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31.5.23

la menoria condivisa non esiste il pasticcio della memoria alla Stazione Centrale di milano e delle lapidi in cui l’omaggio ai deportati della Shoah convive con quello alla guerra del Duce in Etiopia

 La  vicenda   che riporto  nel post   odierno  dimostra   che   la memoria  condivisa  non esiste  ed   un utopia . Al contrario esistono    più memorie   su detterminati eventi del secolo scorso come  fa  notare  quest'articolo : <<  La memoria condivisa non esiste >> de Il Foglio di    qualche anno fa  

da https://www.open.online/ del  24 MAGGIO 2023 - 06:35

Milano, il pasticcio della memoria alla Stazione Centrale: l’omaggio ai deportati della Shoah convive con quello alla guerra del Duce in Etiopia

                                        di Simone Disegni






La giustapposizione delle targhe al binario 21 dello scalo milanese, da cui partivano i convogli della morte della Shoah. Lo storico Filippi: «Così l’Italia (non) fa memoria»
Ai viaggiatori che sbarcano a Milano da fuori città, la Stazione Centrale dà il benvenuto con un strano minestrone: di Storia e di memoria. Per lo meno a quelli non distratti da smartphone e bagagli che alzano lo sguardo sul complesso di targhe che domina l’ultimo avamposto della stazione: il famigerato binario 21. Situato all’estremità destra del grande scalo ferroviario, il binario apre la via a quelle che oggi sono le ultime tre aree di partenza di treni, per lo più regionali: i binari 21, 22 e 23. Ma nella memoria collettiva, quel nome corrisponde soprattutto al luogo di partenza dei vagoni della morte che gli occupanti tedeschi organizzarono tra il 1943 e il 1945 per deportare verso i campi di sterminio migliaia di nemici del Reich. Stipati in quei carri bestiame, partirono dal “centro di smistamento” ferroviario di Milano a centinaia e centinaia gli ebrei e gli oppositori politici rastrellati dai nazifascisti in tutto il Nord Italia. Per destinazioni a loro ignote – che rispondevano a nomi come Auschwitz e Mauthausen – da cui nella maggior parte dei casi non avrebbero mai fatto ritorno. Tra le eccezioni più note, quella di Liliana Segre, partita sul convoglio stipato all’inverosimile del 30 gennaio 1944
È stata proprio la senatrice a vita, il 27 gennaio di quest’anno, a dare ulteriore rilevanza al grande progetto di memoria che sorge nelle viscere della Stazione Centrale proprio per ricordare quel crimine: quel Memoriale della Shoah quotidianamente visitato da scolaresche di tutta Italia che Segre ha voluto fosse teatro dell’intervista-testimonianza con Fabio Fazio trasmessa in diretta tv su Rai1 nell’ultimo Giorno della Memoria. Ma che tracce restano del buio del Novecento sul “vero” binario 21, quello situato sopra terra da cui transitano ogni giorno migliaia di pendolari e viaggiatori? Molte, varie e contrastanti.



