Oggi 10 febbraio che altro dire altre a quello che ho già riportato nel precedente post o a quanto detto nella bella puntata del 9\2\2024 della trasmissione rai di passato e presente dove con lo storico
Guido Rumici (Gorizia, 27 settembre 1959) è uno storico e saggista italiano. Studioso della storia del confine orientale italiano ed esperto di storia della Venezia Giulia e della Dalmazia, Rumici è autore di numerosi saggi sull'argomento, cui ha dedicato più di un decennio di ricerche e documentazione.Professore di Economia aziendale e di Storia ed Economia regionale, Rumici è cultore di Diritto dell'Unione Europea e di Diritto Comunitario presso l'Università di Genova nonché relatore e conferenziere per conto dell'Università Popolare di Trieste e su mandato del Ministero degli Affari Esteri nelle Comunità degli Italiani dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia. Giornalista, è autore di volumi divulgativi e documentari di approfondimento. [...]
si provato a parlare nel breve tempo ( circa una mezzora ) a disposizione delle foibe e dell'esodo fino all'istituzione del la giornata del ricordo nel 2004 inquadrandolo ( come si dovrebbe fare e d invece non sempre viene fatto ) nel contesto dela questione adriatica . Unico neo è che , e qui ne parlo anch'io scusandomi per non averne parlato nel mio pot precedente , delle cause del silenzio ( salvo pochi coraggiosi e del Msi in chiave anticomunista ) dal 1954 ad 1996\2004 . Un ragionamento sulla tragedia degli italiani del confine nordorientale non è completo se non affronta il problema della rimozione: a fronte della gravità dei dati numerici (diecimila morti e oltre trecentomila profughi), perché per tanto tempo le vicende del confine nordorientale sono risultate «indicibili» e scomode ? La risposta , come dice Lo scrittore friulano Carlo Sgorlon (1930-2009) di cui dal oggi 10 febbraio troviamo in edicola con il «Corriere della Sera» e il settimanale «Oggi»il romanzo di Carlo Sgorlon [ foto a sinistra ] «La foiba grande» , in vendita al prezzo di 9,90 euro più il costo della testata a cui è allegato il volume.
Lo scrittore friulano Carlo Sgorlon (1930-2009)
Il libro di Sgorlon, riproposto in occasione del Giorno del Ricordo, rimane in edicola per un mese.
Originariamente venne pubblicato nel 1992 da Mondadori e si chiude con una postfazione dello storico Gianni Oliva, anche rinvia a tre silenzi, diversamente motivati. Il primo è un silenzio internazionale. Nel 1948, quando Stalin rompe i rapporti con la Jugoslavia e condanna la politica del maresciallo Tito con l’accusa di deviazionismo, l’Occidente comincia a guardare al governo di Belgrado come ad un interlocutore prezioso e avvia il processo di attrazione della Jugoslavia nel proprio campo: Tito, che entrerà nell’immaginario collettivo non più come comunista ma come leader dei «Paesi non allineati», sembra un’opportunità preziosa per aprire una breccia nella rigidità del blocco sovietico. La prima regola della diplomazia vuole che un interlocutore non sia messo in difficoltà con domande imbarazzanti: in questa prospettiva, viene meno l’interesse a fare chiarezza sulle migliaia di italiani scomparsi nella primavera del 1945 e sulle ragioni per cui centinaia di migliaia di giuliani abbandonano l’Istria e la Dalmazia.Il secondo è un silenzio di partito. Il Pci di Togliatti non ha alcun interesse a parlare di una vicenda che evidenzia le contraddizioni tra la sua nuova collocazione come partito nazionale e la sua tradizionale vocazione internazionalista, con una politica estera subordinata alle strategie di Mosca. Affrontare il tema delle foibe significherebbe ricordare le ambiguità rispetto ai progetti annessionisti jugoslavi e la sostanziale subalternità del Pci alle scelte di Belgrado.La stessa cosa anche se sul versante opposto , ma soprattutto per evitare di perdere voti a destra La Dc rinuncia a chiedere alla Jugoslavia i nomi degli assasini Comunisti in cambio del siulenzio di Tito sugli assasini Fascisti del periodo 1940\1943 . Ma Il silenzio più forte è però legato alla ricostruzione della memoria nazionale. L’Italia esce dalla Seconda guerra mondiale come un Paese sconfitto, che ha contribuito a scatenare le ostilità accanto alla Germania e al Giappone e che è stata travolta senza appello sul campo di battaglia. La conferenza di pace di Parigi ne è la conferma e la mutilazione di territorio sul confine nordorientale è il prezzo pagato alla guerra persa. A fronte di questa realtà, la «nuova» Italia del 1945 si sforza invece di autorappresentarsi come Paese vincitore e utilizza l’esperienza della Resistenza partigiana come alibi per assolversi dalle proprie responsabilità e per cancellare in un colpo il periodo 1922-43. Si tratta per alcuni di una rivisitazione in chiave assolutoria che giova alla classe dirigente antifascista, perché attraverso la delegittimazione del fascismo (cui si attribuisce la colpa esclusiva della guerra perduta) essa legittima se stessa come unica rappresentante della nazione; Ma nel contempo, si tratta di una operazione che evita di fare i conti con il passato e di domandarsi chi e quanti sono stati «corresponsabili» delle scelte del regime.In questa prospettiva nascono i silenzi, le negazioni, le pagine indicibili della storia: «indicibili» sono i prigionieri di guerra, immagine vivente della sconfitta; «indicibili» sono criminali di guerra italiani; «indicibile» è la politica di occupazione del 1940-43, quando il Regio esercito ha combattuto accanto al nazismo; «indicibili», soprattutto, sono le foibe e l’esodo, perché nessun Paese vincitore subisce, dopo la fine della guerra, il ridimensionamento del proprio territorio, né la strage di migliaia di cittadini, né la fuga di centinaia di migliaia di altri. Gli infoibati e i profughi escono così per decenni dalla coscienza collettiva della nazione, per sopravvivere solo: in quella regionale della Venezia Giulia , in quella privata delle famiglie dei profughi , Nel Msi in chiave anti comunista
non so cos'altro dire se non rimandarvi ai link riportarti all'interno del mio precedente post di cui riporto qui il link prima citato
La retorica della memoria \ de ricordo è un esercizio vano ed inutile finendo per diventare mezzo di propaganda ed arma \ strument idelogico da usare contro il tuo nemico ed arma di diastrazione di massa ( vedere il video di Caterina Guzzanti ed allora le foibe ) . Infatti Nella storia di queste terre di confine intrise di contaminazioni etniche fino all'inzio del ventesimo secolo e poi di sangue, ed odi etnici e di nazionalismi è raro che nei talk televisivi (a parte gli studiosi seri e qualche giornalista informato e non troppo fazioso ) qualcuno citi con cognizione di causa i “fatti” che precedono e accompagnano la carneficina in atto per farne comprendere genesi e conseguenze possibili. Molto più semplice (ed efficace per la resa dello “show”) dare fuoco alle polveri delle curve contrapposte in discussioni del tutto avulse dalla concatenazione degli eventi (perlopiù bellamente ignorati o usati a proprio uso e consumo ). Utili più che altro (gli scazzi) a regolare i soliti conti nel cortile delle fazioni: un po’ come schierarsi pro o contro Robespierre senza sapere una cippa della Rivoluzione francese e sulle sue cause . Ed in questo clima , oltre che per problemi personali che l'ano scorso ho dimenticato di parlare e ricordare l'80 esimo anniversario della scoperta delle foibe del 1943 cioè quelle che avvennnero a cavallo del 25 luglio e del 8 settembre e che certa storiografia considera tutt'une con quelle del 1945\7 pur di non parlare e far passare in secondo piano le responsabilità del fascismo e della sua collaborazione con il nazismo nel commettere crimini ed alimentare ulteriormente l'odio anti italiano delle popolazioni slave attribuendole solo ai comunisti di Tito .
Ieri uccisi nelle foibe, oggi ostaggi dell’uso politico della storia. La doppia condanna degli italiani d’Istria Il lungo silenzio della sinistra salvo eccezioni e la chiassosa rivalsa ideologica della destra oltre il recente sdoganamento non permettono di costruire sempre che sia possibile ( vedere mio post : << 10 febbraio ( e non solo ) e impossibilità della memoria condivisa >> una memoria conivisa su tali eventi . E proprio di questo che parla l'interesante articolo di Gigi Riva del settimanale l'espresso dell'anno scorso
Dopo le solite discussioni furibonde e tutte ideologiche che hanno coinvolto persino il festival di Sanremo in occasione del Giorno del Ricordo (10 febbraio), è il caso di aprire una riflessione pacata sulle foibe, senza semplificazioni di parte e tenendo conto della complessa e tormentata storia del nostro confine orientale. C’è un presupposto imprescindibile per qualunque analisi serena e mondata da interessi partitici: la Venezia Giulia, l’Istria tutta, avevano storicamente tre radici: italiana, slovena e croata.
