due storie quelle , di questo n del diario di bordo, che nonostante la diversità unite da qiuesta frase : << Dobbiamo abituarci all’idea: ai più importanti bivi della vita, non c’è segnaletica >> di Ernest Hemingway ( (Oak Park, 21 luglio 1899 – Ketchum, 2 luglio 1961 )
La prima presa da https://www.fanpage.it/attualita
smonta il mito che tutti i femminicidi finiscano con pene irrisorie e con assoluzioni Essa è
La storia di Alessandra Musarra, dal femminicidio per soffocamento all’ergastolo di Cristian IoppoloAlessandra Musarra, 29 anni, viene uccisa la sera del 6 marzo 2019 nella sua casa di Messina dal fidanzato Cristian Ioppolo. Il 26enne, condannato in appello all’ergastolo, l’ha picchiata e soffocata.
A cura di Chiara Ammendola
Alessandra Musarra (a sinistra) e il suo assassino Cristian Ioppolo (a destra)
La mattina del 7 marzo 2019 Alessandra Immacolata Musarra viene trovata morta nel suo appartamento al rione Santa Lucia sopra Contesse di Messina. A scoprire il cadavere è il padre preoccupato perché la figlia 29enne non risponde più al telefono. Alessandra è stata picchiata e poi soffocata dal suo fidanzato, Cristian Ioppolo, 26 anni, che viene arrestato poco dopo, non prima di aver cercato di sviare le indagini accusando l'ex compagno della vittima. Il 27 maggio 2022 la Corte d'Appello di Messina conferma per la condanna all'ergastolo.
Chi era Alessandra Immacolata Musarra, la giovane donna uccisa a Messina
Alessandra Immacolata Musarra ha 29 anni quando viene uccisa dal fidanzato Cristian. Aiuta la madre nel locale di Kebab alle spalle del Duomo di Messina ma da qualche tempo non lavorava più. Dopo un periodo difficile ha infatti incontrato Cristian al quale sembra rivolgere ogni sua attenzione. Con il fidanzato, di tre anni più giovane, ha però un rapporto burrascoso dovuto principalmente alle reazioni, spesso violente, sia fisicamente che verbalmente, da parte di Ioppolo. Convivono in un appartamento a Santa Lucia Sopra Contesse, frazione della città di Messina.
Alessandra Musarra (Facebook)
Chi è Cristian Ioppolo, l'ex fidanzato di Alessandra che la uccise per gelosia
Cristian Ioppolo, 26 anni, è originario di Messina. Inizia la sua storia d'amore con Alessandra un anno prima dell'omicidio: il loro rapporto però si incrina quasi subito, a causa della gelosia di quest'ultimo. Il 26enne è taciturno, non ha molti amici e trascorre le giornate da solo o in compagnia di Alessandra, è disoccupato ma non cerca un lavoro, ogni tanto aiuta la famiglia portando le pecore al pascolo. Le difficoltà economiche dei due influiscono negativamente nel loro rapporto.
Il problema principale però è che Cristian è geloso, lo è in maniera ossessiva nei confronti di Alessandra e spesso le sue reazioni sono piuttosto violente. Qualche volta intervengono pure intervenuti i carabinieri: nell'ultimo periodo in particolare il 26enne è ossessionato da un ex ragazzo della compagna col quale teme ci sia stato un riavvicinamento. Comportamenti ossessivi che esasperano Alessandra che decide così di mettere fine alla loro relazione.
Alessandra Musarra e Cristiana Ioppolo (foto Facebook)
L'omicidio di Alessandra e il tentativo di depistare le indagini con un sms
Il femminicidio di Alessandra avviene la sera del 6 marzo 2019. I due sono a casa quando scoppia una lite, l'ennesima, probabilmente perché Cristian non accetta la fine della loro storia e accusa la ormai ex compagna di averlo lasciato per un altro. Il 26enne a un certo punto si scaglia contro Alessandra che aggredisce con calci e pugni, accanendosi sul viso, fino a metterle le mani alla gola per soffocarla, infine la uccide. I pm parlano, durante la requisitoria in tribunale, di una violenza inaudita.Il tempo passa. Sono le 2 di notte quando Cristian, con estrema lucidità, invia col telefono di Alessandra, un messaggio ai genitori ai quali dice di essere stata presa in ostaggio dall'ex fidanzato. Un modo per sviare le indagini, ma che non sortisce il suo effetto: il malcapitato viene interrogato risultando estraneo ai fatti. A quel punto gli inquirenti si concentrano proprio su Ioppolo che viene così arrestato.
