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25.9.21

come parlare della violenza sulle donne ? il caso Come bisogna parlare di violenza sulle donne? IL «CASO PALOMBELLI» RIPROPONE IL TEMADEL VOCABOLARIO GIUSTO PER AFFRONTARE FEMMINICIDI E NON SOLO

 La televisione  nonostante   sia  sorpassata  dalla  rete    come mezzo   è un posto infido. Ti ascoltano e  leggono   moltissime persone, e spesso ti credono solo per il fatto che parli   seduto dentro casa loro.Per questo, le parole dette in televisione pesano persino più di quelle scritte. La giornalista Barbara Palombelli a Lo Sportello di Forum, introducendo una lite coniugale, ha detto: «A volte è lecito domandarsi se questi uomini erano completamente fuori di testa  se c’è stato un comportamento esasperante, aggressivo, anche dall’altra parte».Il giorno dopo, nella bufera, la stessa giornalista è stata costretta a prendere le distanze da sé stessa: «Non sono quella persona lì», e il giorno dopo ancora ha annunciato querele per diffamazione. Penso che fosse stanca, che fosse distratta, è sempre stata molto vigile sulla violenza contro le donne. Ma quella domanda resta. << E occorre, concordo con Antonella Boralevi scrittrice , io credo,dimostrare perché è sbagliata. Gli uomini che uccidono le donne non sono “fuori di testa”. Sono lucidamente convinti che quella donna lì, la loro,sia un oggettodi loro proprietà. Infatti, questi assassini uccidono quando lei si ribella, quando li lascia. Questo è un fatto. >>E i fatti non si espongono mettendoci dopo un punto interrogativo. La frase di Palombelli, su  cui non mi dilungo ulteriormente  ne  ho  già parlato qui e   qui  nel  blog  , credo, non è una domanda . Ma è una trappola  semantica  . Infatti  contiene ( senza alcuna intenzione  ed  in maniera  involontaria in questo caso   ) uno strumento di giustificazione agli assassini. Fornisce loro un format di comportamento: «L’ho uccisa sì, ma è stata colpa sua». Tanto più adesso, che nella società monta  senza    risulti  concreti   l’insofferenza per un racconto giudicato eccessivo dei femminicidi. Teniamo alta la guardia. Ma sopratutto  agiamo   e  non  limitiamoci solo a parlare  . Perchè di strada ne  bisogna  fare ancora   molto visto che  :



Redazione ANSA TARANTO13 luglio 202015:05
Foto sexy candidata, polemiche  Foto sexy candidata, polemiche E' bufera su scelta comunicazione elettorale candidata in Comune





(ANSA) - TARANTO, 13 LUG - Quel generoso décolleté sul manifesto elettorale e la scritta "contattami, cerco te" fanno ancora discutere. E' bufera sulla scelta di comunicazione elettorale di Caterina Zilio, candidata al consiglio comunale di Laterza (Taranto), nominata il 13 giugno scorso coordinatrice cittadina dei dipartimenti di "Puglia Popolare".
Nel pomeriggio dell'1 luglio scorso, Zilio - che lavora come operatrice socio sanitaria - ha postato su Facebook il manifesto elettorale che la ritrae in décolleté, accostata al logo di Puglia Popolare, con il messaggio "Cerco te! Se hai voglia di cambiare, contattami. Insieme si può" e in minuscolo il suo nome: Caterina. Nel post ha "taggato" Massimiliano Stellato, presidente provinciale del partito guidato dal senatore Massimo Cassano. Il manifesto "sexy" ha scatenato polemiche e reazioni sui social network con battute sessiste da parte degli uomini e aspre critiche soprattutto da parte del mondo femminile. E' una strategia di comunicazione studiata a tavolino? "Personalmente - scrive una donna commentando il post della Zilio - penso che lei abbia fatto un manifesto elettorale sessista, una specie di autogol per se stessa e per tutte le donne che combattono quotidianamente per accedere a qualifiche decisionali per le loro capacità. L'immagine da lei scelta unita peraltro a un linguaggio in linea è sessista, si 'autooggettifica', usa il richiamo sessuale in modo poco equivocabile per invitare a essere votata. Donne evitiamo di farci autogol".

