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1.2.25

anche le donne sono stalker e commettono violenze sugli uomini .

Nb.
agli analfabeti  funzionali   e  ai maschi  alfa  non fermatevi al titolo ma  leggete  tutto l'articolo 

Caro Ulisse ,

 ignorare o sottovalutare la violenzadelle donne, oltre a determinare un vuoto nelle
riflessioni teoriche e nei dati empirici relativi a una struttura relazionale evidentemente diffusa,
comporta anche il rischio di sottovalutare la necessità di interventi preventivi e di trattamento per tutte le vittime,sia uomini che donne. Non ti pare?

                                    Antonio


Carissimo Antonio, mi trovi assolutamente d’accordo.Dobbiamo superare questo tabù che considera le donne angeli del focolare, creature delicate e dolci e quindi incapaci dicommettere violenze. Guarda ad esempio a copertina qui   a   sinistra   di “Giallo” di questa settimana: c’è Alessia Pifferi, donna e mamma, che ha lasciato morire di stenti la sua bambina. C’è Rosa Vespa, una signora di 51 anni che voleva un bambino, ha !nto una gravidanza e ha rapito quello di un’altra donna. C’è Amanda Knox, che pur di levarsi d’impiccio in un interrogatorio che la stava stancando, ha calunniato Patrick Lumumba, il suo datore di lavoro e amico,
accusandolo di omicidio. E non gli ha mai nemmeno chiesto scusa! E poi la scorsa settimana ci siamo occupati di Chiara Petrolini, 22 anni, capace di nascondere due gravidanze, di uccidere due neonati e di seppellirli nel cortile di casa. E della professoressa che molestava gli alunni in una “saletta” nel modo più subdolo e perverso possibile. Come si può negare che la cattiveria e la violenza siano anche nell’animo delle donne? C’è un grande equivoco, in questi anni. Gli uomini temono che l’attenzione per i femminicidi metta sotto accusa tutta la categoria maschile. Si sentono toccati tutti, ci tengono a dire che loro sono “bravi”. Come se l’immagine degli uomini fosse messa in pericolo dall’innegabile presenza del fenomeno.
Spesso ti rispondono: ma anche le donne uccidono gli uomini.Ecco, sì, può capitare, ma molto più raramente. Perché gli uomini sono più forti fisicamente, ma anche perché di solito levittime sottomesse sono più facilmente femmine. Nel femminicidio scattano meccanismi di possesso e di volontà di 
prevaricazione che affondano le loro ragioni in qualcosa che ci 
portiamo dietro dalla storia. Tieni conto che il delitto d’onore è stato abolito solo nel 1981! Il fatto che però i “maschicidi” siano rari, non signi!ca che allora le donne siano tutte stinchi di
santo. Abbiamo decine di madri assassine, abbiamo ragazze che hanno ucciso i genitori, o le amiche, e per!no qualche serial killer femmina. E anche senza arrivare a questi estremi,molte donne maltrattano i loro compagni, i loro figli, sfruttano le persone, rubano, truffano, mentono, sono vendicative,stalkerizzano e tutto il resto. Per questo diciamo che siamo tutti uguali, nel bene ma anche nel male.
Non è una gara a chi è più buonoo più cattivo , e loro : non siamo a scuola con le due liste sulla lavagna . Questa “guerra” tra uomini e donne non ha e non dovrebbe avere davvero senso. Siamo tutti sulla stessa barca, tutti interessati a che sia fatta giustizia e che ci sia   rispetto   da  ambo le parti . A prescindere 
da che sesso abbia chi commette violenza.

28.10.24

Genitori non vogliono fare vedere ai figli “Il ragazzo dai pantaloni rosa”. il film contro l’omofobia scatena reazioni omofobe



