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6.2.23

Il confine orientale Dove corrono i tormenti del ’900 è le foibe e l'esodo spiegato ad un adolescente parte II )



Inizialmente stavo pesando a qualcosa di simile all'articolo sotto vista l'età 13\14 del ragazzo in questione . Ma poi vista : 1) l'obbietà dell'articolo che collima con il mio intento che coltivo dall'istituzione di tale giornata palla ma che ormai dopo anni di silenzio a livello della pubblica opinione
è diventa una delle date fondanti della Repubblica. Insieme al 27 gennaio ( anche se sarebbe stato meglio il 16 ottobre deportazione degli ebrei romani ma va beh ) , 8 marzo , il 25 aprile , il 1 maggio , il 2 giugno , il 4 novembre , Il 12 dicembre 2) la sagacità del ragazzo quando : << [...] ma come sta  mettendo sullo stesso piano violenze fasciste e violenze comuniste , lager e foibe [...] >>   di cui parlavo  nel post  precedente   : il 10  febbraio e la  questione   del confine orientale  spiegata   ad  un adolescente  ho cambiato idea .
Perché anche  se   come tutti  gli eventi   storici    è  difficile come  ho  detto nel post  : << 10  febbraio (  e  non  solo  )  e impossibilità della memoria  condivisa >>  trovare  una  memoria  condivisa    , non significa   che     certi eventi    debbano  essere  dimenticati    o   silenziati   e  gli orrori   che     ne  sono alla base   siano  ripetuti  anche    se  in maniera  diversa   . 




Ma  soprattutto visto che Il tema delle foibe e dell’esodo giuliano è da sempre un argomento molto delicato, affrontato da alcuni con reticenza e da altri con una certa strumentalizzazione politica ed ideologica . Qui come potete vedere nei mie post per il giorno \ settimana dl ricordo   sia  recenti  sia  passati  c'è l’intento di fare il più possibile chiarezza su quei tragici avvenimenti, raccogliendo a 360 gradi e non a senso unico l’invito della stessa legge istitutiva del Giorno del Ricordo che, testualmente, invita a “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale " Il mio obbiettivo è certamente quello di ricordare quei tragici avvenimenti che causarono tanti dolori e lutti ma anche quello, affrontandolo dal punto di vista storico, di cercare di comprenderne le origini, le cause e le conseguenze.
Solo in questa maniera può essere possibile difendere degnamente la memoria delle tante vittime e dei tanti profughi. e di cui ha subito sulla propria pelle gli effetti nefasti e brutali del nazionalismi e delle aberrazioni ideologiche de secolo corso . Ma ora basta parlare io , vi lascio all'articolo in questione




l'espresso 5 febbraio 2023

Il confine orientale Dove corrono i tormenti del ’900

                                      di PIERANGELO LOMBARDI *




Il Giorno del Ricordo  rievoca le vicende avvenute  nel secolo scorso nell’Alto Adriatico. La memoria
di questa tragica pagina di storia è difficile. E spesso strumentalizzata per  scopi politico  \  ideologici  [  corsivo  mio   ]





IL 10 febbraio è una data del calendario civile italiano: il Giorno del ricordo. Nel corso di formazione [  foto   a  sinistra     dell'edizione  di quest'anno  ] 
per insegnanti organizzato l’autunno scorso dall’Istituto pavese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, la sfida è stata quella 
di andare al di là delle sovraesposizioni mediatiche e delle ingerenze politiche, che non aiutano, ma al contrario allontanano la piena comprensione delle vicende avvenute nel corso del Novecento nell’Alto Adriatico. Il ragionamento di lungo periodo, proposto
agli insegnanti, è stato quello di riflettere 
sul tema che proprio la legge istitutiva del
Giorno del ricordo, del 2004, indica come
«la tragedia degli italiani e di tutte le vittime
delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli 
istriani, fiumani e dalmati nel secondo Dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale». Perché in questa tragica  pagina di storia non c’è solo una memoria 
difficile e complessa, ma, come ha suggerito
Guido Crainz, c’è in «quel confine tormentato tutto il nostro Novecento».
Ci sono i nazionalismi e i processi di nazionalizzazione, dove uno spirito discriminatorio e per nulla inclusivo troppo a lungo ha soffiato sul Vecchio Continente; c’è il trauma della Prima guerra mondiale, con  la «italianizzazione forzata» imposta dal fascismo alle popolazioni slovene e croate; ci sono la violenza e la brutalità dell’occupazione nazista e fascista della Jugoslavia 
nel 1941; c’è la tragica lezione della Seconda guerra mondiale, una guerra totale, in  cui veniva meno la distinzione tra militari e civili, dove l’imbarbarimento del conflitto, specie sul fronte orientale, è stato
massimo. Ancora: c’è l’incontro tra violenza e ideologia politica che si fa devastante e dove, in un clima torbido e inquietante, s’intrecciano il giustizialismo politico 
e ideologico del movimento partigiano titino, il nazionalismo etnico e, soprattutto in Istria e nelle aree interne, la violenza selvaggia tipica delle rivolte contadine.
Ci sono le violenze contro le popolazioni italiane del settembre del 1943 e del maggio-giugno del ’45, di cui le foibe, gli arresti e il clima di terrore che spinge all’esodo forzato migliaia di italiani sono simbolo ed espressione; c’è la volontà di Tito e del comunismo jugoslavo di annettere l’intera Venezia Giulia, con un’epurazione volta a eliminare – senza andare troppo per il  sottile – qualsiasi voce di dissenso. Ci sono, infine, le logiche della Guerra fredda e della radicalizzazione dello scontro ideologico nell’immediato Dopoguerra. Il tutto sulla  pelle di decine di migliaia di persone. 
Un vero e proprio tornante di fughe e di espulsioni in tutta Europa, infatti, si accompagna agli esordi della Guerra fredda e a una più generale ridefinizione dei confini europei e dei loro significati. Diventa, quindi, sempre più necessario, nell’affrontare questa pagina di storia, contestualizzarla con grande rigore, respingere tesi negazioniste o riduzioniste, così come le banalizzazioni e le verità di comodo più o meno  finalizzate a uno scorretto uso pubblico della storia.
 Occorre assumere un ruolo attivo nel processo di rivisitazione critica, che sola può portare al superamento delle lacerazioni   del passato. Anche perché le vicende dell’area  giuliano-dalmata costringono chi le affronta  a misurarsi con temi assai più generali e con  fenomeni centrali per la comprensione della  nostra contemporaneità.