I tre gruppi etnici convissero più o meno pacificamente fino a metà Ottocento quando cominciarono ad affiorare sentimenti di appartenenza che sfoceranno nella formazione degli Stati nazione. La regione faceva allora parte dell'impero austro-ungarico che, dopo la perdita del Veneto nella Terza guerra d'indipendenza, temendo l’irredentismo italiano e la volontà di riunire quei territori al neonato Regno d’Italia, ne favorì la slavizzazione «con energia e senza riguardo alcuno» per usare una frase dell'imperatore Francesco Giuseppe al Consiglio della Corona del 12 novembre 1866. Si può far risalire a quell'epoca l’inizio di tensioni, odi e vendette che si protrarranno per quasi un secolo. Dopo la sconfitta dell’Austria-Ungheria nella Prima guerra mondiale, l’Italia con il Trattato di Rapallo del 1920 ebbe il controllo di una larga fetta dell’Istria e di una parte del litorale, in cui abitavano circa 356 mila italiani e 490 mila slavi. Benito Mussolini, anche prima di arrivare al potere, aveva idee chiare su come risolvere per le vie spicce il rapporto con le altre popolazioni. A Pola, il 22 settembre 1920, disse: «Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone. Io credo che si possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani». E bastone fu. Squadre in camicia nera si occuparono di dare contenuti alle parole del duce. Fu proibito l’uso delle lingue slovena e croata, fino all’episodio estremo di un anziano di 92 anni impiccato al campanile di una chiesa perché parlava nel suo idioma non conoscendone altri. L’opera di pulizia culturale fu spietata. Case del popolo bruciate, così come le scuole degli slavi, italianizzati i cognomi persino sulle lapidi dei cimiteri, abolite le associazioni culturali, sociali e sportive. Italianizzazione forzata (leggi il libro “Il martire fascista”, di Adriano Sofri, Sellerio).Interi paesi bruciati, contadini espropriati delle loro terre a favore dei coloni italiani mandati a mutare la composizione demografica della regione, pestaggi e arresti indiscriminati, centinaia di processi sommari a chi si opponeva al regime. Omicidi, ovviamente. E il gerarca Cobolli Gigli che minacciava chi si ostinava a usare la propria lingua: «Corre il pericolo di trovare sepoltura nella foiba». Si calcola che almeno centomila persone furono internate nei campi di concentramento. Ancora Mussolini: «Quando l’etnia non va d’accordo con la geografia è l’etnia che deve muoversi; gli scambi di popolazione e l’esodo di parti di esse sono provvidenziali perché portano a far coincidere i confini politici con quelli razziali». Una prassi diffusa nel Ventesimo secolo che usò anche Stalin.L situazione peggiorò con l'invasione dell’Italia fascista del 1941 e la creazione della provincia di Lubiana, quando crebbero fucilazioni e deportazioni. Per fare un esempio, il 12 luglio del 1942 su ordine del prefetto della provincia di Fiume Temistocle Testa tutti i 91 uomini del villaggio di Podhum di età compresa tra i 16 e i 64 anni furono fucilati. Questo il quadro prima del 1943, dell’armistizio, dell’operazione Nubifragio con cui i nazisti volevano assumere il controllo della Venezia Giulia, della controffensiva dei partigiani di Tito che toccò il suo apice di crudeltà con gli infoibamenti. Le foibe sono cavità carsiche profonde fino a 200 metri in cui furono gettati i corpi di migliaia di italiani. Alcuni ancora vivi e che morirono dopo un’indicibile agonia. Migliaia di italiani. Già ma quanti? Gli storici più prudenti accreditano una cifra tra i 3 e i 5 mila, altri arrivano a quattro volte tanto, 20 mila. Fra di loro non solo fascisti, ma innocenti uccisi perché italiani. Seguì più tardi l’esodo verso l’Italia di 250-350 mila italiani che non volevano restare nella Jugoslavia comunista. La nostra sinistra ebbe l’indiscussa colpa di coprire per lungo tempo con un velo di silenzio queste tragiche vicende in nome dei buoni rapporti tra Palmiro Togliatti e Tito e per il timore che l’intera questione fosse decrittata con la lente dell’ideologia: una vendetta comunista contro gli italiani fascisti. Mentre, se è innegabile che esistesse anche questa componente, la vendetta scaturiva anche dai torti subiti nel ventennio fascista e dunque era piuttosto una rivincita etnica. La destra, all’opposto, ha voluto usare solo la lente ideologica, come se si potesse racchiudere il problema del confine orientale limitandosi all’analisi del periodo 1943-45 e senza mai rammentare i nostri misfatti precedenti. Un uso della storia à la carte, a seconda del proprio interesse elettorale. Ogni anno, per il Giorno del Ricordo, istituito dal governo Berlusconi nel 2004, riemergono queste tendenze e contrapposizioni a causa delle quali risulta impossibile creare una memoria condivisa. E questo nonostante gli sforzi soprattutto dei presidenti della Repubblica Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella di leggere i fatti con uno sguardo mondato dai pregiudizi. Per quanto li si possa contraffare, i fatti sono ostinati e, alla lunga, riemergono come un fiume carsico.
..... ed a parlarne in prima pagina è un giornale della sinistra comunista .
e poi fanno pressioni sul " povero " Amadeus perchè modifica in corsa la scaletta pur di parlare di foibe ed esodo e rimediare alle figure .... barbine e non scontentare le associazioni degli esuli \ profughi Istriani per aver lasciato sui media la prima pagina alla sinistra comunista. e con questo post concludo la mia rassegna del giorno del ricordo o 10 febbraio al prossimo anno
P.s
Vado a vedermi il documentario di rai tre sul giorno del ricordo .Sperando che non deluda come il kossal propagandistico Red lander occasione sprecata per ricordare eventi così drammatici senza fare propaganda e strumentalizzazioni
Inizialmente stavo pesando a qualcosa di simile all'articolo sotto vista l'età 13\14 del ragazzo in questione . Ma poi vista : 1) l'obbietà dell'articolo che collima con il mio intento che coltivo dall'istituzione di tale giornata palla ma che ormai dopo anni di silenzio a livello della pubblica opinione
è diventa una delle date fondanti della Repubblica. Insieme al 27 gennaio ( anche se sarebbe stato meglio il 16 ottobre deportazione degli ebrei romani ma va beh ) , 8 marzo , il 25 aprile , il 1 maggio , il 2 giugno , il 4 novembre , Il 12 dicembre 2) la sagacità del ragazzo quando : << [...] ma come sta mettendo sullo stesso piano violenze fasciste e violenze comuniste , lager e foibe [...] >> di cui parlavo nel post precedente : il 10 febbraio e la questione del confine orientale spiegata ad un adolescente ho cambiato idea . Perché anche se come tutti gli eventi storici è difficile come ho detto nel post : << 10 febbraio ( e non solo ) e impossibilità della memoria condivisa>> trovare una memoria condivisa , non significa che certi eventi debbano essere dimenticati o silenziati e gli orrori che ne sono alla base siano ripetuti anche se in maniera diversa .
Ma soprattutto visto che Il tema delle foibe e dell’esodo giuliano è da sempre un argomento molto delicato, affrontato da alcuni con reticenza e da altri con una certa strumentalizzazione politica ed ideologica . Qui come potete vedere nei mie post per il giorno \ settimana dl ricordo sia recenti sia passati c'è l’intento di fare il più possibile chiarezza su quei tragici avvenimenti, raccogliendo a 360 gradi e non a senso unico l’invito della stessa legge istitutiva del Giorno del Ricordo che, testualmente, invita a “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale " Il mio obbiettivo è certamente quello di ricordare quei tragici avvenimenti che causarono tanti dolori e lutti ma anche quello, affrontandolo dal punto di vista storico, di cercare di comprenderne le origini, le cause e le conseguenze.
