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26.11.25

esagerazioni - degenerazioni della cultura woke ovvero del politicamente corretto a tutti i costi . il codice etico della sapienza di roma

 Certo le molestie e  il bullismo sono   un problema   che  va  affrontato ma  qui  si esagera  .  Infatti   si rischia  ulteriormente   da  non  capire   quando  si  può scherzare   o  criticare   qualcuno  o  qualcosa    o  quando  no  .  

Leggo    su  Dagospia  che  



L’UNIVERSITÀ DELLA SAPIENZA la PIÙ “WOKE” DEI CAMPUS AMERICANI – L’ATENEO ROMANO HA INTRODOTTO UN NUOVO CODICE ANTI-MOLESTIE, SIA SESSUALI CHE...MORALI – MA COSA SI INTENDE PER “MOLESTIE MORALI”? TRA LE ALTRE COSE, “I RIMPROVERI OFFENSIVI DEL DECORO DELLA PERSONA” E “LA DELEGITTIMAZIONE DELL’IMMAGINE MEDIANTE INSINUAZIONI SU PROBLEMI PSICOLOGICI O FISICI RISPETTO ALLA SUA QUALITÀ PROFESSIONALE” – MA CHE VOR DI'? ADESSO NON SI PUÒ RIMPROVERARE QUALCUNO CHE ARRIVA IN AULA VESTITO A CAZZO DI CANE? IN QUALSIASI ALTRO POSTO DI LAVORO (E DI STUDIO) CI SONO DELLE REGOLE DI DECORO DA RISPETTARE . 

 Estratto da www.romatoday.it

 

UNIVERSITA LA SAPIENZA ROMA

Un nuovo codice anti-molestie e un premio di laurea in memoria di Ilaria Sula. Sono le novità introdotte dalla Sapienza, dopo il via libera del Senato accademico, in occasione della giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. 

IL NUOVO CODICE ANTI-MOLESTIE

Il nuovo "codice di condotta per la tutela della dignità delle persone e per la prevenzione delle molestie” riguarderà tutte le persone che studiano o lavorano a qualunque titolo, anche occasionalmente, all’Università.

 

università la sapienza roma

Una prima e importante novità rispetto al codice vigente già dal 2021 consiste nella possibilità di segnalare gli atti e i comportamenti molesti subiti nell’ambito del rapporto di studio o di lavoro, anche al di fuori degli spazi dell’Ateneo e in qualsiasi modalità, compresa quella telematica o informatica. […] 

Tra le novità c'è poi il riconoscimento delle molestie morali e degli atti discriminatori fondati sul genere, sulla condizione genitoriale, sull’orientamento sessuale, sull’origine etnica o sulla provenienza territoriale, sulla religione, sulla disabilità, sull’età, sulle diverse opinioni politiche o sindacali, sulla condizione economica e sociale. 

Il documento si occupa anche dei comportamenti che possono configurarsi come molestie morali Tra questi: i rimproveri offensivi del decoro della persona; la delegittimazione dell’immagine, anche di fronte a terzi, mediante insinuazioni su problemi psicologici o fisici della persona rispetto alla sua qualità professionale;

l’emarginazione e l’isolamento con intento persecutorio, quale l’ingiustificata rimozione da incarichi già affidati, la limitazione della facoltà di espressione o l’eccesso di controllo

università la sapienza roma 3

; l’attribuzione di compiti impropri. Il documento precisa infine che è da considerare molestia anche ogni forma di ritorsione contro chiunque segnali comportamenti molestanti o ne sia testimone.[…]  

21.9.25

Paolo, 14 anni. E la società che non c’era di elisa lapenna

questo post di  Elisa  lapenna conferma la mia recensione precedente sul suo  blog  https://nessundatodisponibile.blog/

 Un ragazzo di 14 anni, Paolo, si è tolto la vita in una cittadina di provincia. Non era un nome famoso, non aveva follower da milioni, non ha lasciato dietro di sé manifesti o proclami. Ha lasciato solo un vuoto. E al suo funerale, tra parenti e pochi adulti, si è presentato un solo compagno di scuola. Uno soltanto. Questa non è cronaca nera. È il ritratto impietoso della nostra società. Bullismo: sempre più precoce, sempre più crudele Un tempo il bullismo era confinato alle superiori: “ragazzi grandi” che si accanivano su chi era diverso. Oggi invece la violenza comincia già alle elementari. Bambini di 8, 9, 10 anni che imparano troppo presto la legge del branco, che colpiscono il più fragile, il più sensibile, il più “fuori posto”. Ragazzi sempre più giovani usano le parole come coltelli e i social come amplificatori di crudeltà. Un soprannome derisorio diventa virale,un video di umiliazione fa il giro della chat di classe. La violenza non finisce più al suono della campanella: ti segue a casa, nello zaino e nel cellulare.
Docenti che non vedono (o non vogliono vedere) Molti insegnanti dicono: “Non abbiamo avuto segnalazioni”. Ma davvero un ragazzo che soffre deve essere lui a denunciare? Quanti silenzi si nascondono dietro le mura di un’aula? Quanti occhi bassi si spengono senza che nessuno li noti? Il problema è che spesso la scuola si difende dietro protocolli, sportelli d’ascolto e burocrazie, ma manca la cosa più semplice: guardare i ragazzi negli occhi, accorgersi dei segnali, non girarsi dall’altra parte. Un insegnante non è solo un trasmettitore di nozioni: è un adulto di riferimento. Eppure troppo spesso prevale la paura di “esporsi”, di “creare problemi”. Così si preferisce minimizzare, archiviare come “ragazzate”, lasciare che il tempo passi. Ma il tempo, in certi casi, uccide. Genitori distratti, troppo occupati, troppo stanchi E i genitori? Anche qui, la responsabilità è collettiva. Ci sono madri e padri che difendono i propri figli a prescindere, anche quando fanno del male: “È solo un bambino, non voleva”, “Sono cose che succedono”. Ma un insulto non è un gioco. Un pestaggio non è una bravata. Un’umiliazione non è una fase. Ci sono genitori che non educano, perché non hanno tempo, perché sono presi da mille problemi, perché scaricano la responsabilità su scuola e società. Ma la prima educazione comincia in casa: il rispetto, l’empatia, la capacità di chiedere scusa. Un ragazzo che cresce senza limiti, senza guida e senza esempi, diventa un adolescente che sperimenta il potere umiliando gli altri. E così si alimenta un ciclo di violenza che miete vittime silenziose.
Una società che parla ma non agisce Ogni volta che un caso come quello di Paolo arriva alle cronache, ci indigniamo per due giorni. Politici, giornalisti, opinionisti: tutti a parlare di bullismo. Poi la vita torna alla normalità, finché un altro adolescente non decide che vivere è troppo doloroso. È questa la nostra colpa più grande: l’abitudine al dolore. Ci siamo anestetizzati. Guardiamo la tragedia come fosse uno spettacolo, senza renderci conto che riguarda tutti noi. Appello Io ho un figlio di 13 anni. So cosa significa vederlo tornare a casa con il peso di parole che fanno male. So cosa significa preoccuparsi per la cattiveria di bande di ragazzini cresciuti senza una vera educazione. E tremo, perché la storia di Paolo potrebbe essere la storia di mio figlio. O di qualsiasi altro ragazzo. Per questo scrivo. Perché non possiamo più permetterci di restare fermi. Non basta indignarsi. Serve agire. Serve educare i nostri figli al rispetto. Serve che gli insegnanti abbiano il coraggio di intervenire. Serve che la società smetta di chiudere gli occhi. La morte di Paolo non è solo la sua tragedia. È la nostra sconfitta. E se non trasformiamo questa sconfitta in un cambiamento, allora siamo tutti complici. Perché un ragazzo di 14 anni non dovrebbe mai sentirsi solo al punto da scegliere la morte.