Ogni volta che viene uccisa una donna ( madre , sosa , convivente , ecc ) Insieme allo sconcerto, però, sifa strada l’indignazione per come i media ( a prescindere dalll'orientamento politico culturale ) riportano i fatti, guardandosene bene (salvo rarissime eccezioni!) dall’usare il termine preciso per parlarne e questo termine, piaccia o no, è “femminicidio”. È come se non si riuscisse a far venir fuori dalla gola (o dalla tastiera) questa parola, morsi dal timore inconscio di infrangere qualcosa di malsanamente radicato nella nostra società. Evidentemente, nominando il fatto non come femminicidio bensì come un generico caso di omicidio-suicidio, o un ancor più generico dramma famigliare, ci si mette al riparo dall’ eventualità che il mandante si senta, forse, offeso? Smascherato? E chi è mai questo mandante, se non il patriarcato imperante che governa a piene mani la nostra società che insiste nel considerare le donne come esseri subalterni agli uomini? Ebbene, il termine “femminicidio” lo afferma; tutto il resto sono parole per fare un titolo che una volta ancora neghi l’esistenza di un fenomeno orribile, da curare e da prevenire.
La parola femminicidio non è stata inventata da poche ore. Sulla “Treccani” si legge tra l’ altro che femminicidio “…è un termine forte ma che rende l’idea: è l’olocausto patito dalle donne che subiscono violenza: da Nord a Sud, per aggressioni domestiche o fuori di casa, finendo all’ospedale quando non al cimitero. Per mano di famigliari, compagni, congiunti, per lo più”. Come riporta anche l’Accademia della Crusca, “con femminicidio s’intende non solo l’uccisione di una donna o di una ragazza, ma anche qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”.
I giornalisti e le persone in genere fanno una scelta etica, buona o cattiva, quando comunicano e quando
decidono di tacere, censurare, di non servire la verità dei fatti. E comunque, anche quando tacciono, comunicano - se non altro la loro scarsa aderenza alla verità.Oppure sono intrisechi , salvo rarissime eccezioni , di una detterminata cultura ( vedere foto a sinistra ) . Ecco un estratto da ’articolo a firma di Marina Corradi del 22 maggio 2018 dal titolo “L’ultima battaglia di un uomo” perché descrive il duplice femminicidio avvenuto a Francavilla in modo distorto, santificando l'omicida come un eroe e, per questo, fornendo un’informazione gravemente pericolosa per l’idea di totale mancanza di discredito sociale verso un’azione tanto deprecabile, ma anche perché lo stesso è in aperto contrasto col Manifesto di Venezia e col documento della Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ) a proposito di violenza sulle donne, elaborato nel solco della Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1993.
Bisogna  attirare  sempre  , scrivendo lettere   al  giornale  , all'ordine del  giornalisti  , non  comprando  o abbonarsi più a quel giornale  ,  l’attenzione sull’uso di una terminologia vecchia, fuorviante e ingiusta nei confronti delle vittime. È necessario portare un cambiamento nel lessico perché le parole contano, le parole hanno un peso. Basta parlare di “dramma”, “raptus di gelosia”, “omicidio passionale” ed  menate  varie come il titolo riportato sotto   


