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9.11.18

RIFLESSIONE SUL PESSIMO CENTENARIO 4\11\2018-4\111918




A mente    fredda    e  dopo    che  è stato versato il classico ed  evanesciente bla ...bla  fatto di retorica  (  eccetto  pochissimi interventi   fra  cui quellin segnalati sopra   )   che   ricorda  all'acqua  di rose  nascondendo  sotto il tappetto   il lato  negativo ed  scomodo     mentre  esaltata  e strumentalizza    come  fa  la musssolini  (le solite becere strumentalizzazioni ad uso ideologico della storia della storia rovinano ed influiscono sul centenario ( 4 \11-1918-4\11\2018 ) del 4 novembre )     solo  l'aspetto  retorico  e  " buonista  " degli eventi  .  Parliamo degli eventi ignoranti  o  sminuti    del   centenario del 4  novembre  .
 Iniziamo da   quello  dellle donne 
 
nuova  sardegna  del 8\11\2018 

Grande Guerra, donne mobilitate e dimenticate

Dal pubblico al privato furono loro a colmare i vuoti nell'Italia militarizzata. Per le donne il conflitto non fu solo lutto, ansia, sofferenza per i cari lontani



Nel variegato panorama delle iniziative per commemorare la Grande guerra, cerimonie, mostre, rievocazioni, spettacoli hanno offerto interessanti chiavi di lettura e una molteplicità di spunti. Vale la pena di soffermarsi su un aspetto che resta sempre in sottofondo: la "mobilitazione" femminile e lo sconvolgimento provocato da quella guerra nei ruoli di genere, nella "gerarchia" fra uomini e donne. Perché quel conflitto non fu - com'è sempre stato nella storia, solo una "cosa da uomini", con ruoli fissi: da una parte i combattenti, al fronte, a difesa della Patria; dall'altra le donne "angeli custodi del focolare". Col protrarsi del sanguinoso conflitto, infatti, l'esigenza di assicurare la produzione di beni e servizi per le esigenze belliche, rende necessaria la presenza di figlie, sorelle, mogli, madri in spazi e con responsabilità pubbliche. Sono le donne a colmare i vuoti, in Italia, un Paese particolarmente militarizzato, con una percentuale di mobilitati nella popolazione (16%), di gran lunga superiore a quella di Germania, Francia, Inghilterra..Dallo spazio privato a quello pubblico, in contesti lavorativi maschili, nell'industria, negli uffici, nelle banche, negli ospedali, nelle fabbriche di armi, nelle manifatture tessili, nelle tipografie, nelle aziende telefoniche. Nelle città spazzano le strade o lavorano nei magazzini, distribuiscono la posta, preparano pacchi e confezionano maschere antigas, calzature e uniformi per i soldati. Nelle campagne accudiscono il bestiame, utilizzano le macchine agricole, si occupano di questioni burocratico-amministrative e di commercio di prodotti agricoli. Le foto delle donne che escono in bicicletta dai cancelli delle fabbriche compaiono sui giornali e cambiano l'immaginario dei contemporanei.È lo scrittore Ugo Ojetti a darcene un'idea descrivendo «la fiumana di donne che penetra, gorgogliando e frusciando, nei luoghi degli uomini: campi, fabbriche. Oggi lavorano pel bene di tutti tante donne quante mai ne avevamo vedute, in lavori da uomini». A Cagliari e a Sassari, nella terra dei "gloriosi fanti della Brigata Sassari", citati sui bollettini di guerra, le donne organizzano comitati che si occupano di assistenza alla popolazione, raccolta di fondi per la guerra, lavorazione di bende e vestiario per i militari, soccorso ai feriti. Ovunque, ai comitati locali, enti semi-pubblici, le autorità attribuiscono funzioni diverse che configurano ruoli di protagoniste nella vita quotidiana del fronte interno. Anche il ruolo femminile tradizionale di accudimento e di cura di masse di feriti, mutilati, moribondi acquista un nuovo significato e viene percepito come un "allargamento" dello stesso all'intero corpo della Nazione in guerra. Certo le donne che restano a casa affrontano una vita di privazioni e sacrifici, vivono esperienze nuove, dolorose e traumatiche, come quella del lutto e della lontananza da mariti, fratelli, figli. I lunghi anni di guerra sono un lungo, infinito periodo di solitudine, di tormentosa sospensione. Come rivelano le corrispondenze private, l'attesa di notizie dal fronte è snervante, logorante. E così il distacco. Si può citare, a proposito, la straziante scena raccontata da Emilio Lussu in "Un anno sull'altopiano". Al momento della partenza dopo una breve licenza, sorprende la crisi di sconforto e di disperazione della madre: "Al centro della sala, accanto a una sedia rovesciata, la mamma era accasciata sul pavimento, in singhiozzi. Io la raccolsi, l'aiutai a sollevarsi. Ma non si reggeva più da sola, tanto, in pochi istanti, si era disfatta. Tentai di dirle parole di conforto, ma si struggeva in lacrime".Si tratta di un tema da approfondire. Ma la guerra non ha rappresentato per le donne solo lutto, sofferenza, ansia per i cari lontani. E non è stata solo una parentesi prima del ritorno alla "normalità" del dopoguerra con
la dominante "mitologia della madre sacrificale". È stata anche "una grande officina". Ha rotto l'idea dell'incompatibilità fra donne e sfera pubblica. Ha cambiato la moda femminile. Ha segnato, comunque, una tappa, nell'accidentato percorso - interrotto dal fascismo - verso l'emancipazione

