Ferrante Aporti la conosco bene, è l'unica via milanese perennemente in bianco e nero. Un paradigma della città, per alcuni; benché Milano, al pari d'una maliarda un po' sdegnosa, sappia regalare, quando vuole, trilli d'azzurro. Ma Ferrante Aporti no. Conserva la sua ombra ferrigna, i sordidi magazzini, le gallerie tetre e infinite come ventri di balena. E la ferrovia. Essa pure periferica, binario sfumato fra ruderi d'erba. Da uno dei tralicci, ieri, un profugo maliano s'è legato una corda al collo ed è balzato nel vuoto, penzolando poi per interminabili minuti. Lunga sagoma nera sul nero delle pareti. L'ha fatto di domenica, a mezzogiorno, l'ora più viva e atroce. L'ha fatto in giorno di festa, nell'invidiata distrazione del desinare, perché lui, senza nome né documenti, non l'aspettava nessuno, nemmeno il centro d'accoglienza. S'è accomiatato da un retrobottega di stazione perché solo lì il peso del vivere gli è piovuto addosso, con echi di urla, sangue, bombe e sole implacabile. O semplicemente povertà, divenuta a un tratto miseria, e lui certo, ormai, d'aver perduto per sempre la sua dignità d'uomo. La solitudine non lascia scampo nel paese felice, che vedi bello e irraggiungibile. Per esserci devi sparire, e immergerti è l'unico grido. Solenne, sacrale, tuo
© Daniela Tuscano
Nessun commento:
Posta un commento