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28.7.17

L'elzeviro del filosofo impertinente

Sono trascorsi 20 anni dalla morte di Lady D. Un lasso di tempo che ha permesso alla principessa del Galles di diventare un mito, e di cristallizzare la sua figura nell'immaginario collettivo. Diana Spencer era una donna libera che rifiutava ogni forma di pregiudizio. Era, in un certo senso, una vera outsider che ha tentato di cambiare il volto della monarchia inglese. Devo ammettere che il Regno Unito ha sempre esercitato un fascino potente sulla mia vita. Chi non ha vissuto gli anni'80 e '90 non può immaginare il carisma di Diana, e dunque non può comprenderla fino in fondo. Quando si muore nel fiore degli anni si rischia di divenire presto un santino da venerare. Diana era destinata a diventare regina d'Inghilterra in quanto consorte del primogenito di Elisabetta II, Carlo, ma il suo dramma personale non lo rese possibile. Il suo matrimonio tormentato con l'erede al trono iniziato nel 1981 si concluse ufficialmente nel 1996, e di conseguenza questo inevitabile passaggio sancì la fine del suo rapporto con la casa reale. La sua tragica morte nel Pont de l'Alma di Parigi spense per sempre il sorriso sul suo volto. Nel 1998 andai per la prima volta in Inghilterra. Per me che adoravo quel paese era un sogno che si concretizzava. Avevo girato il mondo in lungo e in largo ma il Regno Unito non lo avevo ancora visitato. Dopo aver reso omaggio a Canterbury e a Geoffrey Chaucer arrivai a Londra. Londra era il centro dei miei studi e delle mie attenzioni. Sono uno shakespeariano convinto e non potevo non visitare il Globe Theatre. Da questa città sono passati anche i miei miti musicali: I Beatles, Elton John, David Bowie, George Michael e Freddie Mercury. Lady Diana era morta soltanto un anno prima e nei nostri occhi era ancora presente la commozione suscitata dal suo funerale. Mi recai anche nel Northamptonshire per visitare il suo luogo di sepoltura, Althorp House, dimora della famiglia Spencer. Diana non aveva paura d'amare, e di esternare il suo amore incondizionato per i suoi due figli. Non nascondeva le sue fragilità e i suoi malesseri esistenziali. Era la principessa del popolo e non voleva ingannarlo. Aveva compreso che attorno alla sua figura ruotava l'attenzione dei media, e proprio per questo decise di adoperarsi per delle importanti cause umanitarie. Andò in Angola per sensibilizzare l'opinione pubblica sulle mine antiuomo disseminate nei campi. Sposò la lotta all'AIDS e fu anche Madrina delle arti e patrocinò diverse cause ed eventi per raccogliere importanti donazioni in favore dei soggetti più deboli. Da poco aveva ritrovato una stabilità affettiva con Dody Al-Fayed, morto anche lui nello stesso incidente del 31 agosto del 1997 in un tunnel di Parigi. Visitai il grande magazzino Harrods e rimasi sorpreso nel vedere che il padre di Dodi, Mohammed Al-Fayed, all'epoca proprietario del negozio aveva allestito al suo interno un altare commemorativo con la foto di Diana e il figlio. Nel '98, prima di rientrare in Italia, visitai nuovamente la mia amata Parigi, ma questa volta volevo recarmi al Pont de l'Alma. Devo dire che osservando attentamente il luogo della sua morte mi sfiorarono diverse perplessità sulle dinamiche dell'incidente. Non sono un complottista ma non credo alla versione ufficiale. Ricordo la quantità immane di messaggi dedicati a Diana lasciati ai piedi della torcia che sovrasta il tunnel. La sua giovane vita si era spenta come una candela al vento, proprio come la canzone che Sir Elton John aveva cantato al suo funerale. Non voleva diventare un'icona, ma la sua morte l'ha consegnata per sempre alla leggenda. Diana era una donna sensibile in cerca di pace e spiritualità, ma era anche una madre affettuosa che seppe trasmettere ai suoi figli, William e Harry, il valore della normalità. Il loro essere principi non doveva in alcun modo distoglierli dalla consapevolezza di essere vicini al popolo e alle loro problematiche. Lei diceva: "Voglio che i miei ragazzi imparino a comprendere le emozioni delle persone, le loro insicurezze e preoccupazioni, le loro speranze e i loro sogni". A vent'anni dalla sua scomparsa mi piace ricordarla con il suo bellissimo sorriso, con i suoi limiti e i suoi pregi perché Diana era una persona reale, e non un personaggio inventato. Ha speso ogni energia per rendere la monarchia un'istituzione al passo coi tempi. In qualche modo riuscì a rendere più umana la famiglia Windsor. Se la casa reale appare molto meno ingessata lo si deve proprio alla timida maestra diventata in breve tempo la beniamina del popolo. Ma Diana capì anche che la solidarietà è un valore aggiunto da sperimentare quotidianamente nelle nostre vite.
"Fai un atto di bontà, casuale, senza aspettativa di ricompensa, e stai sicuro che un giorno qualcun altro potrebbe fare lo stesso per te" (Lady D).

Cristian Porcino


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7.7.17

L'elzeviro del filosofo impertinente

In vista di un imminente trasloco ho riportato alla luce frammenti di un passato distante anni luce dalla mia memoria e personalità. Rovistando fra scatole e scatoloni ho fatto un viaggio nei ricordi. Sicuramente alcuni vissuti con coscienza e altri un po' meno. Che strana sensazione rivedere i quaderni delle elementari, i primi sussidiari, i ritagli di giornale,  le riviste, i giocattoli dell'infanzia  etc. Più cestinavo e più mi accorgevo che in quei contenitori non c'era più il mio presente e nemmeno il mio futuro. Io come essere umano sono cristallizzato in una dimensione temporale che possiamo chiamare adesso, ma in verità abito un nonluogo! Io sono un progetto in fieri. Una idea partorita da qualche mente sognante che non ha fatto ancora pace con la realtà. Sono stato una determinata persona, e il tempo mi ha portato inevitabilmente altrove. Rivedere quegli appunti e andare immediatamente con la memoria a quell'istante in cui scrissi tutto mi ha riportato a vedere le cose con un certo distacco. In quelle scatole ho rivisto le mille prospettive che potevo attuare. Ho provato un certo sollievo nel buttare diverse porzioni della mia vita. Ho percepito le aspettative e i sogni infranti appuntati con uno spillo sul bavero dell'anima. Crescere significa anche fare i conti con una verità tangibile. Ora comprendo la sensazione di liberarsi di quella zavorra che ti tiene ancorato al passato, e ti fa pensare a tutto ciò che poteva essere e non è mai stato. Ho vissuto forse mille vite senza essermene accorto. Chi era quel bambino che annotava le sue impressioni in quel diario? E quel ragazzo che scriveva con convinzione i propri pensieri? Chi lo sa! Di certo non io, o almeno non più.
«Scrivevo silenzi, notti, notavo l’inesprimibile, fissavo vertigini» (Arthur Rimbaud).
In un vecchio giornale ho trovato una riflessione della scrittrice Susanna Tamaro che fa al caso nostro: «Il grande dono che ci è stato dato è il libero arbitrio, cioè il poter scegliere. Scegliere vuol dire semplicemente avere due strade davanti e decidere di imboccarne una anziché l'altra. Scegliere non vuol dire anche rinunciare. Non so cosa c'era nell'altra strada, né mai lo saprò perché l'ho lasciate alle spalle e non posso più tornare indietro». È vero, non possiamo più tornare indietro, ma non possiamo nemmeno affermare che avevamo ampia facoltà di scegliere. La scelta è una iattura non un dono. Non esistono mai scelte giuste o sbagliate. Quando le hai compiute rifletti a posteriori sui benefici ricevuti o meno. Siamo liberi di scegliere tra due alternative ma nessuna di queste è realmente scevra da inganni. Ci illudiamo di scegliere, ma se a tavola hai pasta o pesce dovrai inevitabilmente optare per una delle due senza troppi ma e senza se. Io devo essere in grado di fare una vera scelta e non essere obbligato ad un bivio bloccato. Io non ho mai avuto facoltà di scegliere perché mi sono ritrovato a barcamenarmi fra l'apparire e scalfire la mia essenza, oppure autoingannarmi pensando di essere davvero libero. Come sosteneva John Stuart Mill: «La libertà di ogni individuo deve avere questo preciso limite: egli non deve essere di disturbo agli altri». Io, infatti, non ho mai disturbato gli altri ma tale principio non è stato certamente ricambiato, anzi. Ho sperimentato sulla mia pelle quanto diceva Sartre: «L’enfer, c’est les autres». All'esistenza dell'inferno post mortem non credo, ma alla gente che ti rende infernale la vita purtroppo sì! Chissà perché queste nullità che abbiamo avuto il dispiacere di conoscere emanano ancora un lezzo nauseabondo, proprio come le fogne di Calcutta, ed è proprio per questo che dobbiamo allontanarle. Questi umanotteri depensanti impestano l'aria con la loro malvagità morale e la loro puzza contagiosa, ma non dobbiamo farci contaminare da questa decomposizione interiore. Pertanto ritorno alle mie scatole, e nel frattempo solletico la mia riflessione con una canzone di Brunori Sas.
«La verità è che ti fa paura/ L'idea di scomparire/ L'idea che tutto quello a cui ti aggrappi
Prima o poi dovrà finire/ La verità è che non vuoi cambiare/ Che non sai rinunciare a quelle quattro, cinque cose a cui non credi neanche più».

