare al suicidio. A 18 anni, masina tenta così di sfuggire l’oppressione lanciandosi dal quarto piano della propria abitazione. Le conseguenze fisiche sono gravissime: mandibola fratturata, denti rotti, ferite profonde. Questo episodio segna l’inizio di una trafila giudiziaria che la vedrà protagonista in carcere.Testimonianza amara di quegli anni La sua fuga disperata è una testimonianza di quanto fossero amari e insostenibili quegli anni per molte donne vittime di maltrattamenti. La giustizia di allora appare meno attenta ai segnali che precedono tragedie del genere. Masina, infatti, non viene considerata solo come vittima ma anche imputata in un processo che la cocondanna per aver ucciso l’uomo che la sottoponeva a violenze continue.
A prendere posizione sul fenomeno degli studenti che hanno boicottato l’orale dell’esame di Maturità ora è anche una delle voci più riconoscibili del panorama scolastico e televisivo: Andrea Maggi, professore di lettere e volto noto del programma televisivo Il Collegio, dove ha partecipato come insegnante di italiano. In una lettera pubblicata sul Gazzettino, Maggi analizza senza sconti la portata e il significato delle recenti proteste studentesche, avvenute in diverse scuole. «Comunque la si pensi, questi episodi mettono in evidenza due cose importanti: il disagio reale degli studenti nei confronti di un sistema con cui non si sentono in sintonia e l’ipocrisia del sistema scolastico», commenta Maggi. Il suo parere si aggiunge a quelli già condivisi da altri docenti noti sui social: da Vincenzo Schettini de La fisica che ci piace che ha assunto una posizione più critica dicendo che «i modi per protestare sono altri» allo scrittore e insegnante Enrico Galiano che ha difeso la scelta degli studenti. Il paradosso a scuola
Secondo Maggi, le proteste degli studenti mettono in luce un paradosso importante: «la scuola promuove quasi tutti ma gli studenti sono insoddisfatti» e i risultati reali vacillano. I numeri parlano chiaro, ricorda il docente: il 96,5% degli studenti ammessi all’esame di Stato e il 99,8% diplomati l’anno scorso, a fronte però di dati Invalsi drammatici, che mostrano come uno studente su due non raggiunga nemmeno le competenze base in italiano e matematica. «Tutti bravissimi, dunque?», si chiede provocatoriamente il professore.
Il problema della scuola
Secondo Maggi, la radice del problema sta nell’autonomia scolastica e nella pressione esterna a migliorare l’apparenza. «Il sistema scolastico è ossessionato dai piani di miglioramento dell’offerta formativa. I dirigenti scolastici hanno la necessità di dimostrare l’efficienza dei loro istituti attraverso i risultati, per cui spronano i docenti al successo formativo dei loro studenti. E siccome sono i dati a parlare, la necessità di ogni istituto scolastico è mostrare all’esterno che tutti i suoi studenti vengono promossi». «Gli studenti ci stanno dando un messaggio importante»
Secondo il docente, quindi, la promozione diventa una necessità strategica. «Garantire il successo agli studenti significa garantire un buon numero di iscritti, il mantenimento dei posti di lavoro per i docenti e adeguati finanziamenti. Per contro, una scuola in cui gli studenti ottengono voti tendenzialmente bassi, o dove addirittura si boccia, risulta molto meno appetibile. Ed ecco l’ipocrisia del sistema, che manda avanti tutti non perché vada effettivamente tutto bene, ma per salvare le apparenze e per evitare i noiosi ricorsi dei genitori. In sostanza, il sistema-istruzione italiano fa sì che si promuovano tutti per dire a se stesso che funziona bene; in altre parole, per autoassolversi». Per questo, secondo Maggi, le proteste degli studenti «ci hanno consegnato un messaggio di certo scomodo, ma che non possiamo ignorare: i giovani non vogliono più essere presi in giro. E in questo senso la loro protesta è giusta».