                                                   Elisa Lapenna

11.6.25

La rivincita del ballerino Giuseppe Giofrè: "Oggi chi mi bullizzava mi saluta e mi sorride



da rumors.it tramite msn.it











Da Gioia Tauro a Los Angeles, il talento lanciato da “Amici” racconta la sua rivincita sui bulli e il percorso che l’ha portato a ballare con le più grandi star internazionali. Il ballerino calabrese Giuseppe Giofré oggi racconta al Corriere della Sera la sua storia di riscatto: dal bullismo all’infanzia ai successi a Los Angeles con le star mondiali.
Una partenza coraggiosa, non una fuga
Giuseppe Giofrè, oggi 32enne, ha scelto di seguire i suoi sogni fin da piccolo. Originario di Gioia Tauro, è partito dal talent Amici per costruirsi una carriera internazionale. Oggi vive a Los Angeles e lavora al fianco di artisti come Jennifer Lopez. Al Corriere della Sera ha confidato: “Non è stata una fuga, ma una scelta. Fin da piccolo sognavo Los Angeles. Era lì che volevano arrivare i miei sogni, lì c’erano gli artisti con cui volevo lavorare. E lì sono arrivato.”
Nel raccontare il suo passato, Giuseppe ha ricordato gli anni difficili vissuti da adolescente, quando era bullizzato perché gay in una realtà di provincia che non lo comprendeva. “C’erano dei ragazzini in paese che volevano sempre picchiarmi. Ma non ho denunciato nessuno, allora non si usava. Oggi ai ragazzi dico: denunciateli”, ha affermato.




Giuseppe Giofrè - Foto: Instagram @giuseppegiofre

La rivincita più elegante: il successo
Il tempo, però, ha ribaltato i ruoli. Oggi Giofrè è una star che torna nel suo paese tra applausi e ammirazione: “Quando arrivo sembra che vedano la Madonna della Maria Santissima di Portosalvo, la nostra patrona. Vedono un bellissimo uomo, che ha avuto successo, che ha fatto carriera e balla con donne bellissime nonostante sia gay!”
L’Italia sta cambiando, anche se lentamente. “Prima era un problema per quei bulli che fossi gay, adesso pare abbiano imparato almeno la parola e il suo significato.” Alcuni dei suoi vecchi persecutori ora lo salutano con un sorriso. Ma Giuseppe non sente il bisogno di rivalsa: “La risposta più bella è quella che non dai. La mia è la mia vita.”

19.4.25

Manfredi Mangione, 17enne sfigurato per difendere un coetaneo: «Mi hanno distrutto il volto, ma non chiamatemi eroe»

 la  storia  sotto   conferma   il  primo  articolo   del  diario  di Bordo    n   116    anno III  . violenza nel mondo del calcio giovanile.,il nuovo  antisemtismo "Israeliani nazi": vandalizzato il murale con Liliana Segre

Manfredi Mangione, 17enne sfigurato per difendere un coetaneo: «Mi hanno distrutto il volto, ma non chiamatemi eroe»




Roma, il 17enne: «Le scuse? Non ci tengo, c’è la cultura di chi picchia di più»

Ti vuoi presentare tu? 
«Mi chiamo Manfredi Mangione, ho 17 anni, e frequento il quarto anno del liceo scientifico internazionale a Roma. L’otto marzo…». 

Festa della Donna. Era un sabato. 
«Poco dopo mezzanotte sono uscito da un locale e stavo passando con due amici per piazza Mancini». 

Per chi non conosce bene Roma, si tratta del piazzale di fronte allo stadio Olimpico, dalla parte opposta del Tevere. 
«Ero vicino alla fermata degli autobus, quando vedo tre ragazzi grandi che ne picchiano un quarto della mia età. Uno dei tre si limitava a dargli qualche spintone, ma gli altri due ci andavano giù pesante. Calci e cazzotti, cazzotti e calci. Lui cercava di muoversi all’indietro, ma dietro c’era il muro. Era circondato e senza vie di uscita». 

Lo conoscevi? 
«Di vista. Non era un mio amico. Perché lo stavano menando l’ho poi saputo dopo. Aveva guardato una ragazza che stava con loro. O loro ne avevano guardata una che stava con lui, non so. Cavolate da discoteca». 

Sul momento che cosa hai pensato? 
«Quando ho visto che aveva del sangue in faccia, non ho pensato più niente. Ho cominciato a correre verso di loro. Volevo separarli. Aiutarlo. Ma non ho attaccato briga con nessuno: non è nel mio carattere e poi sarebbe stato stupido, erano troppo grossi per me. Ho soltanto detto: Ragazzi, calma». 

E loro? 
«Avevo ancora la bocca aperta su quel “calma” quando ho sentito una frustata alla mandibola. Uno dei tre mi aveva colpito da dietro con un cazzotto. Non avendo visto partire il pugno, non ho potuto indurire la mascella e fare resistenza. Il colpo da dietro è proprio un’infamata». 