Per risolvere un problema, per sradicarlo dalla nostra società, bisogna prima nominarlo e riconoscerlo, definirlo. Altrimenti come lo si può combattere e prevenire?
A proposito delle responsabilità dei media, Francesco Pellegrinelli sul Corriere del Ticino del 29 marzo 2021, cita Alessia Di Dio del Collettivo “Io l’8 ogni giorno”, secondo cui “femminicidio” è un termine che costringe a guardare l’accaduto oltre il singolo episodio, inquadrando la violenza di genere come un fenomeno strutturale; in questo caso, sul banco degli imputati ci sarebbe tutta la società con i suoi retaggi culturali e non solamente il carnefice e questo inevitabilmente fa paura.
Potrebbe essere l’inizio della volontà di prevenzione chiedersi infine se il femminicidio sia conseguenza solo del patriarcato, oppure anche di altri fenomeni come un certo maschilismo arrogante, la cattiva educazione, il “machismo”, come una "cultura" nutrita solo di violenza e prevaricazione, come l'immaturità di certi uomini (si può chiamarli così?) che si illudono di imporre la forza e invece smascherano la propria incapacità di controllare i propri sentimenti e le proprie azioni.
Usiamole, le parole che conducono ad un principio di cambiamento. Smettiamola di tentennare per non infastidire, perché la società intera è colpevole di omertà, non facendolo. E in primis i media.
Non solo negli articoli  ma  anche in certe pubblicita da  

https://www.change.org/p/giuseppe-conte-femminicidio-sociale-0a29ae86-96c0-4f94-a53a-b2b32cecb132



Sud Protagonista ha lanciato questa petizione e l'ha diretta a Mario Draghi (Presidente del Consiglio dei Ministri) e a 2 altri/altre


C’è un problema di utilizzo umiliante del genere femminile, che preferirei allargare al genere umano, perché anche gli uomini teoricamente destinatari del messaggio vengono trattati da incivili. Occorre porre dei limiti all’uso del corpo della donna nella comunicazione. A poco poi serve punire i responsabili. Sono proprio questi tipi di pubblicità che contribuiscono a “creare il mostro”. Queste violenze indirette e subdole promuovono una mentalità deviante. La pubblicità, apparsa in questi giorni su un cartellone pubblicitario, che propone di usare la lavatrice a 90 gradi nel giorno di San Valentino con chiari riferimenti sessisti, va vietata cosi come ogni forma di violenza, travestita anche da messaggio pubblicitario.

1.12.18

red land - rosso d'istria censura \ boicottaggio o pessima distribuzione ? vittimismo o incapacità d'agire ?