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differenza tra intelligenza artificiasle e intellegenza naturale
«La pelle, questo sacco che ci contiene e ci mette in contatto con il mondo, è proprio quello che manca all'Intelligenza artificiale»: con queste parole il filosofo Maurizio Ferraris racconta il senso del suo ultimo libro, «La pelle. Che cosa significa pensare nell'epoca dell'intelligenza artificiale» (il Mulino 2025), un compendio che parla dell'impatto dell'intelligenza artiticiale nella nostra vita ma anche della «mia visione di filosofia a cui ho lavorato tutta la vita» come afferma lo stesso Ferraris. «La volontà è la grande dimenticata della filosofia degli ultimi 50 anni. Se non è la volontà che ci differenzia dalle macchine che cos'altro c'è? E l'IA non ha volontà. Se vince o perde a scacchi non gliene frega niente...a differenza di noi»
------- quando la laicità vine usata strumentalmente e diventa stato etico \ dittatura nazionalistica il caso del il Kazakistan, paese musulmano, vieta il velo integrale vededo come estranei alla cultura nazionale"
Decisione storica: il Kazakistan, paese musulmano, vieta il velo integrale
E'passata , da quel so , sotto silenzio dei media maistream la notizia che In Tagikistan, il presidente Emomali Rahmon (nella foto sopra ) ha firmato nel 2024 una legge che vieta di indossare abiti "estranei alla cultura nazionale" nei luoghi pubblici.
Una legge che vieta gli indumenti che coprono il viso Il 30 giugno, il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev, ha ratificato una legge che proibisce l'uso di indumenti che coprano il volto in spazi pubblici. La norma è stata vista come una mossa inaspettata per una nazione a predominanza musulmana, dove è usuale per alcune donne indossare il niqab o altri veli facciali. Cosa dice la legge ?
Secondo Reuters, la legge ora vieta l'uso di indumenti che "impediscono il riconoscimento facciale" negli spazi pubblici. Sono tuttavia previste eccezioni in caso di maltempo, per motivi medici o durante eventi sportivi e culturali. Una riforma legislativa più ampia
Tuttavia, la nuova legge non fa alcun riferimento esplicito all'Islam o all'abbigliamento religioso e fa parte di una serie più ampia di emendamenti. L'Islam è la religione maggioritaria Come ricorda il Pew Research Center, il 71% della popolazione kazaka è musulmana. Questa percentuale è aumentata solo tra il 2010 e il 2020. Uno stato laico Eppure, questa ex repubblica sovietica rimane uno stato laico. La pratica religiosa è moderata, l'uso del
velo non è diffuso e la frequentazione quotidiana delle moschee rimane rara, sottolinea Le Parisien. Rafforzare l'identità kazaka Vietando gli abiti che coprono il viso, il presidente Kassym-Jomart Tokayev sta in realtà cercando di mettere da parte l'abito islamico in favore dell'abbigliamento tradizionale kazako, ricco di colori e decorazioni, nel tentativo di rafforzare l'identità etnica nazionale.
"È meglio indossare abiti in stile nazionale"
"Piuttosto che indossare tuniche nere che nascondono il volto, è meglio indossare abiti in stile nazionale", avrebbe dichiarato Kassym-Jomart Tokayev all'inizio di quest'anno, secondo quanto
riportato dai media kazaki. "I nostri abiti tradizionali evidenziano vividamente la nostra identità etnica, ed è per questo che dobbiamo promuoverli ampiamente". Una tendenza osservata in Asia centrale Questa volontà di eliminare gli abiti islamici, come il niqab e il burqa, dagli spazi pubblici è stata osservata negli ultimi anni in diversi paesi dell'Asia centrale. Un'ondata di divieti Dal 1° febbraio 2025, indossare il niqab per le strade del Kirghizistan è vietato, con una multa. Una misura simile è stata introdotta in Uzbekistan dal 2023, dove indossare un velo integrale in pubblico può comportare una multa di 250 dollari.