Cristian Porcino


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1.7.17

L'elzeviro del filosofo impertinente

Giugno è il mese in cui si ricordano i moti di Stonewall e si susseguono nel mondo civilizzato le manifestazioni in sostegno del movimento Lgbt. Purtroppo in questo mese si verificano puntualmente anche episodi più o meno velati di razzismo. Personalmente mi sono occupato di tale piaga sociale nel mio ultimo libro Canzoni contro l'omofobia e la violenza sulle donne, e nonostante le numerose e importanti battaglie civili le cose sembrano, ahimè, non essere mutate. Ogni anno durante il periodo degli esami di maturità si riscontrano diversi episodi di omofobia in diverse parti d'Italia. Negli ultimi anni alcuni maturandi si sono imbattuti in commissari alquanto reticenti ad accettare e discutere tesine sulla storia dell'omosessualità e non solo. Alcuni di questi commissari si sono rifiutati perfino di ammettere opere letterarie o testi di canzoni che tratta(va)no l'argomento. Non parlo certamente di opere erotiche o di propaganda, ma di vera letteratura. Eppure le opere letterarie non hanno una sessualità e non possono essere discriminate. Tali docenti umanamente impreparati non riescono ancora oggi a comprendere l'essenza del loro lavoro e dell'intero sistema scolastico. L'omofobia interiorizzata non è meno grave di quella visibile.


La scuola è la sede adatta per affrontare questi argomenti, e gli insegnanti non possono rinunciare alla loro funzione di educatori. L'omosessualità, così come l'eterosessualità, non ha nulla di segreto o di scandaloso, e dunque non capisco tale ritrosia nel trattarla senza pregiudizi e fobie. Troppi anni di preconcetti, stereotipi e modelli catodici fuorvianti hanno forse accresciuto in questi docenti un senso di inadeguatezza e timore nell'affrontarla con la dovuta serietà. Ma nulla può giustificare tali paure prive di qualsiasi fondamento. Gli studenti devono sentirsi liberi di affrontare gli argomenti che toccano da vicino le loro giovani esistenze. Se la scuola non si adeguerà a tali istanze formative dovrà fare i conti con le informazioni distorte acquisite dai discenti attraverso chat e siti internet non qualificati. Diceva Don Milani “Quando avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione avete buttato in cielo un passerotto senza ali”. Per esperienza personale posso aggiungere che all'università sperimentai anch'io una certa resistenza a trattare l'argomento omosessualità con professori allineati alle posizioni del Vaticano II (non mi riferisco certamente al concilio ecumenico ma alla visione "papacentrica" di Giovanni Paolo II). Rammento l'approfondimento del corso di filosofia morale dal titolo "Uomo e donna in famiglia" con un excursus storico tra le varie encicliche dei papi! Oppure ricordo un feroce confronto con la docente di letteratura italiana che non voleva riconoscere la straordinaria importanza dell'opera letteraria di Aldo Busi.
Per comprendere meglio il senso di certe preclusioni mentali ho intervistato alcune persone in merito al significato del termine pregiudizio. Eccovi, dunque, alcune opinioni raccolte. Simona, studentessa di psicologia, mi ha risposto: "Il pregiudizio è un meccanismo di difesa che attiviamo nel momento in cui la diversità dell'altro ci spaventa". Alina, invece, definisce il pregiudizio come "un'opinione certa ma errata su qualcuno. Per tirare avanti spesso avvertiamo il bisogno di sicurezza e consideriamo le nostre opinioni, la nostra morale come le migliori in assoluto. Così tutto quello che si discosta dal nostro punto di vista lo rigettiamo per non farci condizionare". Il signor Giovanni, benzinaio da quindici anni, afferma: "Il pregiudizio è un modo negativo per avvicinarmi al mio prossimo". Flaminia gestisce una panetteria in una zona periferica di Catania e mi dice: "Io credo che le persone gay sono esattamente come me. Non bisogna giudicare nessuno in base ai propri gusti sessuali, nazionalità o etnia. Quello che conta sono le azioni che facciamo e di certo non dipendono dalle persone che amiamo o con cui facciamo sesso".
La signora Mara è appena uscita dalla messa del mattino e alla mia domanda risponde con fare scortese facendosi un segno della croce. Evidentemente l'esempio inclusivo di Papa Francesco non ha minimamente toccato la sua fede e il suo cuore.
Le opinioni da me raccolte evidenziano che a parole manifestiamo di essere emancipati e civili, ma nei fatti persiste ancora uno zoccolo duro d'ignoranza che non ci permette di compiere un salto di qualità notevole.
Forse aveva ragione Albert Einstein quando diceva: "È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio". Pertanto mi auguro l'avvento di una società culturalmente evoluta in grado di oltrepassare gli steccati ideologici e annientare i pregiudizi e i soliti stereotipi. Dopotutto "Non bisogna farsi mai ricattare dalla stupidità altrui" (Umberto Eco).

Cristian Porcino


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23.6.17

L'elzeviro del filosofo impertinente

Recentemente mi sono imbattuto in alcune pubblicità alquanto inquietanti. In certi noti settimanali si sponsorizza la vendita di una bambola che riproduce realisticamente le fattezze di un neonato. Per ovvi motivi non posso citare l’azienda né riprodurre l'immagine dell’oggetto in questione, ma sono lontani parenti di Cicciobello e probabilmente più eleganti. Forse questi macabri bambolotti alti circa 50 cm riusciranno a placare il desiderio di maternità e paternità insito negli umani? Cullando fra le mie braccia un pupazzo senz'anima mi potrò definire padre? Qual è allora il senso di questa stramba operazione di marketing? A quanto pare l'artista che ha realizzato tale 'creatura' intende donare ai genitori mancati la gioia di tenere fra le braccia un piccolo corpicino con lo sguardo imbambolato. Ovviamente la pubblicità ci tiene a sottolineare che il prodotto non è un giocattolo, bensì un oggetto da collezione unico, quasi raro. Non è un prodotto per bambini, ma per adulti desiderosi di figliolanza. Per carità, il bambolotto è un prodotto raffinato e ben fatto ma rimane pur sempre un oggetto inanimato. Esistono anche bambole "speciali" che ti stringono il dito. Queste sensazioni però mi inquietano. L'essere umano solletica la propria immaginazione con prodotti di qualità che riproducono qualcosa o qualcuno che esiste già in realtà. In altre parole si concedono istanti di felicità con surrogati di realtà. Diceva David Hull: "L'ipocrisia è il lubrificante della società". Questi pupazzi bambini, questi feticci del desiderio umano non potranno mai supplire quel vuoto che si crea in noi. Ben scriveva Pier Paolo Pasolini nel libro Lettere Luterane: "Il fondo del mio insegnamento consisterà nel convincerti a non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il laicismo consumistico ha privato gli uomini trasformandoli in bruti e stupidi automi adoratori di feticci". Noi umani temiamo i sentimenti ma siamo preda del sentimentalismo. Non siamo buoni, ma buonisti. Adoriamo gli oggetti che riproducono qualcosa, vedi alcune pratiche cattoliche dove si venerano statue raffiguranti santi e madonne. I feticci sono utili per comunità umane non evolute, quasi primitive ma non certamente per persone dotate di raziocinio. Se la vita non vi ha resi genitori non lo diventerete di certo acquistando dei bambolotti!
In Jane Eyre Charlotte Brontë scrive: "Mi portavo sempre nel letto la bambola; gli esseri umani hanno bisogno di amare qualcosa e, in mancanza di un oggetto più degno di tenerezza, mi studiavo di provare piacere amando e vezzeggiando un piccolo idolo sbiadito, malridotto come uno spaventapasseri". Dunque smettiamola di confondere l'apparenza con la realtà, e dedichiamo il nostro tempo ad emozioni e sentimenti reali. Nel mondo esistono tanti bambini in carne e ossa che aspettano un nostro abbraccio vero e sincero. Per una volta smettiamo di vivere sentimenti posticci, e ripiombiamo nella monotona ma concreta quotidianità.


