Hiba Alif ( foto sopra al centro ) è la nuova assessora alle Politiche giovanili del Comune di Ravenna.
E in queste ore sta subendo una gogna social immonda da parte del solito marciume fascistoide di destra-destra( espressione per noon confondere la destra anche se ormai è una piccolissima minoranza con l'altra semre , sic , sempre più numerosa e per lo più in dopppietto ) per il suo nome, per le sue origini marocchine, per il colore della sua pelle, perché alcuni miserabili non riescono ad accettare nel 2025 che una donna di radici maghrebine possa ricoprire un ruolo politico in un’amministrazione pubblica nell’Italia ai tempi del salvinismo e ora del vannaccismo dilagante.
Solidarietà totale a Hiba Alif, a cui auguriamo un grande lavoro.
Ma è intollerabile ritrovarci ancora una volta a dover difendere qualcuno da questo vomitevole mix di razzismo e sessismo, ovvero gli unici argomenti che sono riusciti a trovare per contestare questa giovane donna a prescindere dalla sua capacità e preparazione capace e preparatissima. A cui il neosindaco Barattoni ha anche assegnato, simbolicamente ma non solo, la delega alla pace.
Nella nuova città e nel nuovo Paese che dobbiamo costruire, abbiamo bisogno di giovani politiche come lei. Grazie a tutti i razzisti e gli odiatori per avercelo ricordato con tanta chiarezza.
Infatti è È incredibile come basti il nome “Hiba” per far esplodere certe vene marce nei soliti personaggi che, nel 2025, hanno ancora paura della diversità come se fosse un mostro sotto il letto.
Il fatto che una donna giovane, di origine marocchina, in questo caso , venga nominata assessora alle Politiche giovanili in una città come Ravenna dovrebbe essere una notizia di progresso, di speranza, di normalità.
E invece no: il solito circo triste del razzismo da tastiera ha deciso che è il momento della loro solita performance fatta di ignoranza, sessismo e xenofobia.
Che spettacolo patetico.
A questi poveretti fa paura Hiba non perché sia “straniera” (spoiler: è italiana), ma perché incarna il futuro che non riusciranno mai a fermare: un’Italia aperta, plurale, consapevole delle sue radici e delle sue trasformazioni.Una Italia in cui non ci si chiede da dove vieni, ma dove vuoi andare. E Hiba sta andando in alto. Brava lei.Il bello è che ogni insulto che le lanciano, ogni attacco becero, ogni meme razzista… rafforza solo la sua legittimità. Perché dimostrano esattamente quanto servano persone come lei nelle istituzioni.A Hiba va tutta la nostra solidarietà, il nostro orgoglio e il nostro applauso.Ai razzisti e ai fascistelli del web… beh, buona sconfitta. State perdendo anche stavolta. E ve lo meritate tutto. Concludo con la belllissima lettera di solidarietà , trovata su
https://www.ravenna24ore.it/notizie/cronaca/ del 18.6.2025
Tra le voci più forti, quella dell’on. Ouidad Bakkali, che in una lunga lettera ricorda l’ondata d’odio subita quattordici anni fa.
La lettera
Tra le voci più forti, quella dell’on. Ouidad Bakkali, che in una lunga lettera ricorda l’ondata d’odio subita quattordici anni fa.
La lettera
“Sono passati quattordici anni da quando Fabrizio Matteucci mi nominò assessora a Ravenna. Un tempo infinito. E leggere, nelle ore successive alla sua nomina, i commenti beceri e razzisti rivolti a Hiba Alif, assessora alle politiche giovanili, mi ha fatto fare un salto temporale.