All’imbocco del binario, sorge in effetti una targa che commemora «il lungo viaggio di uomini, donne e bambini, ebrei e oppositori politici deportati verso Auschwitz e altri lager nazisti» dai sotterranei della stazione. «La loro memoria vive tra noi insieme al ricordo di tutte le vittime dei genocidi del XX secolo», richiama solennemente la stele, apposta sulla grande parete del binario 25 anni fa, il 27 gennaio 1998. Peccato che a pochi metri di distanza, prima di altri spazi murari dedicati ai ferrovieri caduti nella Prima Guerra Mondiale e in quella di Liberazione, giaccia un’altra targa, destinata questa volta a ricordare la «guerra italo-etiopica». Ovvero quella campagna d’invasione voluta da Benito Mussolini nella quale – pur di conquistare un “posto al sole” tra le potenze coloniali del mondo – le forze armate italiane non esitarono a sterminare migliaia di etiopi, civili compresi. Con una mobilitazione di uomini e forze straordinaria che comprese, come ormai ampiamente provato dagli storici, l’utilizzo di armi chimiche come l’irpite, usata senza troppi complimenti tra il 1935 e il ’36 per spegnere brutalmente i resistenti etiopici che difendevano più strenuamente le posizioni. Possibile un tale omaggio campeggi proprio a fianco del richiamo universale a custodire, nel nome di Primo Levi, «il ricordo di tutte le vittime dei genocidi del XX secolo»?
Possibile. Tanto quanto lo è il lapidario (letteralmente) omaggio d’accompagnamento al “Capitano Giovanni De Alessandri, Medaglia d’Oro”. Chi era costui? Un valente combattente della guerra anti-etiopica, già distintosi nelle operazioni di contro-guerriglia in Libia durante la Prima Guerra Mondiale, e autore poi di altre “valorose” azioni di polizia coloniale in Etiopia vent’anni dopo. L’ultima delle quali, un violento combattimento con le formazioni partigiane locali, gli costò infine la vita. «Rimproverato alla vigilia di un aspro combattimento dal comandante perché nella lotta si esponeva troppo – si ricorda nella solenne motivazione della medaglia d’oro attribuita nel 1937 – estraendo dal portafoglio il ritratto della figlia “le giuro su questa”, disse, “ch’ella non avrà a lamentarsi di avermi ricevuto alla banda. Non ci sarà nessuno domani davanti a me e farò vedere come combattono gli italiani”. E mantenne la promessa. In un furioso attacco contro un nido di mitragliatrici scatta per primo, si slancia con pugnale e bombe a mano, è ferito più volte, cadono i suoi intorno a lui ma in un ultimo sforzo giunge all’arma nemica, pugnala il tiratore, col nome della figlia sulle labbra, sorridente si abbatte. Il corpo è crivellato di ferite, l’anima è in Cielo, il nome è di un eroe».
Un perfetto eroe di un’epoca fortunatamente alle spalle, orgogliosamente fascista e razzista. Il cui ricordo resta a tutt’oggi evocato però proprio a fianco di quello dei cittadini italiani, ebrei e non, perseguitati, deportati e infine assassinati – non di rado proprio col gas – a prodotto compiuto proprio di quell’epoca e di quegli “ideali”. Poco più sotto, sulla stessa targa – verosimilmente aggiunto in un secondo momento – campeggia infine il ricordo «di tutti i ferrovieri che in servizio e in armi caddero per il supremo ideale della patria negli anni dal 1940 al 1945»: dalla guerra voluta dal Duce al fianco dei tedeschi a quella di Liberazione contro il regime stesso, dunque. Il minestrone di Storia è servito. Proprio a pochi passi da quel totem multimediale – voluto da Ministero della Cultura, Gruppo FS e Memoriale della Shoah stesso – inaugurato appena tre mesi fa alla presenza del ministro Sangiuliano, del sindaco Sala e dell’Ad di Ferrovie Luigi Ferraris per ricordare a tutti i frequentatori, con la viva voce di Liliana Segre, la tragedia che su quel binario si svolse e lo straordinario patrimonio del Memoriale distante appena pochi isolati.
«Più che di bisticcio di memoria parlerei di sovrascrittura di memoria», commenta con Open lo storico Francesco Filippi, che alla memoria abiurata o distorta dei crimini coloniali italiani ha dedicato diversi studi, confluiti da ultimo nel volume Noi però gli abbiamo fatto le strade (Bollati Bolinghieri, 2021). «La stratificazione di questo muro racconta molto dell’Italia – ragiona Filippi – Quella targa nasce con ogni probabilità nel momento in cui l’Italia si voleva imperiale e imperialista, per celebrare pubblicamente i trionfi della guerra di aggressione in Etiopia. Ma da un giorno all’altro, dopo il 1947, quella memoria per l’Italia non fu più comoda da indossare, e venne semplicemente amputata, o abbandonata a se stessa come in questo caso, sovrascrivendo la nuova memoria, quella della Resistenza. Senza nessuna preoccupazione di metabolizzare o contestualizzare la cesura. Come emerge plasticamente dall’accostamento alla Stazione Centrale di due azioni antitetiche: la condanna dello sterminio di altri uomini da parte di un regime totalitario da un lato, la sua esaltazione lì a fianco». «Quello che più stupisce dell’approccio italiano alla memoria pubblica – conclude Filippi – è la totale incapacità di vedere la bruttura, la stonatura, di un’associazione come questa. Neppure oggi, a 80 anni di distanza, tutto ciò dà fastidio». Fino a prova contraria, s’intende.