storie di caldo anomalo e boom di granite e limonate , di scelte di vita religiosa , di maturita in sardo e con figli , contestazione sul metodo della maturità . fonti msn.it ed altri siti internet provenienti da tale portale , canali telegram whatsapp ed altri social e i siti
Infatti ha scelto il silenzio in un mondo che urla: nessun rumore, solo preghiera e ascolto. La storia di Anna Maria, 30 anni, va controcorrente: è il racconto di una donna che ha detto "sì" alla vita monastica, in un tempo in cui le comunità religiose femminili si svuotano sempre più velocemente. «I dubbi ci sono, ma proprio per questo resto. Perché non credo nelle certezze blindate. E ogni giorno è un ritorno alla grazia delle origini» spiega al Corriere della Sera. Il cammino Non è stato un colpo di fulmine. A diciassette anni aveva un futuro diverso in mente: un fidanzato, una casa ed una famiglia numerosa. «Ho sempre avuto un’idea fortissima di comunità. Di famiglia larga, aperta. Ma la relazione dopo quattro anni è finita e con lei tutte le certezze». Ne è seguito un periodo di spaesamento, di ricerca. Così si è messa in cammino. La meta? Santiago de Compostela. «In realtà pregavo perché tornasse il mio ex», racconta ridendo. «Camminavo, piangevo, pensavo e facevo amicizia (...). Ogni sera celebravamo l’eucarestia. Sentivo che non ero sola». «Lasciati amare» Rientrata a Milano, la profondità di quel viaggio ha presto lasciato spazio al ritmo caotico e frenetico della vita urbana: tra il lavoro e il volontariato, qualche storiella ma nessun amore davvero duraturo. Qualcosa mancava: sentiva il bisogno di staccare. Si recava a Gorla o a Brescia, nei monasteri e ascoltava se stessa: «Cercavo uno spazio dove ascoltare ciò che il rumore copriva. Un giorno mi sono detta: smettila di pensare troppo. Lasciati amare». Da quel momento è passato un anno: oggi Anna Maria è una Clarissa Cappuccina. Si alza all’alba, vive il ritmo lento della clausura, alterna preghiera e pittura, meditazione e colloqui con chi bussa alla porta. Non fa attivismo, non ha una missione sociale: ha scelto l’interiorità. «Ho trovato un luogo dove mi sento intera». Una voce controcorrente Ultimamente, sempre più comunità religiose femminili stanno chiudendo per mancanza di vocazioni o semplicemente per l'età avanzata delle sorelle: a Milano, nel 2014, erano 159. Oggi le suore sono 117. Nonostante le celle si stiano svuotando, Anna Maria sceglie di restare, di abitare un vuoto che non fa paura, senza sentire la necessità di una vita diversa: «Ogni scelta comporta rinunce. Ma se stai costruendo profondamente qualcosa i dubbi sono occasione per rinsaldare la fiducia e la fede, non per fuggire. A volte, per capire che la vita non si esaurisce nelle cose, bisogna restare lì dove si è».
attività dove assieme alla limonata a cosce aperte? è molto in voga anche la variante sarchiapone
La tradizione degli acquafrescai, a Napoli, come rimedio contro il caldo: Limonate, aranciate e granite sono un pieno di benzina per dissetarsi e integrare i sali minerali?, spiega Claudio Di Dato di Oasi Chiaia dal 1902, storica attività dove assieme alla ?limonata a cosce aperte è molto in voga anche la variante sarchiapone.
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dopo una storia che sembrerà banale , ma in un contesto nazionale sempre più fatto d'incultura cì sono anche dei casi come : il diploma contemporaneo di madre e figliae gli altri tre racconti sotto
Gianmaria Favaretto, 19enne ex studente del liceo scientifico Fermi di Padova, ha compiuto una scelta che fa discutere: si è presentato all’esame orale di maturità, ha firmato il registro e ha dichiarato:
"Signori grazie di tutto, ma io questo colloquio di maturità non lo voglio sostenere. Arrivederci". Un gesto che, come racconta il giovane in un'intervista rilasciata al Mattino di Padova, non è stato frutto di svogliatezza, ma di una riflessione profonda sul sistema scolastico e sul significato dei voti. Una decisione meditata Gianmaria aveva calcolato che i suoi crediti scolastici (31 punti) e i risultati degli scritti (17 nel tema di italiano, 14 in matematica) gli avrebbero garantito la sufficienza, totalizzando 62 punti. "Credo di essere il primo che fa una cosa del genere al Fermi", ha dichiarato. Ma dietro questa scelta c’è molto più di un freddo calcolo: "L’esame di maturità per me è una sciocchezza", ha affermato, criticando un sistema di valutazione che, a suo avviso, non riflette le reali capacità degli studenti. La critica al sistema scolastico "Trovo che l’attuale meccanismo di valutazione degli studenti non rispecchi la reale capacità dei ragazzi, figuriamoci la maturità", ha spiegato Gianmaria. La sua protesta si concentra sui voti, vissuti da molti studenti come fonte di competizione e stress. "In classe c’è molta competizione. Ho visto compagni diventare addirittura cattivi per un voto", ha raccontato, sottolineando come le pressioni di professori e famiglie possano esacerbare questa dinamica. La sua decisione è maturata nel tempo, soprattutto durante l’ultimo anno di superiori, quando ha raggiunto il suo «limite di sopportazione» rispetto a un sistema che sentiva distante dai suoi valori. Il confronto con la commissione Nonostante il suo rifiuto di sostenere l’orale, Gianmaria non ha lasciato la sala senza un confronto. I professori, inizialmente sorpresi, hanno cercato di capire le sue motivazioni. "La presidente è stata rigida, mi ha detto che non sostenendo l’orale insultavo il lavoro dei docenti che avevano corretto i miei scritti", ha rivelato. Tuttavia, dopo un dialogo con i professori interni, che lo conoscevano bene, la situazione si è risolta con un compromesso: Gianmaria ha risposto ad alcune domande sul programma, ottenendo 3 punti aggiuntivi e chiudendo l’esame con 65/100. Lo studio come percorso di crescita personale "In terza sono stato bocciato, mi è servito per maturare. Sbagliando si impara" ha detto, sottolineando l’importanza di apprendere dai propri errori piuttosto che inseguire un voto. Per lui, lo studio dovrebbe essere un percorso di crescita personale, non una corsa al punteggio. La sua scelta di non sostenere l’orale è stata anche un modo per rivendicare la propria autonomia: "Perché dovevo fare una cosa solo perché la fanno tutti? Ho preferito usare la mia testa". La reazione della famiglia La decisione di Gianmaria non era stata condivisa con i genitori, che hanno saputo tutto solo dopo i risultati. "Ho spiegato loro come la penso. Sono stati comprensivi", ha raccontato. Ora, il giovane guarda al futuro: l’università lo aspetta, e con essa nuove sfide per trovare il suo posto nel mondo, lontano da un sistema scolastico che non lo ha mai pienamente rappresentato.