red land
Inizialmente ero un po' incerto sia se parlarne e farci un post dedicato al film red land - rosso istria , a causa degli articoli vittismisti del tipo al lupo al lupo presenti sui giornali destra e d'estrema destra che invocano la censura ed il boicotaggio , quando a mio avviso è ancora prematura tale cosa , in quanto si tratta di una pessima e disorganica distribuzioone ( vedere url cosa successe a nuovo cinema paradiso ) . Ma poi dopo aver visto tra i risultati di una mia ricerca su google sia questo articolo de ilfattoquotidiano sia questa scheda sul  film  di    wikipedia . Infatti eesa dice che : << Mymovies ha dato al film 3 stelle e mezzo su 5 scrivendo che: "Maximiliano Hernando Bruno è riuscito a trovare in buona misura la chiave giusta per raccontare quei giorni e quelle vicende, cioè per adempiere ad uno dei molteplici compiti del cinema: fare memoria. Diciamo in buona misura perché qualche accentuazione melodrammatica non manca (il capobanda titino è il Male assoluto così come al comunista italiano vengono offerti i tratti del traditore della propria gente, anche per risentimento amoroso, con possibilità di riscatto finale come nell'opera lirica). Nel complesso però la sceneggiatura sa mostrare con equilibrio sia la sensazione di smarrimento conseguente all'8 settembre, sia ciò che anima nell'intimo le varie parti in causa. Il generale Esposito espone tutte le perplessità dell'Esercito dinanzi a una guerra sbagliata voluta dal fascismo così come non viene taciuta l'italianizzazione forzata dell'area condotta negli anni dal regime." >> . Ora concordo con l'articolo  prima linkato  de ilfattoquotidiano perchè  quando  certi dolorosi  eventi storici    che  ancora  dividono e  su  cui le  rispetive parti in causa  non  sono riusciti  o   non vogliono fare  completamente  fare  i conti  con quello    che  hanno fatto      ed    tali  vicende   vengono strumentalizzate è come se le vittime    (   dirette  e  indirette    delle  pulizie  etniche    e delle violenze    sia  di una parte  sia  dell'altra   )   venissero uccise due volte. Lo stesso accade quando vengono ignorate e condannate all’indifferenza  o relegate in libri  di nicchia  per  specialisti e    non scolastici o per  il grande  pubblico  . 
Anpi e Anppia danno voce alle vittime delle Foibe
 Infatti  le celebrazioni ufficiali    del  10 febbraio giornata     del ricordo   dimenticando    quello che   succedesse  prima    e  se   e  parla   o se  ne accena    si viene accusati   d'essere  anti italiani      o revisionisti   .  E quindi  ci   si concentra  solo     sulle orribili    e  crudeli    vicende  che   sul finire della Seconda Guerra Mondiale, furono circa 7.000 gli Italiani vittime delle Foibe: donne, vecchi, bambini, partigiani italiani, intellettuali e contadini, militari e civili. Si stimano in 350.000 gli italiani che dovettero abbandonare le loro case e la loro terra. Iniziata come una rivalsa contro il regime fascista, l’ondata di esecuzioni portata avanti tra il 1943 e il 1947 dai partigiani Titini si trasformò in un’operazione di vera e propria pulizia etnica.Dmenticando     che     essa  ci fu  anche prima   ad  iniziare   dal  primo  dopo guerra  . 
red land
Per oltre settant’anni questa pagina della storia è stata posta sotto silenzio  per  motivi  politici   interni     ed  internazionali    dovuti  alla  guerra fredda   ed   utilizzata in modo fazioso da una singola parte politica. Non puo' più consentire che  simili tragedie   come  quelle   sul  confine    orientale  e  di cui le  foibe    e l'esodo   sono  la parte  culminante  venga usata per scopi certamente non disinteressati, non possiamo più permettere che   tali vicende  siano soffocate dal timore di incrinare facili stereotipi manichei, o  memoria  e     ricorrenze  a  senso unico   negando la possibilità   e l'evidenza   che il Male possa annidarsi ovunque.
Concludo  non riuscendo  a spiegarmi    , come dicevo  dal  titpolo  ,  del  perchè gli autori invece di lamentarsi , non provino come ha fatto il film documentario su riace , a metterlo free per tre quatro giorni in rete o  nelle  web tv  a  pagamento  come  netflix  cosi lo si possa guardare e magari creare opinione pubbllica per fare pressioni sulla ri perchè lo trasmetta o magari ottenga una maggiore e capillare diffusione nelle sale italiane . 


9.7.13

Intervista Donne e spot, cambiamo marcia intervista di Francesca Sironi a una delle pioniere dell'advertising italiano, Anna Maria Testa.