14.2.23

«Alla Memoria della Shoah si deve accompagnare la coscienza della Storia» di Massimo Castoldi


a  freddo  dopo    la  sbornia  retorico   celebrativa  sia  del  27 gennaio   sia  di  quella    del  10  febbraio   pubblico questo   interessante  articolo  di     Massimo Castoldi

Il giorno della liberazione di Auschwitz è la data simbolo per non dimenticare lo sterminio degli ebrei per mano di nazismo e fascismo. Ma occorre evitare la vuota ritualità e restituire complessità ai fatti. Ridestando interesse e sgomento








Il giorno della Memoria — 27 gennaio, in ricordo del 27 gennaio 1945, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz — non è una festa nazionale come sono il 25 aprile, festa della Liberazione, e il 2 giugno, festa della Repubblica, ma un giorno di lavoro, di studio, che dovrebbe essere pretesto per cercare di comprendere le ragioni storiche di quanto è avvenuto nel nostro Paese e in Europa tra anni Venti e anni Quaranta del secolo scorso. La legge del 2000 che lo ha istituito invita a riflettere «su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti [...] affinché simili eventi non possano mai più accadere». Ho sempre trovato molto velleitaria questa proposizione finale, la quale presuppone che possa crearsi una consapevolezza così diffusa di quanto avvenuto, che le aberrazioni del passato non possano ripetersi. La storia conferma che non è così e la cronaca lo rende tragicamente tangibile. Ciò non toglie opportunità e necessità all’operazione della ricostruzione storica delle dinamiche che hanno consentito l’affermazione di quelle dittature, fascista e nazista, delle quali lo sterminio di massa organizzato è stato la più macroscopica conseguenza. Mi chiedo, tuttavia, se e fino a qual punto questa riflessione sia stata fatta fuori dall’ambiente degli specialisti, o se invece ci siamo il più delle volte limitati a una narrazione rituale, nell’inesorabile affermarsi di “Un tempo senza storia”, come Adriano Prosperi ha intitolato un suo libro recente (Einaudi, 2021).I dati che l’Eurispes ci fornisce sono eloquenti. Se nel 2004 il 2,7 per cento della popolazione italiana credeva che la Shoah non fosse mai esistita, nel 2020 questa percentuale è salita al 15,6. Se dovessimo estendere l’inchiesta dalla Shoah alla deportazione politica, che peraltro in Italia è fenomeno più rappresentativo (circa 24.000 deportati politici, circa 8.000 ebrei), queste percentuali di ignoranza salirebbero in modo esponenziale. L’istituzione del giorno della Memoria non ha evidentemente ottenuto gli effetti sperati. Anzi si potrebbe dedurre che alla ritualità delle commemorazioni corrisponda un incremento di atteggiamenti razzisti e neofascisti. Occorre restituire complessità storica al fenomeno, per ridonargli interesse. Invito a vedere il film documentario del 2016 “Austerlitz” di Sergei Loznitsa, che il regista girò con una telecamera fissa posta in alcuni luoghi del campo di Sachsenhausen. In una serie di lunghe sequenze passano turisti intenti compulsivamente a fotografarsi nei luoghi di tortura e di morte nella generale incoscienza della storia, che le guide meccanicamente raccontano.È il percorso inverso rispetto a quello fatto da Austerlitz, il protagonista dell’omonimo romanzo di Winfried Georg Sebald (Adelphi, 2002), che attraverso una faticosa ricerca storica e memoriale prende coscienza da adulto di essere uno di quei bambini ebrei giunti a Londra in treno durante la guerra, mentre i suoi genitori venivano deportati in un campo di sterminio. Osservando il film, ho notato nella sconcertante babele turistica, in due momenti diversi, nello sguardo di due ragazze un lampo di sgomento e un istante di confusione. Due bagliori improvvisi che indicano, con Prosperi e Sebald, una strada.