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«Mio figlio nato durante l’esame per il diploma»: per una giovane di Capoterra sessione suppletiva al PoliclinicoVeronica Vacca, 29 anni, è ricoverata da oltre un mese per una gravidanza a rischio: ha fatto in modo di finire gli studi
Veronica Vacca
Un esame di diploma speciale. Unico. Prima rinviato, perché Veronica Vacca, 29 anni, di Capoterra, è ricoverata da oltre un mese al Policlinico di Monserrato per una gravidanza a rischio. Poi per lei è stata allestita una sessione suppletiva: martedì ha sostenuto la prova di italiano, l’indomani quella di economia aziendale. E giovedì insieme agli esiti degli scritti (19 nel tema, 20 la prova tecnica) è arrivato anche Samuele. «Il tempo di rimettermi un pochino – racconta raggiante al telefono – e darò l’orale». Appuntamento domani mattina, sempre al Policlinico, dove il direttore generale Vincenzo Serra ha messo a disposizione il suo ufficio: «Ci hanno aiutato tutti, i docenti, i medici, la direzione sanitaria: ho tante persone che devo ringraziare, soprattutto mio marito Daniele che mi ha sostenuto e mi ha spinto a non mollare gli studi malgrado sia stata costretta a trascorrere in un letto d’ospedale l’ultimo mese di gravidanza». La storia Quella di Veronica è la storia a lieto fine di una ragazza che si è sempre sacrificata e che ha voluto inseguire a qualsiasi prezzo il traguardo del diploma. «Lavoro da due anni come operaia tessile in una sartoria industriale, prima con mio marito avevamo vissuto sette anni in Inghilterra. Lavoravamo in una farmacia, ci siamo messi sotto per imparare l’inglese, proprio quegli anni di studio e di lavoro mi hanno fatto decidere, una volta rientrata in Sardegna, nel 2023, di riprendere gli studi che avevo interrotto in quarta ragioneria. All’Istituto Atzeni ho frequentato le serali, mi sono trovata benissimo, sia con i docenti, sia con i compagni. Quest’anno sono rimasta incinta ma ho continuato a lavorare e studiare, sin quando ho potuto». Il parto Un mese fa i medici l’hanno trattenuta al Policlinico: gravidanza a rischio per lei e per il nascituro. «Non mi sono data per vinta, volevo questo diploma». Non poteva immaginare che il primo figlio sarebbe arrivato tra gli scritti e l’orale: «Parto d’urgenza, Samuele è nato di sette mesi, sta bene ma non l’ho ancora potuto vedere. Lui l’hanno sistemato nell’incubatrice. E anche io devo rimettermi in sesto per gli orali. Mai avrei immaginato un esame così particolare, da sola, in un bell’ufficio, non insieme ai compagni di classe. Non è stato facile». I primi a complimentarsi con lei per l’arrivo di Samuele sono stati, dopo i familiari, i compagni della quinta A, il preside dell’“Atzeni” Maurizio Pibiri, i docenti che l'hanno seguita durante l'anno Daniela Perra, Federico Bacco, Stefano Salaris , Claudia Pinna, Valeria Pinna e Riccardo Pinna e quelli della commissione di esame presieduta da Carla Anedda. «Spero – chiude Veronica Vacca - che la mia storia possa essere un messaggio per tanti ragazzi e ragazze: anche nei momenti più complicati, non bisogna smettere di credere in sé stessi: di sicuro mio marito ed io la racconteremo a nostro figlio quando sarà grande».