una scena del film 
Altro che legge zan qui ci vuole una tabula rasa educativa . Infatti  di Roma e  di Treviso  non so quale  dei due sia   il più vergognoso   dimostrano  più  del dibattito   sulla  legge  Zan  quanto ci fosse bisogno di un film come il ragazzo dai pantaloni rosa, appena presentato alla Festa del Cinema di Roma, dimostra le difficoltà che sta incontrando nell’essere proiettato. Poco importa che sia una storia vera e che ci sia andata di mezzo la vita di un giovanissimo, in tanti non accettano la storia né il suo punto di vista.                   Le  anteprime per le  scuole   de il  ragazzo  dai pantaloni rosa , film  che andrà  in onda nel cinema  dal 7  novembre  ed  è tratto dal romanzo autobiografico (  foto della   copertina   sotto a  destra )  : Andrea  oltre il  pantalone  rosa   di Teresa Manes,  la madre di Andrea Spezzacatena, studente 15enne del liceo Cavour di Roma, vittima di bullismo e cyberbullismo che nel novembre del 2012 si tolse la vita , sta  già iniziando a  creare polemiche  . IL film interpretato da Claudia Pandolfi divide pubblico, società e famiglie. E questo sarebbe anche un modo per alimentare il dibattito. Il problema è quando, a una presentazione davanti ad una platea di adolescenti, questi si lasciano andare a commenti omofobi e genitori  iperprottetivi   verso i loro figli   che   boicottano  la proiezione in una scuola  
E' il  caso  sucesso a   Treviso   dove  la proiezione   in una  scuola  media  è stata   sospesa  a  causa  dei   genitori   che  pare   non abbiano gradito la proiezione della pellicola, sostenendo che potesse avere influssi "negativi" sui loro figli. Di diverso avviso il sindaco leghista  (L  miracolo  un leghista illuminato 🧠😇😋🤗🙄😲)  del capoluogo della Marca, Mario Conte, che ha annunciato la volontà di organizzare la visione del film, affermando che con il diniego è stata "persa un'occasione di approfondire e conoscere meglio temi che sono vere piaghe della nostra società".Da Roma a Treviso, reazioni omofobe La proiezione dell'opera di Margherita Ferri, che vede Claudia Pandolfi nei panni della madre, era prevista il 4 novembre, e l'istituto aveva già prenotato i posti per gli studenti. Alcune famiglie hanno però chiesto alla dirigente di evitare la partecipazione dei ragazzi. La preside della scuola ha accolto la richiesta, pur precisando che la proiezione è stata solo temporaneamente sospesa. "Evitare di confrontarsi su questi argomenti - ha affermato Conte - non credo sia la soluzione. Omofobia, depressione, suicidi sono, ahimè, molto attuali nella società. Dispiace quello che è successo a Treviso, ma preoccupano anche le reazioni omofobe di Roma: due situazioni che devono far riflettere tutta la nostra comunità".“Mio figlio non c'è più ma omofobia sì"Il secondo riferimento è alle frasi di carattere omofobo pronunciate da alcuni studenti durante la visione del film il 24 ottobre scorso nella capitale e che la stessa Teresa Manes ha segnalato con un post sui social: "Quanto accaduto dà la misura dei tempi che viviamo. Un gruppo di studenti, accompagnati (e sottolineo accompagnati) alla proiezione del film Il ragazzo dai pantaloni rosa, ha pensato male di disturbarne la visione, lanciando dalle poltrone su cui si erano accomodati parole pesanti  ed  orripilanti come macigni. *Froxio, *Ma quando s'ammaxxa, *Gay di merda  ....  sono solo alcuni degli insulti rivolti a mio figlio. Ancora oggi, 12 anni dopo. Ancora oggi, anche se morto. Si parla di educare all'empatia e ci si mostra incapaci di farlo, permettendo di calpestare in modo impietoso la memoria di chi non c'è più e, soprattutto, un' attività di sensibilizzazione collettiva, portata avanti da chi ci crede ostinatamente. Mi piacerebbe che chi continua a negare l'omofobia in questo Paese prendesse spunto da quanto accaduto per rivedere il proprio pensiero e regolare il proprio agito. Perché la parola non è un concetto vuoto. La parola è viva ed uccide. Io, di certo, non mi piego. Anzi, continuerò più forte di prima Mio figlio non c'è più ma l'omofobia a quanto pare sì".L'episodio romano è stato talemente  abberrante    e scandaloso    che ha "commosso e indignato" anche il ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara, che ha chiesto all'Ufficio scolastico regionale di "attivarsi per individuare i responsabili degli atti di volgare inciviltà avvenuti giovedì in platea. Voglio incontrarli e guardarli negli occhi. Mi auguro ci siano da parte delle scuole sanzioni severe nei loro confronti. Mi chiedo come sia possibile questa disumanità, il non avere neanche la compassione di sentire il dolore dell'altro, il dolore di una madre, il dolore di quel povero ragazzo", ha concluso. Ottime  le  parole della madre  :