6.2.23

Il confine orientale Dove corrono i tormenti del ’900 è le foibe e l'esodo spiegato ad un adolescente parte II )



Inizialmente stavo pesando a qualcosa di simile all'articolo sotto vista l'età 13\14 del ragazzo in questione . Ma poi vista : 1) l'obbietà dell'articolo che collima con il mio intento che coltivo dall'istituzione di tale giornata palla ma che ormai dopo anni di silenzio a livello della pubblica opinione
è diventa una delle date fondanti della Repubblica. Insieme al 27 gennaio ( anche se sarebbe stato meglio il 16 ottobre deportazione degli ebrei romani ma va beh ) , 8 marzo , il 25 aprile , il 1 maggio , il 2 giugno , il 4 novembre , Il 12 dicembre 2) la sagacità del ragazzo quando : << [...] ma come sta  mettendo sullo stesso piano violenze fasciste e violenze comuniste , lager e foibe [...] >>   di cui parlavo  nel post  precedente   : il 10  febbraio e la  questione   del confine orientale  spiegata   ad  un adolescente  ho cambiato idea .
Perché anche  se   come tutti  gli eventi   storici    è  difficile come  ho  detto nel post  : << 10  febbraio (  e  non  solo  )  e impossibilità della memoria  condivisa >>  trovare  una  memoria  condivisa    , non significa   che     certi eventi    debbano  essere  dimenticati    o   silenziati   e  gli orrori   che     ne  sono alla base   siano  ripetuti  anche    se  in maniera  diversa   . 




Ma  soprattutto visto che Il tema delle foibe e dell’esodo giuliano è da sempre un argomento molto delicato, affrontato da alcuni con reticenza e da altri con una certa strumentalizzazione politica ed ideologica . Qui come potete vedere nei mie post per il giorno \ settimana dl ricordo   sia  recenti  sia  passati  c'è l’intento di fare il più possibile chiarezza su quei tragici avvenimenti, raccogliendo a 360 gradi e non a senso unico l’invito della stessa legge istitutiva del Giorno del Ricordo che, testualmente, invita a “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale " Il mio obbiettivo è certamente quello di ricordare quei tragici avvenimenti che causarono tanti dolori e lutti ma anche quello, affrontandolo dal punto di vista storico, di cercare di comprenderne le origini, le cause e le conseguenze.
Solo in questa maniera può essere possibile difendere degnamente la memoria delle tante vittime e dei tanti profughi. e di cui ha subito sulla propria pelle gli effetti nefasti e brutali del nazionalismi e delle aberrazioni ideologiche de secolo corso . Ma ora basta parlare io , vi lascio all'articolo in questione




l'espresso 5 febbraio 2023

Il confine orientale Dove corrono i tormenti del ’900

                                      di PIERANGELO LOMBARDI *




Il Giorno del Ricordo  rievoca le vicende avvenute  nel secolo scorso nell’Alto Adriatico. La memoria
di questa tragica pagina di storia è difficile. E spesso strumentalizzata per  scopi politico  \  ideologici  [  corsivo  mio   ]





