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1.7.24

Sassari, Elisabetta Ganadu: «Dal basket nasce la speranza»

     nuova  sardegna  

Sassari La prima amichevole primaverile non è andata benissimo: a un certo punto il divario tra le due squadre era così ampio che si è deciso di non segnare più i punti nel tabellone. La seconda uscita, pochi giorni fa, è andata un po’ meglio e a fine partita sulla chat delle maestre è comparso un messaggio pieno d’entusiasmo: “abbiamo vinto... il premio simpatia!”.La coach fa la faccia di quella che la sa lunga, fa ruotare una palla a spicchi sul


palmo della mano e dice lapidaria: «L’anno prossimo saremo pronti. Ma in ogni caso non siamo qui per vincere».Se avesse il risultato sportivo tra le sue priorità, lei non sarebbe di certo qui. Elisabetta Ganadu, la decana degli istruttori di pallacanestro di Sassari, dopo oltre mezzo secolo sul campo ha deciso di provare qualcosa di nuovo: da qualche mese ha tra le mani la squadra più scalcinata, colorata e divertente del panorama cestistico giovanile isolano. Un piccolo gioiello sbocciato in un contesto socio-economico estremamente complicato 
La sfida più difficile Siamo nel cuore di quello che molti considerano il rione-ghetto del centro storico di Sassari. Poche migliaia di residenti, moltissimi stranieri, sottoservizi e riqualificazione urbana rimasti indietro di 30 anni rispetto al resto della città, nessun campo all’aperto, una fiorente attività di spaccio (e consumo) di droga gestita in gran parte dalla mafia nigeriana, ordine pubblico spesso oltre i livelli di guardia. Al centro di questo quartiere così difficile e affascinante, svetta la scuola di San Donato. Un’eccellenza a livello didattico, prima ancora che dal punto di vista delle dinamiche legate all’integrazione. Oasi, calamita e faro per centinaia di bambini di ogni età. Qui, una mattina dello scorso settembre, Elisabetta Ganadu ha suonato il campanello e si è presentata di fronte alla dirigente Patrizia Mercuri. «Non la conoscevo – racconta l’istruttrice –, ma mi ha ricevuto in un minuto e due minuti più tardi aveva già dato l’ok entusiastico alla mia proposta: allenare gli alunni e le alunne nel pomeriggio nella palestra scolastica e formare una squadra di basket». Niente di straordinario, a prima vista. Quello che l’istruttrice non dice, però, è che questa “partita” si gioca completamente gratis: zero euro di compenso per lei, zero euro di retta per i bambini.I diavoli di San Donato Si sono dati un nome internazionale, Devils, proprio come l’estrazione di questo istituto. Quasi tutti sono nati a Sassari ma le loro famiglie arrivano da Senegal, Nigeria, India, Romania, Bangladesh, Serbia. Tra i San Donato Devils ci sono anche sassaresi doc, ovviamente, in chiassosa minoranza. «La squadra è mista da ogni punto di vista – racconta Ganadu –, anche quello anagrafico. Ci siamo allenati per due volte alla settimana per tutto l’anno scolastico utilizzando le attrezzature dell’istituto. Il gruppo è composta da una ventina di bambini e bambine e tra loro si è creato un grande feeling nonostante le differenze di età. Ovviamente non c’è stata alcuna selezione: chiunque avesse voglia di venire a passare un paio d’ore con noi è sempre stato il benvenuto». Nonostante la fine dell’anno scolastico, la squadra ha continuato ad allenarsi per tutto il mese di giugno, di mattina. Solo in questi giorni verrà dato il “rompete le righe” con l’arrivederci a settembre».Il premio più bello Elisabetta Ganau porta il fischietto alla bocca, ordina due minuti di pausa e si mette a raccontare. «Fa uno strano effetto dirlo oggi, ma il mio primo corso da istruttrice di minibasket risale al 1970 e da tanti anni ho il patentino di tecnico nazionale. Da allora non ho mai smesso di allenare e mi sono sempre divertita: con la Virtus di Ninni Polano e la Torres, soprattutto, negli ultimi anni con la Dinamo 2000 e la Gans. Stavolta però c’è qualcosa in più – dice –, ciò che mi sta restituendo questa esperienza dal punto di vista umano non ha eguali».
I suoi quattro nipotini rappresentano la continuità in una famiglia che è sempre vissuta a pane e sport. I tre figli di Elisabetta hanno primeggiato in diversi sport: Alessandro ha giocato con la Dinamo in serie A, il gemello Luca è stato campione italiano di motorsport e in sella a una moto è arrivato secondo al Rally dei Faraoni, Chicco ha militato in serie A di pallamano. «Qualche volta porto due dei miei nipoti qui agli allenamenti – racconta – perché un bel bagno di realtà fa sempre bene. So che alcuni dei bambini che seguiamo hanno problemi di vario genere. A volte con Rossella Dettori, una delle insegnanti che rappresentano le colonne di questa scuola, facciamo il giro delle case per andare a recuperare qualche assente. A volte qualche bambino sparisce perché magari la famiglia si è trasferita all’improvviso. Ma queste sono dinamiche che l’istituto ben conosce. Però quando siamo in palestra c’è rispetto, coesione, ci si scambia il succo di frutta, la merendina. E ci si diverte. Come in una squadra vera». Dentro la palestra scolastica, i piccoli diavoli di SanDonato giocano e sognano di partecipare a un campionato vero. «Ci piacerebbe iscriverli, soprattutto per avere la scusa per portarli un po’ in giro per il circondario. Per ora abbiamo giocato due amichevoli all’Hangar».Il punteggio? Un bagno di sangue, ma per i San Donato Devils è stato come giocare al Madison Square Garden.