Sei caduto? 
«No, e non ho neanche perso i sensi. Pensavo di essere dentro un sogno e che a un certo punto mi sarei svegliato. Sentivo scricchiolare tutta la bocca. Ero sicuro che mi fossero saltati un bel po’ di denti. Poi ho cominciato a barcollare e a sputare sangue. Gli amici mi hanno raggiunto e i picchiatori si sono allontanati, così il ragazzo più piccolo è riuscito a scappare». 

Ti sembravano sotto l’effetto di qualche droga? 
«Di sicuro avevano bevuto e fumato erba. Un bell’intruglio». 

Che cos’hai fatto a quel punto? 
«Ho chiamato papà e appena tornato a casa me lo sono trovato sul mio letto. Gli ho detto che avevo solo preso una brutta botta. Parlavo poco per non fargli vedere che perdevo ancora sangue dalla bocca. Intanto però il male aumentava, sentivo la mascella che “scalava” dentro le guance: impressionante. Mi sono messo del ghiaccio e mi sono addormentato: è stata l’ultima notte in cui sono riuscito a farlo». 

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E al mattino? 
«Mi sono risvegliato col cuscino sporco di sangue. Ho detto ai miei: forse dobbiamo andare in ospedale. Al pronto soccorso siamo stati sei ore in sala d’attesa e ho avuto il tempo di raccontargli tutto. Poi è arrivato il responso della Tac. Il medico mi ha chiesto: “Senti qualcosa sotto il mento?” Mi tocco e mi accorgo di non sentire più niente. Rompendomi la mascella, quel pugno mi ha spappolato il nervo che comanda la sensibilità del labbro inferiore fino al mento. Non sento più né il caldo né il freddo. Pensa che ho provato a mangiare un gelato e mi sono sbrodolato come un bambino». 

Ti hanno operato? 
«Tre giorni dopo, al Gemelli. Viti e placche dappertutto. E lì ho smesso definitivamente di dormire. Ho capito che la forza dell’essere umano sta tutta nel morso. Senza la possibilità di mordere ti senti impotente. Sei come un cane con la museruola». 

Riesci a mangiare? 
«Solo vellutate e purè. Mi sogno un piatto di pasta anche da sveglio». 

Oltre al dolore e alla fame, cos’altro provi? 
«Col passare dei giorni mi è cominciata a montare la rabbia. Perché non me lo merito, fondamentalmente. Avrei voluto spaccare tutto, o almeno urlare. E invece manco quello, perché avevo la bocca bloccata». 

Quante possibilità hai di guarire? 
«Potrò recuperare la sensibilità al 70 per cento, se va bene». 

Che cosa pensi di chi ti ha conciato così? 
«La vendetta non fa parte della mia natura. Tanto sono sicuro che la vita gli riserverà quel che si merita. Non è una minaccia, è una constatazione. Ho fatto denuncia ai carabinieri, vedremo». 

Se ti capitasse davanti? 
«Gli direi di chiedermi scusa. Ma se poi provo a immaginarmi la scena, sento che non mi darebbe alcuna gratificazione. Sai che ti dico? Non me ne importa niente. Secondo me, lui non sa neanche che cosa mi ha fatto. Quella è gente balorda, chissà quanti cazzotti del genere ha tirato in vita sua. In certi ambienti c’è ancora una cultura maschilista, l’idea che il vero uomo sia quello che mena più degli altri per farsi rispettare». 

Lo rifaresti? 
«No. Urlerei “c’è la polizia”, perché appena lo dici si spaventano subito e smettono». 

Che cosa pensi di avere imparato? 
«Prima davo tutto per scontato. Adesso capisco quanto sia meraviglioso anche solo poter masticare una noce… Poi ho imparato a diventare più paziente. E quanto sia inutile e infantile mettersi in mezzo alle risse: rischi di farti male, oppure di avere anche tu problemi con la legge. D’ora in poi sarò più accorto nel valutare le situazioni. L’errore è stato non calcolare quel che poteva succedermi. Spero non mi ricapiti più, ma se mi ricapita, chiamo la polizia». 

Hai visto la serie tv Adolescence, incubo di tutti i genitori? 
«Non ancora, ma la vedrò. Il problema della nostra generazione è che ci sentiamo più grandi di quello che siamo. E infatti andiamo con i grandi in discoteca». 

A diciassette anni andavo anch’io in discoteca. 
«Sì, ma al pomeriggio o alla sera?». 

Al pomeriggio. 
«Lo vedi? Noi invece la sera, fino a notte fonda. C’è troppa voglia di bruciare le tappe. E poi il telefono: ti sembra uno scudo, dietro cui puoi fare il fenomeno. Invece ogni cosa che pubblichi ti si può rivoltare contro da un momento all’altro». 

Sei tornato a scuola. 
«Sì, ho voluto farlo, e poi avevo un’interrogazione di latino. Mi hanno accolto bene. Non sono mai stato solo. Anche se mi sento solo». 

E il ragazzo che hai aiutato? 
«Sono riuscito ad avere il suo numero e gli ho scritto per sapere come stava». 

Per sapere come stava lui? 
«Mi ha risposto con un bel messaggio: “Grazie. Per salvare la mia vita, ti sei rovinato la tua. Quel che è successo a te stava per succedere a me…». 

Sei un piccolo eroe. 
«Me lo hanno detto tutti che ho avuto coraggio e che mi sono fatto male con onore. Ma non scherziamo, gli eroi sono altri… Io di eroi non ne ho. Ho un mito: papà. Però mi sa che gli devo dare più retta perché alla fine, scoccia dirlo, ha sempre ragione lui».

2.11.24

Sul set le attrici devono sopportare ricatti sessuali, bullismo, insulti: “Cosa deve fare una donna molestata”

leggi anche le puntate siamo alla VII°puntata  della guida << Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco per il settimanale Giallo >>

da  msn.it articolo  di milleunadonna.it 

Due esperte raccontano quanto sia ancora terribile la situazione di attrici e lavoratrice nel cinema e in tv. Le strategie per cambiare: dall’app per denunciare alla carta dei doveri del produttore alla campagna di sensibilizzazione di Women in Film
  
Molestie, ricatti sessuali, bullismo, insulti, complimenti non graditi, disparità di trattamento apicale o salariale. Sono problemi, comportamenti e spesso ingiurie gravi a cui - ancora e purtroppo - quasi tutte le donne vanno incontro o subiscono nei luoghi di lavoro. Non è diverso nella produzione cinematografica, delle serie o degli show televisivi. E non solo per le attrici - che nell’immaginario collettivo sono storicamente “prede” del regista o del produttore - ma anche di tutto il personale femminile, che va dalla sarta alla parrucchiera, alle operatrici del suono, delle riprese, alle segretarie di produzione.