Cristian Porcino


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9.6.17

L'elzeviro del filosofo impertinente

Anni fa mi occupai della sessualità dei supereroi. Il libro che conteneva tale saggio non uscì mai in Italia ma fu pubblicato da un editore americano. In alcune librerie newyorkesi circola ancora qualche copia usata del suddetto volume. In quel breve saggio ragionavo in merito alla sessualità di Superman, Batman, Spiderman etc., evidenziandone le numerose contraddizioni. Proprio in questi giorni debutta al cinema il film dedicato alla prima supereroina degna di nota: Wonder Woman. Chi è nato negli anni'80 non può non ricordare il telefilm trasmesso da italia uno con una splendida Lynda Carter nei panni di Wonder Woman.
 Il film uscito il 1 giugno è già record di incassi al botteghino. La pellicola è diretta da una brava regista, Patty Jenkins (Monster) e la protagonista è interpretata dall'attrice israeliana Gal Gadot (ex soldatessa). Per quanto mi riguarda non andrò a vederlo ma tale interesse generale merita una piccola riflessione. È bene ricordare che Wonder Woman è una creazione di William Moulton Marston, psicologo e fumettista. Egli aveva conosciuto le vere eroine del femminismo come Emmeline Pankhurst e Margaret Sanger e decise di ispirarsi a loro per dare vita ad un personaggio in grado di rappresentare il girl power. Fu così che nel 1941 ideò Diana, una guerriera amazzone nata nell'isola di Themyscira. Tale eroina DC Comics per un determinato periodo di tempo ricoprì un ruolo non secondario, ma negli ultimi anni quasi nessuno si rammentava più di questa interessante figura mitologica. Eppure proprio l'anno scorso l'Onu aveva scelto Wonder Woman per rappresentare i diritti delle donne. Questa scelta di nominarla ambasciatrice provocò disordini e proteste e si raccolsero più di 40 mila firme per bocciare tale idea. Una delle tante motivazioni fu proprio quella legata alla rappresentazione stereotipata della figura femminile. Non possiamo negare che le intenzioni dell'autore erano ben diverse, ma è evidente che Marston ha attribuito alla sua eroina caratteri ben precisi. La Nostra protagonista fu ritratta in abiti succinti, in linea con lo stile delle pin up degli anni' 40. A questo vorrei però obiettare che nei supereroi il fattore sessuale è da sempre presente. Guardate la tuta di Batman degli ultimi film e noterete la meticolosa attenzione con cui si mettono in mostra sia i pettorali dell'eroe sia i gioielli di famiglia di Bruce Wayne. E Superman e Captain America? Identico discorso. Per non parlare degli attori, dei veri sex symbol, chiamati ad interpretare tali personaggi. Dunque il sessismo non riguarda solo Wonder Woman alias Diana Prince, ma anche i suoi colleghi maschi. Le loro figure sono tipicamente caratterizzate e su questo non si discute. Il sesso dei supereroi affascina e mobilita l'attenzione del grande pubblico. L'industria del porno ha attinto a piene mani dai supereroi per realizzare parodie hard con attori in costume. In verità il modo di fare l'amore dei supereroi affascina e allo stesso tempo disorienta il pubblico. Esistono anche soggetti che prediligono fare sesso con il/la proprio/a partner mascherati da supereroi. Nonostante questo rimane ancora un mistero la ginnica sessuale di Clark Kent-Superman ma poco importa. I supereroi si prendono cosi come sono stati creati. Senza ma e senza se. Dopotutto chi vorrebbe mai avere una relazione con un supereroe o una supereroina? Sai che gioia dividerli con il mondo intero! Meglio una noiosissima e stabile relazione fra esseri ordinari ma reali. Non trovate? Se non mi credete ascoltate la bellissima canzone dei Coldplay e The Chainsmokers Something just like this e capirete il senso di ciò che dico.

Cristian Porcino
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2.6.17

L'elzeviro del filosofo impertinente

Iniziamo con una semplice domanda: perché i preti vanno spesso in TV a parlare di sesso?
In ogni programma dedicato all'amore o alla morale sessuale indovinate un po' chi c'è sempre a farfugliare qualcosa? Naturalmente un chierico di santa madre Chiesa! Non solo ciarlano in TV, ma scrivono perfino libri su come vivere una sana e santa sessualità. Ma vi rendete conto? Per statuto sono uomini celibi che fanno voto di castità e poi diventano, tutto ad un tratto, esperti di sessualità!? A me i conti non tornano, non so a voi. Non dimentichiamo che il giovane arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla scrisse nel 1960 un'opera filosofica dal titolo: Amore e responsabilità. Morale sessuale e vita interpersonale. La filosofa e amica di Wojtyla, Anna Teresa Tymieniecka disse: "Ciò che ha scritto (Wojtyla ndr) sull'amore e sul sesso dimostra la sua scarsa conoscenza del tema. Mi sembrava che fosse evidente che non sapeva di cosa stava parlando". Come può un sacerdote sapere quali dinamiche intercorrono tra due innamorati che vivono e sperimentano le gioie del sesso? E non dimentichiamo che la CEI di Ruini-Bagnasco e i papi non smettono mai di ricordarci l'importanza della famiglia e dei figli. Ma se sono così ossessionati dalla famiglia perché non ne hanno creata una tutta loro? Ufficialmente non sono padri carnali ma si fanno chiamare in tal modo per trattarci come figli ed esercitare la loro autorità. A me sembra paradossale questo atteggiamento. Qui non si tratta di essere credenti, agnostici, atei o anticlericali ma di seguire semplicemente la logica. Io non sono padre e d'ora in avanti mi dedicherò a scrivere testi, e a tenere convegni sulla paternità e la gestione dei figli. Sono sicuro che se lo facessi mi sentirei ridicolo e insignificante. Come posso parlare con cognizione di causa di un argomento che non padroneggio?! È arrivato il momento per il Vaticano di occuparsi di fede e non di morale sessuale. Papa Bergoglio è l'unico pontefice a non manifestare quell'ossessione tanto cara ai suoi predecessori per la vita sessuale dei suoi fedeli. Infatti, i più conservatori lo attaccano per questo motivo. Non gli perdonano il suo continuo concentrarsi sul Vangelo e non su argomenti che non spetta a un prete giudicare. Bergoglio ricorda incessantemente ai credenti cristiani che dichiararsi tali significa mettere davvero in pratica le parole di Gesù. Forse questi soggetti trovano imperdonabile un papa che si dedica a portare avanti l'insegnamento evangelico ed è per questo che tentano di scalfire la sua autorità senza alcun successo. Un motivo in più per stimare umanamente questo papa. Lui va avanti per la sua strada senza prestare attenzione a certi individui. Naturalmente io non lo vedo con gli occhi della fede che non ho, e dunque non lo percepisco come "il dolce Cristo in terra" (vedi Santa Caterina da Siena), ma solo come un uomo di pace (e non è mica poco!). Per caso vi siete dimenticati che con Joseph Ratzinger si finiva sempre a parlare di famiglia composta da uomo e donna, il valore dei figli e via discorrendo? Come si dice a Napoli "Dalle 'e dalle se scassano pure e' metalle". Io non dimentico che per la giornata della pace 2013 il papa emerito Benedetto XVI scrisse che le unioni gay erano un vero attentato alla pace! Due persone che si amano metterebbero a repentaglio la pace nel mondo?!!! Io rimango basito e non aggiungo nulla, ma vi consiglio vivamente di leggere le opinioni del teologo Hans Küng sul pontificato ratzingeriano. Nei vari talk show quando si parla di divorzi, anticoncezionali, unioni civili ci trovo sempre un prete, mentre se l'argomento trattato è la pedofilia, la corruzione nessuno, e sottolineo nessuno, si sogna di invitare un sacerdote in trasmissione. Ma se il loro abito li autorizza a parlare di sesso perché non di frode bancarie, ingerenza e tanti altri argomenti? Non si può essere tuttologi a convenienza. Io trovo molto più preoccupante dei chierici che blaterano di sessualità i fedeli che credono ciecamente alle loro parole. Non li sfiora mai il dubbio che quelle frasi non andrebbero prese per oro colato? Se parlano di fede sono delle vere autorità, ma quando parlano d'altro la loro opinione vale quanto la vostra. La loro competenza però non sempre è dimostrata se pensiamo al commento fuori luogo pronunciato da quel vescovo italiano all'indomani della strage di Manchester. Costui ha definito i bambini e gli adolescenti uccisi per mano dei terroristi in tal modo: "Figli miei, siete morti così, quasi senza ragioni come avevate vissuto. Pregherò per voi". Che orrore !!!!
Quando leggiamo certe invettive ricordiamoci che se la gente si allontana sempre più dalla religione è per persone così.
Ovviamente ognuno di noi è libero di scegliere autonomamente a chi e a cosa prestare attenzione. Io certamente non ho tempo da perdere con certi tuttologi dalla doppia morale che vivacchiano nei salotti televisivi.
"L'intelligenza non ha valletti, si serve da sé" (Aldo Busi).