 

8.12.23

censurare la musica trapp e rap ed gli altri generi musicali non conformi bandendoli da internet e da san remo come chiede i codacons con i Sad, il gruppo punk di Milano è la soluzione ?

leggi anche
 

Guè Pequeno, e Young Rame. A sinistra, ai due estremi: Marracash in giacca blu e “Nazza” Calajò

Se prima mi piaceva i rap e lì'hip hop e musica delle posse    ed  altri  generi  non conformi  come  il  punk  , infatti è stato uno dei veicoli da cui si è sviluppata la mia formazione politico culturale . Adesso con la quasi fusione  tra  il   rap e  il sottogenere trapper nonostante le sottili differenze    riassumibli . A qiuesto  punto non so  se  la  censura  sia  giusta   o meno    opppure condurre  ua  guerriglia 

Stile  Musicale e Atmosfera 

Rap: Il rap è noto per la sua enfasi sulla recitazione ritmica di versi e rime sincopate, con un’attenzione particolare alla lirica e alla tecnica verbale. L’atmosfera sonora può variare ampiamente a seconda dello stile dell’artista, ma solitamente si pone in secondo piano rispetto alla lirica.  

Trap: La trap si contraddistingue per un’atmosfera oscura, pesante e ricca di bassi profondi, che contribuisce a creare un’ambiance coinvolgente. A differenza del rap tradizionale, la lirica spesso viene messa in secondo piano a favore del ritmo e delle sonorità.

Origine e Sviluppo: 

Rap: Il rap ha radici profonde nella cultura afroamericana e ha iniziato a svilupparsi negli anni ’70, con influenze africane e tradizioni orali.
Trap: La trap music ha avuto origine nel Sud degli Stati Uniti, in particolare ad Atlanta, Georgia, all’inizio degli anni 2000. È emersa come una fusione di influenze musicali, tra cui il rap, l’hip hop e la musica elettronica.

Tematiche e Diversità:

Rap: Il rap affronta una vasta gamma di temi e spesso pone una maggiore enfasi sulla lirica, consentendo agli artisti di comunicare storie e messaggi complessi attraverso le parole.
Trap: La trap è notevole per le sue liriche che spesso trattano temi legati alla vita di strada, al consumismo e alle esperienze della gioventù contemporanea. Ha portato alla creazione di vari sottogeneri, ognuno con proprie tematiche e stili distintivi.

qui    un  ulteriore  aprofondimento

è  diventa  solo   veicolo   d'odio , misogenia  , agiografia   della  criminalità  ,   edonismo  spinto  


infatti leggo da
  • Il Fatto Quotidiano


  •                                     Davide Milosa

  • Gli inchini live di Guè e Marra “I rapper al servizio del boss”

    Testi e magliette per “Nazza” Calajò, ras della Barona arrestato per droga. E Young Rame canta “come si smonta un uomo”

    IL BOSS della Barona, Nazzareno Calajò, è stato arrestato ad aprile. Per lui e altri, accuse a vario titolo di associazione e traffico di droga. Dagli atti emergerà anche la volontà di Calajò, detto Nazza, di uccidere il capo della curva dell’inter Vittorio Boiocchi, poi ucciso il 29 ottobre 2022. Per questo fascicolo Calajò non è indagato. Gli ultimi atti confermano il legame con alcuni rapper. Tra questi Young Rame, autore di testi apologetici per Calajò. E di cui ilfattoquotidiano.it scrisse a giugno. Rame rispose sui social: “Buongiorno giornalista (...). Qualsiasi persona che abbia almeno finito la scuola elementare ascoltando il brano ‘Fine pena mai’ può capire che è un fatto di cronaca visto dai miei occhi”.

    L’inchino al boss da parte di due tra i rapper più noti della scena musicale italiana è un fatto che nella malavita milanese ancora non si era registrato. È accaduto, invece, come riporta una nota conclusiva della polizia penitenziaria allegata all’indagine dei pm Francesco De Tommasi e Gianluca Prisco. Il boss in questione è il ras della Barona, Nazzareno Calajò detto Nazza. I cantanti mainstream: Marracash, al secolo Fabio Bartolo Rizzo, e Cosimo Fini, in arte Guè Pequeno, né indagati né coinvolti nell’inchiesta. Il Fatto ha contattato gli agenti dei due cantanti. L’ufficio stampa di Marracash non ha voluto commentare. E nemmeno lo staff di Guè.

    È IL 10 LUGLIO

    scorso quando migliaia di persone affollano il pratone dell’ippodromo di San Siro. In scena un vero show hip pop organizzato dallo stesso Guè Pequeno, il quale a tarda sera saluta pubblicamente il boss urlando: “Nazza libero. Free Nazza! Una mano su!”. In quel momento, Calajò è in carcere, era stato arrestato ad aprile assieme ad altri della banda della Barona con l’accusa di traffico di droga. Il 21 settembre 2022 sul palco del Forum di Assago canta Marracash. In quel momento, Nazza è ai domiciliari. Annota la penitenziaria: “Nel ringraziare le persone presenti, il cantante rivolge un saluto particolare ad Alessandro Calajò (Kalash), all’amico Mattia Di Bella e all’immancabile Nazzareno Calajò”. Anche Ale Kalash, figlio di Nazza, si trova in carcere, con lui il cugino Luca Calajò,

    Il “bandito” e i “campioni” Saluti dal palco al “grande zio”. La polizia penitenziaria: “I videoclip rafforzano la famiglia criminale” I manager: “No comment”

    uno dei capi della banda. Marracash: “Ci tengo a ringraziare la gente del mio quartiere venuta a queste serate. Mattia (Mattia Di Bella, altro cantante, in arte Young Rame), Kalash (Alessandro Calaiò), Momo e soprattutto il grande zio Nazza. Un abbraccio!”. Subito dopo “l’inchino” di Marra, Luca Calajò, presente al concerto, invia messaggi alla zia e alla moglie di Nazza: “Fai un video, lo zio che ringrazia Marracash, l’ha salutato davanti a tutti, fai fare un video allo zio”.