Women in Film

Da alcuni anni, soprattutto all’estero, ma anche qui in Italia, si cerca di porre maggiore attenzione e, soprattutto, di vigilare perché queste cose accadano sempre meno. Per farlo è nata anche una associazione che ha preso le mosse dalla “sorella maggiore” nata negli Stati Uniti: si chiama Women in Film, Television & Media (WIFTMI) e il suo obiettivo è promuovere l’equità di genere e combattere i pregiudizi nell’industria dell’audiovisivo e dei media.

Sul set le attrici devono sopportare ricatti sessuali bullismo insulti Cosa deve fare una donna molestata


Nelle due interviste a seguire (raccolte durante il Mia - Mercato internazionale dell’audiovisivo che si è svolto a metà ottobre a Roma) una dirigente di WIFTMI, Fabiana Cumia, ci racconta di quanto le donne siano ancora discriminate sui set, mentre una consulente, Valeria Bullo, che si occupa proprio del benessere delle donne nei film ci spiega come in Inghilterra questo discorso è preso molto sul serio. Tanto per avere un’idea: in Gran Bretagna la percentuale di problemi psicologici tra chi lavora nel cinema o in tv è superiore alla media nazionale. Due terzi di chi ci lavora dichiara di essere depresso rispetto ai due quinti del resto della popolazione, la metà ha considerato di togliersi la vita. Il 66 per cento dice di voler cambiare lavoro per il proprio benessere mentale. Molestie sessuali riguardano il 39 per cento dei lavoratori, contro il 12 per cento degli altri tipi di lavori. E questo comporta - oltre al malessere del personale - anche una perdita economica per l’industria, causa assenza e giorni di malattia.
Molti casi di molestie non sono tracciati
Fabiana Cumia, che fa parte del board di Women in Film ed è dirigente ESG (rating di sostenibilità) di Rakuten tv, ci spiega che “rispetto al passato la situazione delle donne sui set sta migliorando anche grazie a movimenti come il #MeToo, ma i dati ci dimostrano che siamo ancora molto indietro soprattutto come disparità in posizione di leadership, equità salariale, donne alla regia o donne in posizioni da protagonista”. Per quanto riguarda le molestie c’è da sottolineare che molti casi “non sono tracciati” e questa “è la parte più pericolosa”. “Quando parliamo di violenza sulle donne, ci riferiamo alle molestie come la punta di un iceberg, di cui la cui punta estrema è il femmicidio, che però ha tutta una parte sommersa che include micro aggressioni invisibili come il linguaggio sessista e non inclusivo. Sono stati fatti dei progressi anche grazie al MeToo e ad associazioni come Women in Film, però non è stato fatto ancora abbastanza e non sarà fatto mai abbastanza fin quando non si raggiungerà una reale parità di genere nell’industria dell’audiovisivo”.
E aggiunge: “I maschi fanno resistenza a riconoscere la parità perché per loro significa rinunciare a una situazione di privilegio sociale, lavorativo, salariale. Per questo è molto importante che le aziende adottino dei protocolli ed è il lavoro di sensibilizzazione che stiamo facendo con Women in film”.
Cosa deve fare una donna molestata
Valeria Bullo lavora in Inghilterra ed è una consulente di benessere e inclusione nell’industria di film e tv. Nell’intervista ci spiega che “ci sono diversi approcci che si possono utilizzare per migliorare la situazione delle donne tra cui creare una carta di valori, delle linee guida per situazioni di mobbing o molestie sessuali”.
Ma cosa deve o può fare una donna quando viene molestata? “Deve fare di tutto per portare alla luce quanto accade. Guardiamo al caso di Harvey Weinstein: è stato grazie al supporto collettivo che si è potuto fare qualcosa”.
E spiega: “Nel Regno Unito è stato creato un’autorità neutrale, indipendente, chiamata la Creative Industries Standards Authority a cui si possono rivolgere le persone le persone più a rischio. C’è anche un'applicazione che si chiama “Call It Up” che dà la possibilità a tutti i dipendenti, quindi attori o membri della troupe, di fare un report anonimo alle persone a capo dell'azienda o della produzione. E questa sarebbe una cosa buona da introdurre in Italia”.

29.10.24

Hallowen ... ehm .... il culto dei morti ed i falsi nazionalisti \ sovranisti che lo vedono solo come festa imortata dagli Usa e pesi anglossassoni dimenticando che ci sono le nostre tradizioni mortuarie pagane ., La piccolezza dei fischi al film sul bullismo

dai nazionalisti \ sovranisti che scrivono articoli critici   verso Hallowen  come questo  de  ILGiornale  riportato     sotto   su #Hallowen mi aspettavo più conoscenza delle nostre tradizioni #pagane e non la solo la riduzione d'essa a festa importa dagli Usa  su   in flusso  dei paesi Anglossassoni  . A che punto siamo arrivati  non ci sono  più  i nazionalisti  di  una  volta  che  contrapponevano ad mode  estere  le   tradizioni nazionali  e  regionali   . 


Halloween non commemora i morti, scaccia quelli tornati dall'inferno. Invece il nostro amore per i defunti è senza limiti di tempo e di spazio
Halloween è simbolicamente all'opposto rispetto alla tradizione comune della commemorazione dei defunti
                               Giulio Dellavite 27 Ottobre 2024 - 10:00