Quegli insulti erano sorretti dall'impalcatura della indifferenza che è la forma più subdola della violenza.
Io non so se dietro quel gruppo rumoroso c'è l'assenza di quella educazione primaria che spetta alla famiglia.
Il bisogno di affiliazione e, dunque, la necessità di fare parte di un gruppo può portare, specie in età adolescenziale, a fare o a dire cose che un genitore magari manco immaginerebbe mai dal proprio figlio.
Ma in quel contesto, anch'esso educativo, chi ha fallito è stato quell'adulto, incapace di gestire la situazione e rimettere ordine, probabilmente non avendo avuto tempo o voglia di preparare la platea dei partecipanti. venendo, comunque, meno all'esercizio del ruolo che ricopre.
Si parla di educare all' empatia e ci si mostra incapaci di farlo, permettendo di calpestare in modo impietoso la memoria di chi non c'è più e, soprattutto, un' attività di sensibilizzazione collettiva, portata avanti da chi ci crede ostinatamente.
Mi piacerebbe che chi continua a negare l'omofobia in questo Paese prendesse spunto da quanto accaduto per rivedere il proprio pensiero e regolare il proprio agito.
Perché la parola non è un concetto vuoto.
La parola è viva ed uccide.
Io, di certo, non mi piego.
Anzi, continuerò più forte di prima
Mio figlio non c'è più ma l' #omofobia a quanto pare si!

  non so cos'altro   aggiungere  in  quanto due  parole  sono poche  e  una  è  troppo  .     quindi chiudo qui     con  questo  è  tutto  alla  prossima  


 

27.9.24

“Verifica dell’età in Internet” Ma vale solo per i siti porno Prevede indicazioni da Agcom: tra le ipotesi, introdurre un codice previa identificazione. Ma chi mai ammetterebbe di richiederlo per siti hot ?

Oggi   , Come  ogni  mattina    ho  visto  la  consueta  rassegna   stampa , non     sono riuscitaìo  a  trattenere le lacrime    e la  pancia  dalle  risate   leggendo questa  notizia  . Infatti  
Chi ha partorito tale cosa dev'esseremqualcuno poco avezzo : alla psicologia delle masse Infatti << quale italiano andrebbe mai a farsi identificare presso un centro per la verifica dell’età o potrebbe richiederla in qualsiasi altra forma se dovesse servire solo per la consultazione dei siti porno? Nessuno, o molto pochi >>. Infatti esso è ancora un tabù, partendo dalla certezza che il porno è ancora un fatto estremamente privato, più privato del sesso stesso. Perché il porno è un po’ come il denaro: non sta bene parlarne  apertamente  .  Ma  sooprattutto   il  fatto  che   si  posso  mettere   divieti  o  sistemi per  bloccare  l'accesso  ma  tanto  ila  fascino del proibito     attira sempre    e  si  escogitano  sempre  mezzi  alternativi   legali  \  o  meno  per      bypassarlo  .  Esperienza   di  uno  che    ha  iniziato    a prima  a leggere    e  poi  a  vedere   la  pornografia  da  9\10    anni . Ci  vorrebe  invece  un educazione    fin   all'infanzia  all'effettività,  alla  diversità  sessuale ( quellla   che   i  retrogradi  chiamano  gender  )     e  poi    da  14\15  al  sesso vero e  proprio  .  Non  probizionismo che    non serve  a niente  .  Infatti secondo 

  IL  FATTO  QUOTIDIANO  27\9\2024

  Virginia Della Sala




C’è un problema, nel decreto Caivano, la misura nata dal governo un anno fa, per mettere un freno alla criminalità giovanile (erano i giorni dopo lo stupro di gruppo nei confronti di due bambine di 10 e 12 anni) che ora potrebbe diventare strutturale oltre che un boomerang a brevissimo raggio: la norma, infatti, introduce la cosiddetta “Age verification”, ovvero l’obbligo per le piattaforme online di verificare l’età degli utenti per evitare che materiale non adatto ai minori possa apparire davanti ai loro occhi. Detta così, tutto bene. Non fosse che l’articolo in questione, il 13 bis, riguarda solo i contenuti dei siti porno. Null’altro. Mentre la maggioranza chiede di vietare i social network per gli under 16 o gli under 13 o gli under 15 (sul punto non c’è ancora concordanza), l’agcom – cui il decreto chiede di redigere le linee guida – ha appena chiuso la consultazione pubblica sulle modalità con cui questo dovrebbe avvenire. Senza le opportune modifiche, però, la soluzione rischia di essere un flop.