Solo in questa maniera può essere possibile difendere degnamente la memoria delle tante vittime e dei tanti profughi. e di cui ha subito sulla propria pelle gli effetti nefasti e brutali del nazionalismi e delle aberrazioni ideologiche de secolo corso . Ma ora basta parlare io , vi lascio all'articolo in questione
l'espresso 5 febbraio 2023
Il confine orientale Dove corrono i tormenti del ’900
di PIERANGELO LOMBARDI *
Il Giorno del Ricordo rievoca le vicende avvenute nel secolo scorso nell’Alto Adriatico. La memoria
di questa tragica pagina di storia è difficile. E spesso strumentalizzata per scopi politico \ ideologici [ corsivo mio ]
IL 10 febbraio è una data del calendario civile italiano: il Giorno del ricordo. Nel corso di formazione [ foto a sinistra dell'edizione di quest'anno ]
per insegnanti organizzato l’autunno scorso dall’Istituto pavese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, la sfida è stata quella
di andare al di là delle sovraesposizioni mediatiche e delle ingerenze politiche, che non aiutano, ma al contrario allontanano la piena comprensione delle vicende avvenute nel corso del Novecento nell’Alto Adriatico. Il ragionamento di lungo periodo, proposto
agli insegnanti, è stato quello di riflettere
sul tema che proprio la legge istitutiva del
Giorno del ricordo, del 2004, indica come
«la tragedia degli italiani e di tutte le vittime
delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli
istriani, fiumani e dalmati nel secondo Dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale». Perché in questa tragica pagina di storia non c’è solo una memoria
difficile e complessa, ma, come ha suggerito
Guido Crainz, c’è in «quel confine tormentato tutto il nostro Novecento».
Ci sono i nazionalismi e i processi di nazionalizzazione, dove uno spirito discriminatorio e per nulla inclusivo troppo a lungo ha soffiato sul Vecchio Continente; c’è il trauma della Prima guerra mondiale, con la «italianizzazione forzata» imposta dal fascismo alle popolazioni slovene e croate; ci sono la violenza e la brutalità dell’occupazione nazista e fascista della Jugoslavia
nel 1941; c’è la tragica lezione della Seconda guerra mondiale, una guerra totale, in cui veniva meno la distinzione tra militari e civili, dove l’imbarbarimento del conflitto, specie sul fronte orientale, è stato
massimo. Ancora: c’è l’incontro tra violenza e ideologia politica che si fa devastante e dove, in un clima torbido e inquietante, s’intrecciano il giustizialismo politico
e ideologico del movimento partigiano titino, il nazionalismo etnico e, soprattutto in Istria e nelle aree interne, la violenza selvaggia tipica delle rivolte contadine.
Ci sono le violenze contro le popolazioni italiane del settembre del 1943 e del maggio-giugno del ’45, di cui le foibe, gli arresti e il clima di terrore che spinge all’esodo forzato migliaia di italiani sono simbolo ed espressione; c’è la volontà di Tito e del comunismo jugoslavo di annettere l’intera Venezia Giulia, con un’epurazione volta a eliminare – senza andare troppo per il sottile – qualsiasi voce di dissenso. Ci sono, infine, le logiche della Guerra fredda e della radicalizzazione dello scontro ideologico nell’immediato Dopoguerra. Il tutto sulla pelle di decine di migliaia di persone.
Un vero e proprio tornante di fughe e di espulsioni in tutta Europa, infatti, si accompagna agli esordi della Guerra fredda e a una più generale ridefinizione dei confini europei e dei loro significati. Diventa, quindi, sempre più necessario, nell’affrontare questa pagina di storia, contestualizzarla con grande rigore, respingere tesi negazioniste o riduzioniste, così come le banalizzazioni e le verità di comodo più o meno finalizzate a uno scorretto uso pubblico della storia. Occorre assumere un ruolo attivo nel processo di rivisitazione critica, che sola può portare al superamento delle lacerazioni del passato. Anche perché le vicende dell’area giuliano-dalmata costringono chi le affronta a misurarsi con temi assai più generali e con fenomeni centrali per la comprensione della nostra contemporaneità.
* Presidente di ISTORECO Pavia A cura della Biblioteca Civica Vigevano, Rete Cultura Vigevano e dell’Istituto pavese per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea )
Da 19 anni a questa parte , come ogni anno s'inizia a parlare della questione adriatica cioè della giornata , ora diventata la settimana palla del giorno del ricordo \ 10 febbraio ed adesso a freddo ed in anticipo al fiume di : retorica nazionalista ed nostalgica , di negazionismo ( da entrambe le parti ) , ricordi a metà , paragoni idioti e fuorvianti , e appelli ipocriti ed utopistici alla memoria condivisa , faccio soprattutto su quest'ultima la mia odierna riflessione .
Non ricordo se per la settimana del giorno del ricordo o qualche altro anniversario di un evento storico "divisivo " ho appreso che sono stati trovati dei volantini con la scritta nessuna memoria condivisa".Parola che sentiamo e sentiremo spesso per descrivere la storia del secolo scorso in paticolare da dopo la grande guerra ad mani pulite . Ma mi chiedo ogni volta che sento tale termine Cosa significa, esattamente, memoria condivisa ? quale sarebbe il significato in opposizione a quello informatico ? cosa significhi Nel suo significato socio-antropologico ? Ma soprattutto Memoria di cosa, e soprattutto, condivisa da chi ? Visto l'utilizzo mediatico e politico che ne viene fatto del termine , sospetto che questa sia un'espressione a sé stante, ma non ho trovato alcuna spiegazione del suo significato né su Google né su treccani.it.
Mettendo insieme gli spunti forniti da uomo in verde e Elberich Schneider , azzardo un'interpretazione.
Per 'memoria condivisa' si intende un insieme di racconti o mitici che condividono vivi in una data comunità senso d'identità, valori, ideali, aspirazioni, usanze, contribuendo insieme ad altri fattori a far da collante tra gli aderenti a quella stessa comunità . Tali racconti debbono essere tali da suscitare emozioni e valutazioni simili e concordi tra i più, o almeno tra chi conta di più, ma senza scatenareeccessivi contrasti, senza eccessive conflittualità nella comunità più ampia. Forse questa è la differenza rispetto alla 'memoria collettiva' citata da uomo inverde che invece mi sembra possa contenere racconti molto discordi tra di loro, e quindi non la funzione di collante: in questo caso la 'memoria condivisa' potrebbe considerarsi un sottoinsieme della 'memoria collettiva' ?
Da notare però che qui si dice che la memoria collettiva è anche condivisa, nel senso di "shared", e si mette in collegamento con altri concetti quali 'intelligenza collettiva' , 'coscienza collettiva' , 'conoscenza distribuita' : secondo me è " shared" solo nel senso che è generata più collettivamente e quindi a disposizione di tutti, ma non tale da generare le stesse reazioni emotive come suggerito invece dall'aggettivo italiano "condiviso" che mi sembra forte dell'inglese "shared".
Per come lo capisco io, il concetto di 'memoria condiviso' è associato a quello di 'mito fondante' (o fondativo ). Inoltre continuando nella mia ricerca ho , più precisamente Qui , trovato alcune opinioni interessanti, ne cito un paio:
La memoria è soggettiva, non può essere condivisa; può essere confrontata, ma non condivisa. Ciò che si può cercare di condividere non è una memoria, ma una storia (Walter Barberis)
Memoria collettiva […] non equivale necessariamente a memoria condivisa […]: perché l'una rimanda ad un unico passato, cui nessuno di può sottrarsi e che coincide appunto con la nostra storia; mentre l'altra sembra presumere un'operazione più o meno forza di azzeramento delle identità e di occultamento delle differenze. Il rischio di una memoria condivisa è una "smemoratezza parteggiata", la dimenticanza. (Sergio Luzzatto)
Ma è qui che c'è invece un più ampio pubblico in cui si discute di discorso collettivo, condiviso, comune, pubblica, uso pubblico della storia, e altro. Ma ci stiamo allontanando dalla lingua italiana per addentrarci nei meandri insidiosi della filosofia, della storia, della sociologia e della politica.