Cristian Porcino
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19.5.17

L'elzeviro del filosofo impertinente



La voce della coscienza esiste davvero oppure è soltanto un residuo mitologico? Forse la coscienza individuale è una metafora filosofica come Atlantide, il continente sommerso narrato da Platone, o invece un'altra utopia come quel detto evangelico che recita "la Verità vi renderà liberi". Ogni qual volta osservo il mondo mi chiedo: ma dove sta la nostra coscienza quando commettiamo azioni imperdonabili?
Il 23 maggio di venticinque anni fa veniva brutalmente assassinato il magistrato Giovanni Falcone.

 In quel vile attentato persero la vita tre uomini della sua scorta e anche Francesca Morvillo, moglie di Falcone. All'epoca dei fatti avevo 12 anni e la cosa mi colpì molto. Mi colpì perché ero siciliano come Giovanni e poi perché mio padre lo ammirava tanto e lo seguiva sempre quando appariva in TV. Quell'anno per il mio compleanno chiesi in regalo l'album di Luca Carboni che si intitolava Carboni. Nelle radio italiane impazzava il singolo Ci vuole un fisico bestiale, e come tutti gli adolescenti dell'epoca ero totalmente preso da questo tormentone. Ma all'interno del disco un'altra canzone aveva catturato subito la mia attenzione, Alzando gli occhi al cielo. Il testo dice: "Come fanno i capi della mafia a non pentirsi / come fanno certi potenti a non convertirsi / loro lo sanno quanto male fanno / loro lo sanno quanto è solo un uomo / e sanno bene quanta paura c'è dentro ad ogni cuore / e sanno bene come ci si arrende / come si arrende e come ci si stanca di sognare di cambiare il mondo / ma se per caso alzan gli occhi al cielo con un cielo come questo /come fanno a non cagarsi sotto a non sentire freddo".
L'album del cantautore bolognese uscì ben quattro mesi prima della morte di Falcone. La sua canzone aveva ampiamente anticipato un dramma devastante per l'intera nazione. Forse anche per questo le parole cantate da Carboni mi rimasero così impresse nella memoria. Come si può togliere la vita a un nostro simile e poi ritornare alla propria esistenza senza ripensamenti o rimorsi di coscienza? Quanto vale la vita di un essere umano se si può vivere con un peso così grande? E questi assassini sono mai tormentati dal rimorso, dalle immagini e dalle vite spente con così tanta facilità, oppure si sono assuefatti a tutto, anche all'odore e al colore del sangue umano?
Edgar Allan Poe scriveva: "A volte, ahimè, la coscienza degli uomini si carica di un fardello tanto orribile che riusciamo a liberarcene solo nella tomba. Così l’essenza del crimine rimane avvolta nel mistero."
Mi preme sottolineare che quando discutiamo di Giovanni Falcone non possiamo non parlare di Paolo Borsellino. I loro nomi non si dovrebbero scrivere separati ma attaccati. Infatti ritengo appropriata la scelta del conduttore Fabio Fazio di chiamare "FalconeeBorsellino" il programma TV che andrà in onda su Raiuno per ricordare le stragi di Capaci e via D'Amelio. Insieme i due magistrati hanno combattuto per sconfiggere la mafia, e a venticinque anni dalla loro morte non possiamo celebrarli separatamente. Erano amici, colleghi ma soprattutto due uomini perbene. Questi due eroi civili, questi martiri della libertà non meritano un fugace e solenne ricordo annuale bensì un costante quanto reale riconoscimento quotidiano. I più piccoli invece di ammirare i supereroi dei fumetti dovrebbero appassionarsi alla vita di Giovanni e di Paolo, ai loro ideali e ai loro sacrifici. Le grandi azioni non sono mai prive di sofferenza e rinunce personali. Solo così riusciranno a capire che per compiere un vero atto eroico non occorre volare o possedere poteri straordinari, ma credere fermamente nel coraggio racchiuso nelle persone cosiddette normali. Umani che non sono figli di un Dio come Thor o frutto di un esperimento andato a male come Hulk, ma individui che hanno deciso di lottare per sconfiggere il male. Può sembrare un'ovvietà, e forse lo è, ma i più giovani devono imparare che nella normalità di un essere umano è racchiusa la straordinaria possibilità di cambiare veramente il mondo. Il mondo non ha bisogno di supereroi ma di persone oneste.
L'esempio di Giovanni e di Paolo non è stato vano. Loro mi hanno ispirato come un faro nella notte. Ricordo che dopo la morte di Falcone mi fu regalato il suo libro Cose di cosa nostra scritto con Marcelle Padovani e pubblicato nel 1991. Leggendolo mi colpì molto questa frase: "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno.”
Caro Giovanni, Caro Paolo, con il vostro sangue innocente avete riscattato la dignità di una terra e di un popolo. Il mio popolo, il vostro popolo. Dirvi oggi grazie è ben poca cosa, ma ogni qual volta mi arrabbio con una terra matrigna come la Sicilia ripenso subito a Voi e torno a riappacificarmi con le mie origini. Perché nonostante tutto l'amore e odio che proviamo verso di lei "questa terra come la Ionia di Eraclito e Anassagora è magica, e richiama sempre coloro che gli appartengono, come se esercitasse un diritto. La legge dell'appartenenza" (Manlio Sgalambro).


Cristian Porcino
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23.4.17

L'elzeviro del filosofo impertinente

Io sono stato un obiettore di coscienza e lo sono ancora. Quando in Italia il servizio di leva era obbligatorio scelsi subito di avvalermi del servizio civile. Ho sempre ripudiato l'uso delle armi e non volevo sottrarmi a prestare un servizio utile per il mio Paese. Detto ciò non capisco quei medici che si dichiarano obiettori pur lavorando negli ospedali pubblici. Lo trovo inconcepibile. Se il tuo credo o i tuoi ideali non ti permettono determinati atti non vai a lavorare in una struttura pubblica dove transitano quotidianamente milioni di persone con diverse problematiche di salute. Non puoi farlo se poi le tue convinzioni ostacolano la cura effettiva del paziente o il rispetto delle credenze altrui. Io da obiettore di coscienza non vado mica a lavorare in un'armeria né tanto meno ho mai desiderato arruolarmi in un corpo armato! Bisogna essere sempre coerenti con se stessi e con gli altri. Se sei medico e sei contrario all'aborto non presti il tuo lavoro al pronto soccorso, ma ti fai spostare dove il tuo credo non sarà un problema né per te né per il credo di qualcun altro. Il rispetto deve essere reciproco ma non si può filosofeggiare con la vita o la morte dei propri pazienti. Esistono tante strutture religiose dove poter fare il medico nel pieno rispetto delle proprie convinzioni, e con l'appoggio morale di pazienti e personale lavorativo della struttura. Consentire ai medici di appellarsi all'obiezione di coscienza è una vera imprudenza. Le leggi di uno Stato laico devono essere rispettate, e non conta se come singoli individui siamo favorevoli all'interruzione di gravidanza o contrari, o se non accettiamo la legge sul fine vita oppure se crediamo in Gesù, Ganesh o a nessuna divinità. A mio parere l'obiezione di coscienza deve essere disciplinata da una legge che limita i danni ai pazienti. Davanti al malato non si dovrebbe mai anteporre la propria convinzione personale. Ribadisco che la professione medica è un lavoro molto importante perché ai medici affidiamo la nostra vita e la nostra speranza di guarigione. Come scriveva Oliver Sacks: "La storia individuale del malato e l'intera vita del malato non devono mai passare in secondo ordine". L'obiezione di coscienza possiamo esercitarla quando ci riguarda in prima persona, e non invece imponendola ai nostri simili. Tutto ciò che è frutto di sopraffazione non è mai coscienzioso. L'obiezione di coscienza è un diritto del medico ma non di certo della struttura ospedaliera in cui esercita. Se io ripudio le armi non impedisco certamente ad altri di utilizzarle per difenderci come avviene ad esempio con la polizia, i carabinieri, ecc. Non dimentichiamo che l'obiezione di coscienza di alcuni medici talvolta uccide. Le nostre convinzioni devono essere rispettate ma non imposte altrimenti ogni persona, in virtù dello stesso principio, potrà appellarsi alla propria coscienza per non fare più determinate pratiche lavorative e cadremo nell'anarchia più assoluta. Patch Adams ha affermato che: "Divenni un esploratore dei continenti dell'esperienza e del divertimento facendo ricerca nel laboratorio dell'umanità". I medici devono frequentare di più questi laboratori di umanità per imparare anche dal sofferente. Più contagi di umanità e meno imposizioni fra dottori e pazienti. In questo scambio libero e fecondo di umanità ogni singolo soggetto troverà beneficio per la propria coscienza.