    Annota la polizia penitenziaria: “È noto che la famiglia

    Calajò domini il quartiere Barona e il suo predominio lo ha ottenuto anche grazie al consenso di parte della popolazione residente, alimentato mediante numerose comparse dei principali esponenti della famiglia criminale nei videoclip di famosi cantanti rapper come Guè Pequeno, Marracash e Young Rame il cui tema principale è l’ostentazione del lusso, del denaro facile e l’esaltazione della violenza”. Secondo la Procura di Milano, “la fama e il successo dei rapper sono un utile tornaconto per Calajò, non soltanto per la rappr ese nta zio ne del suo carisma, ma anche una perfetta cassa di risonanza per la sua professata innocenza”. Intercettato, Nazza dice: “Altro che non servono a un cazzo i cantanti, i cantanti servono!”. Tanto che, sostiene Nazza in carcere, gli dedicano alcune canzoni: “Adesso m’hanno fatto una canzone per me Marra, Guè e lui (Young Rame). Compongono le canzoni per me! Hai capito?! Guè pure mi ha fatto una canzone Il tipo”, il cui testo recita: “Anche se l’hai capito, tu non fare mai il nome del tipo (…) Finché comanda è meglio che godere (...) Il tipo ha più di un soldato”. Mentre, scrive la Procura, “in un fotogramma del videoclip del brano Love interpretato da Marracash e Guè Pequeno, sono presenti Alessandro e Nazzareno Calajò insieme a Marracash e Young Rame”. Lo stesso

    Rame, anche lui non indagato, è autore di diverse canzoni su Calajò. Tra queste l’anziano e Fine pena mai. “Brani – scrive la penitenziaria – realizzati su espressa richiesta di Calajò, che non si esclude possa essere stato lui stesso a comporne i testi, con cui Nazzareno intende catalizzare l’attenzione sulla sua vicenda, sulla reclamata innocenza rispetto alle accuse mosse dalla Procura”. In un passaggio dell’anziano si ascolta: “L’anziano mi ha insegnato un’altra educazione. Ad avere i nervi saldi durante l’azione. Come smontare un ferro, come smontare un uomo. Dalle mani alle pistole, è la Sicilia di Milano. L’anziano sta chiuso a Opera anche se è innocente”. Mentre in Fine pena mai un passaggio, secondo la Procura, è rivolto a uno dei pm: “Ho un messaggio anche per te che non hai identità. Hai rovinato le persone e questo non si fa”. Young Rame, dopo un articolo uscito sul fatto.it a giugno, aveva pubblicamente risposto: “La realtà non è quella che lei ha riportato, io ho rispetto per ogni persona onesta”.

    IL 23 GIUGNO,

    Nazza parla con il nipote: “M’ha scritto Rame, lui combatterà, gli ho dato una forza che ne farà altre mille di canzoni se è il caso”. Chiosa la Procura: “La massima espressione della solidarietà dei cantanti alla famiglia di Calajò è la produzione di magliette con l’effigie ‘Nazza Libero’, ‘Verità per Nazza’ indossate dai cantanti nei loro videomessaggi sui social”. Inizialmente Marracash non vuole indossarla, un gesto forse estremo per la sua immagine. Nazza non la prende bene e gli dà del “traditore e dell’infame”. Fino a che, osserva la Procura, anche Marra, quasi costretto, indosserà “la famigerata maglietta”. I cantanti quindi contano per Nazza. A tal punto che, come emerge da una intercettazione, uno di loro girerebbe alla banda il 10% degli incassi. “Un sostegno economico che servirà al gruppo criminale per affrontare, senza particolari affanni, le spese relative alla detenzione in atto”.


    Ora  

    un  autoifesa     poco  convicente    perchè ok sta mettendo  in musica  un evento    di  cronaca   , ma    un  conto  è un testo  neutro  (  qualora  non puoi o non  vuoi prendere  posizione  )   o   contro  un altro  è  fare un componimenti elogiativo . A questo  punto  non so se  la censura ed  il boicottaggio     serva  oppure   sia  meglio una guerriglia  contro  culturale  cioè  immettendo  ed  contrapponendo    all'interno della  stesso genere     la cultura  della legalità . voi che  ne  pensate  ?

    31.8.22

    Marco Guerra, trent'anni da libraio di periferia: "Ce l'ho fatta perché sono più veloce di Amazon"

      da repubblica sdel 31\8\2022

    Marco Guerra, trent'anni da libraio di periferia: "Ce l'ho fatta perché sono più veloce di Amazon"

    La libreria Pagina 348 festeggia l'anniversario a Roma Sud: "Il segreto è non fare sentire solo il lettore"


