In vista di un imminente trasloco
ho riportato alla luce frammenti di un passato distante anni luce dalla mia
memoria e personalità. Rovistando fra scatole e scatoloni ho fatto un viaggio
nei ricordi. Sicuramente alcuni vissuti con coscienza e altri un po' meno. Che
strana sensazione rivedere i quaderni delle elementari, i primi sussidiari, i
ritagli di giornale, le riviste, i giocattoli dell'infanzia etc. Più cestinavo e più mi
accorgevo che in quei contenitori non c'era più il mio presente e nemmeno il
mio futuro. Io come essere umano sono cristallizzato in una dimensione
temporale che possiamo chiamare adesso, ma in verità abito un nonluogo! Io sono
un progetto in fieri. Una idea partorita da qualche mente sognante che non ha
fatto ancora pace con la realtà. Sono stato una determinata persona, e il tempo
mi ha portato inevitabilmente altrove. Rivedere quegli appunti e andare
immediatamente con la memoria a quell'istante in cui scrissi tutto mi ha
riportato a vedere le cose con un certo distacco. In quelle scatole ho rivisto
le mille prospettive che potevo attuare. Ho provato un certo sollievo nel
buttare diverse porzioni della mia vita. Ho percepito le aspettative e i sogni
infranti appuntati con uno spillo sul bavero dell'anima. Crescere significa
anche fare i conti con una verità tangibile. Ora comprendo la sensazione di
liberarsi di quella zavorra che ti tiene ancorato al passato, e ti fa pensare a
tutto ciò che poteva essere e non è mai stato. Ho vissuto forse mille vite
senza essermene accorto. Chi era quel bambino che annotava le sue impressioni
in quel diario? E quel ragazzo che scriveva con convinzione i propri pensieri?
Chi lo sa! Di certo non io, o almeno non più.
«Scrivevo silenzi, notti, notavo
l’inesprimibile, fissavo vertigini» (Arthur Rimbaud).
In un vecchio giornale ho trovato
una riflessione della scrittrice Susanna Tamaro che fa al caso nostro: «Il
grande dono che ci è stato dato è il libero arbitrio, cioè il poter scegliere.
Scegliere vuol dire semplicemente avere due strade davanti e decidere di
imboccarne una anziché l'altra. Scegliere non vuol dire anche rinunciare. Non
so cosa c'era nell'altra strada, né mai lo saprò perché l'ho lasciate alle
spalle e non posso più tornare indietro». È vero, non possiamo più tornare
indietro, ma non possiamo nemmeno affermare che avevamo ampia facoltà di
scegliere. La scelta è una iattura non un dono. Non esistono mai scelte giuste
o sbagliate. Quando le hai compiute rifletti a posteriori sui benefici ricevuti
o meno. Siamo liberi di scegliere tra due alternative ma nessuna di queste è
realmente scevra da inganni. Ci illudiamo di scegliere, ma se a tavola hai
pasta o pesce dovrai inevitabilmente optare per una delle due senza troppi ma e
senza se. Io devo essere in grado di fare una vera scelta e non essere
obbligato ad un bivio bloccato. Io non ho mai avuto facoltà di scegliere perché
mi sono ritrovato a barcamenarmi fra l'apparire e scalfire la mia essenza,
oppure autoingannarmi pensando di essere davvero libero. Come sosteneva John
Stuart Mill: «La libertà di ogni individuo deve avere questo preciso limite:
egli non deve essere di disturbo agli altri». Io, infatti, non ho mai
disturbato gli altri ma tale principio non è stato certamente ricambiato, anzi.
Ho sperimentato sulla mia pelle quanto diceva Sartre: «L’enfer, c’est les
autres». All'esistenza dell'inferno post mortem non credo, ma alla gente che ti
rende infernale la vita purtroppo sì! Chissà perché queste nullità che abbiamo
avuto il dispiacere di conoscere emanano ancora un lezzo nauseabondo, proprio
come le fogne di Calcutta, ed è proprio per questo che dobbiamo allontanarle.
Questi umanotteri depensanti impestano l'aria con la loro malvagità morale e la
loro puzza contagiosa, ma non dobbiamo farci contaminare da questa
decomposizione interiore. Pertanto ritorno alle mie scatole, e nel frattempo
solletico la mia riflessione con una canzone di Brunori Sas.
«La verità è che ti fa paura/
L'idea di scomparire/ L'idea che tutto quello a cui ti aggrappi
Prima o poi dovrà finire/ La
verità è che non vuoi cambiare/ Che non sai rinunciare a quelle quattro, cinque
cose a cui non credi neanche più».
Cristian Porcino
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