mentre del movimento gli irascibli poco e niente se non per via letteraria cioè la 1 storia di topolino 2969
Ma andiamo con ordine nello spiegare il perche’ di questa mia delusione, non solitaria e già condivisa con diversi avventori della “mostra”.Iniziamo col dire che se avete un’ora di tempo libero e 11 euro da spendere, comunque, vi consiglio di andare, perche’ un Pollock (ripeto e sottolineo, 1 Pollock, il “numero 27“), idue Rothko, la splendida “porta sul fiume” di De Kooning e “territorio blu” dellaFrankenthaler saranno capaci di ripagarvi ampiamente del tempo e denaro investito. Questa e’ la prova, se mai ce ne fosse bisogno, che sono grandi opere, nonostante il misero allestimento riescono comunque ad emozionare. Ma, ahime’, le note positive finiscono qui.[.....] - Pollock, dove’? A parte alcune (penso 5), sicuramente fondamentali, “piccole” opere di Pollock, l’unico quadro esposto e’ il “numero 27″. E’ nella prima parte della mostra. Questa evidente “pochezza” (scarsità) di opere dell’artista cui la mostra viene intitolata – sicuramente la fonte di maggiore attrazione – viene “tamponata” con la proiezione di un paio di rari video dell’artista all’opera. Potete trovarli qui (visibili senza pagare 11 euro!): “
Jackson Pollock working on a glass surface” – filmed by Hans Namuth in late 1950. Music by Martin Feldman, performed by Daniel Stern; “
Jackson Pollock dripping and action painting“. E’ interessante il filmato – che sono riuscito a vedere solo alla mostra – della ricostruzione graduale (per passaggio di colore) della tela “numero 27″.(...) - L’illuminazione delle opere e’ un’altra cosa molto difficile per chi espone in musei e gallerie (soprattutto quando i locali non sono nati per essere spazi espositivi, ma ormai nel 2013 ci sono soluzioni e competenze utili a superare ogni “sfida”). Il problema di riflessi dovuti ai vetri oppure ai pigmenti spesso creano rompicapo a coloro che si occupano di predisporre la migliore illuminazione.Proprio sul “numero 27″ (e poi su molte altre opere) la luce dei faretti va a creare delle vistose alonature blu/azzurre sui bordi della tela, tanto che in un primo momento mi sono avvicinato per verificare se fosse un effetto voluto da Pollock (ovvero pittura) o cosa. Ho fatto presente la cosa agli addetti “forse qualche dado si e’ allentato“. Spero che la cosa sia risolta per i prossimi avventori (!). Ovviamente non era solo Pollock vittima di questi dadi allentati, nelle restanti 50 tele esposte altre 10, almeno, presentavano vistosi problemi di illuminazione.- Lo spazio a disposizione delle opere e quindi anche dei visitatori per osservarle dalla giusta distanza e’ angusto. Parliamo di opere dalle dimensioniragguardevoli, che vanno osservate da vicino (per gustare le pennellate, piuttosto che gli effetti delle varie tecniche pittoriche sulla tela, ecc) ma, anche e sicuramente, da unadistanza adeguata. Assurdo, ad esempio, che per guardare un’opera di Gottlieb (The Crest) una tela di quasi 3 metri per 2, debba allontanarmi e andare a pormi in fronte ad altre opere perpendicolari alla stessa. Per fortuna l’orario in cui ho visitato la mostra – dopo pranzo di un venerdi’ pomeriggio – era stranamente poco frequentato(non più di 5 visitatori per ambiente espositivo), quindi non si sono generate ingorghi e situazioni assurde, ma poco e’ mancato e in certi casi qualche commento per lo spazion “angusto” e’ stato condiviso con i “compagni” di visita.Nell’ultima sala, infine, francamente non capisco, ma sarà una mia mancanza, il perche’ della costruzione di un muro che cela in una sorta di nicchia le due opere di Rothko. E’ noto, mi e’ noto, che il maestro suggerisse una visione delle sue opere anche a soli 45 centimetri, per favorire una totale e completa immersione nel colore (cit. pag 46 “
Rothko” di Jacob Baal-Teshuva, Taschen); ritengo, forse erroneamente, che le sue opere siano comunque interessanti anche da lontano, molto lontano; una distanza sicuramente superiore a quella definita dall’allestimento che obbliga – non capisco il perche’ – ad un massimo di 3 o 4 metri (non avevo la bindella!). [....]
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http://ilradar.wordpress.com
http://www.mostrapollock.it/
La seconda . Certo monotematica , cioè dedicata ad un artista solo , ma bellissima con un esposizione azzeccata . Peccato che ero solo di passaggio ed non abbia potuto godere al meglio le occassioni e gli extra di tale mostra . Infatti : << In orari diversi da quelli della normale apertura al pubblico, la mostra apre le porte ad un evento speciale per le esigenze istituzionali e di pubbliche relazioni delle aziende. L’evento potrà essere articolabile nella sola visita riservata alla mostra, con servizio di guida-accompagnatore, oppure nella visita riservata abbinata ad un momento conviviale esclusivo.>> ( per ulteriori dettagli
http://www.warholmilano.it/visite-guidate-didattica/ ) . Ma ho avuto la fortuna di aver visto Andy Warhol per a prima volta in mosra e per giunta la raccolta della Brant Foundation è un occasione rarissima per il pubblico di poter vedere uno dei gruppi di opere più importanti dell’artista Americano padre della Pop Art, raccolto non da un semplice collezionista, ma da un personaggio, Peter Brant, intimo amico di Warhol con il quale ha condiviso gli anni artisticamente e culturalmente più vivaci della New York degli anno ’60 e ’70. Ancora ventenne nel 1967 Peter Brant acquistò la sua prima opera di Warhol, un disegno della famosa Campbell’s Soup, iniziando quella che sarebbe diventata una delle più importanti collezioni di arte contemporanea del mondo.
http://www.warholmilano.it
Le due mostre possono sintetizzarsi con questa frase di Warhol appesa durante il percorso dela mostra prima delle opere , subito dopo i pannelli storici didascalici del periodo in cui W a fece le sue opere .
qui ne trovate altre