    C’è un gran silenzio estivo in viale Cesare Pavese quando Marco Guerra alza con gran fracasso la saracinesca della sua libreria, Pagina 348. Periferia sud di Roma, alla fine di una sfilza di palazzine tra l’Eur e il Grande Raccordo anulare. “Qui tutto è cambiato rispetto a quando abbiamo iniziato, trent’anni fa. Non c’era internet, né Netflix, non avevano ancora inventato lo smartphone. La gente usciva di più, sia di

    giorno che di sera, faceva lo struscio lungo questa via, nel quartiere prosperavano ancora cinque librerie indipendenti”. Guerra le elenca: quella dei Congressi, i due punti di vendita di Palma, Book and Byte e un’altra di cui non ricorda più il nome. È rimasto solo lui. “Oggi i ragazzi vanno al centro commerciale il pomeriggio, ne sono sorti addirittura due, l’Euroma2 e il Maximo. E infatti quasi nessuno più passeggia in via Pavese. Laddove c’era una profumeria ora c’è il Compro oro, e al posto del negozio di scarpe è sorta una sala giochi”. Guerra si siede su un pacco enorme di nuovi arrivi appena scaricati dal corriere, “siedo su 17mila euro di roba”, scherza. Alle sue spalle c’è un cartello con la scritta “La libreria consiglia”: due scaffali di libri che gli sono piaciuti, a lui, al fratello Alessio e alla loro collaboratrice Cristina Navarra. “Molti li abbiamo consigliati prima che diventassero famosi, e infatti questo scaffale è il più redditizio".
    Spiccano i libri di Piero Trellini su Italia-Brasile e Che hai fatto in tutti questi anni, il saggio di Piero Negri Scaglione su C’era una volta in America, Stoner Il ritorno di Matar, La simmetria dei desideri di Nevo, gli ultimi romanzi di Valentina Farinaccio e Silvia Dai Pra', per citarne alcuni. Sullo scaffale ci sono anche due dvd, del film Bangla, e Quando c’era Berlinguer di Veltroni. Cinema e calcio, due ossessioni per Guerra, 50 anni, di sinistra e molto romanista.

    Cita le altre scoperte: Antonio Manzini, Fabio Bartolomei, Daniele Mencarelli, Marco Malvaldi. “Malvaldi venne qui nel 2007, aveva ancora i capelli scuri, non lo conosceva nessuno, vennero ad ascoltarlo dodici persone. Nel quartiere cominciarono a chiedermi i suoi libri. Questo l’ho imparato col tempo: una presentazione felice suscita sempre un’onda, innesca un passaparola. E perciò ne facciamo tantissime, anche nei pub, nei ristoranti, col circolo Arci, nella vicina biblioteca Laurentina che solo in teoria rappresenta una concorrenza per noi. Niente puzze sotto il naso. Sono un libraio indipendente, ho i miei gusti, le mie idee, ma il segreto è entrare in relazione col cliente, capire cosa vuole. Servirlo. Mai anteporre le tue idee. I librai che agiscono così alla fine chiudono”. Racconta di quella volta che tappezzò l’intera vetrina della biografia di Totti. “Alcuni colleghi mi criticarono. Ma nei giorni successivi cominciò a entrare in libreria gente mai vista prima. Il garzone del bar di fronte, l’estetista del centro nella via, il benzinaio. Non prendevano un libro in mano dai tempi della scuola, alcuni poi sono tornati. Non è detto che uno di loro finisca per passare, prima o poi, a un Adelphi”. Il libro della Meloni quelli di destra lo cercano? “Non più di tanto”. È stato un bestseller. “Sì, ma stranamente ne ho venduto poche copie”.Guerra è torrenziale. Si percepisce una passione profonda per il suo mestiere e una conoscenza vera per l’altro (un bravo commerciante è anche uno psicologo). Cita a precipizio tutte le attività accessorie che si è inventato per campare: corsi di scrittura creativa, presentazioni in presenza e online, pranzi con l’autore, dirette social, laboratori per bambini, gruppi di lettura, acquisti sul web: “Oggi ne ho venduto uno a Campobasso”. Dice: “Per ogni libro venduto si guadagna il 30 per cento rispetto al prezzo di copertina, con uno scolastico il 15. È un’arma a doppio taglio lo scolastico, se non lo sai fare, ti fai molto male. Soprattutto oggi conta la rapidità. Il cliente che mi chiede un libro che non ho in negozio alla mattina lo deve trovare alle quattro del pomeriggio. Mi sono salvato perché sono più veloce di Amazon, che detiene ormai il 40 per cento delle vendite. Nella pausa pranzo prendo la macchina mi precipito nel magazzino oltre il raccordo, mangio un panino all’autogrill, e torno col libro. Quel cliente tornerà”. Guerra tiene aperto anche la domenica mattina. “La gente esce da messa e passa da qui, per parlare della Roma, o di politica. È come stare in un paese, ti senti al centro della comunità”. 

    Che periferia è questa?, gli chiediamo. “Molto composita, vivace, classe media, più ricca verso l’Eur, decisamente più impoverita verso il raccordo. Per andare a teatro bisogna arrivare a Testaccio; lo stadio e l’Auditorium sono proprio dall’altra parte". Tutto è cambiato, ripete. Anche i negozi di viale Europa non sono più di una volta, ma non si può vivere di nostalgia, di quando i librai stavano dietro al banco col grembiule”. Guerra è figlio d’arte. Suo padre, Mario, s’inventò le prime rassegne a Castel Sant’Angelo, negli anni Ottanta. “Sapeva il catalogo a memoria, era una generazione formidabile, che viveva in librerie tappezzate di libri fino al soffitto, e avevano tutto in testa”. Stasera, nell’arena della Biblioteca Laurentina, il quartiere festeggerà la piccola impresa, trent’anni di vita non sono pochi per una libreria di quartiere. Ma qual è il segreto, alla fine? “Non voglio essere solo. Bisogna imparare a stare insieme agli altri, parlarsi, vedersi, allearsi, fare comunità. Vale per un libraio, ma in fondo è una regola valida per tutti”.