Infatti << Ora è ormai --- come fa notare quest articolo de La stampa del 23 Aprile 2009 modificato il 23 Ottobre 2019 13:10 ---- frequente, in occasione di anniversari che riconducano a momenti critici e controversi della nostra storia nazionale, sentire il richiamo a una memoria condivisa. Sembrano confondersi, tuttavia, in questo invito istanze diverse, sulle quali vale la pena riflettere. E in primo luogo per una questione assai semplice: che il termine memoria è ambiguo per definizione. Connota il giusto intento di trasmettere alle generazioni più giovani il patrimonio di esperienza di coloro che le hanno precedute. E, generalmente, indica l’esigenza di tenere viva la lezione che si presume ci abbiano lasciato avvenimenti tragici che hanno lacerato la nostra società. Ma la memoria è soggettiva, individuale, e per di più incline a deteriorarsi, a perdersi, a peggiorare. La memoria è il risultato di sguardi particolari, che non possono essere modificati. Certo, si può affermare che esperienze comuni abbiano sedimentato una memoria collettiva. È vero. Ma sarà comunque impossibile conciliare, rendere omogenee, memorie legate a esperienze diverse, derivate da punti di vista e da adesioni personali o di gruppo totalmente differenti. [.... ] >>
Secondo alcuni me compreso per memoria condivisa e qui sta la sua utopia s'intende come metafora di qualcos’altro. Ovvero come il terreno su cui far germogliare un processo di riconciliazione nazionale, cioè quell’accordo fra visuali diverse e distanti che permetterebbe di mettere alle spalle il passato: con la concessione ai «vinti» di qualche risarcimento morale e di un conseguente restauro di immagine, e con la richiesta ai «vincitori» di una qualche forma di abiura e di cessione valoriale. IL fatto è che con tutta evidenza non funziona. Perché ogni guerra civile o scontri sociali , dalla Rivoluzione Francese in avanti, ha sempre lasciato dietro di sé una scia di recriminazioni, di rese dei conti, di riscritture ed uso strumentale ( nel caso delle vicende dl confine orientale ) degli avvenimenti e una molteplicità di memorie differenti e antagoniste. Esattamente com’è successo e succede in Italia dopo periodi di forte contrapposizione sociale e culturale esempio tangentopoli \ mani pulite .Quindi, per fare un esempio, i fatti relativi ad alcune stragi italiane, tra i quali la Strage di Portella della Ginestra (1947), la Strage di Piazza Fontana (1969), la Strage di Piazza della Loggia (1974), la Strage della stazione di Bologna (1980), le Stragi di Capaci e Via D'Amelio (1992), appartengono a tutti alla memoria collettiva italiana, tutti li ricordano; ma i racconti sono discordi, non è una memoria condivisa, le ricorrenze vengono vissute con emozioni contrapposte piuttosto e tali non aperti da rafforzare il senso d'identità nazionale quanto tali da rafforzare conflittualità e apparentemente insanabili.
Ed ecco che ( chi già sa cosa la penso sul giorno del ricordo è sull'uso che viene fatto di tali dolorosi ed drammatici avvenimenti della nostra storia nazionale , può anche non leggere il resto dell post )
il giorno del ricordo come tutti gli eventi del italiani del secolo scorso su cui almeno fin ora , non si è riusciti a raggiungere rispetto all'Europa tale intento visto che 1) non si è riuscito a farci i conti ., 2) si è ancora troppo divisi come testimoniano due lettere da me ricevute in questi giorni . la prima a favore e l'altra contro tale celebrazione scelte tra quelle che ho ricevuto ( come succede tutti gli anni ) dopo i miei post sul giorno del ricordo, l'impossibilità ed l'utopia .
Caro Giuseppe
Ti seguo fin dalle origini del blog [ quando era ancora splinder N.a ] e poi su facebook account e pagina e quindi quando hai , in contemporanea all'istituzione della giornata del 10 febbraio , iniziato a fare post sulle foibe ed l'esodo degli orientali cioè sulla nostra storia e le nostre storie / memorie . Pur non condividendo il modo con cui ne parlavi ti si poteva riconoscere un po' di onestà intellettuale visto che riconoscevi il genocidio e criticavi i tuoi amici /compagni di viaggio - strada che lo negavano o sminuivano ed alcuni d'essi ogni anno ne distruggono le lapidi o targhe. Ma, mentre cercavo i post di quest'anno , ho trovato due tuoi post dell'anno scorso riportati sul blog e sull'appendice Facebook , in cui hai offeso tale ricordo : proponendo l'abolizione del 10 febbraio ¹, e mettendo sullo stesso piano gli slavi che nostri morti ². Per il momento mi prenderò sia dai tuoi social sia dal ti blog un periodo di riflessione per decidere se dirti addio o continuare a seguirti. Per il momento un abbraccio
hai riportato nei giorni precedenti la storia del maestro di musica Lojze Bratuž [ vedere secondo url dell' email prima riportata ] e quindi cosa fecero quella canaglie dei fascisti . E hai deciso di non stare a sentire la voce dei fascisti che : per sottrarsi vigliaccamente al giudizio delle loro vittime sono scappati in italia . Infatti nessuno dei fuoriusciti fu espulso ufficialmente con un preciso decreto di espulsione come avvenne per i tedeschi in Cecoslovacchia, Romania, Jugoslavia, Polonia e altre terre dell'Europa orientale. I successivi rinunciando al paradiso creato dal compagno Tito scapparono ritornare in Italia e vivere a spese nostre. Votando i partiti oppressori della DC e gli eredi dei fascismo ovvero Msi
Maresciallo Tito
potrei anche non rispondere a queste due email visto che che coloro hanno scritto dovrebbero aver letto le FAQ ed i post in cui parlo delle foibe \ giorno del ricordo . Voglio però precisare spero in maniera definitiva visto che dopo la settimana del giorno del ricordo ricevo e cestino email alcune anche peggiori di queste due cose
La prima
non sto negando ne tanto meno giustificandolo o smiuendo il genocidio giuliano - dalmata perché farlo sarebbe da imbelli e da disonesti , ma soprattutto perché non si tratta : 1) di fatti incerti ., 2) di episodi aneddotici o leggende diventate storia . E poi , alla faccia di chi accoglie la definizione classica di genocidio cioè cioè quella di Raphael Lemkin, ideatore del termine "genocidio" , io applico i nuovi parametri di definizione di tale termine esposti qui : https://it.wikipedia.org/wiki/Genocidio#Dibattito_sul_genocidio
Infatti in quelle zone oltre ai crimini di Tito ci fu anche , seguendo le nuove definizioni di genocidio , anche la "bonifica etnica" \ italianizzazione fascista ( trovate sotto fra la sitografia elementi per approfondire ) il cosiddetto fascismo di confine e quella applicata con campi di deportazione e criminale nei confronti degli slavi durante il secondo conflitto mondiale .
Ovviamente senza metterli sullo stesso piano perchè anche se tali massacri \ genocidi hanno la base comune il nazionalismo sono diversi , anche se uno conseguenza dell'altro , gli eventi ed i contesto che gli ha generati \ causati .
Quindi se proprio dobbiamo ricordare ( è per questo che ho fatto sia quel post provocatorio e quel post in cui si parla delle violenze fasciste ) ricordiamo tutto per evitare che 1) cada , come avvenne dagli anni 60 in poi fino all'istituzione del giorno del ricordo , l'oblio ufficiale sui tali fatti ; 2) << [...] Nonostante la ricerca scientifica abbia, fin dagli anni novanta del XX secolo, sufficientemente chiarito gli avvenimenti[45][46], la conoscenza dei fatti nella pubblica opinione permane distorta e oggetto di confuse polemiche politiche, che ingigantiscono o sminuiscono i fatti ed sminuendone o ingigantendo il numero delle vittime e degli esuli [ corsivo mio ] a seconda della convenienza ideologica[47][48] >> ( da https://it.wikipedia.org/wiki/Questione_adriatica ) .
La seconda
Non sono d'accordo che chi ha scelto di rimanere in quei territori durante il regime fascista cosi come di fuggire sia durante la guerra cioè all'8 di settembre sia dopo la guerra venga considerato necessariamente appartenente all'ideologia fascista . Infatti è pressoché impossibile distinguere chi vi aderii perchè : 1) ne condivideva e sosteneva il pensiero \ l'ideologia ., 2) per paura di repressione ed emarginazione ., 3) opportunismo ed carrierismo ., 4) indifferenza cioè basta che sia . Cosi come se scapparono dal governo di Tito e dal suo regime lo fecero solo ed esclusivamente , ed qui bisognerebbe provare a fare qualche domanda agli esuli , come dicono siti giornali e programmi televisivi che ci propinano ogni 10 febbraio , per la repressione e l'imposizione di quello che da movimento di liberazione diventerà una dittatura imponendo il sradicamento identitario della popolazione italiana .
per chi volesse approfondire ecco alcuni dei siti da me consultati e consigliati
“Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo”
José Saramago
Il nipote di un mio amica di 12\13 anni mi chiede
--- mamma mi ha consigliato di chiedere a te che sei esperto di storia cosa è il giorno e ricordo ?