IL 10 febbraio è una data del calendario civile italiano: il Giorno del ricordo. Nel corso di formazione [  foto   a  sinistra     dell'edizione  di quest'anno  ] 
per insegnanti organizzato l’autunno scorso dall’Istituto pavese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, la sfida è stata quella 
di andare al di là delle sovraesposizioni mediatiche e delle ingerenze politiche, che non aiutano, ma al contrario allontanano la piena comprensione delle vicende avvenute nel corso del Novecento nell’Alto Adriatico. Il ragionamento di lungo periodo, proposto
agli insegnanti, è stato quello di riflettere 
sul tema che proprio la legge istitutiva del
Giorno del ricordo, del 2004, indica come
«la tragedia degli italiani e di tutte le vittime
delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli 
istriani, fiumani e dalmati nel secondo Dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale». Perché in questa tragica  pagina di storia non c’è solo una memoria 
difficile e complessa, ma, come ha suggerito
Guido Crainz, c’è in «quel confine tormentato tutto il nostro Novecento».
Ci sono i nazionalismi e i processi di nazionalizzazione, dove uno spirito discriminatorio e per nulla inclusivo troppo a lungo ha soffiato sul Vecchio Continente; c’è il trauma della Prima guerra mondiale, con  la «italianizzazione forzata» imposta dal fascismo alle popolazioni slovene e croate; ci sono la violenza e la brutalità dell’occupazione nazista e fascista della Jugoslavia 
nel 1941; c’è la tragica lezione della Seconda guerra mondiale, una guerra totale, in  cui veniva meno la distinzione tra militari e civili, dove l’imbarbarimento del conflitto, specie sul fronte orientale, è stato
massimo. Ancora: c’è l’incontro tra violenza e ideologia politica che si fa devastante e dove, in un clima torbido e inquietante, s’intrecciano il giustizialismo politico 
e ideologico del movimento partigiano titino, il nazionalismo etnico e, soprattutto in Istria e nelle aree interne, la violenza selvaggia tipica delle rivolte contadine.
Ci sono le violenze contro le popolazioni italiane del settembre del 1943 e del maggio-giugno del ’45, di cui le foibe, gli arresti e il clima di terrore che spinge all’esodo forzato migliaia di italiani sono simbolo ed espressione; c’è la volontà di Tito e del comunismo jugoslavo di annettere l’intera Venezia Giulia, con un’epurazione volta a eliminare – senza andare troppo per il  sottile – qualsiasi voce di dissenso. Ci sono, infine, le logiche della Guerra fredda e della radicalizzazione dello scontro ideologico nell’immediato Dopoguerra. Il tutto sulla  pelle di decine di migliaia di persone. 
Un vero e proprio tornante di fughe e di espulsioni in tutta Europa, infatti, si accompagna agli esordi della Guerra fredda e a una più generale ridefinizione dei confini europei e dei loro significati. Diventa, quindi, sempre più necessario, nell’affrontare questa pagina di storia, contestualizzarla con grande rigore, respingere tesi negazioniste o riduzioniste, così come le banalizzazioni e le verità di comodo più o meno  finalizzate a uno scorretto uso pubblico della storia.
 Occorre assumere un ruolo attivo nel processo di rivisitazione critica, che sola può portare al superamento delle lacerazioni   del passato. Anche perché le vicende dell’area  giuliano-dalmata costringono chi le affronta  a misurarsi con temi assai più generali e con  fenomeni centrali per la comprensione della  nostra contemporaneità.





* Presidente di ISTORECO Pavia A cura della Biblioteca Civica Vigevano, Rete Cultura Vigevano e dell’Istituto pavese per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea )

23.8.21

L’eroe segreto che consegnò il boia nazista Eichmann al Mossad

  spesso gli eroi   restano nascosti  ed  in silenzio  èd  questo  uno  dei  casi

Si chiamava Gerhard Klammer. Collega del gerarca nazista in Argentina, lo denunciò ma senza convincere le autorità. Poi portò una foto del gerarca: il Mossad la vide e decise di entrare in azione