    8.4.21

    "Il disagio chi lo vive non lo vanta": Francesco Scioni, in arte Shony da Sant'Elia smonta il mito trap criminale con la sua Desaparecido



    Cercavo materiale per un post ( lo leggerete a breve è ancora in word progress ) e su https://youtg.net/canali/culture ho trovato questa bela notizia proveniente dal mondo rap \ hip hop .

     CAGLIARI. "Ancora con questa gara a chi sarà Don Vito". E "il disagio chi lo vive non lo vanta". E ancora: "Da dove provieni vieni già additato. Zona popolare quindi un derivato. Pare criminale anche un incensurato". Versi, veloci, in musica di Francesco Scioni, in arte Shony, 31 anni, che in due minuti e diciassette del video "Desaparecido" - girato interamente a Sant'Elia - smonta l'artefatta mitizzazione di molti protagonisti della scena trap, che millantano radici nei quartieri popolari e più violenti, ma non sanno bene nemmeno quale sia il Codice di avviamento postale. Un pezzo in controtendenza, quello di Shony, cresciuto al Cep e trasferito a Sant'Elia a 12 anni: due quartieri popolari di Cagliari, dove la strada bisogna conoscerla. E non necessariamente mitizzarne le devianze: "La mia", spiega, "vuole essere una po' una critica su questo trend soprattutto della trap italiana di mitizzare la criminalità come se fosse la gara a chi ha la fedina penale più sporca". Un passaggio di desaparecido fa riferimento a "palazzi che sanno di Eldorado": "Questo quartiere", raccota Sciony, "è pieno di brave persone e di risorse urbane anche se molte di esse sono abbandonate a loro stesse, ma c'è da dire che negli anni il posto è migliorato tanto". 

    Il video


     


     pubblicato su YouTube viaggia verso le diecimila visualizzazioni  buon segno   rispetto agli altri video idioti  , spesso inventati e iperealistici  , del genere trap 



    8.5.17

    Binario morto di © Daniela Tuscano

    L'immagine può contenere: pianta e spazio all'aperto
    Ferrante Aporti la conosco bene, è l'unica via milanese perennemente in bianco e nero. Un paradigma della città, per alcuni; benché Milano, al pari d'una maliarda un po' sdegnosa, sappia regalare, quando vuole, trilli d'azzurro. Ma Ferrante Aporti no. Conserva la sua ombra ferrigna, i sordidi magazzini, le gallerie tetre e infinite come ventri di balena. E la ferrovia. Essa pure periferica, binario sfumato fra ruderi d'erba. Da uno dei tralicci, ieri, un profugo maliano s'è legato una corda al collo ed è balzato nel vuoto, penzolando poi per interminabili minuti. Lunga sagoma nera sul nero delle pareti. L'ha fatto di domenica, a mezzogiorno, l'ora più viva e atroce. L'ha fatto in giorno di festa, nell'invidiata distrazione del desinare, perché lui, senza nome né documenti, non l'aspettava nessuno, nemmeno il centro d'accoglienza. S'è accomiatato da un retrobottega di stazione perché solo lì il peso del vivere gli è piovuto addosso, con echi di urla, sangue, bombe e sole implacabile. O semplicemente povertà, divenuta a un tratto miseria, e lui certo, ormai, d'aver perduto per sempre la sua dignità d'uomo. La solitudine non lascia scampo nel paese felice, che vedi bello e irraggiungibile. Per esserci devi sparire, e immergerti è l'unico grido. Solenne, sacrale, tuo
    © Daniela Tuscano

    18.5.14

    [ post notturno ] Scampia, l’oasi di calcio in un deserto incompreso e IL LUNGO VIAGGIO Da Praga a Tempio in bici per rivedere un vecchio amico

    non riuscendo a prendere  sonno  , mi  metto a cazzeggiare e in rete   e    trovo  queste  due storie

      la   prima storia    viene da   repubblica  online di qualche  giorno  fa  




    NAPOLI - C’è un quartiere a Napoli che ha assunto l’immagine mediatica del potere della camorra. Si chiama Scampia, per molti è solo una periferia all’insegna del degrado e soprattutto un grande supermercato di droga a cielo aperto. In realtà Scampia è ben altro, è un cuore pulsante di solidarietà, impegno sociale, vitalità, partecipazione e voglia di riscatto. Non bisogna fermarsi alla superficie, alla crudeltà che fa notizia, alla sensazione di perdizione che questa periferia trasmette, quasi come se fosse un altro mondo, un quartiere fuori le mura di cinta della città di Napoli. Se ci s’immerge nella vita di Scampia, si notano varie oasi di resistenza al degrado,avamposti di una battaglia generale contro l’abbandono sociale. Tra quelle di maggior successo, c’è una che utilizza il calcio, lo sport più popolare, l’attività per eccellenza degli scugnizzi, per reagire alle prospettive di vita che sembra disegnare lo strapotere della camorra