-- esperto .non esageriamo , sono un semplice appassionato . Comunque Il giorno \ settimana del ricordo e quella giornata che “ci dovrebbe dare occasione per ripetere che non ci sarà mai giustificazione per l’odio, la discriminazione etnica, la presunzione di avere il diritto di sopraffare gli altri, la follia ideologica dei nazionalismi prima quello fascista e poi quelo comunista . Così come è l’occasione per riaffermare che di fronte a tutti i crimini confermati dalla verità storica non possono trovare spazio forme di revisionismo, negazionismo o giustificazionismo , ed uso politico \ ideologico , che hanno come unico risultato quello di offendere le vittime e colpire i sentimenti dei superstiti e dei discendenti. che hanno trovato la morte nei lager ( la risiera di san Saba ) nazi fascista e diversi campi di concentramento fascisti dei Balcani \ ex Jugoslavia . >Il più noto è qiuelo . Gonars (1942-1943) e nelle Foibe sia quelle tra il 25 luglio e l'8 settembre sia successivamente 1945 \1947 . Insomma a quanti, perché inseguiti dalla violenza e per in una scelta di libertà, hanno abbandonato la loro casa, la loro terra e ogni avere per affrontare la via dell’Esilio .comunque se vuoi approfondire https://www.tag24.it/484428-foibe-cosa-sono-e-giorno-del-ricordo/
---- ma come stai mettendo sullo stesso piano violenze fasciste e violenze comuniste , lager e foibe .
--- Ma quando mai . Accomunare olocausto e foibe serve solo a sminuire l’unicità della Shoah e a tacere le responsabilità del fascismo”. Qui sto contestualizzando perché purtroppo il confine orientale è stato teatro di questi tre crimini ideologici ( fascismo , nazismo , comunismo ) che uniti al nazionalismi hanno reso particolare ed ancora doloroso insieme al silenzio quasi totale dovuto alla voglia di lasciarsi alle spalle gli orrori e e brutture dei quel periodo e l'opportunismo politico della guerra fredda cioè dello scontro tra i due blocchi quello Nato ad Ovest e quello Russo \ sovietico ad est hanno determinato quella dolorosa ferita . Quindi il nostro paese deve ancora fare i conti su quello che è successo nel confine orientale .
---- Un po' sintetica come spiegazione .
------- effettivamente . Ma non volevo annoiarti con la mia logorrea. Non ti preoccupare che ne sentirai parlare visto che tra poco inizierà la settimana del ricordo ( la giornata del #10febbraio ) e ne sentirai parlare in TV e sul web in maniera più o meno dettagliata /a 360° gradi . Infatti negli ultimi anni sta venendo meno il refrain barbarie comunista e congiura del silenzio ( che certamente ci fu visto tali eventi furono regalato solo su libri specialistici o auna determinato pensiero ideologico culturale o qualche spirito libero che affrontava il tabù di tali argomenti ) . Comunque sei vuoi approfondire l'argomento trovi sotto dei siti Mi scuso se sono 4 sui 5 dello stesso sito ma erano articoli troppo interessanti . E se vuoi quando abbiamo un po' più di tempo ne parleremo più a fondo e magari ti do altri siti .
Qualche giorno dopo lo rincontro e mi dice << Grazie . Dai link che mi ha suggerito e dai programmi tv ed altri siti che ho consultato sulle vicende storiche del periodo storico riguardo alle vicende del confine orientale ho capito \ mi sono fatto un idea fra il 1918-1975 che l'italia , , non ha da quando è stata unita , fatto i conti con il proprio passato e le brutture che ha commesso e taciuto in questo caso e che le violenze e gli eccidi non furono da una parte solo come la propaganda pro 10 febbraio ci ha fatto credere >> .
Mi sono sono inumiditi gli occhi dalla gioia di vedere un seme lanciato germogliare
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il presidente della Slovenia Borut Pahor a Basovizza (ANSA/Francesco Ammendola/Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)
l 10 febbraio di ogni anno, in Italia, è il “Giorno del ricordo” dedicato ai morti sul confine orientale d’Italia e al cosiddetto “esodo” italiano alla fine della Seconda guerra mondiale: un pezzo di storia nazionale a cui ci si riferisce spesso come “le foibe”. E ogni anno, nei giorni immediatamente precedenti e successivi, ci sono polemiche e scontri a vari livelli, dalla politica ai social network, caratterizzati spesso da una notevole aggressività delle argomentazioni, che nella maggior parte dei casi non riguardano tanto le ricostruzioni dei fatti – in massima parte condivise – quanto il giusto valore storico e le responsabilità morali da attribuire alle foibe, e all’opportunità dei paragoni con gli altri eccidi del Novecento.
Le foibe di cui si parla, letteralmente, sono delle cavità naturali molto profonde tipiche dei territori al confine tra Italia, Slovenia e Croazia. Il termine “foiba” deriva dal friulano, derivato a sua volta dal latino fovea, che significa fossa: si usa per indicare delle grandi conche nel terreno, al cui fondo di solito si formano quelli che vengono definiti inghiottitoi, cioè una voragine a forma di pozzo verticale nel terreno attraverso la quale defluiscono le acque che si accumulano nella conca. Ma nel linguaggio corrente, con “foibe” si indicano i massacri di civili e soldati italiani avvenuti alla fine e subito dopo la Seconda guerra mondiale nei territori sul confine orientale italiano, compiuti in larga parte dai partigiani jugoslavi.
La discussione sulle foibe si è polarizzata sempre di più negli ultimi anni a causa dello spazio e del consenso acquisiti dalla destra radicale rispetto al passato, e ha assunto connotazioni politiche che rendono difficile – leggendo i report giornalistici – comprendere cosa sia avvenuto davvero tra il 1943 e il 1945 in Istria, in Dalmazia e nella Venezia Giulia, i territori al confine tra Italia ed ex Jugoslavia. A questo si aggiunge una conoscenza diffusamente superficiale del contesto storico e sociale che caratterizzava quei territori e le persone che li abitavano all’epoca e li avevano abitati nei decenni precedenti.
Il cosiddetto confine orientale, chiamato anche regione dell’Alto Adriatico, è un territorio in cui per secoli si sono incrociate e sovrapposte culture diverse, principalmente quella germanica, quella slava e quella italiana. Le identità culturali delle persone che abitavano in queste regioni erano (e in parte sono ancora) complesse, legate all’appartenenza locale e non nazionale. Era così soprattutto in passato, quando le nazioni ancora non esistevano nella forma in cui siamo abituati a intenderle oggi.
Dopo essere stati sotto il dominio dell’Impero Romano, della Repubblica di Venezia e dell’Impero
Austro-Ungarico, nel 1918 una parte consistente di questi territori – l’Istria e una parte di quella che oggi è la Slovenia – passò sotto il dominio italiano, in conseguenza del trattato di pace della Prima guerra mondiale. Nei territori annessi, i governi italiani e in particolare il regime fascista iniziarono un’estesa opera di assimilazione culturale, spesso usando la forza e la violenza per italianizzare i popoli e negare la loro appartenenza a culture diverse da quella italiana. Per questo motivo molte persone del Nord-Est italiano ancora oggi hanno il cognome italianizzato che termina in “ich” al posto dello slavo “ić”, e alcune città slovene sono conosciute da noi con il loro nome in italiano (per esempio San Pietro del Carso).
Questa italianizzazione forzata e in generale l’occupazione italiana creò una tensione che poi si acuì durante la Seconda guerra mondiale, in particolare a partire dal 1941, quando l’esercito nazista tedesco invase la Jugoslavia. A seguito dell’occupazione, una parte ancora più ampia di territorio sul fronte orientale passò sotto il controllo dell’Italia fascista. Nel frattempo, già dal 1941, aveva cominciato a formarsi la Resistenza jugoslava guidata dai comunisti del maresciallo Josip Broz, soprannominato Tito, che puntava a riconquistare i territori controllati dagli italiani e a riunire i popoli slavi in un’unica federazione. Tra il 1941 e il 1943 la tensione che si era accumulata negli anni precedenti
sfociò in una lunga serie di violenze tra i partigiani slavi e gli occupanti italiani.
Era un periodo in cui le violenze efferate erano continue, in cui omicidi, esecuzioni sommarie e deportazioni erano il risultato della guerra in corso. L’occupazione fascista cercò di reprimere la Resistenza jugoslava con ogni mezzo, seguendo uno schema codificato da una nota del generale Mario Roatta, comandante delle truppe stanziate nei territori occupati. I villaggi venivano distrutti, le donne, gli anziani e i bambini erano internati nei campi di prigionia, e gli uomini partigiani venivano fucilati.