Una signora anziana, di quelle che barcollano ma non mollano, che ogni giorno partecipa alla Messa feriale con una fede che io le invidio, arriva in sagrestia accompagnata dalla figlia per «risolvere un dilemma», mi si dice. Lei ha un peso sul cuore e vorrebbe confessarsi. La figlia sorride. Il giorno prima, tornata dalla Messa, si era rifiutata categoricamente di prendere l'Aulin per i dolori (ogni intenzione pubblicitaria o relativa ad altre eventuali tematiche inerenti al farmaco è esclusa). La motivazione era profondamente religiosa: «Il parroco ha detto che non è una cosa bella!». Addirittura si faceva lo scrupolo di essere in peccato per averne presi diversi.
Quella donna aveva colto la sfumatura della riflessione che avevo proposto, il problema è che io avevo parlato di Halloween. La sordità dell'anziana e la modernità della festa avevano fatto il resto, facendo andare la sua mente per assonanza alla famosa bustina che la figlia le faceva prendere. Resta il fatto che, come quella cara nonnina, tante persone vengono coinvolte da questa ricorrenza senza però conoscerne il significato. Noi l'abbiamo commercialmente copiata dagli Stati Uniti, in realtà pare che il suo inizio sia stato in Scozia alla fine del '700, celebrando la vigilia dei Santi (il 31 ottobre appunto), come «la notte degli spiriti, All Hallows' Eve» da cui appunto il nome Halloween. Si pensava che in contrapposizione agli spiriti beati del paradiso, nel buio della vigilia, le anime in pena uscissero dagli inferi della terra per rubare la vita degli uomini risucchiandola. I viventi, allora, per paura di essere divorati e per riuscire a scappare dagli assalti, cominciarono a mascherarsi da morti, da scheletri, da fantasmi, da personaggi dell'oltre tomba per confondere gli spiriti dannati affamati di vita. Qui prende senso allora la fatidica domanda: «dolcetto o scherzetto?». Gli «zombies» per capire quali fossero gli umani camuffati ponevano la richiesta come trappola terribile: se qualcuno avesse risposto «dolcetto» era chiaramente un vivente in quanto i morti non possono mangiare. Quindi scattava lo «scherzetto» dello strappargli l'esistenza.
Halloween è simbolicamente all'opposto rispetto alla tradizione comune della commemorazione dei defunti. In questi giorni non si fugge dai morti, ma si va loro incontro, si vanno a trovare al cimitero offrendo un fiore, cioè offrendo loro un segno di vita nuova. Gabriel Marcel scrive: «Dire ti amo a una persona significa prometterle: tu non morirai mai!». Infatti «amore» per qualcuno viene proprio dal latino «a-mors» ciò che è senza morte, ciò che vince la morte, ciò che non risucchia la vita ma la fa crescere nell'eredità di azioni, valori, passioni, insegnamenti, premure. Collego allora un'altra interpretazione, quella per cui «ricordare» verrebbe da «ri-cuor-dare»: ridare cuore, ri-mettere nel cuore, ridare vita al cuore nostro e loro, riscoprire il cuore delle nostre storie.
Non so quanto siano deduzioni linguisticamente esatte, ma mi piacciono e comunque il senso che offrono mi sembra alquanto significativo da condividere. Va sempre più di moda dire a un defunto «la terra ti sia lieve», come saluto laico e moderno opposto al «riposi in pace». È invece un antico augurio religioso latino «sit tibi terra levis» che ha assonanza al significato originario di Halloween. Al momento della sepoltura, il rumore della terra sulla bara e il vederla sotterrarsi generava un senso di angoscia. Allora si augurava al defunto la «lievità», cioè che la sua anima non fosse sotto le zolle, bloccata o imprigionata negli inferi, ma libera e liberata, viva e presente, amata e amante. A me non piace l'espressione «ovunque tu sia» perché mi sembra che celi in sé l'idea che si tratti di qualcuno smarrito o disperso o scappato o rapito. Quando amo una persona, sento che c'è anche se non so dove è, anche se è lontana.

Nononostante  la   sua  versione   dogmatica  e  classicistica   sulla   morte   concordo  quando  dice  :

Halloween o All Saints, commemorazione dei morti o festa dei santi, tradizione religiosa o ricordo laico, per tutti comunque c'è una medesima provocazione alla riflessione e cioè che la morte più che «triste» è «seria»: il loro «al di là» fa prendere sul serio il nostro «al di qua».

ogni uno   è  libero di celebrare la  riccoreza   mortuaria  e  la morte dei propri cari  come meglio crede   basti che rispetti   l'altro  e   non rompa  le  scatole  