     Si chiama Arci Scampia la creatura costruita da volontari, maestri di calcio, dirigenti che hanno intrapreso e vinto una sfida collettiva. Il factotum è Antonio Piccolo, in passato portiere con trascorsi in Serie D e nei campionati dilettantistici, oggi simbolo di questa splendida esperienza. Per tutti quelli che, quando pensano a Scampia, immaginano solo droga e violenza, consiglio un viaggio a Napoli con destinazione Via F.lli Cervi, 8. Troverete un centro magnifico con tre terreni di gioco in erba sintetica, un’area d’allenamento per i portieri e un campo di pallavolo. Ma com’è nata questa struttura? Qual è il suo percorso? Come ha acquisito il ruolo di oasi in un deserto incompreso?
    Tutto è nato nel 1986, mentre la città di Napoli s’apprestava a godere le magie di Maradona, si lavorava all’idea di una scuola calcio a Scampia partendo da un circolo Arci. L’inizio dell’avventura è romantico, si comincia al “Monterosa”, un campetto in terra battuta realizzato con l’impegno di alcuni volontari che decidono di strappare una zona all’abbandono. La struttura non ha mura di cinta, reti che separano l’impianto. Al primo giorno al campo si presentano solo sette bambini, figli di amici di Antonio Piccolo, che aveva diffuso l’iniziativa in tutto il quartiere. C’è la paura di fallire, di spegnere il fuoco di quell’impresa molto prima che si riesca a realizzarla, a viverla. A Scampia, però, non si molla e gradualmente le soddisfazioni cominciano ad arrivare.
    L’Arci Scampia s’iscrive al campionato Giovanissimi regionali ma, mentre s’allenava al “Monterosa”, giocava a Villaricca. Contemporaneamente l’impresa del “Monterosa” non s’arrestava, il terreno di gioco viene allargato, diventa regolamentare. In pochi mesi l’impianto nato dalla passione dei cittadini diventa un punto di riferimento, il luogo di ritrovo per il quartiere nel weekend.
    Molto presto l’avventura al “Monterosa” arrivò, però, al capolinea, il campo polveroso servì per sistemare gli abitanti delle “Vele”. Allora l’Arci Scampia è costretta a ripartire, gli allenamenti si svolgono ai campi di calcetto G.P. mentre le gare agonistiche si disputano allo “Stornaiuolo” a Secondigliano. E’ una vita in salita quella dell’oasi in un deserto incompreso, una battaglia costante per restare in vita e svolgere un lavoro sociale che coinvolge sempre più bambini. Nel frattempo continuano le battaglie per lo stadio “Comunale” di Scampia, che sarà poi costruito nel 2008. Un’opera ancora da perfezionare poichè non c’è il manto erboso che darebbe lustro all’impianto.
    L’Arci Scampia è una realtà ambiziosa e ha sempre creduto in un sogno: una struttura propria, un punto di riferimento che valorizzi il faticoso ma emozionante impegno quotidiano al fianco dei ragazzi del quartiere. Si tratta di un’attività diversa rispetto alle altre scuole calcio, c’è un’attenzione spiccata verso i valori dello sport e l’aspetto culturale; infatti, è un appuntamento annuale il tour al “Maggio dei Monumenti”.
    Il calcio può sottrarre persone alle insidie della strada, insegnare comportamenti di vita, mettere sulla buona strada, l’Arci Scampia è la dimostrazione concreta di tutto ciò.
    La battaglia per il centro sportivo dura molti anni ma ad un certo punto si apre lo spiraglio; la Dott.ssa Diletta Capissi mette in relazione la scuola calcio napoletana con la Fondazione Banco di Napoli, la prima istituzione a credere concretamente nell’iniziativa. Poi arriverà il contributo della Fondazione San Paolo di Torino e della Regione Campania. L’Arci Scampia presenta una richiesta per uno spazio abbandonato che gli viene assegnato. Tocca poi al loro impegno trasformarlo nell’”oro sociale” che rappresenta questa struttura dopo vari anni dalla sua apertura. Il centro di Via F.lli Cervi apre nel 2006 ma Antonio Piccolo e i suoi compagni d’avventura devono fare i conti con uno scempio vergognoso: cani randagi, atti vandalici e scene di degrado profondo. Chi si ferma è perduto e l’impegno dell’Arci Scampia continua, raddoppiando le forze per far crescere una realtà che coinvolge sempre più bambini.
    La svolta arriva tra il 2008 e il 2010, con il progetto “Campioni nella vita” sostenuto dalla Fondazione Cannavaro-Ferrara e dalla Vodafone. Così il centro è potenziato e diventa il gioiello dei giorni nostri, un’imponente oasi in un deserto che resta incompreso ma che ha un punto di riferimento solido per il proprio riscatto. L’Arci Scampia continua a crescere, conta circa cinquecento ragazzi mantenendo i costi d’iscrizione bassi per conservare la sua grande anima sociale. C’è, però anche un grande lavoro tecnico, realizzato da circa quaranta collaboratori, molti volontari. Un laboratorio di calcio, come dimostrano i risultati sportivi, anche in questa stagione gli Allievi Regionali stanno disputando i play-off, e i tanti talenti costruiti con un rapporto consolidato con il Napoli. Allegra, in prestito al Pavia, e Izzo, in comproprietà con l’Avellino, sono i volti-simbolo di una splendida storia dal Sud. Un’avventura di periferia, un’oasi di un deserto incompreso che ha scelto il calcio per combattere una guerra con ignoranza e degrado al centro del proprio quartiere.



    la  seconda   dalla  nuova  sardegna  del  16\05\2014  cronaca  di Olbia-  Tempio  

    IL LUNGO VIAGGIO
    Da Praga a Tempio in bici
    per rivedere un vecchio amico

    TEMPIO E’ arrivato da Jicin( Praga) a Tempio in bicicletta, per trovare un amico. Il protagonista della storia è Ivan Pirko, ingegnere in pensione di 72 anni, appassionato di lunghi viaggi in bicicletta. Stavolta “il giovanotto” ha compiuto il viaggio con un suo amico, Mirec Jiran di 70 anni. L’amico tempiese è invece il professor Augusto Carta, noto camperista, conosciuto a Praga nel 1989. Ivan Pirko ha al suo attivo una serie di primati, in bici, fra cui anche un titolo di campione del mondo over 50 nel 2010.(a.m.) 