È in questo contesto di prolungata violenza che sul confine orientale si venne a conoscenza della firma della resa italiana, annunciata l’8 settembre 1943. La Resistenza jugoslava prese coraggio e si rafforzò grazie a nuove adesioni. Nelle settimane successive all’armistizio si crearono un clima di rabbia e un desiderio di vendetta che portarono a continue violenze e regolamenti di conti. I partigiani slavi in Istria decisero di ordinare l’arresto di centinaia di rappresentanti o collaboratori dell’ex regime, che vennero processati sommariamente e fucilati. I loro corpi furono poi gettati nelle foibe intorno a Pisino, in Istria.
La scoperta di una fossa comune in Friuli Venezia Giulia (ARCHIVIO/ANSA)
È stato calcolato che le persone uccise in questa circostanza furono circa duecento. Se a questo numero si aggiungono tutti gli scomparsi e i morti in circostanze a oggi sconosciute ma attribuibili a quelle ritorsioni, si arriva a circa 400-500 morti, una stima condivisa da quasi tutti gli storici che si sono occupati di questo tema.
Nel 1945 ci furono poi altre uccisioni commemorate a loro volta nel “Giorno del ricordo”, in una fase della guerra e in un contesto però assai diversi: a fine aprile la Germania nazista era ormai quasi del tutto sconfitta e il clima da resa dei conti era ancora più intenso rispetto all’autunno del 1943. Nell’Alto Adriatico i partigiani slavi capirono che bisognava muoversi il più velocemente possibile verso ovest per poter avanzare più pretese sui territori al momento delle trattative, e quindi l’esercito jugoslavo arrivò a Trieste già il primo maggio.
In questa fase Tito non era più a capo di una Resistenza in difficoltà, ma di uno stato vero e proprio, con un governo e un esercito (sarebbe poi stato presidente della Repubblica jugoslava fino alla sua morte nel 1980). Per consolidare il governo e il regime comunista che sarebbe nato di lì a poco, quindi, decise di procedere con una serie di arresti tra collaborazionisti del nazismo, ex fascisti e oppositori politici, o presunti tali: circa 10mila in tutto. Di questi, circa un migliaio furono uccisi dall’esercito comunista jugoslavo e gettati nelle cosiddette “foibe giuliane”, nella Venezia Giulia.
Secondo una stima per eccesso, anche questa condivisa dalla maggior parte degli storici, in quest’altra fase gli italiani uccisi furono tra i tremila e i quattromila. Molti di questi non morirono nelle foibe, ma nei campi di prigionia dove le condizioni di vita erano ai limiti della sopravvivenza. Vennero uccise o imprigionate anche persone che non erano esplicitamente legate al regime fascista, ma che erano sospettate di essere potenziali oppositori politici del regime di Tito.
Negli stessi mesi praticamente in tutta Europa erano in corso violenze e ritorsioni simili a quelle dell’Alto Adriatico, sospinte dalla sconfitta della Germania nazista e dal desiderio di vendetta. Le stragi jugoslave del 1943 e del 1945 non ebbero come movente principale un accanimento specifico nei confronti degli italiani in quanto tali, e gli storici ritengono che non sia il caso di parlare di “pulizia etnica”. Molte delle persone uccise avevano un’identità mista o non erano italiane (erano per esempio tedeschi o collaborazionisti sloveni), e gli ordini delle autorità slave erano chiari: «epurare non sulla base della nazionalità, ma del fascismo».
La connotazione di queste violenze era quindi soprattutto politica e ideologica, risultato di anni di occupazione straniera da parte dei regimi italiano e tedesco, entrambi con un’ispirazione politica diametralmente opposta rispetto a quella della nascente Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.
Manifestazione organizzata da Casa Pound a Torino il 10 febbraio 2020 (ANSA/ALESSANDRO DI MARCO)
I tentativi di contestualizzare gli eccidi delle foibe, nelle discussioni contemporanee, vengono spesso accusati di attenuare o addirittura di negare la gravità di quello che accadde. È tendenzialmente la posizione di chi, da destra o da estrema destra, sostiene che le foibe non siano abbastanza ricordate. Ogni anno avanzano accuse simili partiti come Fratelli d’Italia e la Lega, ma anche movimenti più estremisti come Forza Nuova e CasaPound, che in queste occasioni organizzano con frequenza proteste, manifestazioni e incontri.
Uno degli argomenti più utilizzati è che esisterebbe la volontà di oscurare e mettere a margine il racconto delle violenze sul confine orientale. Alle vicende del confine orientale sono stati dedicati in realtà una gran quantità di incontri, approfondimenti, cerimonie ufficiali, fiction e film della Rai. Tutte le occasioni pubbliche di riconoscimento e racconto delle foibe, però, sono avvenute di recente, perché per decenni, dopo la guerra, c’è stata una grande ritrosia degli ambienti politici e culturali di sinistra a raccontare pubblicamente le vicende del confine orientale, per un’indulgenza in parte storica e in parte ideologica nei confronti di atrocità ritenute il risultato di quelle che le avevano precedute, e per evitare di fornire argomenti alla destra.
Dopo la fine della Guerra Fredda e la scomparsa del Partito Comunista Italiano, questa ritrosia diminuì e infatti il “Giorno del ricordo” venne introdotto solo nel 2004, quando era in carica il secondo governo Berlusconi, di centrodestra. In parte, la commemorazione fu istituita nel tentativo implicito e a volte esplicito – poco storico, molto politico – di “compensare” la festa del 25 aprile, quella della liberazione dal nazifascismo, e la Giornata della memoria, che si celebra il 27 gennaio di ogni anno per ricordare i sei milioni di ebrei morti nell’Olocausto e gli altri milioni di persone sterminate dalla Germania nazista e dagli alleati, compresa l’Italia fascista.
Per il “Giorno del ricordo” fu scelta la data simbolica del 10 febbraio, giorno in cui nel 1947 fu firmato il trattato di pace con cui l’Istria e una parte della Venezia Giulia divennero parte dell’ex Jugoslavia. La maggior parte dei firmatari della legge erano parlamentari di Forza Italia e di Alleanza Nazionale, il partito erede della tradizione neofascista del Movimento Sociale Italiano. Ma fu votata e condivisa da quasi tutti i partiti in Parlamento, dalla Lega ai Democratici di sinistra, con l’eccezione di Rifondazione comunista.
il resto lo sapete già . come dicevo nel post sull'altra giornata rompi ( quella nel 27 gennaio \ giornata della memoria ) 😥 si dovrebbe ricordare /celebrare senza retorica e ideologia . ma se per la prima è un po' più facile e qualcuno riesce anche a realizzarlo con la giornata del ricordo / 10 febbraio è più difficile . visto il complesso periodo storico sia pre foibe sua post foibe in cui quella zona si è venuta a trovare in cui si sono svolte tali vicende ed il silenzio pubblico tranne che per gli specialisti e poche persone coraggiose che più o meno graziosamente affrontavano tale argomento fino all'istituzione della giornata del 10 febbraio .
Per cercare d'essere originale ed evitare di cadere nella retorica anche nella " settimana " del ricordo ovvero nel 1' febbraio , ho deciso d'incentrare il mio post su un intervista \ chiacchierata con l'amico fb triestino Paolo Visnoviz
IO ciao e complimenti per i tuoi scritti . e pensieri in direzione ostinata e contraria . vorrei chiederti , visto che il tuo cognome mi sembra slavo , se t'andrebbe una " intervista " chiacchierata sulle foibe e sull'esodo
PAOLO
Sono triestino da almeno 7 generazioni, poi chissà... Ma anche mi chiamassi Rossi, la storia delle foibe ha segnato tutto il territorio e tutti i suoi abitanti.
IO come hai conosciuto le vicende delle foibe ?
PAOLO Abitando dove abito, è difficile non aver mai sentito parlare delle foibe. Ma anche la memoria va contestualizzata. Nel senso che la mia memoria non è diretta, per ovvi motivi anagrafici, ma nasce in un preciso contesto sociale e politico. La mia famiglia era di sinistra. Mio nonno era un attivista del PCI, e fu internato in Risiera. Sopravvisse. Mio padre, anch'esso di sinistra (seppur equilibrato e affatto integralista), era stato preso dai tedeschi e obbligato a scavare trincee nell'ultimo periodo dell'occupazione nazista. Delle foibe, in famiglia, non se ne parlava mai. Forse perché non ci avevano mai toccato direttamente. Forse perché avevamo altre tragedie da ricordare, come il bombardamento del 10 giugno del '44, che mi impedì per sempre di conoscere uno zio materno, morto adolescente.Oltre che le memorie e i discorsi a mezza voce di "quelli grandi", da piccolo la guerra mi regalò una baionetta nazista, usata da mia nonna per fare lavori di giardinaggio e lasciataci da un giovanissimo soldato, che la mia famiglia aveva nascosto per qualche giorno in un sottoscala, e un bel tavolo in legno massiccio lasciatoci da una famiglia ebraica, che pure i miei avevano aiutato. Le foto in bianco e nero di quelli che non c'erano ormai più. I racconti di mia madre e mio padre di quando andavano al mare, a tuffarsi da un relitto di nave bombardato. O, ancora, i racconti di mio nonno, il quale aveva, all'epoca, una piccola osteria dove dalla porta uscivano tedeschi, incrociando partigiani che entravano, facendo finta di nulla. Quasi in una specie di tregua mai dichiarata, ma da tutti rispettata.
