La voce della coscienza esiste davvero oppure è soltanto un residuo mitologico? Forse la coscienza individuale è una metafora filosofica come Atlantide, il continente sommerso narrato da Platone, o invece un'altra utopia come quel detto evangelico che recita "la Verità vi renderà liberi". Ogni qual volta osservo il mondo mi chiedo: ma dove sta la nostra coscienza quando commettiamo azioni imperdonabili?
Il 23 maggio di venticinque anni
fa veniva brutalmente assassinato il magistrato Giovanni Falcone.
In quel vile attentato persero la vita tre uomini della sua scorta e anche Francesca Morvillo, moglie di Falcone. All'epoca dei fatti avevo 12 anni e la cosa mi colpì molto. Mi colpì perché ero siciliano come Giovanni e poi perché mio padre lo ammirava tanto e lo seguiva sempre quando appariva in TV. Quell'anno per il mio compleanno chiesi in regalo l'album di Luca Carboni che si intitolava Carboni. Nelle radio italiane impazzava il singolo Ci vuole un fisico bestiale, e come tutti gli adolescenti dell'epoca ero totalmente preso da questo tormentone. Ma all'interno del disco un'altra canzone aveva catturato subito la mia attenzione, Alzando gli occhi al cielo. Il testo dice: "Come fanno i capi della mafia a non pentirsi / come fanno certi potenti a non convertirsi / loro lo sanno quanto male fanno / loro lo sanno quanto è solo un uomo / e sanno bene quanta paura c'è dentro ad ogni cuore / e sanno bene come ci si arrende / come si arrende e come ci si stanca di sognare di cambiare il mondo / ma se per caso alzan gli occhi al cielo con un cielo come questo /come fanno a non cagarsi sotto a non sentire freddo".
In quel vile attentato persero la vita tre uomini della sua scorta e anche Francesca Morvillo, moglie di Falcone. All'epoca dei fatti avevo 12 anni e la cosa mi colpì molto. Mi colpì perché ero siciliano come Giovanni e poi perché mio padre lo ammirava tanto e lo seguiva sempre quando appariva in TV. Quell'anno per il mio compleanno chiesi in regalo l'album di Luca Carboni che si intitolava Carboni. Nelle radio italiane impazzava il singolo Ci vuole un fisico bestiale, e come tutti gli adolescenti dell'epoca ero totalmente preso da questo tormentone. Ma all'interno del disco un'altra canzone aveva catturato subito la mia attenzione, Alzando gli occhi al cielo. Il testo dice: "Come fanno i capi della mafia a non pentirsi / come fanno certi potenti a non convertirsi / loro lo sanno quanto male fanno / loro lo sanno quanto è solo un uomo / e sanno bene quanta paura c'è dentro ad ogni cuore / e sanno bene come ci si arrende / come si arrende e come ci si stanca di sognare di cambiare il mondo / ma se per caso alzan gli occhi al cielo con un cielo come questo /come fanno a non cagarsi sotto a non sentire freddo".
L'album del cantautore bolognese
uscì ben quattro mesi prima della morte di Falcone. La sua canzone aveva
ampiamente anticipato un dramma devastante per l'intera nazione. Forse anche
per questo le parole cantate da Carboni mi rimasero così impresse nella
memoria. Come si può togliere la vita a un nostro simile e poi ritornare alla
propria esistenza senza ripensamenti o rimorsi di coscienza? Quanto vale la
vita di un essere umano se si può vivere con un peso così grande? E questi
assassini sono mai tormentati dal rimorso, dalle immagini e dalle vite spente
con così tanta facilità, oppure si sono assuefatti a tutto, anche all'odore e
al colore del sangue umano?
Edgar Allan Poe scriveva: "A
volte, ahimè, la coscienza degli uomini si carica di un fardello tanto orribile
che riusciamo a liberarcene solo nella tomba. Così l’essenza del crimine rimane
avvolta nel mistero."
Mi preme sottolineare che quando
discutiamo di Giovanni Falcone non possiamo non parlare di Paolo Borsellino. I
loro nomi non si dovrebbero scrivere separati ma attaccati. Infatti ritengo
appropriata la scelta del conduttore Fabio Fazio di chiamare
"FalconeeBorsellino" il programma TV che andrà in onda su Raiuno per
ricordare le stragi di Capaci e via D'Amelio. Insieme i due magistrati hanno
combattuto per sconfiggere la mafia, e a venticinque anni dalla loro morte non
possiamo celebrarli separatamente. Erano amici, colleghi ma soprattutto due
uomini perbene. Questi due eroi civili, questi martiri della libertà non
meritano un fugace e solenne ricordo annuale bensì un costante quanto reale
riconoscimento quotidiano. I più piccoli invece di ammirare i supereroi dei
fumetti dovrebbero appassionarsi alla vita di Giovanni e di Paolo, ai loro
ideali e ai loro sacrifici. Le grandi azioni non sono mai prive di sofferenza e
rinunce personali. Solo così riusciranno a capire che per compiere un vero atto
eroico non occorre volare o possedere poteri straordinari, ma credere
fermamente nel coraggio racchiuso nelle persone cosiddette normali. Umani che
non sono figli di un Dio come Thor o frutto di un esperimento andato a male
come Hulk, ma individui che hanno deciso di lottare per sconfiggere il male.
Può sembrare un'ovvietà, e forse lo è, ma i più giovani devono imparare che
nella normalità di un essere umano è racchiusa la straordinaria possibilità di
cambiare veramente il mondo. Il mondo non ha bisogno di supereroi ma di persone
oneste.
L'esempio di Giovanni e di Paolo
non è stato vano. Loro mi hanno ispirato come un faro nella notte. Ricordo che
dopo la morte di Falcone mi fu regalato il suo libro Cose di cosa nostra
scritto con Marcelle Padovani e pubblicato nel 1991. Leggendolo mi colpì molto
questa frase: "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è
entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle
necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno.”
Caro Giovanni, Caro Paolo, con il
vostro sangue innocente avete riscattato la dignità di una terra e di un
popolo. Il mio popolo, il vostro popolo. Dirvi oggi grazie è ben poca cosa, ma
ogni qual volta mi arrabbio con una terra matrigna come la Sicilia ripenso
subito a Voi e torno a riappacificarmi con le mie origini. Perché nonostante
tutto l'amore e odio che proviamo verso di lei "questa terra come la Ionia
di Eraclito e Anassagora è magica, e richiama sempre coloro che gli
appartengono, come se esercitasse un diritto. La legge dell'appartenenza"
(Manlio Sgalambro).
Cristian Porcino
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