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Un esame in sardo: al Liceo Europeo di Cagliari la lingua di casa entra tra i banchi di maturità
Giaime ha discusso in sardo il tema degli esclusi e dei vinti nella storia, partendo dal celebre dipinto I mangiatori di patate di Vincent van Gogh
Giaime Corongiu A portare il sardo tra le mura dell’esame di maturità è stato Giaime Corongiu, studente dell’ultimo anno, che ha chiesto – e ottenuto – di poter svolgere parte del colloquio orale nella sua lingua madre. Un gesto che va oltre la semplice dimostrazione di una competenza linguistica: è un atto d’amore verso le proprie radici, un’affermazione della dignità di una lingua ormai confinata alla sfera privato. Giaime ha discusso in sardo il tema degli esclusi e dei vinti nella storia, partendo dal celebre dipinto I mangiatori di patate di Vincent van Gogh fino ad analizzare la legge di sfruttamento del lavoro formulata da Karl Marx. Il resto del colloquio si è svolto in italiano e francese, come previsto dal curriculum del liceo europeo. «Parlare in sardo all’esame mi ha permesso di esprimere meglio un pezzo di me – ha raccontato Giaime –. È una lingua che ho imparato in famiglia e che i miei insegnanti hanno sempre valorizzato». La commissione, presieduta dal professor Andrea Prost, ha accolto con favore la richiesta, riconoscendo la padronanza della lingua come parte integrante del percorso formativo dello studente. Un esempio che fa sperare. «Ci auguriamo – ha commentato il corpo docente – che questa esperienza sia da stimolo per tanti altri studenti che parlano la lingua sarda e per sensibilizzare la scuola a valorizzare questo enorme patrimonio linguistico». La scuola, infatti, è il luogo dove si coltiva costruisce il proprio futuro senza però mai dimenticare le proprie radici.
“In Egitto ci sono nato e vissuto i primi 12 anni, dopo non ci sono più tornato. Non avevamo tanto, ma sono cresciuto con le nostre tradizioni culturali e religiose. Poi, una volta arrivato in Italia, la mia vita non è stata sempre facile”. Quella di Mohamed ‘Momo’ Elmaghraby, 29 anni, professione pugile, è una storia che parte da lontano, cerca tante strade – non sempre comode – e finalmente imbocca quella del lieto fine: “Ho una compagna, abbiamo un bambino che ha appena compiuto un anno e stiamo aspettando una bambina. Lavoro come fattorino in un centro culturale perché con la boxe, almeno ai miei livelli, non si campa. Me lo dico da solo, ho proprio messo la testa a posto”. In Italia una partenza problematica In mezzo parecchie problematiche: “Una volta arrivato in Italia sono iniziati i problemi. I miei genitori non andavano d’accordo. Mia madre è tornata con il resto della famiglia in Egitto e con mio padre non parlavo. Quindi, sono finito in una comunità fino a quando, all'età di 18 anni, ne sono uscito e mi ha ospitato in casa sua un amico". “Il razzismo? Solo tra bambini” La classica fase senza punti di riferimento in cui la sciocchezza è dietro l'angolo: “Ho fatto tanti casini, diciamo che ero un ragazzo vivace che non rispettava le regole. Bevevo, fumavo, mi buttato in tutte le risse”. Una integrazione problematica e sullo sfondo l’ombra del razzismo: “Un po’, ma solo da ragazzino. Non sapevo la lingua e mi prendevano in giro per quello e per le mie origini. Finiva sempre allo stesso modo, gli alzavo le mani e la piantavano”. "Notato durante una rissa, così ho iniziato con la boxe” Le sliding doors sono arrivate dal pugilato. “Ero a Monza, in stazione, coinvolto in una rissa. Mentre facevo a botte mi ha notato una persona che lavorava in una palestra con Matteo Salvemini, negli anni Ottanta campione d’Europa dei pesi medi. Mi ha detto che potevo far confluire tanta rabbia su un ring”. E sul ring ha funzionato, se è vero che sabato catalizzerà l’attenzione del pubblico milanese nella riunione organizzata da Taf – The Art of Fighting – al Centro Pavesi nella rivincita contro Stiven Leonetti (primo incontro vinto da Momo tra mille polemiche). Il match è caratterizzato da feroce rivalità: “C’è un vero astio. Niente di specifico, sono quelle cose che nascono dal nulla. Poi io ho messo del mio, esagerando un po’ sui social per tenere alta l’attenzione”. “Sognare con giudizio, aspiro a essere al vertice in Italia” Momo ha un idolo (“Mike Tyson, mi è sempre piaciuta la sua voglia di emergere dal basso”), ma ha i piedi ben saldi per terra: “Sognare va bene, ma bisogna farlo con obiettività. A disputare un titolo mondiale non penso ci arriverò mai. Mi basta essere uno dei migliori in Italia e magari farmi rispettare all’estero”. Parole da uomo tranquillo: “Ma solo grazie alla boxe che mi ha dato una sistemata, altrimenti i guai si sarebbero sprecati”.