Nel cerchio rosso il gerarca nazista Adolf Eichmann.
Accanto a lui Gerhard Klammer
L'uomo nella foto sorride. Ma non è ignaro. Sa chi è il collega che posa accanto a lui. Sa che è uno dei più feroci gerarchi nazisti, latitante da anni. Anche Adolf Eichmann sembra accennare a un sorriso. Si sente protetto in quella sperduta provincia argentina. Coperto dalla fedeltà d'acciaio dell'ampia rete di ex nazisti che si nascondono nel Paese di Perón e dalla falsa identità che gli hanno regalato. Ma
l'uomo nella foto ha capito da un pezzo che dietro Ricardo Klement si cela uno dei principali architetti dello sterminio degli ebrei, il boia che Hannah Arendt prenderà a esempio per descrivere la banalità del male quando diventerà l'imputato del più spettacolare processo alla Germania nazista in Israele.Gerhard Klammer è schifato da Eichmann. In Germania ha visto i filmati sui campi di concentramento, per anni busserà invano alle autorità tedesche per denunciarlo. Finché non incontrerà la persona giusta. Fino a oggi l'identità di Klammer, eroe civile, geologo tedesco emigrato in Sudamerica che consegnò il boia di Hitler alla procura generale e al Mossad, è rimasta segreta. Il quotidiano Sueddeutsche Zeitung è riuscito a ricostruirne l'identità attraverso una lunga inchiesta.È il 1949 quando Klammer decide di abbandonare la moglie, i figli, e una Germania ancora ricoperta di macerie per cercare fortuna in Sudamerica. È costretto a lavoretti saltuari, pagati una miseria, e a settembre si imbarca clandestinamente a Genova su una nave che lo porta in Argentina. Negli stessi mesi Adolf Eichmann è più fortunato. Parte in nave per il Sudamerica con il suo passaporto nuovo di zecca e quando arriva a Buenos Aires la rete di ex nazisti magnificamente raccontata da Frederick Forsyth in "Dossier Odessa" è già lì ad aspettarlo. I sodali del Reich lo portano immediatamente nella provincia di Tucuman, dove c'è già un lavoro nell'impresa di costruzioni Capri ad aspettarlo. È stata fondata da un ex ufficiale delle SS e pullula di ex nazisti con il passaporto falso. Ma il regime di Perón chiude entrambi gli occhi.Klammer approda alla Capri con più fatica. Fa il barista, scrive a un suo collega, sarcastico, che "diventerò un grande gastronomo o un barbone", finalmente riesce a unirsi a una spedizione scientifica di un biologo austriaco, Otto Feninger. E con lui, il geologo fa scoperte talmente importanti che i giornali argentini lo festeggiano come un novello Alexander von Humboldt. Dopo, piovono le offerte di lavoro. E il giovane geologo, finalmente raggiunto dalla moglie e dai figli, accetta un impiego alla Capri, la stessa dove lavora Eichmann.Quando arriva in azienda, tutti sanno chi si nasconde dietro Ricardo Klement. All'inizio degli anni Cinquanta, Klammer comincia a denunciarlo alle autorità tedesche. Ma nessuno lo ascolta. Il Paese vuole dimenticare, il cancelliere Konrad Adenauer è ansioso di cancellare tante biografie coperte di sangue, vuole pacificare una Germania che fatica a rialzarsi. Anzitutto copre il passato di uno dei suoi più stretti collaboratori, Hans Globke, che ai tempi di Hitler era stato uno dei più potenti funzionari nazisti.Il geologo ha persino seguito Eichmann a casa, di nascosto, conosce il suo indirizzo preciso. Un giorno, disperato, si rivolge a un suo amico teologo rimasto in Germania, Giselher Pohl, molto vicino al vescovo Hermann Kunst. È lui a parlare nel 1959 con il leggendario Procuratore generale Fritz Bauer, con il magistrato ebreo che si è messo a caccia gli ex nazisti ma che ha la sensazione di calpestare territorio nemico ogni volta che lascia il suo ufficio. I tribunali sono infestati di ex nazisti, e Bauer ha imparato da un pezzo a girare le sue informazioni al Mossad, ai servizi segreti israeliani. Su Eichmann, però, si sono bruciati già una volta, non si fidano dell'accuratezza delle sue informazioni. Finché Bauer non tira fuori la foto.È l'istantanea scattata in Argentina in cui si vede Eichmann accanto a Klammer. È la prova che convince il Mossad, che rapisce Eichmann da lì a poco e lo consegna alla giustizia israeliana. Ma la foto è strappata: Bauer ha voluto nascondere il suo informatore. Per ricomporla, la Germania ha dovuto aspettare sessanta lunghi anni.