mi trovo d'accordo   con Alessandro insolia   di cui riporto sotto  la sua lettera  a repubblica 

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2.11.18

le solite becere strumentalizzazioni ad uso ideologico della storia della storia rovinano ed influiscono sul centenario ( 4 \11-1918-4\11\2018 ) del 4 novembre



Cerco   una risposta   a  qiuesta mia domanda   a  quando celebrazioni   senza  la nauseante   e  stucchevole  retorica  nazionalistica  ?  Credo   d'  ver  trovato  una risposta   negli articoli ed  i link   sopra    al post   che  riporto  oggi  ,  su  cui   vorrei  impostare   la  discussione  \  dibattito   ,  dimostrano  su  come   la  data  (  di cui  quest'anno ricorre  il centenario  )   del  4  novembre   dimostrano     dicome sia ancora  vivo  l'evento della  fine della  grande  guerra  .
Esso   fa  parte   nolenti   e  non della  nostra  storia  nazionale   su  cui ancora  non abbiamo   saputo  fare  i conti   .  Infatti nonostante    siano passati  100  anni   è   come testimonia  l'uso    strumentale  ed  ideologico     che  la  Meloni  , in questo  caso ,   si  vuole  fare  ovveroil tentativo   illussorio  ed forzato   visto che   si   vuole  fare      ciioè farne    forzatamente     una menoria      condivisa . Tentativo    che   rimane  solo utopistico ed evanescente      fin quando   si ricorda  solo  parte  della  storia  ,  
Dopo questo  pistolone     veniamo  agli articoli  

il  primo  è  una lettera      pubblicata     su  http://invececoncita.blogautore.repubblica.it/  d'oggi 4.11.2018   


Carlo Montini in una foto inviata dal fronte
Carlo Montini in una foto inviata dal fronte

Grazie a Orlando Astuti e a Carlo Montini
"Cara Concita, il 2 novembre mio papà, Carlo Astuti, compie 97 anni (e rimane vostro fedele lettore). Il 4 novembre ricorre poi il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale. I due anniversari sono, per la nostra famiglia, legati, perché mio papà si chiama Carlo in memoria dello zio, Carlo Montini, anche lui nato il 2 novembre, nel 1896"."Zio Carlo, proveniente da una famiglia molto patriottica (il padre, mio bisnonno Gino, era colonnello della Territoriale), scoppiata la guerra, partì volontario poco più che diciottenne. Fu promosso sotto-tenente, mandato al fronte e morì, colpito da una granata sul Veliki-Kribak (fronte del Carso), il 4 ottobre del 1916, quando non aveva ancora compiuto vent’anni. Fu insignito della medaglia di bronzo ed è ora sepolto nel Sacrario vicino a Sant’Ambrogio a Milano"."In famiglia si sono conservate le sue lettere dal fronte, prima entusiastiche, per la convinzione di stare servendo la patria, e poi sempre più drammaticamente consapevoli del massacro a cui stava partecipando. In memoria di quei giovani che in guerra morirono, e a dimostrazione che anche cent’anni fa si poteva morire da eroi ed odiare la guerra, ho pensato di condividere con i lettori della tua rubrica una lettera scritta da Zio Carlo alla famiglia il 30 marzo del 1916, durante una breve licenza nelle retrovie, lontano dalle trincee:
'Carissimi tutti,
Pace e tranquillità! Una quiete, una calma di tempo e di spirito semplicemente stupefacente! Che beatitudine mai provata, non sentire più quelle pallottole fischianti passare rasenti al buco che ci salva, non aver più quella dolorosa tensione dei nervi, non vivere più come esseri primordiali, come cani, badare a non sporgere il capo per non essere colpito e chinare la testa sulla spallina con gli occhi chiusi... fulminato! Trattenere tutto per non essere ucciso!Nulla più di tutto questo! Che bellezza! Figuratevi che ho una cameretta, s’intende di contadini, ma a me sembra una reggia e ci sono sempre dentro guardandola e ammirandola per rimanere a bocca aperta alla vista di … un … letto … lenzuola … comodini, parole che io pronuncio a scatti per l’emozione di fronte a tanta grazia di Dio! Comincio a persuadermi che questo personaggio esiste!Figuratevi, almeno figuratevelo non potendo aver un’ombra d’idea della realtà, pensate che di questo lungo periodo di prima linea il mio battaglione era nel punto più avanzato e la mia compagnia d’avamposto era ancora nel punto più avanzato di tutta la linea.Eravamo a 150 metri dalla trincea nemica e le vedette a circa 90. Si vedevano … e si parlavano! Una sera durante una mia ispezione alle vedette del mio plotone scivolai sul ghiaccio ed andai a finire nei reticolati austriaci. La vedetta nemica a dieci passi non sentì o forse intirizzito mi lasciò tranquillo e tornai… facendomi il segno della croce al ritorno alla mia trincea! Ho dunque ragione d’essere felice del nostro soggiorno attuale. Tanto più pensando… che non sono morto.
Baci. Carlo