Stesse parole, stessa violenza, stessa stupidità.Oggi, con l’esperienza e gli anni, quei commenti di leoni e leonesse da tastiera rimbalzano sulla pelle indurita che mi sono costruita. Ma ricordo bene che allora non fu così. Quei commenti erano vere e proprie aggressioni e microaggressioi come le definisce nelle sue ricerche il Prof. Derald Wing Sue sulle persone razzializzate o parte di gruppi sociali marginalizzati.All’inizio non fu semplice. Alcune parole ti trafiggono, ti feriscono, ti offendono, ti violano nel profondo, nella tua persona. “Ma che sarà mai, fregatene!” mi dicevano. Ma a venticinque anni non ce la facevo. Li leggevo tutti, uno per uno. Non mi ero mai resa conto, prima di diventare un “personaggio pubblico”, che qualcuno potesse giudicarmi e disprezzarmi preventivamente, senza conoscermi, solo sulla base del mio nome, del mio cognome, delle mie origini.Erano spine nella carne, conficcate da gente qualunque, che poi magari incontravo in via Cavour o in piazza del Popolo. Odiatori vigliacchi, che quando li guardavo negli occhi per strada, abbassavano lo sguardo e scappavano.Si potrebbe liquidare tutto questo dicendo che si tratta di persone di poco valore, che usano i social per riversare odio, frustrazione, visioni del mondo ormai superate. Ma no, non basta.Anche perché chi mi diceva di “tornarmene al mio Paese” (e chissà, forse intendevano Casalborsetti, dove vivevo prima di trasferirmi in città?) e riversava insulti razzisti sulle pagine social dei giornali locali, spesso era inconsapevole di commettere veri e propri reati.Sì, cari leoncini e care leoncine: le vostre non sono opinioni, sono reati.Diffamazione (art. 595 c.p.), minaccia (art. 612 c.p.), propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa (art. 604 bis c.p.), e poi la legge 654 del 1975 e la legge Mancino del 1993.Se avessimo una normativa specifica sui crimini d’odio, sarebbe più semplice perseguire e sanzionare, soprattutto per quanto accade online. Ma intanto, le sentenze iniziano a creare giurisprudenza sul tema, e finalmente questi leoni da tastiera iniziano a dover spendere soldi veri per avvocati veri, cause vere e risarcimenti veri.Detto questo, cara Hiba, ti sono vicina. Capisco bene quanto certe parole possano fare male.All’epoca, la mia migliore risposta fu dedicarmi all’incarico che mi era stato affidato: con il lavoro quotidiano, amore, umiltà, passione, voglia di imparare.Riportavo il confronto sempre nel merito delle azioni, delle scelte, del mio lavoro politico. Perché lì, i leoni solitamente scappano miagolando e trovi solo i confronti utili, discussioni anche aspre e quelle critiche costruttive che ti aiutano a migliorare le politiche, cambiare idea quando serve e amministrare la cosa pubblica.E grazie a quel pezzo di comunità ravennate, sana e consapevole, che ha saputo prendere posizione con parole chiare.Non solo a difesa di Hiba Alif, ma anche del principio che razzismo e violenza non possono essere normalizzati, né diventare moneta corrente nelle relazioni sociali.Non possiamo accettare passivamente quello che sta accadendo sotto la spinta di una propaganda globale che mette i penultimi contro gli ultimi, che normalizza deportazioni, “remigrazioni” e discriminazioni sistemiche in nome di un’idea di sicurezza che, invece di proteggerci, rende le nostre società più impaurite, chiuse, diffidenti e violente.Una sicurezza fatta di città militarizzate, di capri espiatori scelti senza alcuna analisi seria dei fenomeni complessi che attraversano la nostra epoca. Perché ancora prima del fenomeno migratorio, quello che ci rende insicuri sono: la povertà, le disuguaglianze profonde, l’incertezza sul futuro dei giovani e dei loro sogni, l’emergenza abitativa, il caro vita e bollette, la fragilità del nostro sistema sanitario, il disagio sociale e culturale, la cura degli anziani, delle persone con disabilità, l’affermazione della supremazia e della regola del più forte e del più ricco nelle relazioni tra Stati, tra categorie e, di conseguenza, tra persone.Buon lavoro a Hiba e a chi, come me e come tanti, crede ancora in una società della convivenza plurale, giusta, laica, antirazzista e antifascista. Una società che abbia la nostra Costituzione come faro per il futuro, con la determinazione di attuarla davvero nei suoi principi fondamentali e in quell’equilibrio magistrale che madri e padri costituenti seppero trovare tra libertà individuali e responsabilità collettive, all’indomani di guerre devastanti e dittature totalitarie.














VR


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