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Lo  so  che  ne  ho già   parlato   precedentemente qui in questo post ma    non riesco ad evitare   di ripetermi   in  quanto la cultura anzi  meglio  l'incultura del bullismo oltre ad essere un circolo vizioso visto il passaggio da bullizzato o bullizzatore è difficile da da sradicare Infatti  non bisognerebbe stupirsi troppo di fatti come quello avvenuto a Roma alla proiezione in anteprima  visto che nelle sale esce il 7 novembre per le scuole del film Il ragazzo dai pantaloni rosa perché, come noto, la stupidità è senza limiti; ci si può però sentire feriti, delusi, dispiaciuti e anche "vergognarsi", come ha detto una
studentessa presente in quella sala . IL film ( tratto dall'omonimo libro ) racconta di Andrea ha quindici anni quando decide di uccidersi. Non sopporta più i compagni che lo tormentano e lo insultano, non solamente nei corridoi del liceo ma anche su internet, su una pagina che hanno creato appositamente per umiliarlo, dal titolo « Il ragazzo dai pantaloni rosa ». Perché alla stupidità e alla crudeltà basta l'appiglio del nulla, per trasformarsi in disumanità. È il 2012. La mamma di Andrea, Teresa, scopre dopo la morte del figlio di quei ragazzi che gli hanno rovinato la vita al punto di spingerlo a distruggerla. Scrive un libro, che è diventato un film e l'altro giorno è stato presentato alla Festa del cinema di Roma alle scolaresche della città, tutti ragazzi fra i 15 e i 17 anni. L'età di Andrea e dei cosiddetti bulli che lo avevano perseguitato. Il fatto è che Andrea è morto e i bulli no . Inn quella sala hanno fatto sentire ancora la loro voce senza vergogna, tra fischi e offese al protagonista sullo schermo. Lo ha raccontato il quotidiano Il Messaggero e il ministro dell'Istruzione Valditara ha chiesto che i responsabili siano individuati e annunciato che andrà a incontrarli di persona.
Non bisognerebbe stupirsi troppo perché, come noto, la stupidità è senza limiti; ci si può però sentire feriti, delusi, dispiaciuti e anche «vergognarsi», come ha detto una studentessa presente in quella sala. Ma un fatto di tale gravità interpella innanzitutto gli adulti e la domanda è forse, in questo caso, fino a quale punto di non ritorno possa arrivare lo scollamento dei ragazzi dalla realtà. E poi: perché avvenga, e che cosa si possa fare. È uno scollamento che si osserva sempre più spesso e in ogni ambito, dalla consapevolezza di ciò che è stato il nostro passato a quella della propria identità, dei propri valori, del proprio possibile futuro.
Difficile immaginare una presa di responsabilità da parte di qualcuno capace di insultare un ragazzino morto nel buio di una proiezione e poi, una volta accese le luci, pauroso di proferire verbo. Senza arrivare a immaginare (come minimo) delle scuse, non c'è stato nemmeno qualcuno che abbia avuto il coraggio di bullarsi del pessimo comportamento. 
Quanta piccolezza, perfino nella cattiveria non solo  da parte  dei  coetanei  ma  anche  dei  genitori    che gli hano educati     e  degli stessi responsabili scolastici . Infatti  ho letto   su  msn.it    un articolo  mi sembra  del corriere  della sera    che  riporta la  notizia     di un genitore      che     dice «Mia figlia non potrà partecipare ad "Uniti contro il bullismo" il grande evento live diretto agli studenti: la scuola che frequenta ha deciso che non è un tema adatto a ragazzini di 11 anni. Un’occasione persa per i nostri giovani». 
Sempre  secondo   l'articolo  M'indigna  e  mi  crea  sconcerto il fatto    che  alcuni genitori della scuola media Augusto Serena di Treviso dopo che la dirigente ha deciso di non fare partecipare i circa 150 studenti dell’istituto alla proiezione del «Il ragazzo dai pantaloni rosa», un film , patrocinato dalla Presidenza della Repubblica e da diversi ministeri, tratto dalla storia vera di un quindicenne suicida, trasmesso in streaming, il prossimo 4 novembre, in occasione della giornata dedicata alla lotta contro il cyberbullismo.Andrea Spezzacatena il 20 novembre del 2012 si tolse la vita dopo vessazioni subite dai compagni di classe, preso di mira perché portava dei pantaloni di colore rosa, stinti per errore dopo un lavaggio della madre Teresa che ha raccontato nel libro «Andrea oltre il pantalone rosa» da cui poi è stato tratto il film. Dopo la visione della pellicola, previsto un incontro degli studenti con la regista Margherita Ferri e la madre del ragazzo scomparso, Teresa Manes. Un momento insomma educativo e di riflessione per sensibilizzare i giovani ad argomenti come l’omofobia e le serie conseguenze che essa può avere anche a scuola.
La trasferta dei circa 150 alunni frequentanti la prima, la seconda e la terza media della Serena, era stata organizzato al dettaglio con largo anticipo: il trasporto in corriera dal plesso al cinema Edera e la racconta dei soldi del biglietto. Gli studenti entusiasti di trascorrere una mattina al cinema, gli insegnati soddisfatti di aderire ad un importante azione di prevenzione contro la temuta piaga del bullismo. Poi, invece, il dietrofront della scuola. Qualche giorno fa, alcuni genitori si sono infatti rivolti agli insegnanti per chiedere di non portare i ragazzi al cinema «in quanto il tema dell’omofobia e del suicidio potrebbe non essere adatto a ragazzini di 11-12 anni». La dirigente del plesso Anna Durigon, d’accordo con il collegio docenti, ha dunque chiamato la sala per cancellare la prenotazione. A confermarlo gli stessi gestori del cinema, stupiti dell’improvviso dietrofront della scuola. «Non abbiamo cancellato ma solo rimandato – spiega però la dirigente -. Una decisone maturata dopo che alcuni genitori ci hanno fatto notare che il film poteva non essere adatto a tutti i ragazzi. Ci è sembrato, dunque, più prudente mandare prima qualche nostro docente a vederlo per capire se può essere visto da ragazzi così giovani. Dobbiamo anche renderci conto che ci possono essere ragazzi che stanno vivendo situazioni simili e dunque non sappiamo che reazioni emotive potrebbe scatenare certe scene. Non si tratta di nascondere certi argomenti ma di affrontarli con tatto, in base alla sensibilità e alle situazioni diverse che sono presenti in una classe».
La scelta della preside di non partecipare all’appuntamento in live contro il bullismo non è piaciuto alle associazioni che combattono per i diritti Lgbt: «Un film non ha mai ucciso nessuno, l’omofobia sì» la reazione di Paola Marotto, presidente del Coordinamento Lgbte di Treviso - Ancora una volta un clima ormai imperante di omofobia, spalleggiato da più parti, porta all’annullamento di una proiezione di un film che non avrebbe fatto altro che aumentare la coscienza di quella che è la società civile e di quello che, invece, alcuni atteggiamenti e azioni possono causare». Nelle stesse ore in cui la scuola annunciava la decisione di annullare la visione del film dedicato al suicidio del giovane bullizzato a Roma è, infatti, accaduto un altro fatto sconcertante: la proiezione della pellicola ad una scolaresca è stata accompagnata da fischi e frasi omofobe. 
All’episodio è seguito il commento del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara che in un post su X ha dichiarato: «Il bullismo va contrastato con la massima severità. Appena saranno noti i nomi dei responsabili, andrò nella loro scuola perché voglio incontrarli personalmente». A Treviso a prendere posizione, subito dopo, anche il sindaco Mario Conte, intervenuto contro la decisione della scuola Serena di annullare la proiezione della film : «E’ uno sbaglio non farlo vedere ai ragazzi. Provvederemo a proiettarlo noi – ha subito fatto sapere il primo cittadino di Treviso -, temi così importanti come il bullismo e la depressione devono essere sempre affrontati a scuola ».


Ma non solo nelle scuole, aggiungo io,  anche in tutti i centri d'aggregazione laici o parocchiali e coinvolgere in essi anche le famiglie perchè la  prima  educazione  avviene  in casa  

28.10.24

Genitori non vogliono fare vedere ai figli “Il ragazzo dai pantaloni rosa”. il film contro l’omofobia scatena reazioni omofobe