PARTIAMO DALLA NORMA:

si dice che “è vietato l’accesso ai minori a contenuti a carattere pornografico, in quanto mina il rispetto della loro dignità e ne compromette il benessere fisico e mentale, costituendo un problema di salute pubblica”; poi che “i gestori di siti web e i fornitori delle piattaforme di condivisione video... sono tenuti a verificare la maggiore età degli utenti” e che “l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni stabilisce... le modalità tecniche e di processo per l’accertamento della maggiore età assicurando un livello di sicurezza adeguato al rischio e il rispetto della minimizzazione dei dati personali”. A essa, anche la vigilanza sulla “corretta applicazione del presente articolo”.
Le proposte in campo sottoposte a consultazione pubblica, sono diverse, alcune già escludibili per limiti intrinsechi di privacy o di tecnologia: si va dalla scansione della carta d’identità al controllo incrociato con i database dell’anagrafe, dal riscontro con la carta di credito e gli istituti finanziari alla verifica tramite numero di cellulare. Ognuna di queste ha un grosso margine di difficoltà.
Restano allora due ipotesi realmente applicabili, entrambi lascerebbero fuori la questione identità limitandosi a fornire alle piattaforme il dato sulla sola età. La prima è quella della “Age estimation”, la stima dell’età attraverso l’intelligenza artificiale utilizzando ad esempio un autoscatto, che porrebbe però il problema del riconoscimento biometrico, o tramite raccolta e analisi dei dati, che però potrebbero anche essere fallaci o peggio ancora invogliare alla profilazione dei minori, vietata dal Dsa, il Digital Service Act europeo.
La soluzione più quotata sembra quindi essere quella verifica effettuata in modo “forte” da un ente terzo (un istituto finanziario, una società di telecomunicazioni, un erogatore di servizi al cittadino, pure il tabaccaio o lo sportello postale): l’utente deve farsi riconoscere da questo ente indipendente come maggiorenne (ente che avrà quindi la responsabilità di eventuali errori o violazioni) e gli sarà fornito un codice, un token, da inserire sulle piattaforme come prova della maggiore età.
I documenti della consultazione Agcom lo descrivono come un processo che permette alle piattaforme di non conoscere l’identità dell’utente e all’ente certificatore di non sapere quale piattaforma si visiterà.
Sarebbe anche vero, non fosse che il decreto Caivano come dicevamo, stabilisce quest’obbligo solo per i siti porno. La domanda allora è: quale italiano andrebbe mai a farsi identificare presso un centro per la verifica dell’età o potrebbe richiederla in qualsiasi altra forma se dovesse servire solo per la consultazione dei siti porno? Nessuno, o molto pochi. Il progetto, rischia così di fallire a tavolino e e soprattutto si spreca un’occasione importante.


28.7.24

DIARIO DI BORDO N 66 ANNO II . rita atria 20 anni dopo ., Diritti «Ero single a 40 anni e ho deciso di fare due figli da sola» ., Sessualità Andreina, imprenditrice del sex tech ., Il caffè del marinaio: storia e ricetta della bevanda nata sui pescherecci marchigiani .,

 

 

   tra  fb e    ed  i portali di   :  bing  \  msn.it  ,  di  mozzilla  firex  fox  . 

Il suo nome era Rita Atria, per Paolo Borsellino era “a picciridda”. Una bambina, di più: come una figlia.
Il papà suo, Rita lo aveva perduto a 11 anni. Un pastore legato alla mafia, ucciso da un sicario. Pur sempre un papà, però.A Rita era rimasto un fratello, Nicola, e poi sua moglie Piera. Le ammazzarono anche lui e Piera, da allora, divenne testimone di giustizia, e Rita insieme a lei. Contro il volere di sua madre, che la ripudiò, e mai più volle vederla.Rita sapeva chi era Paolo Borsellino, anche se piccola si fidava di lui. Si precipitò nel suo ufficio. Io ci sono, e sono con lei, gli disse. Lui le sorrise. Insieme a Piera, fecero arrestare decine di uomini del disonore.Quando, il 19 luglio 1992, Paolo e gli altri Eroi saltarono in aria, Rita capì di esser rimasta ancora orfana. Una settimana più tardi, disperata, si lanciò dal settimo piano del condominio in cui abitava, sotto falsa identità. Neppure la riconobbero, ci vollero ore. Era il 26 luglio 1992. Rita aveva solo 17 anni e oggi lei è lassù con i suoi due papà, e ne sono trascorsi 32.
Grazie, Rita, per essere esistita 💛