* Presidente di ISTORECO Pavia A cura della Biblioteca Civica Vigevano, Rete Cultura Vigevano e dell’Istituto pavese per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea )

2.2.23

come ogni 10 febbraio ci ricordiamo delle foibe ma ricordiamoci perchè gli slavi le fecero

visto  che la maggior  parte  delle trasmissioni televisive  e     articoli  di giornale    ricordano a senso  unico  le  vicende   del confine adriatco  a sensounico cioè solo   le  brutalità  comuniste  facendo tutt'uno le  foibe    del periodo   1941\43   con quelle  del   1945\7  quando la  guerra  era  finita  . Ricordiamo  anche  quello che  successe prima  .
    riprendo da un post  facebookiano  dell'anno scorso  la  vicenda  

BRATUŽ LOJZE (1902 - 1937)
COMPOSITORE, DIRETTORE DI CORO



Lojze Bratuž in un ritratto giovanile.

Le vicende biografiche di B. sono drammaticamente legate al contesto storico e politico goriziano dei primi decenni del Novecento. La sua breve esistenza, iniziata a Gorizia nel 1902 e giunta a termine in seguito ad una brutale aggressione fascista nel 1937, va così contestualizzata all’interno della complessa realtà della minoranza slovena di cui egli è stato uno dei protagonisti. B. infatti era noto in tutto il territorio goriziano per la sua professione di maestro, che lo portava a spostarsi da un paese all’altro, e per le sue molteplici attività musicali. Dapprima cantore e organista parrocchiale, poi direttore di cori e insegnante di musica nel Seminario minore, egli divenne ben presto uno dei principali artefici del “rinascimento culturale” degli sloveni, esternato in un fervore di movimenti associativi a partire dagli anni Venti. Anni in cui l’attività corale, a cui guardava con interesse sia il mondo cattolico che quello socialista, rappresentava un motivo di forte coesione sociale al punto da essere rigidamente controllata dalle autorità del regime. Nel 1922 egli fondò così il coro Mladika, istituzione che accolse nelle proprie fila persone di umile estrazione, con cui valorizzò il repertorio di autori come Marij Kogoj e Anton Lajovic, e due anni dopo partecipò alla nascita e redasse il progetto all’atto costitutivo della Pevska zveza, associazione che raccoglieva e coordinava le quasi ottanta formazioni allora presenti nel territorio. B. lavorò instancabilmente per definire con chiarezza le finalità dell’associazionismo corale – lungi dall’esaurirsi nel semplice intrattenimento, a suo avviso doveva piuttosto mirare alla divulgazione della musica popolare e d’autore – e le modalità della sua presenza nel territorio. Alla fine del 1929 l’arcivescovo di Gorizia lo nominò ispettore arcivescovile dei cori parrocchiali della diocesi, mentre Cesare Augusto Seghizzi lo avrebbe voluto suo successore nella direzione del coro del duomo di Gorizia. In questo contesto egli pensò anche all’istituzione di una scuola per organisti, che però non sarebbe riuscito a portare a compimento. Autodidatta, B. fu autore di musica sacra, con oltre cento canti corali scritti prevalentemente in lingua slovena e alcuni piccoli pezzi riportanti storie dell’Antico e Nuovo Testamento espressamente finalizzati alla catechesi dell’infanzia, e di musica profana in cui si cimentò nell’elaborazione di canti popolari. Nelle composizioni sacre, a cui dedicò le maggiori attenzioni, egli riuscì a conciliare i dettami ceciliani con la freschezza sorgiva della musica popolare. Testimonianza, questa, dell’identità della propria musica e della sua autonomia dalla tradizione ecclesiastica romana.



Naturalmente, però, gli Italiani per la proganda del #giornodelricordo sono solo le povere vittime della  barbarie  comunista  ...

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...