una scena del film 
Altro che legge zan qui ci vuole una tabula rasa educativa . Infatti  di Roma e  di Treviso  non so quale  dei due sia   il più vergognoso   dimostrano  più  del dibattito   sulla  legge  Zan  quanto ci fosse bisogno di un film come il ragazzo dai pantaloni rosa, appena presentato alla Festa del Cinema di Roma, dimostra le difficoltà che sta incontrando nell’essere proiettato. Poco importa che sia una storia vera e che ci sia andata di mezzo la vita di un giovanissimo, in tanti non accettano la storia né il suo punto di vista.                   Le  anteprime per le  scuole   de il  ragazzo  dai pantaloni rosa , film  che andrà  in onda nel cinema  dal 7  novembre  ed  è tratto dal romanzo autobiografico (  foto della   copertina   sotto a  destra )  : Andrea  oltre il  pantalone  rosa   di Teresa Manes,  la madre di Andrea Spezzacatena, studente 15enne del liceo Cavour di Roma, vittima di bullismo e cyberbullismo che nel novembre del 2012 si tolse la vita , sta  già iniziando a  creare polemiche  . IL film interpretato da Claudia Pandolfi divide pubblico, società e famiglie. E questo sarebbe anche un modo per alimentare il dibattito. Il problema è quando, a una presentazione davanti ad una platea di adolescenti, questi si lasciano andare a commenti omofobi e genitori  iperprottetivi   verso i loro figli   che   boicottano  la proiezione in una scuola  
E' il  caso  sucesso a   Treviso   dove  la proiezione   in una  scuola  media  è stata   sospesa  a  causa  dei   genitori   che  pare   non abbiano gradito la proiezione della pellicola, sostenendo che potesse avere influssi "negativi" sui loro figli. Di diverso avviso il sindaco leghista  (L  miracolo  un leghista illuminato 🧠😇😋🤗🙄😲)  del capoluogo della Marca, Mario Conte, che ha annunciato la volontà di organizzare la visione del film, affermando che con il diniego è stata "persa un'occasione di approfondire e conoscere meglio temi che sono vere piaghe della nostra società".Da Roma a Treviso, reazioni omofobe La proiezione dell'opera di Margherita Ferri, che vede Claudia Pandolfi nei panni della madre, era prevista il 4 novembre, e l'istituto aveva già prenotato i posti per gli studenti. Alcune famiglie hanno però chiesto alla dirigente di evitare la partecipazione dei ragazzi. La preside della scuola ha accolto la richiesta, pur precisando che la proiezione è stata solo temporaneamente sospesa. "Evitare di confrontarsi su questi argomenti - ha affermato Conte - non credo sia la soluzione. Omofobia, depressione, suicidi sono, ahimè, molto attuali nella società. Dispiace quello che è successo a Treviso, ma preoccupano anche le reazioni omofobe di Roma: due situazioni che devono far riflettere tutta la nostra comunità".“Mio figlio non c'è più ma omofobia sì"Il secondo riferimento è alle frasi di carattere omofobo pronunciate da alcuni studenti durante la visione del film il 24 ottobre scorso nella capitale e che la stessa Teresa Manes ha segnalato con un post sui social: "Quanto accaduto dà la misura dei tempi che viviamo. Un gruppo di studenti, accompagnati (e sottolineo accompagnati) alla proiezione del film Il ragazzo dai pantaloni rosa, ha pensato male di disturbarne la visione, lanciando dalle poltrone su cui si erano accomodati parole pesanti  ed  orripilanti come macigni. *Froxio, *Ma quando s'ammaxxa, *Gay di merda  ....  sono solo alcuni degli insulti rivolti a mio figlio. Ancora oggi, 12 anni dopo. Ancora oggi, anche se morto. Si parla di educare all'empatia e ci si mostra incapaci di farlo, permettendo di calpestare in modo impietoso la memoria di chi non c'è più e, soprattutto, un' attività di sensibilizzazione collettiva, portata avanti da chi ci crede ostinatamente. Mi piacerebbe che chi continua a negare l'omofobia in questo Paese prendesse spunto da quanto accaduto per rivedere il proprio pensiero e regolare il proprio agito. Perché la parola non è un concetto vuoto. La parola è viva ed uccide. Io, di certo, non mi piego. Anzi, continuerò più forte di prima Mio figlio non c'è più ma l'omofobia a quanto pare sì".L'episodio romano è stato talemente  abberrante    e scandaloso    che ha "commosso e indignato" anche il ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara, che ha chiesto all'Ufficio scolastico regionale di "attivarsi per individuare i responsabili degli atti di volgare inciviltà avvenuti giovedì in platea. Voglio incontrarli e guardarli negli occhi. Mi auguro ci siano da parte delle scuole sanzioni severe nei loro confronti. Mi chiedo come sia possibile questa disumanità, il non avere neanche la compassione di sentire il dolore dell'altro, il dolore di una madre, il dolore di quel povero ragazzo", ha concluso. Ottime  le  parole della madre  :


Quegli insulti erano sorretti dall'impalcatura della indifferenza che è la forma più subdola della violenza.
Io non so se dietro quel gruppo rumoroso c'è l'assenza di quella educazione primaria che spetta alla famiglia.
Il bisogno di affiliazione e, dunque, la necessità di fare parte di un gruppo può portare, specie in età adolescenziale, a fare o a dire cose che un genitore magari manco immaginerebbe mai dal proprio figlio.
Ma in quel contesto, anch'esso educativo, chi ha fallito è stato quell'adulto, incapace di gestire la situazione e rimettere ordine, probabilmente non avendo avuto tempo o voglia di preparare la platea dei partecipanti. venendo, comunque, meno all'esercizio del ruolo che ricopre.
Si parla di educare all' empatia e ci si mostra incapaci di farlo, permettendo di calpestare in modo impietoso la memoria di chi non c'è più e, soprattutto, un' attività di sensibilizzazione collettiva, portata avanti da chi ci crede ostinatamente.
Mi piacerebbe che chi continua a negare l'omofobia in questo Paese prendesse spunto da quanto accaduto per rivedere il proprio pensiero e regolare il proprio agito.
Perché la parola non è un concetto vuoto.
La parola è viva ed uccide.
Io, di certo, non mi piego.
Anzi, continuerò più forte di prima
Mio figlio non c'è più ma l' #omofobia a quanto pare si!

  non so cos'altro   aggiungere  in  quanto due  parole  sono poche  e  una  è  troppo  .     quindi chiudo qui     con  questo  è  tutto  alla  prossima  


 

21.10.24

lettera di due genitori di un ragazzo suicidatosi per bullismo


Mattia Marotta aveva 15 anni. Nel  2022  ha deciso di salutare questo mondo.  i genitori Emanuela e Christian hanno voluto dedicato una lunga riflessione al loro figlio. Ha ottenuto migliaia di like e condivisioni.E  ancora  continua  a circolare    sui  social  La pubblichiamo   anzi  lo   ripubblicoo 

ché un mamma e un papà che si affidano a Facebook per ricordare il loro figlio, sentono forte il bisogno di convididere il dolore. Di raggiungere rapidamente tutti quelli che ci sono stati in questo tempo di lutto e disperazione. La lettera l’ha scritto mamma Emanuela usando la pagina social del marito. Perché non ci sia un altro Mattia. Ma  soprattutto  funga  da  riflessione    in virtù degli  ultimi suicidi  