8.6.19

lega o non lega ? quale lega



un solo commento....a prescindere dal video anche carino e ben  fatto  .. possibile che i 4 gatti della  sinistra  parlamentare  o ex parlamentare   non riescano ad accordarsi tra di loro. siamo ai decimali e non riusciamo ad esprimere qualcosa di funzionale ad un minimo di crescita...

16.1.18

Non esiste la razza,esistono i razzisti. che poi si rimangiano tutto ( il leghista Attilio Fontana) e chi lo difende


 leggete  anche   
https://www.blitzquotidiano.it/opinioni/lucio-fero-opinioni/razza-bastarda-civilta-occidentale-2814608/


In risposta  al leghista  Alessio Fontana    è  intervenuto  



Suggerisco a tutti quelli che si sentono eletti perché nati per puro caso in un posto invece di un altro, e  difendono in maniera  ipocrita     gente  come Fontana  la visione del video 




in cui viene fatta l'analisi del dna a dei volontari i quali scoprono così da chi discendono.La purezza non esiste.
È un'idea nazista.
Ora   alcuni    come  

Romano Massimiliano Più che altro esiste il bello ed il brutto, e questo non dipende dal colore della pelle, puoi essere nero/a è bellissima e biondo è orribile, è questione di geni! E quindi di razza!

 Mentre  cercavo  una risposta      ecco  che    nel  post  da  cui h condiviso  il secondo video  gli riponde

Marcello Pecorari Romano...il concetto di razza andava molto in voga nel XIV secolo e ce lo siamo tenuti fino a mezzo secolo fa. Sarebbe bello che l'umanità progredisse, anziché stare ferma.
Ma  ci può essere   chi  ,   giustamente      mi feci tempo   fa  mi  feci   la stessa  domanda  ,   come
Marco Manca ,  si chiede   : << Ma anche la costituzione italiana parla di razza . Che fossero razzisti anche i nostri padri costituenti ? >>
Ma    gli ottimi  e  pronmti  Marcello Pecorari Marco, usare "razza" per indicare un'etnia è una cosa, ma usarla per indicare una separazione genetica sostanziale e quindi arrogarsi il diritto di creare un ordine gerarchico delle razze (idea diffusissima fino a mezzo secolo fa e purtroppo ancora in auge in alcuni gruppi nazionalisti) è un'altra. Ecco perché è meglio non usare proprio il termine razza e perché un'affermazione come quella di Fontana è non solo infelice, ma anche profondamente offensiva, razzista e retrograda.
 e Alice El Trillice Mosconi La costituzione parla di razze per 2 motivi: 1.è stata scritta nel 47 (il DNA è stato scoperto nel 53); 2. Dopo il nazifascismo e le leggi razziali volevano evidenziare come la Repubblica si discostasse da tali oscenità, invocando l'uguaglianza dei cittadini.
Infatti ecco perchè    giudico  ipocrita  la  difesa     de il  giornale  (  vedere  url ipertestuale  sopra  )   e  di certa  destra [  intendendo per  destra  quelle   :<<  componenti politiche conservatrici,  reazionarie. Nell'evoluzione storica a destra sono stati inclusi i gruppi politici liberalinazionalisti e monarchici, ma anche i movimenti di natura fascista e i movimenti neofascisti ( in questi casi si parla di destra estrema  .....  https://it.wikipedia.org/wiki/Destra_(politica)  >>  un qualcosa  di generico e lontano  ancne se  poco  da  le definizioni ideologichge  del    secolo  scorso   ] .  Come   l'incipit  ,   da il post    su  fb   del  primo  video  