qualche tempo fa fb mi rimosso una foto di una donna a senso nudo . L'aslgoritmo o colui chelo aggiorna non capisce che Il seno non è solo un qualcosa di volgare esso è anche lo strumento con il quale le nonne e le madri hanno ( e continuano ) a nutritrei propri figli . Per la donna è sinonimo di femmilita', bellezza, amore. Per noi uomini una delle forma d'attrazione . Infatti
Ieri ho incontrato una mia coetanea.Una donna che ho sempre considerato una donna molto in gamba. Ad un certo punto mi rivela con estrema naturalezza, di aver subito l'amputazione di entrambi i seni per un tumore. Mi mostra le cicatrici. Resto scioccata, perché non avrei mai immaginato che le fosse successo nulla di simile.
La vita però le ha permesso comunque di allattare suo figlio, avendo riscontrato il tumore pochi anni dopo.Ora ovviamente non potrà più farlo.E non potrà magari esibire il suo seno, senza vergogna. O forse si?Mi sono occupata di donne che hanno subito una mastectomia anche ad entrambi i seni, le quali con orgoglio si sono fatte fotografare per contest fotografici completamente nude.Fa più effetto un seno nudo con o senza cicatrici? Io dico con. Perché dietro quelle cicatrici c'è tanto dolore.L'amputazione di parte della femmilita' di una donna, che per fortuna non si esplica solo attraverso un seno ma è molto, molto di più. Colgo l'occasione per salutare tutte e tutti coloro che soffrono di questa patologia, che colpisce anche gli uomini. Siete un esempio per tutti.E colgo anche l'occasione per ribadire un concetto: non aspettiamo il presentarsi del problema per fare un controllo. Prevenire è meglio che curare. Sempre.
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niente d'aggiungere al titolo ed articolo , anch'esso di del sito \ pagina facebook cronache della sardegna , se non il fatto che a prescindere che la vittimas sia uomo o donna la pena per l'omicidio stradale e no solo è troppo bassa
La morte di una donna vale per la giustizia italiana tre anni di carcere. Probabilmente neanche quelli.
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La donna che vedete in foto si chiamava Ambra De Dionigi. Aveva 29 anni. Era solare, buona, eccentrica. Amava gli animali, in primis il suo cane ed i viaggi. Il 22 dicembre 2024 dopo aver trascorso una serata con gli amici, era uscita a fare una passeggiata a Nibionno in provincia di Lecco. Camminava sul ciglio della strada, illuminata dai lampioni. Un furgone bianco guidato da un 50enne della provincia di Monza l'ha investita e l'ha uccisa, senza neanche fermarsi a soccorrerla. Lasciata li sola al freddo dell'antivigilia di Natale, quando poi è stata ritrovata esanime.Quando l'investitore è arrivato con il furgone nella ditta per la quale lavorava, non ha saputo giustificare come mai fosse ammaccato.
Le telecamere di sorveglianza della zona dell'investimento, l'hanno però ripreso chiaramente mentre investiva Ambra I rilievi degli inquirenti sul furgone non hanno lasciato dubbi, anche perché il ciondolo della donna era rimasto incastrato nel parabrezza del furgone. L'uomo che ha sempre dichiarato di non essersi accorto di nulla a febbraio è stato arrestato e messo ai domiciliari. Ha patteggiato la pena e ieri è stato condannato a tre anni di reclusione. Tre anni che probabilmente neanche si farà avendo presentato istanza di revoca della misura cautelare, sulla quale il giudice che sta seguendo il caso si è riservato di decidere. Questa è la giustizia italiana. La morte di una donna vale meno di niente.