Il ritrovamento del cadavere da parte del padre di Alessandra Immacolata Musarra
Il cadavere di Alessandra viene ritrovato la mattina del 7 marzo dal padre che preoccupato dopo aver ricevuto il messaggio dalla figlia, prova a contattarla. Non ricevendo risposta decide di raggiungere l'abitazione della vittima dove fa la macabra scoperta. Alessandra è a terra, ormai senza vita, col volto tumefatto.
Cristian Ioppolo (foto Facebook)
Le indagini e l'autopsia sul cadavere
Inizialmente Cristian nega qualsiasi coinvolgimento nell'omicidio della fidanzata spiegando di non ricordare nulla di quella notte, se non l'inizio della colluttazione. La versione non convince gli inquirenti che vanno avanti con le proprie indagini. Secondo il giudice per le indagini preliminari che lo interroga dopo l'arresto la sua amnesia è soltanto una strategia.A chiarire ogni dubbio è l'autopsia sul corpo di Alessandra che, nel luglio 2019, stabilisce che la 29enne è stata strozzata, la morte è sopraggiunta "per asfissia meccanica violenta da strozzamento con segni anche di soffocazione, ed escludono altre dinamiche letifere". La ventinovenne inoltre presenta lesioni a due vertebre cervicali causate dal pestaggio.
Le dichiarazioni della sorella Chiara Musarra
Chiara, la sorella di Alessandra, alle porte del processo d'Appello, decide di rompere il silenzio e ricordare la 29enne puntando il dito contro la richiesta della difesa: “È impossibile dimenticare, ogni giorno è difficile. E poi, pare che questa storia non debba mai finire – le sue parole – pensavamo che almeno giustizia fosse fatta, invece l’ultima udienza ci ha lasciati spiazzati. E’ impossibile per noi pensare che Alessandra non possa avere giustizia, che a noi non venga concesso di trovare pace”, spiega.
La confessione del fidanzato Cristian IoppoloIntanto gli inquirenti continuano le indagini. Viene perquisita casa di Cristian Ioppolo, al rione Camaro, e lì, nel vano lavanderia, gli agenti trovano gli abiti sporchi di sangue. Nel mese di ottobre vengono chiuse le indagini e Ioppolo viene considerato l'unico responsabile del pestaggio che ha causato la morte di Alessandra: deve rispondere del reato di omicidio volontario aggravato dalla relazione affettiva e dalla stabile convivenza.
Il processo e la condanna all'ergastolo di Cristian Ioppolo
Il 28 gennaio 2020 Ioppolo viene rinviato a giudizio dal giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Messina. Il 18 giugno 2021 viene condannato dalla Corte d'Assise di Messina alla pena dell'ergastolo, confermata il 27 maggio 2022 dalla Corte d'Appello che respinge così la riduzione della condanna a 24 anni. Cristian Ioppolo è condannato anche al risarcimento dei familiari della vittima: 20mila a ciascuno dei due fratelli; 80mila a padre e madre.