Vanda Milano E chissà perchè allora sui referti medici ci si riferisce a "valido per razza caucasica"? E comunque senza farla tanto lunga Fontana si voleva riferire a popolazione italiana da generazioni "bianca"....senza tutto ste sciocchezze.
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Alice El Trillice Mosconi Il fatto che nel 2018 si debba interpellare un genetista per ribadire un concetto già assodato è incredibile. Che paese del menga!
Carla Maccaferri Fontana ha fatto una affermazione infelice e basta!!!! In una frase ha confermato il pensiero politico della lega!!!
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Rispondi6 h
Anna Biancofiore Siamo 2018 è ancora parliamo di RAZZA....meglio gli uomini del Neanderthal
Vanda Milano Carla Maccaferri 
Ma si, dai , che si offende pure il mio cagnolino di pura razza meticcia! 😂😂😂😂😂

Gestire


Rispondi5 h
Rosanna Giampá passare minuti( persi!) a convincere un razzista su fb, che le razze umane non esistono. Al punto in cui mi ha chiesto: ma cosa vuoi che c' entri la genetica, ho capito che si spreca tempo e sapone a lavar la testa ad un asino.
Marcello Pecorari Signora, se c'è un popolo assolutamente eterogeneo, coi più svariati colori di pelle e tratti somatici, frutto di secoli di mescolamenti di altri popoli, quello è proprio il nostro.






Rodrigo Guimarães Dipende di che "evoluzione" parle! Se è l'intellettiva, si puo riflettere su questo.
1. La scritta e stata inventata in Mesopotamia, e loro non erano bianchi.

2. L'alfabeto che chiamate di "latino" e Fenicio e loro non erano biachi.
3. Gli Egiziani! I padri della matematica di che colore erano? Se L'Egitto e il Sudan e Sudan del sud sua erano una sola nazione.
4. Gli arabi e indiani con l'invenzione dei calcoli e l'introduzione dell zero in Europa ecc... 
Come era L'Europa prima dell contato con altri popoli?

     completo    discoro di  Rodigro


  

quindi vi chiedere da che  parte  stai ?  semplice   : contro coloro che usano  lz definizioni di
 razza1


ràz·za/sostantivo femminile
  1. 1.
    Gruppo d'individui di una specie contraddistinti da comuni caratteri esteriori ed ereditari: r. equine, bovine, canine; patate di r. olandese.
    • In riferimento al grado di purezza: r. pura, impura; cavallo di buona r.; individuo risultante dall'incrocio di due r.; miglioramento della r., mediante selezione.
    • Di razza (pura), di razza pregiata.
    • Bestia da razza, atta alla riproduzione.
    • Nel linguaggio sportivo: passare in razza, di un cane o un cavallo, utilizzarlo per la riproduzione al termine della carriera sportiva.
  2. 2.
    Ogni raggruppamento d'individui costituito in modo empirico sulla base di caratteri somatici esteriori comuni ( r. biancagiallanera ; r. australianasudanese ); il concetto di ‘razza’, privo di fondamento sul piano dell'analisi genetica, è stato spesso utilizzato in senso politico per operare arbitrarie differenziazioni sul piano delle relazioni sociali e politiche ( lotteconflitti di r. ; distinzionidiscriminazioni di r. ); il termine è oggi sempre più spesso sostituito con quello più appropriato di etnia.

 in senso politico  struumentale    per giustificare  teorie  xenofoniche  e razzistiche    per operare arbitrarie differenziazioni sul piano delle relazioni sociali e politiche ( lotteconflitti di r. ; distinzionidiscriminazioni di r. )

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...