Foto: Ambra De Dionigi
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Capisco che fra uomini e donne ci siano come i tutte le cose delle differenze fisiche e psicologiche . Ma qui si va oltre si sconfina nella disparità e perchè no nella disegualglianza . Qui , come da tag , tale separazione la si può considerare tabù . Infatti se gi uomini e le donne sono uguali pur nella loro diversità perchè un ragazzo ( o viceversa ) puà fare certi sport ed altri no ? Perchè si parlòa tanto di eguaglianza tra uomo e donna , ma un ragazzo no può fare ginastica ritmica , metre una ragazza si ? Il caso di Samuele: talento fuori dal comune, ma la sua disciplina in Italia non è per i maschi: «Ma non ci fermeremo»Il 12enne talento scaligero costretto a emigrare in Spagna per gareggiare: «Da noi la disciplina è chiusa ai maschi: cambiamo rotta»
Ha dodici anni, un talento fuori dal comune e un sogno: gareggiare ai massimi livelli nella ginnastica ritmica. Non è solo questione di preparazione, allenamenti e disciplina, però. Perché Samuele Poletto è un maschio, e la disciplina in Italia non prevede competizioni maschili. Comincia tutto da qui. Dalla volontà di cambiare le cose, che diventa un obiettivo anche per mamma Giulia e per l’allenatrice Silvana Laborde, che al fianco di Samuele vogliono far sentire la loro voce. Alla Libertas Lupatotina, società in cui è tesserato, ha cominciato a otto anni, sotto la guida di Giulia Signorini, e con tenacia è arrivato al livello agonistico. «Stavo cercando uno sport nel periodo di pandemia, ho trovato su YouTube un video di ginnastica ritmica e ho detto a mia mamma “voglio fare questo”. Non mi sono chiesto, all’inizio, se potevo gareggiare», racconta lui. Che reclama il sacrosanto diritto di poter competere e che di fatto ha già iniziato a farlo. Prima attraverso gare organizzate dagli enti di promozione, rientrando nei ranking femminili, poi approdando in Spagna.
«Serve tempo e che le persone si ribellino. Basta pensare al caso del nuoto sincronizzato. Per me non ci sono limiti, e le sue compagne lo accettano pienamente. Ringrazio la nostra splendida società, e una mamma che nemmeno si è domandata se la ginnastica fosse... per maschi oppure no» continua Silvana Laborde, l’agguerrita allenatrice di Samuele, nonché giudice federale. La Federginnastica, seguendo la linea internazionale, resta ferma sulle gare femminili. «Abbiamo scritto una lettera al precedente presidente federale Gherardo Tecchi ma ci è stato risposto che non sono interessati a far gareggiare Samuele perché non è previsto dalla federazione internazionale. Ma non ci fermiamo, scriveremo anche al neo presidente Andrea Facci». Nel frattempo si sono creati i ponti con la Spagna, dove invece le gare maschili sono riconosciute da una decina d’anni. Samuele viene tesserato con la società iberica Club Purpurjna, con cui disputa una prima prova regionale, e in seguito partecipa all’Almerigym, gara internazionale con più di cento ginnasti maschi provenienti da Francia, Spagna, Grecia, Andorra. Si apre un mondo di possibilità ma anche una corsa contro il tempo. «Il punto è che Samuele è ancora piccolo, per essere così bravo. Dobbiamo poter sfruttare la sua età, bisogna intanto andare a farsi vedere e raccogliere premi. Dobbiamo partire da quello che abbiamo, cioè un ginnasta bravo». Con un programma di livello assoluti, che corrisponde a una Serie C italiana e un mese e mezzo di preparazione serrata, Samuele conquista un primo e due secondi posti con fune, palla e nastro. Nemmeno i suoi attrezzi preferiti. «In più ha potuto allenarsi con Ivàn Fernàndez, diamante della Purpurjna. E abbiamo portato a casa una consapevolezza diversa». In Spagna si è svolta anche una tavola rotonda da cui è nato un gruppo con l’obiettivo di cambiare le cose. Attraverso il sostegno di sponsor si vuole arrivare a livello internazionale, attraverso istanze legali, per chiedere il rispetto dei diritti umani in termine di partecipazione sportiva. «Noi stessi cerchiamo sponsor per sostenere le spese dei viaggi, in questo momento a carico nostro»