L’uomo che (non) morì due volte
Ognuno ha le sue sliding doors, momenti in cui il destino prende una direzione che cambia tutto. Per lo scrittore Paolo Nori questi momenti hanno coinciso con le sue due morti, ovviamente false. Vi racconto la sua storia e come l’ho scoperta
di Mario Calabresi
Nelle nostre esistenze ci sono mille possibili biforcazioni, tantissime possibilità di prendere una strada piuttosto che un‘altra. Spesso siamo noi a scegliere da che parte andare, ma ci sono momenti in cui è la vita che sceglie, in cui accadono cose che non controlliamo e che mutano per sempre la nostra traiettoria. Più di vent’anni fa mi aveva colpito un film con Gwyneth Paltrow – si chiamava Sliding Doors - che raccontava come sarebbe potuta cambiare radicalmente la vita della protagonista a fronte di un piccolo dettaglio: riuscire a salire sulla metropolitana per tornare a casa o perderla perché una bambina si mette davanti alla porta. Mi ha sempre affascinato cercare di vedere e capire questi cambi di direzione, è un lavoro che ognuno può fare su sé stesso, ma non mi era mai capitato di incontrare una persona a cui fosse accaduto in modo tanto chiaro e spettacolare come allo scrittore Paolo Nori. E non una, ma ben due volte.
Lo scrittore Paolo Nori
Ma voglio partire dall’inizio, per restituirvi la storia così come l’ho conosciuta: ho incontrato per la prima volta Paolo Nori, che oltre a fare lo scrittore è traduttore dal russo, viaggiatore e professore universitario, poco più di un anno fa. Ci siamo incontrati perché mi voleva parlare di un possibile podcast tratto dal suo libro “Noi la farem vendetta” sulla strage di Reggio Emilia del luglio 1960, quando durante una manifestazione sindacale nel centro della città la polizia uccise cinque sindacalisti iscritti al PCI. Io, invece, avevo pensato che mi sarebbe molto piaciuto che lui facesse un podcast sulla letteratura russa, su Dostoevskij. Dopo aver discusso un po’ le due possibilità, abbiamo deciso che saremmo andati a mangiare.
Appena ci siamo seduti a un tavolino all’aperto, lui mi ha detto a bruciapelo: «Ma eri tu il direttore di Repubblica quando scrissero che io ero morto?». Sono rimasto di sasso e gli ho detto una frase del tipo: «In che senso che eri morto?». «Era il 2013 e una sera di pioggia venni investito da un motorino fuori da una pizzeria, picchiai la testa, fui portato in ospedale e rimasi alcuni giorni in coma. Si diffuse la notizia che io ero morto e voi la scriveste». Per prima cosa ho fatto i conti e gli ho detto che non avevo nessuna responsabilità perché nel 2013 ero alla Stampa, ma a quel punto la curiosità era tantissima e gli ho chiesto di raccontarmi tutto. E lui mentre guardavamo il menù ha aggiunto: «Quella era la seconda volta che mi hanno dato per morto, la prima era stata nel 1999, quando feci un incidente e rimasi intrappolato nella macchina che prese fuoco, una due cavalli grigia e nera. Una macchina bellissima con la quale ero andato a San Pietroburgo partendo da Basilica Nova, che è un paese in provincia di Parma. Ci avevo messo quattro giorni ed è stato il viaggio più bello della mia vita. Rimasi in ospedale per 77 giorni con ustioni su tutto il corpo e anche quella volta si diffuse la notizia che ero morto». Poi, vedendo il mio stupore, ridendo ha aggiunto: «Sono state le due volte in cui io sono stato più famoso nella mia vita». Come potete immaginare, era quella la storia che non mi potevo lasciar sfuggire.
“Due volte che sono morto” è il podcast di 6 puntate prodotto da Chora Media per RaiPlay Sound (potete ascoltarlo qui). Le prime 3 puntate sono disponibili anche su Spotify
Così, prima di chiedergli altre spiegazioni gli ho detto che Reggio Emilia e Dostoevskij potevano aspettare, che il podcast lo doveva fare sulle due volte che era morto. Siamo rimasti a tavola per due ore e poi lui ha lavorato per quasi un anno e ne è nata una serie potente e meravigliosa, un’indagine sulla propria vita. Perché Paolo, dei suoi due incidenti, ricordava pochissimo, così ha iniziato un viaggio alla ricerca dei protagonisti delle sue storie: i tre ragazzi che lo hanno salvato, tirandolo fuori dall’auto in fiamme, il medico che lo ha operato sette volte, il fratello che aveva dato la notizia alla madre, tutti gli amici che avevano letto che era morto. E poi ancora – quattordici anni dopo – i proprietari della pizzeria che avevano chiamato l’ambulanza, i barellieri, i giornalisti che lo piangevano, la bibliotecaria che quando lo rivide a Bologna andò a toccarlo perché pensava fosse un fantasma…
Un racconto corale che contiene il famoso bivio che cambia la vita: quella telefonata ricevuta quando ancora è in ospedale di una donna – Francesca - che ha bisogno di informazioni per andare in Russia e che al ritorno dal viaggio diventerà la sua compagna e la madre di sua figlia Irma. La loro storia finisce, ma poi riprende perché, quando si sveglia dal coma la seconda volta, trova lei accanto al suo letto.