IO secondo te il 10 febbraio è utile o inutile ? Oppure tale giornata Istituita nel 2004 su iniziativa di esponenti dell'allora Alleanza nazionale e da una sinistra revisionista “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”, la ricorrenza del Giorno del Ricordo ha finito per inglobare non solo le memorie per troppo tempo marginalizzate degli esuli e delle loro famiglie, ma anche dei fascisti, le cui responsabilità sono intrinsecamente legate con il destino di quelle comunità. ?
PAOLO Come sempre la politica, o meglio la strumentalizzazione politica dei fatti storici, fa sembrare tutto rosso o nero, ma non fu così. Non è mai così.
Nella mia fretta ( sia del parlare che nella scrivere ) gli ho fatto tre domande in una
IO "Sul tema si è imposta una verità ufficiale fatta di stereotipi e luoghi comuni. Chi la mette in discussione è tacciato di negazionismo" che ne pensi ? Eric gobetti afferma in questo articolo su https://www.ildolomiti.it/societa/2021/ << [...] Per gli studiosi parlare di questo tema, come di molti altri, è diventato sempre più difficile. Ma questo è un meccanismo che va fermato, perché gli studiosi devono poter analizzare le fonti, fare ricerca e dare le proprie interpretazioni liberamente” [....].>> e qui introducendo il suo ultimo libro
concordi o non concordi ?
Per me A dominare la narrazione sul confine orientale è il nazionalismo, che a fronte di decenni di repressione e oppressione degli slavi tende a isolare gli episodi in cui gli italiani sono stati vittime. << La verità ufficiale che si è imposta sul tema delle foibe non si basa sulle fonti bensì sugli slogan – prosegue Gobetti – si sente ad esempio ripetere che i territori in questione fossero italiani da sempre. È totalmente falso, perché diventano italiani dopo la Prima guerra mondiale e lo restano fino alla fine della Seconda, quindi per poco più di 20 anni. Sono terre in cui per secoli hanno convissuto gruppi linguistici differenti. A questo aspetto dedico uno dei tanti capitoli del libro, dove punto per punto analizzo cosa ci sia di vero e cosa di falso negli slogan>> e vanno studiati e ricordati a 360 gradi . Per te ?
Paolo Ritornando in tema e alla tua domanda, delle foibe iniziai ad interessarmi grazie a Roberto Menia (quello che poi sarebbe diventato il braccio destro di Gianfranco Fini). Andavamo allo stesso liceo, ma in classi differenti (credo lui sia più vecchio di me di un anno), e mi aveva preso di mira. Lui già allora era un "capetto del Fronte della Gioventù, mentre io mi definivo anarchico, e tra tutti i 600 studenti di quella scuola, eravamo forse in 3 ad esserlo. Avevamo però un certo seguito e carisma, ovviamente soprattutto a sinistra, e quindi Menia mi prese un po' di mira. Nulla di che, mai nulla di violento. Forse, una volta qualche spintone e un giornale strappato (credo fosse una copia de "il Male").Un giorno, in un confronto verbale in corridoio, mi rinfacciò le foibe, non a me, ovviamente, ma a quella parte politica cui lui credeva fossi vicino. Non era la solita contrapposizione verbale, il solito esercizio dialettico (classico, per dei giovani stupidi, come tutti a quell'età eravamo). No, per lui era qualcosa di più profondo, di più vivo: una ferita ancora aperta.Ne parlai a casa con i miei. Chiesi loro direttamente delle foibe. Non negarono, ma quasi giustificarono quei massacri con i torti da molti subiti. I villaggi in fiamme, la gente uccisa o deportata. Gli orrori perpetrati dai nazifascisti.Non subito, ci volle tempo, ma da quel giorno iniziai a capire che i torti non stavano da una sola parte, e che gli orrori li avevano commessi tutti.La famiglia di mia moglie è italiana d'origine, italiofona e vive in Istria, Croazia. La maggior parte di loro sono rimasti anche nel travagliato dopoguerra. Vivono non molto distante da una foiba, e i loro ricordi sono terribili. Sono sopravvissuti, come la madre di lei, poi emigrata a Trieste che, un giorno, camminando per strada si prese un proiettile in un braccio. Di storie così ogni triestino può raccontarne. Eppoi la triste storia degli esodati, ben raccontata da Cristicchi in Magazzino 18. Un lavoro teatrale che ha portata in giro per l'Italia, e che io ho visto a Trieste, dove ha avuto un impatto emotivo molto forte, per ovvi motivi. Lo hanno minacciato, gli hanno bucato le gomme della macchina. Ancora oggi c'è gente che non riesce a far pace con la storia. D'altra parte, quando venne eletto Nesladek sindaco di Muggia (TS), di sinistra, in piazza c'era gente che per festeggiare ha tirato fuori le bandiere titine. Ancora oggi ci sono moltissimi triestini che non vanno in Slovenia nemmeno se pagati. Ancora oggi in molti esercizi della minoranza slovena, servono prima chi entra dicendo "doberdan" di quello che ha detto "buongiorno", anche se sarebbe stato il suo turno.Ancora oggi ci sono persone che negano o giustificano. Almeno oggi se ne parla, almeno oggi c'è il 10 febbraio. La verità viene raccontata, anche se non tutti vogliono sentirla. Più in generale ci sono stati storici e giornalisti che hanno riletto la storia della 2° guerra mondiale in modo più critico e obiettivo, non ideologico, come Giampaolo Pansa.Dal mio canto, quando mi capita di parlarne con qualcuno, ricordo semplicemente che riconoscere le atrocità dell'esodo e delle foibe, non sminuisce affatto gli orrori del nazifascismo. Nessun revanscismo, nessun odio, solo la necessità di raccontare la storia. Tutta la storia, non solo una parte.
Concordo con lui soprattutto sull'ultima parte perchè dopo quasi 60 anni di silenzio istituzionale e ufficiale , rotto ogni tanto come un Geysir da scritti e studi ma limitatoi solo per gli specialisti e un pubblico di nicchia , certe ferite ancora aperte bruciano ancora per il sale che viene sparso su d'esse da un uso politico \ ideologico della storia alimentato dalle celebrazioni ufficiali . Infatti anche se sono critico verso il 10 febbraio ricordo tale evento e cerco di sfatare la vulgata delle foibe e dell'esodo solo ed esclusivamente come i eccidi comunisti . Ma soprattutto mettere in evidenza che quello che accade nell'Adriatico ( quelo che una volta si chiamava confine orientale ) in quegli anni non è solo dal 1947 al 1960\75 e che farsi un idea diversa da quella ufficiale non vuol dire necessariamente giustificare o negare talli fatti. Infatti La cristallizzazione istituzionalizzata delle memoria delle vicende delel foibe in una ricorrenza nata a qualche anno dall'istituzione del Giorno della Memoria contiene in sé un'irrisolvibile contradditorietà. Il 10 febbraio l'Italia si ferma a ricordare una comunità sradicata dal proprio territorio e accolta a fatica nel seno della nazione. Lo fa in una data che è al tempo stesso l'inizio della fine per gli italiani adriatici e l'imposizione di un trattato come vinti per l'intero Paese. Agli occhi degli italiani, digiuni dalla Storia e dalla conoscenza delle terre di confine, il ricordo diventa rivendicazione, in continuità diretta, geografica e politica, con la “vittoria mutilata”. L'iter per l'istituzione della ricorrenza, al tempo stesso, ne marca il senso politico. “Colonizzata” dalla destra post-fascista, accettata dalla sinistra post-comunista in nome della “memoria condivisa” - lo scotto da pagare per la consunzione dell'utopia – questa data “dialoga” con il Giorno della Memoria, quasi fosse contrapposta allo sterminio nazi-fascista. "Pareggiare la storia", equilibrare le morti, presentarsi come vittime dimenticando deliberatamente d'essere stati carnefici.