"Mattia era il nostro bambino, aveva 15 anni ed era estremamente intelligente e, come tutte le
persone particolarmente intelligenti, era tremendamente sensibile. Una sensibilità che lo faceva sentire diverso e non compreso.
Gentile e affettuoso, vivace, allegro... Ma si sentiva anche incompreso, spesso con poca autostima causata da quegli adulti che sin da piccolo lo hanno tormentato, umiliato, bullizzato solo perché non si uniformava ai suoi compagnetti, perché amava abbracciare gli amici o perché per lui stare seduto per 6 ore era difficile.
Mattia ci ha scritto: "Sono morto a 6 anni" per farci capire che il suo tormento ha origini lontane.
In seconda media, nell'animo sensibile del nostro bambino qualcosa si spezza; non sappiamo cosa sia stato, forse l'esclusione dalla gita scolastica o forse il fatto di essersi sentito per l'ennesima volta tradito da quegli adulti che avrebbero dovuto comprenderlo e guidarlo.
Qualunque cosa sia stato, Mattia ci ha detto che quell'anno ha capito quanto dolore avesse dentro, e quanto questo lo logorasse.
Si sentiva tanto solo, aveva tolto Whatsapp perché nessuno dei suoi amici lo chiamava per chiedergli: "Come stai"? e poi è arrivato il buio a riempire la sua stanza e i pianti tutte le notti.
La scuola non lo comprendeva, e per Mattia era solo un posto in cui si sentiva etichettato.
Mattia in tutto questo tempo ci ha nascosto il suo disagio; solo tra gennaio e febbraio siamo riusciti a percepire che non stava bene. Abbiamo informato la scuola, contattato un consulente psicologico, cercato di prenotare una visita in neuro psichiatria infantile. Abbiamo cercato di chiedere aiuto e purtroppo, per Mattia e per noi, ci siamo scontrati con l'indifferenza della scuola, con un consulente psicologico che lo ha abbandonato quando il suo supporto si rendeva ancora più necessario, e per finire un reparto di neuropsichiatria che mi ha contattata solo il giorno dopo la scomparsa di mio figlio a causa della pessima gestione della mia richiesta di aiuto.
Perché ho raccontato tutto questo? Perché io e mio marito siamo stanchi di sentire che la morte del nostro bambino viene trattata dai nostri concittadini come un pettegolezzo da bar.
Mio figlio era un bambino di 15 anni, era deluso dagli adulti, dalle istituzioni, le stesse che non hanno reputato neanche di dover proclamare il lutto cittadino, nonostante il mio bambino abbia scelto un parco diventato luogo degradato, per porre fine alla sua vita, e la sua non è stata una scelta casuale.
Nostro figlio sarebbe potuto essere uno dei vostri figli, il figlio del sindaco, dello psicologo e di chi risponde al maledetto telefono di un reparto di neuropsichiatria infantile. I suoi pensieri sono i pensieri dei vostri figli, e chiunque potrebbe ritrovarsi come me e Christian, disperati per non essere riusciti a salvare il proprio figlio.
Sono trascorsi mesi da quel maledetto giorno, mesi in cui noi non ci diamo pace, in cui nostro figlio ci manca come il respiro; sono trascorsi mesi e ne passeranno tanti, tanti altri in cui noi continueremo a soffrire. Ma sono passati anche mesi che avrebbero dovuto far riflettere tutti quegli adulti che, in un modo o nell'altro, hanno tradito nostro figlio e tradiscono ogni giorno i figli di qualcun altro.
Mattia ci ha detto che ci amava, e soltanto di questo purtroppo noi ci potremo nutrire. Concludo chiedendovi di condividere, nella speranza che qualcuno comprenda quanto sia necessario tacere se non si sa o non si conosce, ma soprattutto portare rispetto ad un bambino di 15 anni che non è riuscito a sopportare il male del mondo.
Grazie a tutti coloro che ci sono vicini, Emanuela e Christian, i genitori di Mattia"

1.3.24

Studenti che aggrediscono i prof a scuola ‘mamma e papà pagheranno fino a 10mila euro di multa’: arriva in Senato l’emendamento che cambia le regole

Per  essere  incisiva      e  non    una  semplice  legge   fattta  solo per  fare   o  di manzoniana  memoria   serve  aggiungere  alla  sanzione     economica      anche  l'obbligo   con  raddopiamento pecunario      se  non lo  si frequenta  un corso obbligatorio   educazione   alla  legalità e   alle  diversità   , da parte  dei  genitori  

  da ilriformista   del  29\2\2024

Studenti che aggrediscono i prof a scuola ‘mamma e papà pagheranno fino a 10mila euro di multa’: arriva in Senato l’emendamento che cambia le regole© Fornito da Il Riformista

Tutti ci ricordiamo i numerosi episodi di aggressioni – più o meno violente – di qualche studente contro il professore di turno. Uno dei casi più recenti è il caso dello studente di 17 anni che ha accoltellato alla spalle la sua professoressa prima di entrare in classe. all’istituto professionale Enaip di Varese. E ancora la professoressa derisa da alcuni studenti in classe e colpita alla testa e ad un occhio a pallini di gomma sparati da una pistola ad aria compressa. 

Il rischio di una multa fino a 10mila euro

Gli studenti che aggrediscono un professore, un dirigente scolastico o un membro del personale amministrativo della scuola rischiano una multa che può andare dai 500 ai 10mila euro. Lo prevede un emendamento depositato dal governo al Senato, in commissione Cultura, al ddl sulla valutazione del comportamento degli studenti. Il testo prevede che in caso di condanna per reati contro il personale scolastico nell’ambito o causa delle loro funzioni “è sempre ordinato” oltre al pagamento dei danni quello “di una somma da euro 500 a euro 10mila”, appunto, come “riparazione pecuniaria” per “l’istituzione scolastica di appartenenza della persona offesa”.

Cosa prevede l’emendamento depositato in Senato

L’emendamento è relativo a “chiunque aggredisca un professore o un dirigente nelle sue funzioni o a causa di esse” e condanna “i reati commessi in danno di un dirigente scolastico o di un membro del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario della scuola a causa o nell’esercizio del suo ufficio o delle sue funzioni”.

Titolo di riparazione pecuniaria “La sospensione condizionale della pena – si specifica – è comunque subordinata al pagamento della somma determinata a titolo di riparazione pecuniaria, fermo restando il diritto della persona offesa all’eventuale risarcimento del danno”. Il termine per la presentazione dei sub-emendamenti alla proposta di modifica in commissione è stato fissato a martedì.

Procuratrice Ancona, 'non tutti i casi di violenza sono uguali'

© Provided by ANSA (ANSA) - ANCONA, 04 DIC - "Questa storia lascia l'amaro in bocca, non si possono trattare tutti i casi di violen...