Dopo la denuncia di Boldrini sull'abuso del corpo femminile nella pubblicità parla una delle pioniere dell'advertising italiano, Anna Maria Testa. Che dice: usare lo stereotipo 'velina' fa male all'economia (08 luglio 2013)
Auto, yogurt, telefonini. Vacanze, gelati, spedizioni postali. Non importa il prodotto quanto il mezzo. E nelle pubblicità italiane il mezzo è quasi sempre lo stesso: la donna. Non la donna scienziato, esperto, dottore, astronauta. Ma la donna "Fidati, te la do gratis", "Montami a costo zero", "Metti il tuo pacco in buon mani", oppure zitta, un bell' arredo, un porta-qualcosa utile per una radio come per una marca di vestiti.
E se a maggio il tema dell'abuso dell'immagine femminile in tv era stato sollevato dalla presidente della Camera Laura Boldrini ( «Serve porre dei limiti all'uso del corpo della donna nella comunicazione», aveva detto l'ex portavoce dell'Unhcr: «Basta all'oggettivazione, perché passa il messaggio che con un oggetto puoi farci quello che vuoi»), ora a rispondere è una delle più famose pubblicitarie d'Italia, Anna Maria Testa. «La nostra televisione espone molto le belle ragazze, ma rappresenta poco l'universo delle donne», sostiene la titolare di "Progetti nuovi", che ha dedicato a questo tema il suo intervento alla riunione annuale dell'Upa - utenti pubblicitari associati: «E' l'Osservatorio di Pavia a dirci, per esempio, che tra gli esperti intervistati nei TG italiani l'86 per cento è uomo». Solo il 14 invece appartiene al "sesso debole".
Il punto, sostiene Testa, non è quindi inquadrare meno tanga in primo piano o proibire le scollature in tv, quanto «mostrare più scienziate, più imprenditrici, più professioniste, più manager: è importante che le donne entrino a pieno titolo, e non solo da veline, nella rappresentazione che di se stesso dà il nostro Paese. Abbiamo bisogno di meno stereotipi e più modelli di ruolo». Proprio contro gli stereotipi la pubblicità potrebbe avere un ruolo importante, se invece di continuare a usare tette, sguardi e gambe femminili come una macelleria iniziasse a riflettere la realtà italiana in modo diverso: «Chiariamo una cosa: educare non è compito della pubblicità. Devono farlo le famiglie, la scuola, le istituzioni. Ma la pubblicità può e oggi forse dovrebbe dare una mano, perché è una forma efficace, pervasiva, di comunicazione e perché è espressione delle imprese che sono» o dovrebbero essere «la parte attiva del paese, quella proiettata verso la crescita, il futuro».
Anche se qualcosa sta cambiando, negli spot televisivi gli stereotipi sono ancora lì, ben saldi, «E non parlo delle pubblicità offensive: quelle che possono essere condannate dal Giurì, e che giocano sporco sulla provocazione sessuale per conquistare una notorietà da scandalo. Per fortuna, si tratta quasi sempre di fenomeni marginali. Sto parlando della pubblicità mainsteam delle grandi marche. Quella che davvero orienta l'immaginario collettivo del paese» e che ancora rappresenta la donna come la madre che porta in tavola la cena, che è in ansia per il bucato dei bambini, che in fondo appartiene a un modello non così lontano da quello con cui negli anni '50 sono state vendute milioni di lavatrici: «C'è un intero universo femminile e familiare da raccontare», continua Testa: «Nel 2011, in Italia, su 546mila nuovi nati il 25 per cento era da genitori stranieri, il 7,7 da madri over 40 e il 24 da mamme non sposate. Tra i trentenni, circa una ragazza su 4 e meno di un uomo su 6 sono laureati. E più di metà delle donne fra i 25 e i 50 anni che hanno figli lavora».
Tutte figure che nei nostri spot entrano poco. Ma i messaggi non potranno rimanere solo questi, conclude Anna Maria Testa, soprattutto se le imprese vorranno continuare a vendere: «Secondo l'indagine Cermes Bocconi del 2012 le donne attuano o influenzano oltre il 94% degli acquisti di prodotti per la casa, alimentari, cosmetici e oltre il 64% di quelli di banche, assicurazioni, utenze e automobili». E probabilmente sono più contente a farlo se non si vedono spiattellate sul cofano ma al volante.
spot
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donne
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Anna Maria Testa

3.4.08

Senza titolo 400

  sempre  dall'amico  www.censurato..splinder.com




Stavolta  la  censura  mi sembra immotiviata ed ipocrita  oltre che ingiusta 


Un'inquietante pubblicità progresso tedesca nata per sensibilizzare la società all'aiuto verso i bambini vittime di abusi sessuali, i quali sono destinati a portarsi dentro questo dramma fino alla morte. Non si tratta di uno spot censurato, ma in Italia non si è mai andati così a fondo su questo problema a livello mediatico. Noi del Censurato riteniamo sia giusto pubblicarlo su queste pagine.


Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...