L'uso politico della storia strumentalizza la tragedia d'una comunità, acuendo le divergenze, impedendo la comprensione. Infatti concordo con quanto dice in questo articolo dell'anno scorso sempre dal sito https://www.ildolomiti.it/societa/ Raoul Pupo uno degli storici fra i più citati dai "seguaci " del 10 febbraio ufficiale .
Professor Pupo, cosa avvenne nel confine orientale negli anni della Seconda guerra mondiale e cosa si celebra nella ricorrenza del Giorno del Ricordo?
È un periodo lungo quello che si ricorda nella celebrazione del Giorno del Ricordo, così come diversi sono i fenomeni al centro di questa ricorrenza. Si parte con gli infoibamenti, un'espressione in cui è forte la tendenza a semplificare e all'uso pubblico della storia. Si indicano le stragi avvenute a ondate nell'autunno '43 e nella primavera/estate del '45. Si ricorda poi l'esodo, un fenomeno lungo cominciato con lo sfollamento di Zara nel 1943 e concluso nel 1956. Vi sono poi le altre vicende del confine orientale, per cui si va indietro all'occupazione italiana. Complessivamente nel Giorno del Ricordo si commemora il collasso dell'italianità adriatica, di un intero gruppo nazionale, che per il 90% decise d'emigrare. I numeri precisi non si conoscono, si parla di alcune migliaia di scomparsi, tra i 3000 e i 5000, e di 300mila esuli. Sul tema, Italia, Slovenia e Croazia diedero vita a commissioni d'esperti, che si conclusero nel caso italo-sloveno mentre è rimasta in sonno quella italo-croata. Alla pubblicazione in Slovenia, in Italia non corrispose una pubblica comunicazione. Il Ministro degli Esteri, comunque, lo ha lasciato a disposizione degli studiosi. Su questo “collasso” vi è poi stato il tentativo di colonizzazione da parte della destra, un uso politico che si è inserito sullo spirito originario della legge di recupero e valorizzazione di una memoria per lungo tempo rimossa dalla scena pubblica.
Uso politico della storia e semplificazioni nel linguaggio segnano questa ricorrenza. Non è forse l'accento sulla memoria a determinarne la problematicità?
Sulle vicende di giuliani, istriani e dalmati ha operato per lungo tempo una generale amnesia, a partire dal dopoguerra. Per gli esuli e i parenti degli scomparsi è rimasta una ferita. Il Giorno del Ricordo agisce in questo senso su un lutto non elaborato, recuperato e valorizzato, come detto, ma su cui poi si è prepotentemente inserito un uso politico. L'utilizzo di un linguaggio banalizzante e semplificatorio ne è l'esempio. Si parla tanto di foibe perché impattano maggiormente sull'opinione pubblica, ma nella categoria di infoibati si comprendono anche persone uccise in altri modi o scomparse. Si parla di pulizia etnica, ma se fosse stata davvero una pulizia etnica ci sarebbero attualmente in quei territori circa 100mila italiani. Infatti quando parliamo di italiani in questi territori ci riferiamo a italiani d'elezione, non a italiani etnici. Paradossalmente “pulizia etnica” è un termine riduzionista, una semplificazione che finisce per essere un boomerang per chi la fa. Si guardino i cognomi degli esuli, ci si renderà conto di questo concetto. Con l'istituzione della legge il racconto di queste storie è delegato alle associazioni di profughi, variegate al proprio interno, alla rete degli istituti della Resistenza e agli enti locali. È chiaro che in quest'ultimo caso le maggioranze politiche influiscono in modo più o meno evidente. La problematicità delle iniziative, d'altronde, si ritrova proprio nell'accento che si fa sulla memoria. Nella caccia ai testimoni, sempre di meno, si mettono in difficoltà queste persone. Non si può, in aggiunta, far spiegare da un figlio di un infoibato come funzionano le stragi. Bisognerebbe che ci fosse sempre uno storico o un esperto accanto al testimone, perché va bene quando la memoria fa memoria, ma quando la memoria fa la storia è un disastro.
Tutti gli anni, a margine del Giorno del Ricordo, il dibattito pubblico viene percorso da opposte prese di posizione che negano o ingigantiscono il fenomeno degli infoibamenti. Quanto e perché è problematica questa ricorrenza?
La scelta del 10 febbraio è tutta politica. Nello spirito delle associazioni dei profughi è una data che segna l'inizio della tragedia, una data simbolicamente molto forte. Dal punto di vista storico, però, è estremamente problematica. Il governo italiano è oggetto del Trattato di pace, l'Italia è un Paese sconfitto e sul banco degli imputati. C'è inoltre il grosso limite d'essere vicini al Giorno della Memoria, segno che tra alcuni proponenti ci fosse l'idea di metterli sullo stesso piano. È una data infelice, se ne deduce, ma non era facile trovarne un'altra. Le ricorrenze si pongono spesso all'incrocio tra due fenomeni: la ricerca dei testimoni e il vittimismo come esaltazione della vittima. Queste due ricorrenze ne sono il simbolo. Riguardo ai diversi atteggiamenti nei confronti dei fenomeni al centro di questa ricorrenza, nel mio libro del 2003 ("Foibe", scritto con Roberto Spazzali) vengono avanzate alcune categorie come quelle di “negazionista” e “riduzionista”. Categorie scivolosissime da usare con attenzione, visto che il negazionismo è un reato punito per legge, e che rischiano d'essere utilizzate per ogni critica. C'è un grosso equivoco, a mio giudizio, e consiste nel fatto che cercar di capire cosa accadde nell'Adriatico in quegli anni non vuol dire giustificare.
Lo so che il mi ricordare e parlare di tali argomenti crea stupore tipo quanto mi si disse quasi a sfotto un amico di destra anni fa : << come miracolo un comunista che critica gli stessi comunisti , e ricorda ed condanna i loro eccidi >> Ma certi eventi , aldilà dell'interpretazione che ne viene data da una parte e dall'altra
Sul suo profilo Facebook, lei ha scritto: “Perfino un banale incidente viene raccontato in mille modi diversi. Per raccontare esodo e foibe occorrono anni di studi, onestà intellettuale e più voci”. Che motivo l’ha spinta a scriverlo?
Ho scritto questo perché io ho letto e leggo molto, anche per il mestiere che ho fatto. Mi sono reso conto che tante manifestazioni che sono organizzate per il ricordo o per altri motivi, sono spesso poco equilibrate. C’è gente che si improvvisa storico. E’ vero che ognuno ha i propri ricordi e quindi la storia la vede sotto il proprio punto di vista e non da quello degli altri. L’estrema sinistra e l’estrema destra hanno due approcci diversi nel raccontare la storia di quegli anni. Bisogna avere più equilibrio. E questo manca tante volte, anche in alcuni di noi. Perché io mi rendo conto che il dolore provato da mio padre, da mia madre, da mio nonno è stato grande, ma bisogna tener conto anche dell’opinione degli altri.
Non puoi raccontare solo la tua, devi indagare, vedere poi trarre le conclusioni. Per questo per me sarebbe importante che certe manifestazioni fossero organizzate con tutti e due i punti di vista, sia chi nega certe cose sia chi le esalta troppo. In modo da raggiungere un certo equilibrio in modo che la gente senta le opinioni di tutti e poi possa trarre le sue conclusioni. Io voglio sapere qual è la verità, la verità mia quella dell’altro, poi ognuno farà i suoi ragionamenti.
La storia e il dramma del professor Picot, il racconto della tragicità delle foibe e della fuga dall'Istria
non si possono negare o far finita che non siano mai avvenuti . Inoltre io ricordo oltre a quanto ho già detto precedentemente in altri post tali eventi perchè : 1) combatto , almeno ci provo . l'uso strumentale e politico di tali complesse e dolorose vicende ., 2) perchè essendo La memoria, come un fiume carsico, percorre le profondità della terra prima di ritornare alla luce. E quando lo fa, spesso, è prorompente. La memoria degli italiani adriatici, silenziata e rimossa nell'Italia del dopoguerra - lacerata dalla guerra civile, ferita da vent'anni di regime, spaccata politicamente e socialmente dalla Guerra fredda - è esempio significativo. ed io sono cresciuto con ciò . Da un lato mio nonno e i miei prozii paterni che coltivavano la vulgata come eccidi comunisti sulle foibe e mio padre e mio zio che la contrastavano . 3) perchè ancora non si è fatto i conti con il nostro passato dimenticando che siamo stati "noi" ad averle innescate e poi tacerle ed ora usarle strumentalmente tacendo \ nascondendo sotto il tappetto o quando c'è un briciolo di onesta intellettuale e politica cioè non li si nega sminuendo quello che è avvenuto prima e concentrandosi solo su quello chè è avvenuto dopo .