Il secondo    un articolo  sul  fattoquotidiano  del  2\11\2018   di  

Ventotto volumi, pomposamente chiamati “albo d’oro”, contengono i nomi degli oltre 600mila morti per cause belliche. A questi vanno aggiunti, e non c’è neppure una statistica ufficiale, centinaia di migliaia di civili morti per “avversità belliche”, che tradotto significa fame e malattia. Intere generazioni spazzate vie sulle trincee e sugli altopiani, migliaia di uomini fucilati per mantenere la disciplina su ordine di tribunali militari speciali. Interi reggimenti sottoposti alla pratica della decimazione. Questa è statala guerra italiana ’15-’18. Questa e non l’eroico racconto di chi la guerra l’ha raccontata, dopo, da comode e calde case. O dai “letti di lana” come recita un verso della vera cantata della guerra, che non è la “canzone del Piave”, ma “Gorizia tu sei maledetta”.Per questo il 4 novembre non è tanto la data della vittoria, quanto la data che segna la fine dell’inutile strage. Non un trionfo ma una data che ricorda la follia della guerra e l’orrore del militarismo frutto esasperato del nazionalismo.La proposta di Giorgia Meloni 


100 anni fa vincemmo la Prima Guerra Mondiale. I nostri Eroi ci fecero liberi e sovrani. 100 anni dopo ricordiamo il loro sacrificio combattendo la stessa battaglia contro i nuovi invasori. Questo è il nostro omaggio, questa è la nostra sfida. #NonPassaLoStraniero


di fare del 4 novembre la data della festa nazionale è, quindi, non solo un modo per occupare qualche spazietto sui giornali ma, ed è peggio, un affronto al senso stesso che quella data ha occupato nella memoria del paese.
E non casualmente la proposta è infarcita di richiami alla vittoria, al Sacro Piave, all’eroismo. Le stesse parole e la stessa narrazione di chi mandava, in folli strategie, i soldati a crepare davanti le mitragliatrici e fucilava chi riusciva a tornare indietro.  Se il 4 novembre ha un significato è esattamente il contrario, a 100 anni dalla fine di quel massacro dovrebbe ricordarci altro. Dovrebbe essere un monito, terribile. Un monumento alla follia umana. Ma questo significherebbe abbandonare il terreno della propaganda, che per ironia della sorte proprio nella prima guerra mondiale diventa arma al pari di cannoni e gas tossici, e incamminarsi su un terreno più accidentato, quello della Nessun testo alternativo automatico disponibile.

riflessione e della comprensione. Terreni ostici di questi tempi.Sulle trincee e sui luoghi delle carneficine e delle fucilazioni di massa bisognerebbe tornare, per vedere per capire. Un esercizio di memoria utile non per celebrazioni di confini ma per evitare che un domani un paese senza memoria, un mondo senza memoria, possa pensare di ripiombare in quell’orrore chiamato guerra. Sarebbe il modo giusto per celebrare il 4 novembre e, magari, chiedere scusa.

Allora   si  aggiungo  io  a questo articolo  che    si potra  parlare  di memoria  condivisa      per  il momento   è  solo  fuffa  .  Quindi  spettabile  Giorgia  Meloni    si occupi se  proprio   vuole onorare    (  io  preferisco il termnine  ricordare  )   e i  caduti  in guerra   si preoccupi   (  vedere   primo url  sopra )   di   curarne  i monumenti  ed  il patrimonio  ad esso dedicato  . 

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