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da vanity fair

Diritti «Ero single a 40 anni e ho deciso di fare due figli da sola» .,

a figlia unica di genitori separati, sognavo di costruire una famiglia numerosa. Arrivata a 40 anni, però, mi sono resa conto che la vita mi stava riservando tante soddisfazioni, ma non un compagno né tantomeno un figlio», così Katia Minniti Berard, imprenditrice 50enne, rintraccia l’origine della sua decisione di ricorrere alla fecondazione eterologa per diventare mamma. Dopo la fine di una storia importante, mossa dal desiderio di maternità, grazie a un’attenta ricerca ha preso consapevolezza di poter avere un figlio anche da sola. Così, 10 anni fa, è volata verso la Spagna, ai tempi l’unico Paese che garantiva l’anonimato del donatore, dettaglio per lei fondamentale.«Mi sono accorta che mi avvicinavo alle relazioni per la fretta di avere un figlio, sollecitata dal mio orologio biologico. Ben presto ho capito che non era un atteggiamento sano, potevo rischiare di metter su famiglia con la persona sbagliata, allora ricorrere alla fecondazione eterologa mi è sembrata la soluzione migliore», racconta lei.  E così è stato: facendo fecondare i suoi ovuli dallo stesso donatore e crioconservando gli embrioni, ha dato alla luce Teodora e Martino, rispettivamente di 9 e 4 anni, con cui vive in una casa immersa nella campagna romana, tra i colori vivaci e le emozioni forti di una famiglia per niente tradizionale, ma tanto accogliente e viva. monogenitoriali, con bambini adottati o senza figli – nel suo progetto Album di famiglia che, fino al 25 agosto, insieme ad altri lavori sul tema, è in esposizione al

Foto di Noemi Comi
Foto di Noemi Comi
Fotografia Calabria Festival a San Lucido, tra i più suggestivi borghi del basso Tirreno calabrese «Fotografia di famiglie» è il tema del festival in cui, come ci tiene ad evidenziare la direttrice artistica Anna Catalano: «Non è casuale la scelta di utilizzare il singolare e il plurale, con un significato prettamente sociale, per illustrare attraverso il linguaggio fotografico le molteplici rappresentazioni della famiglia».Libertà di amare e scegliere la propria felicità, lottando contro stereotipi e abbattendo barriere sociali e culturali, sono i valori promossi dal progetto di Comi che propone una riflessione necessaria alla luce dei diritti civili tanto discussi negli ultimi anni in tema di matrimonio, adozione e maternità.Nonostante i tanti passi fatti avanti, c’è ancora tanta strada da percorrere. Ne dà prova la mamma single, tra le protagoniste del progetto fotografico, che racconta: «quando ho fatto questa scelta avevo solo mio nonno, all’epoca 90enne, che è stato felicissimo. Ma, soprattutto ora che i miei figli sono in età scolare, mi rendo conto che viviamo in una società in cui i bambini non sono ancora preparati a questa tipologia di famiglia».A entrambi i figli, per semplificare l’impatto, Minniti Berard ha fatto portare a scuola «Il grande grosso libro delle famiglie» che raccoglie tutti i tipi di famiglie, ma è capitato che alla primogenita, dopo aver raccontato di non avere il papà, alcuni compagni chiedessero se fosse morto. Quando spiega di non avere mai avuto la figura paterna, rimangono sbalorditi.«Teodora ormai suggerisce loro di farselo spiegare dai genitori. Credo che il problema sia più degli altri che di mia figlia, perché tanto lei sa tutto, come pure mio figlio. 

Per Martino, al momento, la situazione è più semplice perché ha in classe una bambina con due papà, quindi tutto appare più sensato» aggiunge.Non è stato facile combattere contro i pregiudizi e le accuse di egoismo, Minniti Berard si è affidata a una psicoanalista e, grazie anche a un nonno putativo,ha trovato l’equilibrio con i suoi bambini.Analizzando i pro e contro di essere una mamma single, ammette con un sorriso: «Tutto il peso delle decisioni grava solo su di me, sono sempre sola a fare tutto, dal caricare l’auto per le vacanze a scegliere la scuola. Però, almeno, non discuto con nessuno» Tornando seria, ribadisce di non essersi mai sentita una mamma di serie B e chiede alle istituzioni un aiuto finanziario ai genitori single, mentre confida la speranza che «ognuno possa aprire il proprio cuore e accogliere tutto ciò che è diverso e sconosciuto, senza paura. Solo lasciando vincere l’amore riusciremo ad assicurare un mondo migliore ai nostri figli».