    27.10.12

    Bella Mariposas di Salvatore Mereu anticipazioni \ SPOILER

      Era  da tempo , forse perchè  non c'era  nessun  film  che  m'attirasse  , quasi immemorabile che non andavop al cinema . Ebbene ieri sono andato  a vedere la prima di Bellas Mariposas il film diretto da Salvatore Mereu ispirato all'omonimo romanzo di Sergio Atzeni (  foto a  destra  )  pubblicato nel 1996 da Sellerio peraltro mai divenuto definitivo perché la morte ha colto Atzeni prima che potesse rivederlo.
     Il film presentato alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia ha ricevuto il Premio Schermi di Qualità " per aver molto efficacemente, adottato il registro della commedia nell'affrontare il tema del degrado delle periferie e del disagio di adolescenti senza prospettive e senza l'appoggio della famiglia".
      Come  per il libro : << Anche se, occorro dirlo, il tono tanto volgare da risultare quasi offensivo e provocatorio è in parte addolcito da un’ironia di fondo non indifferente, a momenti strepitosa (grazie anche a un riuscito mix di italiano, peraltro volutamente malmenato da una grammatica e da una punteggiatura a dir poco carenti >>  ( da libriromanzi.blogspot.it/ )   che  insieme al  sardo-casteddaio, cioè la  variante  di cagliaritana  del campidanese  : << (....) Il cagliaritano (casteddaju) o campidanese comune o cittadino (parlato a Cagliari, e sulla fascia costiera del golfo da Quartu Sant'Elena, Sinnai, nel Campidano dai ceti più elevati e colti e in parte a Iglesias) è spesso adottato come modello di riferimento ed è base del campidanese letterario; tra le caratteristiche fonetiche d>r (giogadori>giogarori, meda>mera); La fascia costiera (escluse le città di Cagliari e Teulada) presenta per ipercorrezione il raddoppio di -l- e -n- (soli>solli, celu>cellu, luna>lunna, manu>mannu, cani>canni, pani>panni). >>  (  da http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_sarda_campidanese  ) . 
     Un film , bello , intenso , con influenze  Felliniane  e  Pasoliniane  , il film  più italiano  di Mereu   che  rispecchia   quanto diceva  Sergio Atzeni  :<< Sono cittadino sardo, italiano, europeo >> . 
    Tale  film mostra le contraddizioni del presente - la bambina traviata e la puttana saggia, il marpione e il bulletto di periferia: un , blues struggente e grottesco affresco delle periferie, ma anche per adolescenti per la capacità di evocare quelle sensibilità estreme senza superficialità e effetti speciali, svelando l'atroce bellezza della vita.Un film che  << (...)  L'innocenza negata delle giovanissime protagoniste, Cate e Luna, "più che sorelle", cresciute nei rioni popolari della "città bianca" tra droga e criminalità più o meno organizzata, prostituzione e proposte indecenti, senza rinunciare ai propri sogni diventa metafora di una verità insostenibile, in cui s'insinua il mistero del divino o il gioco del caso che trasforma un omicidio rimescolando le carte del destino. Un film speciale - grazie all'apporto di attori giovanissimi che restituiscono quella freschezza e imperfezione che è propria della vita, in cui ciascuno recita la propria storia senza mai comprenderla a fondo se non troppo tardi né avere il tempo per fare le prove.(...) continua qui >> da   http://www.cagliaripad.it/  .
    le  due protagoniste  foto del film tratto  www.filmtv.it
      Nei primi minuti  è tanto   per  i benpensanti  ed i puristi della lingua , evidente (  ma   se  riuscite  a  vincerla   ne  sarete  ricompensati   dalla bellezza  e poetica  del film  )   una  sensazione iniziale, di disgusto e fastidio, la  quale  viene  meno via  via  con  visione  come la  la lettura  del  racconto    tramutata in una sorta di allegra e disincantata partecipazione dello spettatore   Il film presentato alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia ha ricevuto il Premio Schermi di Qualità " per aver molto efficacemente, adottato il registro della commedia nell'affrontare il tema del degrado delle periferie e del disagio di adolescenti senza prospettive e senza l'appoggio della famiglia".
    Infatti   secondo http://www.unionesarda.it/Articoli/Articolo/287236  )   : << mischia stavolta, rispettando i toni di Atzeni, realismo, grottesco, surreale e un tocco di magia (con Micaela Ramazzotti nei panni di una maga veggente). Si racconta senza filtri, in dialoghi che alternano sardo e italiano, ricchi di espressioni molto forti e termini in 'slang', l'impegnativa giornata dell'undicenne Cate (Sara Podda), indipendente e fiera, aspirante cantante famosa ("come Valerio Scanu e Marco Carta, sardi come noi" dice) che nel film parla direttamente al pubblico guardando verso la cinepresa, con l'amica del cuore Luna (Maya Mulas) le bellas mariposas, ('belle farfalle' del titolo) in una giornata di libertà lontano dalla periferia. Insieme vanno al mare, girovagano per Cagliari e tentano di salvare da un pericolo reale, Gigi, il ragazzino per cui Cate ha una cotta.
    dalla  rete
    Prende vita così un mondo colorato e violento, tra personaggi bizzarri, squallidi, o ancora con una propria innocenza. Cate mette in scena anche la sua famiglia, tra buoni e cattivi. Fra gli altri, una sorella che 'batte', rimasta incinta a 13 anni; un fratello eroinomane, uno aspirante calciatore e uno bullo violento, un 'babbo' falso invalido, bieco ed egoista, e una madre che si fa carico di tutto. Mereu ha trovato le due protagoniste (emozionatissime tanto da limitarsi a sorridere in conferenza stampa) facendo il casting in scuole cagliaritane dove spesso ha anche curato dei laboratori. Il fatto che il film (ancora senza distribuzione) sia in sardo non impensierisce Mereu  ( foto a  sinistra  ) : "Qui non ce n'è meno che in altri miei film. Però per il cinema fuori degli schemi gli spazi in sala sono sempre più ridotti". Ealla fine della proiezione scatta un'ovazione: dieci minuti di applausi.>> Mereu è   riuscito pur  << Puntando sulla recitazione di attori non professionisti ed esordienti, Mereu forse perde in credibilità recitativa ma guadagna in spontaneità, eliminando quell'alone di misuratezza o artificiosità che spesso accompagna le opere con protagonisti dei bambini o degli adolescenti. Sara Podda veste il personaggio di Cate della sfrontatezza necessaria per rendere naturale anche la più bieca situazione che le accade intorno. Le fa da spalla Maya Mulas, una Luna dal sorriso contagioso e dallo sguardo da bambina cresciuta troppo in fretta. Se meno preparati appaiono i ragazzi scelti per le parti maschili (Tonio e Gigi sono fisicamente poco credibili), a compensare arrivano gli esercizi di stile di Luciano Curreli, impegnato nel tragicomico e per certi versi grottesco ruolo del padre di Cate, e di Micaela Ramazzotti, presente per pochi minuti nei panni della conturbante e misteriosa coga Aleni, strega moderna di un mondo ancora troppo chiuso e tribale  >>  nel convergere sullo stesso tema: la linfa di leggerezza che le farfalle traggono dai palazzi / fiori di cemento. 