(Criap)


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11.4.17

L'elzeviro del filosofo impertinente

Ricordo che un tempo ero affascinato dalla simbologia pasquale, e non mi perdevo nessuna celebrazione religiosa o una pomposa manifestazione pubblica di tipica devozione popolare. Forse perché sono nato il lunedì di Pasqua, oppure perché da ragazzo il mio rapporto con la fede cattolica poteva definirsi davvero intenso. Per anni ho fatto il ministrante e sono stato scelto più volte dai sacerdoti per il rito della lavanda dei piedi del giovedì santo. Ciononostante anche se oggi non sono più credente trovo sempre coinvolgente la celebrazione della morte e resurrezione di Gesù. La Pasqua non è una festa di origine cristiana ma risale all'Antico Testamento. Gli ebrei la celebrano ancora oggi (Pesach) e ricordano la liberazione del popolo eletto dalla schiavitù d'Egitto. In lingua ebraica Pesach significa passaggio. In entrambe le tradizioni si affronta il tema della rinascita e della transizione da una condizione all'altra. Dalla schiavitù alla libertà (Pasqua ebraica), e dalla morte alla resurrezione (Pasqua cristiana). Tranquillizzatevi, non ho alcuna intenzione di propinarVi una mini lezione di catechismo bensì mi preme sottolineare la visione filosofica che si cela dietro la festa di Pasqua. Jiddu Krishnamurti sosteneva che per poter vivere dobbiamo morire e rinascere quotidianamente. Lui si riferiva alla morte dell'io, alla rinuncia dell'ambizione ed egoismo. Morire alle piccole cose per poi approdare ad una nuova nascita e aprirsi alla Conoscenza. Se non ci accostiamo al mondo con lo stupore della prima volta non comprenderemo mai il significato della nostra esistenza. Se le vecchie conoscenze muoiono costantemente in noi ci ritroveremo ogni giorno desiderosi di apprendere nuove realtà. Accumulare ricordi, talvolta astiosi e negativi, significa solamente collezionare ciarpame. Tutto quello che non è in grado di spingerci al cambiamento e all'amore universale non è di nessuna utilità. Anche nei PC, smartphone e iPad di tanto in tanto facciamo un po' di pulizie di file cosiddetti inutili. Non bisogna dimenticare che alla base della filosofia c'è lo stupore per ciò che non conosciamo. Per stupirci dobbiamo essere sempre aperti alle novità, alle diverse prospettive di vita. Non dobbiamo sentirci ancorati ad antiche tradizioni che eternano messaggi validi solo per la società che li formulò secoli fa. Occorrono, invece, occhi nuovi ma soprattutto menti vergini per vedere il lato nascosto della nostra realtà esistenziale. Gesù ha sconfitto i pregiudizi e le falsità che si annidano nel cuore dell'uomo. Egli è morto sulla croce ma è risorto dopo aver piegato la morte. Non importa se crediamo o meno alla verità di fede tramandata dai vangeli, ma conta invece se riusciamo ad annientare in noi la stupidità, la violenza, l'ignoranza per poi rifiorire e dotarci di un pensiero nuovo. Essere, in altre parole, persone nuove. Come scrive Enzo Bianchi: "L’uomo nuovo è un orfano felice. L’eredità non ha per lui alcun interesse sostanziale. Illusioni, favole, saperi inutili, di cui liberarsi in ogni modo". Il mio consiglio per celebrare anche laicamente le imminenti festività pasquali è proprio quello di rinunciare alle ostilità e ai facili moralismi. Riflettiamo sui giudizi insensati che elargiamo con così tanta superficialità, e impariamo che le parole uccidono più delle armi. Certe frasi dette in un momento di rabbia si fissano nella memoria di chi ci sta davanti. Le parole scagliate come pietre non solo restano impresse nella memoria per lungo tempo, ma incidono sulla nostra psiche in modo quasi indelebile. Dunque cogliamo tale occasione per sopprimere la nostra individualità, e abbracciamo idealmente la nostra parentela universale. Celebriamo il passaggio o meglio la fuga dalle gabbie del pregiudizio per approdare ad una vita caratterizzata da empatia e Conoscenza. E ricordiamoci sempre che: "La più alta forma di intelligenza umana è la capacità di osservare senza giudicare" (J. Krishnamurti).
(Criap)
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2.4.17

L'elzeviro del filosofo impertinente

La realtà supera quasi sempre la fantasia.
Galeno e Ippocrate dedicarono la loro vita alla cura del paziente. Da allora sono trascorsi molti secoli, ma sono sicuro che oggi si rivolterebbero nella tomba vedendo un loro collega provocare consapevolmente dolore e sofferenza ai malati. È notizia di questi giorni quella di un importante ortopedico che procurava lesioni agli arti dei pazienti per poterli poi operare, e ricavarne dunque un buon ritorno economico. Ho letto che li ricuciva in modo tale da poterli riaprire a piacimento. I confini etici non esistono più e l'imbarbarimento della specie avanza sempre più spedito.
Un giudice assolve uno stupratore perché la donna non ha urlato abbastanza dopo la violenza sessuale. Ma vi rendete conto? E poi ci lamentiamo se in questo paese non solo aumentano i casi di violenza sulle donne, ma addirittura non si fermano i responsabili? Con una cultura così pervicacemente maschilista che sottomette quotidianamente la donna all'uomo, anche con il linguaggio, non possiamo aspettarci purtroppo nulla di positivo.
A Torino una coppia di fatto decide di affittare una casa ma non gli viene concesso. Motivo? La padrona di casa omofoba non affitta a due uomini innamorati! Permettetemi di dire che tutto questo mi sembra una cronaca di un altro pianeta. Non mi riconosco più in un'umanità così crudele che ha la sfacciataggine di dichiarare in continuazione di essere civile ed evoluta. Speravo, in cuor mio, che a forza di ripeterlo potevamo autoconvincerci di tali bugie, e di conseguenza comportarci davvero in modo civile. Benvenuti nel regno di Fantasilandia. A parole ci definiamo sensibili e caritatevoli, ma nella realtà siamo solo più frustrati e anaffettivi. Per carità, noi esseri umani non abbiamo mai brillato per bontà ma adesso la misura è colma. Socrate era profondamente convinto che la spiegazione delle nostre azioni malvagie risiedeva nell'ignoranza. L'ignoranza è una malattia da cui si può guarire ma occorrono grandi sforzi. Non bastano le leggi per favorire il quieto vivere, bensì una solida cultura del rispetto reciproco. Se poi però le leggi vengono interpretate ed applicate ad cazzum allora aveva proprio ragione Cesare Beccaria. L'autore di Dei delitti e delle pene (1764) sosteneva che i giudici emettevano le sentenze in base alla loro buona o cattiva digestione. Nulla è cambiato in tal senso. Sono stanco di vedere troppi impuniti, e il popolo vessato ed umiliato da soggetti che appartengono ad una casta che detiene il potere. Non si può vivere nella continua paura di uno Stato distante e padrone. Ciascuno di noi è un ingranaggio essenziale nell'apparato statale. Non siamo servi e non desideriamo padroni. Vogliamo solo sentirci membri attivi e importanti di una comunità e non ospiti di un circolo d'élite. Pertanto ben venga l'indignazione per un'ingiustizia e un diritto negato ma occorre prodigarsi per la salvaguardia non solo dei diritti che ci riguardano in prima persona, ma anche e soprattutto per quelli degli 'altri'. Questo è un diritto ma soprattutto un dovere!
"L'individuo critica la società, ma è la società che ha prodotto l'individuo. Questa contrarietà - perché non la si può chiamare contraddizione - è causa di moltissimi conflitti. La società, o quelle persone convenzionalmente dominanti che parlano in sua vece pensano che l'individuo esista solo per servirla. Ma che cosa mostruosa sacrificare tutte le parti viventi affinché un tutto nominale e meccanico possa continuare la sua cieca corsa!" (George Santayana).