C’è una nuova luce tra le pietre secolari di Villasalto: è quella che filtra dal grande portone di Su Crociu e accende le sale dell’ex falegnameria diventata “Sa Buttega”, galleria d’arte contemporanea nata dall’iniziativa di Angelica Manca e del marito Paul Frank Wagner, una coppia che si è trasferita in paese dagli Stati Uniti. Un progetto di vita prima ancora che culturale, cominciato con l’acquisto dell’immobile nel gennaio 2023, un anno di restauro meticoloso e il t rasferimento definitivo nel febbraio 2024 La scelta «Desideravamo un paese raccolto e autentico, ricco di tradizioni, un luogo da poter chiamare casa e dove dare radici a nostro figlio Kai, di 11 anni», dice Angelica Manca. L’incontro con Villasalto è stato un colpo di fulmine: l’edificio, incastonato fra le strade acciottolate a pochi passi da piazza Italia, custodiva ancora i segni del suo passato artigiano. «Attraverso il grande portone si accede a un cortile rigoglioso, ogni pietra porta i segni del tempo come se custodisse storie dimenticate». Da qui l’idea di un restauro rispettoso — pietra locale e làderis di terra cruda — che conservasse la memoria del luogo trasformandolo in spazio culturale aperto. “Sa Buttega” oggi vuole essere «un punto di riferimento, prima per Villasalto e poi per il Sud Sardegna, dedicato alla condivisione, alla creatività e alla valorizzazione delle identità locali». Mostre, laboratori e residenze d’artista si intrecceranno con le feste del paese: la sagra di Santa Barbara, Su Sinnadroxiu dove il latte diventa formaggio, Is Animeddas coi suoi scambi di dolci. L’obiettivo è «usare il linguaggio universale dell’arte per raccontare l’autenticità». La comunità «Siamo stati accolti dalla popolazione e dalla pubblica amministrazione, entrambe entusiaste delle nostre idee» raccontano, aggiungendo di sentirsi «specchi e finestre»: specchi che riflettono la bellezza già presente, finestre che la collegano al mondo esterno. Uno dei momenti più significativi è quando il figlio Kai, dieci anni all’arrivo, ha colto l’essenza del progetto: «Mamma, ora capisco perché siamo venuti a vivere qui. Se non ricordiamo la bellezza di questo luogo, rischia di essere dimenticata per sempre». Guardando avanti, la posizione strategica di Villasalto — porta del Gerrei a mezz’ora da Cagliari — può attrarre viaggiatori in cerca di esperienze genuine. «Oggi, più che mai, abbiamo bisogno dell’autentico». Radicati in un paese «ricco delle cose essenziali: tradizioni, cultura, amicizia, ospitalità e solidarietà », i Manca non pensano ad altri traslochi: «Villasalto è diventata la nostra casa ».
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La biblioteca di Chiaramonti? Si sposta al mercato
Un incontro tra libri, ambiente e comunità per comunicare iniziative di lettura soprattutto sui temi dell’ecologia e della sostenibilità
Chiaramonti Ha riscosso un notevole successo venerdì mattina la prima giornata dell’iniziativa “La biblioteca al mercato”, svolta nel mercato rionale in piazza Costituzione nell’ambito del progetto “Impronte leggere – Un passo alla volta per cambiare il mondo” promosso dalla biblioteca comunale in collaborazione con lo Sbangl (Sistema bibliotecario dei Comuni dell’Anglona e della Bassa Valle del Coghinas), la Comes (Cooperativa mediateche sarde) e l’Unione dei Comuni dell’Anglona. Un incontro tra libri, ambiente e comunità per comunicare iniziative di lettura soprattutto sui temi dell’ecologia e della sostenibilità. Un’occasione anche per divulgare le attività della biblioteca e coinvolgere il maggior numero di persone. «All’inizio ero un po’ scettica _ ha detto la responsabile Caterina Marrone _, invece le persone hanno risposto benissimo. Nonostante il caldo, in tante si sono avvicinate al nostro banchetto, chiedendo informazioni e suggerimenti di lettura per l’estate. Molte hanno preso libri in prestito e abbiamo addirittura fatto nuove iscrizioni». L’iniziativa della biblioteca al mercato, che in diversi luoghi è già una consuetudine consolidata e si accompagna ad altre iniziative delle biblioteche appartenenti allo Sbangl per il progetto “Impronte leggere” (dai laboratori eco di Laerru a quelli di Bulzi e Tergu), è stata anche occasione per distribuire la “Guida ai servizi” con una breve storia della biblioteca, ora al numero 16 di via Vittorio Emanuele, e una descrizione di tutte le attività adatte a qualsiasi tipo di lettore, da quello tradizionale a quello più social e interattivo. Per info: tel. 079 568025; e mail chiaramonti@sbangl.it - o bibliochiaramonti@tiscali.it, su Facebook e Instagram.