Paolo Nori con sua figlia Irma
Quando abbiamo presentato il podcast, al cinema Anteo a Milano, Paolo mi ha presentato sua figlia Irma, che ha 19 anni, e insieme hanno cominciato a raccontarmi un sacco di altre cose, su quanto tutto quello che è successo sia stato determinante nelle loro vite. Ho pensato che questa storia la volevo raccontare anche io e così li ho intervistati insieme nella nuova puntata del mio podcast Altre/Storie. (lo potete ascoltare qui).
La prima cosa di cui abbiamo parlato con Irma, che studia Astronomia a Bologna, è che se non ci fossero stati Alessandro, Roberto e Amir, tre persone così coraggiose da buttarsi a turno nel fuoco per cercare di tirare fuori suo padre da quell’auto in fiamme, lei non ci sarebbe. E questa è la cosa che più l’ha colpita del racconto del padre.
Irma ricorda benissimo la seconda volta, quando Paolo è stato investito, come se il tempo si fosse fermato: «Avevo otto anni e quando abbiamo ricevuto la telefonata che diceva che era stato ricoverato in ospedale, io ero seduta per terra con il gomito appoggiato sul divano, stavo guardando la televisione e c'era ancora Pepe, il nostro gatto». La tennero a casa da scuola per una settimana perché i suoi compagni di classe le dicevano: «Abbiamo saputo che il tuo babbo è morto».
«Quando è uscito dall'ospedale lui e la mamma sono venuti a prendermi a scuola, io non lo sapevo e sono corsa ad abbracciarlo. E poi tutti i miei compagni di classe e la mia maestra hanno fatto lo stesso. Che bello!».
Quel secondo incidente, meno doloroso e con conseguenze fisiche meno importanti, è stato però quello che ha inciso di più, sia sul lavoro di Paolo che sulla sua vita privata: «Quando mi sono svegliato dal coma, la prima persona che ho visto è stata proprio Francesca. Se non ci fosse stato il primo incidente, probabilmente io e Francesca ci saremmo conosciuti lo stesso. Ma se non ci fosse stato il secondo probabilmente non saremmo tornati insieme, perché nell'incoscienza del risveglio le ho detto una cosa che ha riacceso la nostra relazione. Però non voglio dire cosa».
Sono tante le storie di persone che vengono date erroneamente per morte e che così scoprono cosa si pensa di loro. Successe allo scrittore americano Mark Twain che per smentire il necrologio diffuso dall’agenzia Associated Press scrisse un laconico telegramma: “Spiacente di deludervi, ma la notizia della mia morte è grossolanamente esagerata”.
Chiedo a Paolo cosa abbia capito dai commenti alle sue morti: «Quando sono tornato a casa, ci ho messo del tempo a smaltire tutte le mail che mi erano arrivate, messaggi mandati a un morto. Tutte cose belle, ma non credo che fosse quello che la gente pensava veramente di me, perché quando uno è morto diventa subito più simpatico. C’è stata un’ondata d’affetto che mi ha fatto molto piacere che però non ho preso come la verità».
Paolo è dotato di un grande senso dell’ironia, ma si capisce che queste esperienze di rinascita lo hanno cambiato in meglio, tanto che la sua chiusura è provocatoria e spiazzante: «Ti posso dire una cosa? Morire la seconda volta è stata proprio una bella esperienza che mi sento di consigliare a tutti».