Criap


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21.3.17

L'elzeviro del filosofo impertinente /9

A tre mesi dalla sua morte prematura il mondo si prepara a celebrare i funerali di George Michael. I tabloid inglesi indicano come possibile data il 26 marzo, giorno della festa della mamma nel Regno Unito. L'esito dell'autopsia ha accertato che la morte della popstar è attribuibile a cause naturali. L'apertura del testamento ha chiarito che i maggiori beneficiari del patrimonio ereditario saranno le sorelle, mentre non c'è alcuna traccia del fidanzato Fadi Fawaz e del padre Kyriacos Panayiotou. La mancanza di quest'ultimo non mi stupisce affatto. Purtroppo George (al secolo Georgios Kyriacos Panayiotou) crebbe con un padre che non lo stimava e gli rinfacciava spesso di non avere alcun talento. Diventato adulto con una disistima così persistente riuscì a staccarsi di dosso quell'orribile etichetta, e a volare in alto grazie proprio a quel talento che il padre non voleva vedere. Qualcuno rinfacciò a Michael di non essersi battuto abbastanza per la comunità Lgbt, ma lui non era e non voleva certamente essere considerato come un attivista gay. Non era un militante politico bensì un artista. Nonostante ciò le sue canzoni hanno fatto molto di più di tante parole pronunciate da certi affabulatori di mestiere. Freedom, Outside, Please send me somehone (per citarne soltanto alcune) sono dei veri manifesti contro l'omofobia. Per non parlare poi di quel prezioso album intitolato Listen Without Prejudice. Ha sempre detestato questo interesse morboso per la sua sessualità. Non la nascondeva, bensì la custodiva dagli occhi della gente. Voleva vivere i suoi sentimenti senza destare interesse per una parte della sua vita che era solo e soltanto sua. In una società evoluta nessuno guarderebbe all'orientamento sessuale di un artista. Sfortunatamente non siamo davvero così evoluti come amiamo dipingerci, ma solamente degli squallidi voyeuristi travestiti da perbenisti. George Michael si è dichiarato 'tardi' - ammesso che esista un momento prestabilito per fare coming out- perché costretto  da un episodio che sarà poi ripreso nel videoclip Outside. Sin dal suo esordio il mondo della musica lo voleva consacrare come il sex symbol più etero di sempre. La stessa Madonna disse che George era stato un vero amante focoso e sessualmente 'dotato'. George rimase segnato dalla perdita del compagno Anselmo Feleppa e da quel momento per lui fu tutto più faticoso. A lui aveva dedicato i versi toccanti di Jesus to a child  contenuta in quel capolavoro di Older.
La sua incredibile voce e il deIicato fraseggio vocale ci restituiscono un artista tormentato e geniale.
La cura con cui confezionava i suoi lavori gli permetteva di centellinare le sue uscite discografiche. Non era uno di quei cantanti che per contratto sfornava un cd l'anno, anzi. Intraprese delle battaglie legali con la sua casa discografica,  ed ebbe il coraggio di tirare dritto per la sua strada. Le sue canzoni hanno accompagnato la mia adolescenza e per tale motivo avranno sempre un posto speciale nel mio cuore.
Cinque anni fa era scampato alla morte e aveva scritto White light dedicata al suo ricovero in ospedale a causa di una brutta polmonite. Aveva ringraziato Dio e la preghiera dei suoi fan e aveva promesso di ritornare. Evidentemente Qualcuno aveva ben altri piani per lui.
Il suo corpo riposerà nel cimitero londinese di Highgate West, accanto alla tomba dell'amata madre Lesley Angold. Mi piace immaginarlo adesso fra le braccia di Anselmo, l'uomo che ha amato in vita: "Se l'amore l'hai conosciuto, se sai che esiste, allora l'amante che hai amato e perso verrà a farti visita nelle notti fredde. Se sei stato amato, se hai vissuto quell'estasi, l'amante che hai baciato e che ti manca ti conforterà quando non vedrai più speranza".

Criap


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15.3.17

L'elzeviro del filosofo impertinente /8

Un sabato sera e una banalissima conversazione fra amici di amici imbucati ad una festa. In tale occasione mi trovai a scambiare quattro chiacchiere con un tizio mai conosciuto prima di allora. A prima vista sembrava di media intelligenza, laureato in giurisprudenza e con una loquela non indifferente. Non so come ma mi ritrovai a parlare di John Gray e del suo ottimo saggio Cani di paglia. Il futuro leguleio sembrava rapito dalla discussione, e per un solo attimo pensai che forse  anche lui conosceva se non l'autore almeno il libro. Ancor prima di indagare a fondo la questione mi disse: "Certo. Grey è un uomo colto, forse fin troppo intelligente ma il suo rapporto sessualmente deviato con Anastasia Steele, e le sue continue richieste sadomaso mi lasciano più che perplesso"! Non vi dico cosa mi balenò in testa in quel momento. Quell'imbecille aveva confuso il filosofo John Gray con Christian Grey, l'insulso personaggio di Cinquanta sfumature di grigio. Così senza perdere il mio solito aplomb risposi: "Non saprei dire. Io parlavo di Cani di paglia mentre lei si riferiva, ovviamente, a dei libri di paglia. Se mi vuole scusare ho altro da fare". Ma dico si può essere così ignoranti e stupidi?
Questo evento mi ha riportato alla mente un altro episodio accaduto quando scrivevo per un giornale locale. Avevo ultimato un pezzo su Auschwitz e lo proposi alla redattrice. La risposta che ricevetti, a distanza di molti anni, mi raggela ancora il sangue. "Interessante. Cos'è un nuovo gruppo musicale?". Interessante? Auschwitz un gruppo musicale?! Ero mortificato per la sua idiozia, ma lei no. Non riusciva a capire.
Ricordo ancora una mia collega di università che prontamente sollecitata su quale libro di filosofia antica intendeva portare all'esame rispose: "Il libro di Socrate". Ed io: "Intendi dire i libri di Platone?" E lei: "No! Voglio portare il libro che ha scritto Socrate" (sic!). Cosa dire a una persona così? Rimproverarla inutilmente o invitarla a bere la cicuta?
Infine ripenso all'episodio capitatomi all'aeroporto internazionale JFK di New York. Mentre attendevo pazientemente di passare la dogana una coppia di giovani italiani si scervellava per scoprire l'arcano mistero che si celava dietro la lettera F di John Fitzgerald Kennedy. La F, secondo loro, stava per 'Figaro', 'Frank', 'Fidelio' ecc. Insomma la loro ignoranza in storia americana era pari solo a quella del loro paese. Ma il bello doveva ancora venire. All'improvviso il ragazzo diede prova della sua cultura sterminata (nel senso di uccisa): "Non sarà mica una sigla per indicare un titolo nobiliare come Benito Benso conte di Cavour, il dittatore fascista?".
La verità è che queste persone vivono felicemente la loro beata ignoranza e, ahimè, la ostentano con una fierezza imbarazzante. Ma cosa ho fatto di male per imbattermi in codesti individui? Evidentemente devo scontare in questa vita le colpe della mia esistenza precedente. Purtroppo sono ben consapevole che questo è solo l'aperitivo di un buffet infinito, e per giunta organizzato a mia insaputa.