                                             promo tratto da  http://www.filmtv.it/film/53085/bellas-mariposas/


    E sempre  dallo stesso  sito  c'è  la  bellissima recensione    (che  condivido in toto  ) e  che qui riporto senza  commenti  ed  aggiunte mie  Di Spaggy scritta il 06/09/2012 

    Adattare per il grande schermo Bellas mariposas, il racconto di Sergio Atzeni, era un'operazione azzardata per varie ragioni. Bellas mariposas è sì un breve racconto di una cinquantina di pagina ma è carico di personaggi, eventi, ambienti e luoghi fortemente denotati. L'io narrante che coincide con il punto di vista della protagonista poteva essere un intralcio per chiunque, così come la scelta di Atzeni di scrivere la sua storia in sardo e senza punteggiatura.
    Salvatore Mereu, armato di coraggio e forse anche di una buona dose di ostinazione, è invece riuscito nell'impresa di realizzare un film che, guardando verso il neorealismo, sfrutta il linguaggio visivo moderno (digitale e telecamera a spalla creano un ibrido tra finzione e documentario metropolitano) per collocarsi tra il cinema pasoliniano e quello felliniano. Non è ardito il paragone: raccontando della degradata vita di periferia e fornendo una panoramica della fauna che la popola, Mereu segue i suoi personaggi da vicino, entra nelle loro vite in punta di piedi e ne esce in maniera altrettanto delicata con un finale sospeso tra dimensione reale e onirica.
    Sarebbe stato facile puntare sul lato pruriginoso del racconto e tentare la carta dello scandalo. Mereu invece sceglie la via della carezza, prende per mano il personaggio di Cate ed entra nella sua testa.
    Con un gioco di rimandi metacinematografici, l'io narrante si trasforma in una continua interazione tra la protagonista e il pubblico, in una sorta di dialogo virtuale in cui si invita lo spettatore ad entrare in scena, sedersi ed ascoltare quello che Cate ha da narrare. Capita sovente che con lo sguardo fisso alla camera, Cate ponga domande a cui dopo cerca di dare risposta o allontani coloro che, invadendo l'inquadratura, la distraggono dal filo della narrazione (prima la sorella Luisella, sul finale anche l'amica/sorella Luna).
    Trasferendo la storia ai giorni d'oggi, Mereu restituisce una Cagliari inedita e mai vista sullo schermo. Spiagge, quartieri e vie della città appaiono volutamente anonime, conferendo al racconto una dimensione universale. La periferia cagliaritana potrebbe benissimo essere quella milanese o quella romana: lo squallore e la miseria dei palazzoni di cemento popolari, abitati da famiglie disperate e disparate, non ha geolocalizzazione né forti connotazioni di carattere socioculturale. L'unica peculiarità è data dal fatto che i personaggi vivono le loro condizioni con assoluta normalità, senza farsi carico del dramma dei loro problemi. Droga, sesso tra adolescenti, microcriminalità e deviazione psicologica sono vissute con la spensieratezza dell'adolescenza di Cate. Anche l'omicidio e la morte di una persona vengono filtrati con lo sguardo di una ragazzina, ora intimorita dal perdere l'amore della sua vita ora invece indifferente, quasi contenta, che qualcuno lo faccia fuori dal momento che il "suo" Gigi è interessato a un'altra ragazza.
    Nella periferia di Cate non c'è spazio per le leggi dello Stato, la cui presenza è assente, così come non c'è spazio per le leggi della morale: ci si prostituisce a 13 anni, si ottiene da mangiare facendo favoretti sessuali, ci si buca di eroina davanti alle sorelle, ci si lascia masturbare da una ragazzina fin troppo contenta di essere diventata l'oggetto delle pulsioni dell'intero quartiere.
    Non c'è neanche speranza, se non quella di Cate di diventare un giorno cantante o di andare a vivere lontano con la sorella e l'amica una.
    Ci sono solo due punti fermi: l'amicizia che permette di volare come belle farfalle e il credere nella Vergine Maria, colei che in un atto di carità regala la felliniana apparizione della coga Aleni, la veggente che prevede e soprattutto determina il corso degli eventi.

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