Criap


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9.3.17

L'elzeviro del filosofo impertinente /7

Il più grande scandalo della convivenza civile risiede nella parola "tolleranza". L'etimologia di tale vocabolo affonda le sue radici nella lingua latina, e mi riferisco al termine tollere che significa proprio sollevare, sopportare. Questa definizione ha riempito per lungo tempo i libri di illustri pensatori e scrittori. Dimentichiamo gli sforzi giustamente intrapresi da Locke, Bayle e Voltaire perché  noi contemporanei abbiamo tradito (e forse superato) le loro aspettative. All'inizio si voleva indicare un'integrazione pacifica tra credenze e stili di vita differenti, ma con il trascorrere del tempo il significato si è colorato di tinte fortemente razziste. Non esiste parola peggiore di tolleranza. Io non voglio essere sopportato ma rispettato e accettato. Non voglio nessuna concessione ad esistere. Io non voglio sopportare le persone che non la pensano come me, ma ascoltarle. Io voglio condividere, dialogare, comprendere, meditare, accogliere le sfaccettature dell'umano e non tollerarle e di conseguenza discriminarle fingendo di sopportarle. Il concetto stesso di tolleranza deve essere rivisto e rivalutato. In questo mondo c'è spazio per tutti e non capisco perché selezionare chi accogliere e chi, invece, sopportare e dunque respingere. Diceva Martin Luther King Jr: “Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli”. Infatti non conosciamo il valore della convivenza. Non siamo in grado di convivere pacificamente con i nostri simili. L'arte del dialogo è il primo tassello per imparare quest'arte della convivenza. Dobbiamo smetterla di essere homo homini lupus ed intraprendere uno sforzo maggiore per la comprensione individuale. Il Dalai Lama sostiene che: "Siamo tutti esseri umani e, da questo punto di vista, siamo uguali. Noi tutti vogliamo la felicità e non vogliamo soffrire. Se consideriamo questo fatto, troveremo che non ci sono differenze tra persone di diversa fede, razza, colore, cultura. Tutti noi abbiamo questo comune senso di felicità". Dovremmo appigliarci proprio a questo desiderio presente in tutti noi. Aneliamo alla felicità e desideriamo la serenità per noi e le persone che amiamo. Tutti abbiamo bisogno di tenerezza e amore, poiché  sono sentimenti universali che non devono essere tollerati ma applicati con religiosa convinzione. Non vi sembra assurdo pensare di sopportare qualcuno quando possiamo, invece, conoscerlo e magari capirlo? Finiamola con il concetto di tolleranza e introduciamo quello di conoscenza. In una società liquida, come la definì il filosofo Bauman, le differenze sono molto sottili e i nostri stili di vita dissimili  possono essere ampiamente superati da ciò che ci accomuna e unisce. Creiamo una coesistenza pacifica, curiosa e rispettosa del prossimo, e riusciremo a donare ai nostri figli e nipoti un mondo più giusto anche se non perfetto.


Criap


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3.3.17

L'elzeviro del filosofo impertinente /6

Uno dei tanti difetti di noi umani è proprio quello di giudicare il comportamento e le scelte altrui senza conoscere i fatti. La scarsa empatia che abbiamo dimostrato per dj Fabo, 39enne tetraplegico e non vedente dal 2014, lo conferma puntualmente. Oltre a Fabiano Antoniani ricordo anche Gianni Trez e i casi di Piergiorgio Welby, Eluana Englaro e dagli Usa Terri Schiavo e Brittany Maynard. Per ogni singolo dramma di queste persone si sono imbastiti milioni di processi ideologici sulla sacralità della vita, e le loro  scelte "inopportune" o di chi gli era più prossimo legalmente. Nessuno ha provato però ad immedesimarsi nelle loro esistenze. Senza fare della falsa retorica proviamo per un solo attimo a chiudere gli occhi e ad immaginarci distesi in un lettino senza poterci più muovere, immobili come un tronco d'albero, nutriti soltanto da un sondino e senza possibilità di poter vedere e osservare chi e cosa ci sta intorno. Quale sensazione ricaviamo da questo esperimento mentale? Impossibile da descrivere giacché irreale, non nostro, e soprattutto perché noi 'sani' non riusciamo a sopportare nemmeno un banale e sporadico mal di testa, figuriamoci quindi di vivere un'intera esistenza costellata di sofferenza. In un paese civile il suicidio assistito, 'dolce morte' o eutanasia (non disquisiamo per favore e in questo momento sulla terminologia più idonea) è una grande conquista di civiltà. Come ci ha insegnato Oliver Sacks dietro ogni cartella clinica o termine medico c’è un essere umano che merita il nostro rispetto. In quanto essere umano con piena capacità di intendere e di volere affermo che sono l'unico responsabile della mia vita, e nessuno può vietarmi durante una patologia invalidante o terminale di decidere liberamente di farla finita senza dover espatriare, o far rischiare ai propri cari condanne penali per aver eseguito solamente la nostra volontà. Naturalmente occorre rispettare ed ammirare chi ha scelto di vivere nonostante la grave malattia. La futura legge non obbligherà nessuno a fare qualcosa contro la propria volontà. 
In una vera democrazia ogni cittadino ha il diritto di esprimere la propria opinione purché sia solo sua e non la copia dei riassunti forniti in Chiesa (anche le altre religioni sono contro l'eutanasia quindi il discorso si estende a tutti gli altri credi). La Chiesa che parla tanto di misericordia ha negato a Piergiorgio Welby il funerale religioso, mentre ai mafiosi e ai peggiori criminali non si è mai negato nulla! Bell'esempio di misericordia, e soprattutto molto rispettosa di quel passo del Vangelo in cui Gesù dice: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato» (Luca 6,37). In effetti per le funzioni religiose dei vari assassini la Chiesa dice di non giudicare nessuno e di attenersi a semplice carità cristiana, ma evidentemente Welby non meritava tanta fraterna benevolenza. Non dimentichiamo che Sant'Agostino definì il suicidio: «un misfatto detestabile e un delitto condannabile», mentre altri santi come Tommaso Moro si dissero favorevoli quando la malattia da cui si era affetti era ormai senza speranza. Recentemente il teologo Hans Küng ha dichiarato che: «È conseguenza del principio della dignità umana il principio del diritto all’autodeterminazione, anche per l’ultima tappa, la morte. Dal diritto alla vita non deriva in nessun caso il dovere della vita, o il dovere di continuare a vivere in ogni circostanza. L’aiuto a morire va inteso come estremo aiuto a vivere. Anche in questo tema non dovrebbe regnare alcuna eteronomia, bensì l’autonomia della persona, che per i credenti ha il suo fondamento nella Teonomia». Ma uno Stato laico deve agire nel nome di tutti e non solo di chi si professa credente. Non mi interessa dissentire da Platone, Aristotele, Kant, Hegel e altri autorevoli pensatori o padri della Chiesa che si schierarono contro il suicidio (assistito). Il problema non è di chi lo teorizza o lo spiega,  bensì di chi lo vive giorno per giorno sulla propria pelle.
Pertanto mi auguro che il nostro Parlamento approvi immediatamente una legge per regolamentare il 'fine vita' senza perdere ulteriormente tempo. Infine sono profondamente convinto che giudicare in astratto le sofferenze dei nostri simili è un atto davvero meschino e disumano.
"Grande Spirito, preservami dal giudicare un uomo non prima di aver percorso un miglio nei suoi mocassini" (Guerriero Apache).


Criap
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1.3.17

L'elzeviro del filosofo impertinente /5

Vi è capito di imbattervi in soggetti che dopo aver letto i vostri messaggi su Facebook, Messenger o WhatsApp non si sono mai degnati di rispondervi? E che dire di coloro che leggono le email ricevute e poi non solo non rispondono, bensì fanno finta di non averle mai aperte? Il mondo, ahimè, è fatto di persone così. Individui che con il loro fare sprezzante ci inviano un segnale ben preciso: 'Non mi interessa ciò che hai da comunicarmi. Non mi interessa il tuo pensiero. Io sono un soggetto socialmente impegnato che non ha tempo da perdere con te'. Questi professionisti della risposta negata dimostrano solamente di appartenere alla tribù dei Cafonal!  Una tribù che a dispetto delle apparenze è ben rappresentata e numerosa. Rispondere a chi si è preso la briga di scriverti è il minimo dell'educazione richiesta. Giuseppe Mazzini asseriva: “L’educazione è il pane dell’anima”, ma di questi tempi sono tutti a dieta e non si nutrono certamente di questo cibo vitale. Per esperienza professionale di soggetti di siffatta specie ne ho incontrati moltissimi. A costoro avevo rivolto un saluto, un pensiero oppure una cortese richiesta caduta, ovviamente, nel vuoto. Visualizzavano il messaggio e continuavano a rigurgitare post inutili nelle loro bacheche virtuali. Ma di questi ectoplasmi depensanti cosa ce ne facciamo? Sono esserini che collezionano amicizie su Facebook con la stessa foga della raccolta premi del supermercato.  L'unica differenza è che non sceglieranno alcun premio da ritirare, ma vivranno con i loro contatti  irreali in perpetuo anonimato. Ma abbiamo davvero bisogno di frequentarli anche se solo virtualmente? Ci sarà pure una ragione se nella vita vera avevamo già deciso di troncare con loro ogni rapporto, o no?
Questo comportamento ci obbliga a snaturare il nostro modo di fare, e di adattarci anzi a questi diktat nullificanti.
Cari individui che non rispondete ai vari messaggi per conferirvi un'aria di superiorità vi confermo, invece, che la vostra stupidità non ha eguali. Come sosteneva il grande Umberto Eco: "Il problema della Stupidità ha la stessa valenza metafisica del problema del Male, anzi di più: perché si può persino pensare (gnosticamente) che il male si annidi come possibilità rimossa del seno stesso della Divinità; ma la Divinità non può ospitare e concepire la Stupidità, e pertanto la sola presenza degli stupidi nel Cosmo potrebbe testimoniare della Morte di Dio".

Criap
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21.2.17

L'elzeviro del filosofo impertinente /4

Lo ammetto, detesto il periodo di carnevale e non ne capisco il senso. Non mi riferisco certamente ai motivi storici, bensì alla ragione di fondo che spinge i contemporanei a festeggiarlo. I bambini e le bambine hanno tutte le ragioni di questo mondo per giocare ad indossare i panni dei propri eroi ed eroine, ma qual è invece la causa nascosta che muove gli adulti a camuffarsi?
Forse un'infantilità latente o un profondo senso di inadeguatezza? L'etimologia della parola persona deriva dal latino, e significa proprio maschera. La stessa maschera indossata dall'attore per impersonare un ruolo. Nella vita di tutti giorni ci mettiamo addosso i panni di personaggi che non ci rassomigliano. Utilizziamo i social network per rappresentarci nel modo in cui vorremmo essere. Costruiamo, quindi, la nostra immagine sull'opinione degli altri, e non su quello che sentiamo o avvertiamo di essere veramente. Seguiamo la massa amorfa senza porci alcuna domanda. Vedere tutti questi adulti mascherati girare per le vie della città mi inquieta e non poco. Non sono minimamente sfiorati dal senso del ridicolo. Ovviamente si rasenta il grottesco quando vogliamo sollazzarci a tutti i costi come giovani adolescenti, e non accettare mai di responsabilizzarci; per quello, forse, c'è tempo. Ad esempio come razionalizzare ed assimilare la fastidiosa presenza di quei martelletti di gomma dati in testa, o quei coriandoli che ti entrano in bocca, oppure quelle insulse trombette suonate a più non posso? Di questa carnevalata salvo solo i carri allegorici con la loro proverbiale satira sui potenti che si rifà proprio alla ragione storica di questa ricorrenza. Ironia della sorte il mercoledì successivo al martedì grasso la Chiesa ci ricorda che siamo polvere, e polvere ritorneremo. In altre parole: 'Cari mortali, divertitevi pure tanto vi attende la tomba"! 
Ma perché pensiamo all'allegria e al divertimento come a un sinonimo di cialtroneria e di ritorno all'infanzia? Occorre, in tal senso, operare un ripensamento sul significato del riso. Io propongo un'alternativa: carnevale per noi umani dura tutto l'anno, dunque perché non provare, per un solo periodo, a buttare giù la maschera, e mostrare le nostre vere (varie) meschinità al mondo? Ci pavoneggiamo tanto su Facebook o Twitter del nostro grande altruismo (finto), ma in verità siamo meschini, misogini, razzisti, maschilisti, ignoranti, omofobi, pettegoli, saccenti, cattivi, egoisti ed opportunisti, sempre pronti a sparare a zero sulla vita dei nostri simili. Abili a lisciare il pelo a chi può assicurarci qualcosa, e altrettanto veloci nell'infangare chi, secondo il nostro metro di giudizio, ci ha usati per i suoi turpi scopi. Embè, non abbiamo fatto forse lo stesso anche noi? Impegniamoci, dunque, per essere più che apparire, e sono sicuro che un solo singolo momento di verità sarà molto più entusiasmante di un'intera vita costellata d'inganni. A voi la scelta.

Criap

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19.2.17

L'elzeviro del filosofo impertinente /3

Michele Valentini, 30enne, si è tolto la vita per lanciare un messaggio forte e chiaro ad una società, e a una classe politica sorda alle istanze dei più giovani. Non mi interessa sottolineare che suicidarsi non è il modo più giusto per portare all'attenzione il problema. Io non giudico i miei simili ma cerco di comprendere un atto tanto disperato ed estremo. Questo mondo ha bisogno di empatia e non di paladini del falso buonismo. Come sosteneva Friedrich Nietzsche: "Non esistono fenomeni morali, ma solo un'interpretazione morale dei fenomeni". Ho solo sei anni in più di Michele e devo ammettere che leggere la sua lettera mi ha profondamente emozionato e colpito. Anch'io sono molto amareggiato, deluso e arrabbiato con chi ci ha rubato il futuro e non ci permette di costruircene uno. Dopo la laurea non ho trovato una sistemazione tale da potermi spingere a sognare un futuro colmo di speranza. L'Italia non è un paese per giovani, e questo l'ho compreso durante la mia permanenza all'estero. Da noi chi ha meno di quarant'anni va incontro a mortificazioni di ogni tipo. Sulla mia pelle ho provato a sperimentare nuove strade e nuove idee che puntualmente mi venivano stroncate da una burocrazia che non accetta  né il merito né il rinnovamento. Mi hanno proposto di scrivere articoli per diversi giornali, ma ovviamente a titolo gratuito. Mi hanno convocato per insegnare nelle scuole private, ma anche questo dovevo farlo senza percepire alcun compenso. Siamo circondati da vampiri che si nutrono dei momenti di difficoltà di una parte della popolazione. Ad un certo punto la speranza si è affievolita, e ho avvertito lo sconforto. Devo ringraziare soltanto la mia famiglia per avermi sostenuto in ogni momento, altrimenti anch'io non ce l'avrei mai fatta. Dopo quanto accaduto a Michele nessuno dovrà più testimoniare con la propria vita l'insoddisfazione di vivere in una nazione che non ti valorizza affatto. Quando accade una tragedia umana come quella di Michele siamo tutti responsabili dell'accaduto. Nessuno escluso. La nostra indifferenza ha contribuito ad aggravare la sua angoscia esistenziale. La sua morte non occupa più le prime pagine dei giornali. Gli esclusi da Sanremo e le solite beghe di partito sono gli argomenti del giorno. Nel frattempo chi legifera, non importa lo schieramento politico d'appartenenza, gioca a fare l'indiano e continua ad ignorare i numerosi segnali di fumo.
Pertanto desidero esprimere la mia vicinanza alla famiglia Valentini, e a tutti coloro che lottano quotidianamente per un futuro più roseo. Io lotto con voi e per noi! Riprendiamoci il futuro.
"Il sogno di uno solo è l'illusione, l'apparenza; il sogno di due è già la verità, la realtà" (Miguel de Unamuno).

Criap 
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16.2.17

L'elzeviro del filosofo impertinente /2

Il 17 febbraio del 1600 moriva assassinato il filosofo Giordano Bruno.
Bruno, giovane intellettuale meridionale, ebbe il coraggio di affermare la dignità del proprio pensiero fino alla fine dei suoi giorni. Il suo intelletto non era asservito ad alcuna logica di potere, ma solamente ispirato da un principio di Verità insito nella natura delle cose del mondo. Giordano Bruno non cedette all’offerta di aver salva la vita in cambio dell’abiura, bensì andò incontro alla propria morte che avvenne a Roma in Campo de' fiori su ordine del Sant’Uffizio. In questa piazza venne allestito un rogo dove fu bruciato vivo il filosofo 'eretico'. A Bruno fu messa una maschera per non permettergli di parlare durante il martirio. La sua agonia fu atroce perché il suo corpo fu dilaniato dalle fiamme, e le sue grida non poterono uscire perché aveva 'la lingua in giova', una sorta di museruola che impediva alla sua bocca 'blasfema' di emettere suono. Non possiamo certamente dimenticare che nel 1923 papa Pio XI proclamò santo e dottore della chiesa il cardinale Bellarmino. Roberto Bellarmino è lo stesso individuo che si adoperò in favore della condanna a morte del pensatore di Nola. Come premio per aver "con la sua spada sottomesso gli spiriti superbi" fu innalzato alla gloria degli altari! Dunque dopo il danno, la beffa!
Giulio Giorello, filosofo contemporaneo, chiede a Papa Francesco di attuare un ripensamento critico proprio sulla figura di Bruno. Ben prima di lui anche il compianto cardinale Carlo Maria Martini chiedeva a Giovanni Paolo II di incamminarsi verso: «uno di quei ripensamenti critici che la Chiesa intende fare per la fine di questo millennio». Era il 1988 e nulla in tal senso avvenne. Si riabilitò Galileo Galilei ma non Bruno. Ovviamente questo ripensamento non deve suonare come perdono perché Bruno, in verità, non ha nulla da farsi perdonare, se mai il contrario. Pertanto mi associo al desiderio di Giorello, ma credo che qualsiasi atto ufficiale della Chiesa contemporanea non potrà mai chiudere un capitolo storico così tanto orrendo e disgustoso del cattolicesimo romano.

Criap

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emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...