......

Andreina, imprenditrice del sex tech: «Sono single, gli uomini mi dicono: “Come faccio a raccontare che sto con una donna che fa questo lavoro?”»

uno dei settori industriali più in espansione a livello mondiale. Entro il 2026, secondo l’Osservatorio Global Sexual Wellness Market, il mercato dei sex toys e del sex tech raggiungerà i 125,1 miliardi di dollari: erano «solo» 62 miliardi nel 2020. Secondo le stime dell’Osservatorio Dafne, in Italia questo mercato vale invece 600 milioni di euro, in crescita grazie ai nuovi e-commerce che garantiscono velocità e anonimato. Ma il merito va soprattutto alla sempre più diffusa sensibilità verso il benessere sessuale e l'esplorazione del piacere che stanno guidando un forte cambiamento nella percezione sociale degli oggetti erotici e della sessualità.
In questo ramo di industria, anche l'imprenditoria femminile si sta ritagliando uno spazio di tutto rispetto. Sempre più donne investono sul benessere sessuale e nella produzione di sex toys, gadget, oggetti per il piacere per single e coppie.
Tra queste imprenditrici «illuminate» c'è Andreina Serena Romano, 42 anni, fondatrice e CEO di Twilo, start up di sex tech con sedi a Potenza e Taranto.
Con un BA in International Business alla Nottingham Trent University e un master in Politiche di sviluppo del made in Italy, Andreina Serena Romano tiene anche la vicepresidenza nazionale di Confinternational, associazione dedicata all'espansione delle micro e piccole imprese Italiane nel mondo. Il suo sogno era quello di creare un’azienda capace di realizzare oggetti che potessero dare piacere ma che fossero anche di design. Qualche anno fa è diventato realtà.

Andreina Serena Romano nel suo ufficio

Andreina Serena Romano nel suo ufficio

Oggi Twilo (acrostico che sta per Twist e Love) è un brand composto quasi interamente da donne, (4 dipendenti full time e 10 persone che collaborano part time per la Ricerca & Sviluppo ingegneristico), ha un brevetto registrato, vende in tutta Italia e punta a espandersi anche sul mercato europeo con un progetto speciale dedicato al mondo dell'hôtellerie. Lo scorso anno ha vinto la quinta edizione dell’Oscar dell’Innovazione e il Premio Angi è stato consegnato a Roma dall’Associazione nazionale giovani innovatori.
E pensare che i primi passi risalgono appena al 2016, «quando analizzando vari mercati, mi sono resa conto che nel campo dei sex toys, in Italia, non c'era praticamente nulla di elegante, di design, di un po' smart, anche da indossare. Abbiamo quindi iniziato a lavorare su un primo prodotto che voleva essere proprio un sex toy wearable. Non lo abbiamo ancora lanciato, però nel 2017 è stato brevettato. Da lì in poi abbiamo fatto evolvere la società iniziando a lavorare su varie categorie di prodotti», spiega la CEO.

Ma perché investire proprio sui sex toys?
«Perché è un settore in cui si riesce a lavorare bene e avere dei buoni sbocchi. L'idea era quella di creare qualcosa che potesse dare piacere alle persone, renderle naturalmente più felici. Ed era anche una grande sfida: come donne volevamo portare avanti l'idea di un piacere sessuale legato al benessere, qualcosa che tutti possono provare senza vergogna e senza tabù, poichè parte integrante della salute generale».

Donne che si rivolgono ad altre donne?
«Non solo. I nostri prodotti possono essere usati anche dagli uomini o in coppia: la libertà è l’unica regola che conosciamo. Tutti i prodotti sono creati con materiali sostenibili, esclusivi e tecnologici, a partire da una gamma di preservativi vegani, dove il lattice è solo di origine vegetale. Nel corso degli anni abbiamo studiato sex toys con forme e caratteristiche in grado di attivare nel modo più efficiente possibile i centri del piacere e soddisfare i bisogni sessuali sia degli uomini che delle donne. Non per nulla la ricerca e lo sviluppo è il nostro punto di forza».

Dove vengono prodotti gli articoli di Twilo?
«Una pre-produzione, che è quella legata ai metalli, alla parte di lavorazione orafa che interessa la struttura dei micro stimolatori, viene realizzata nel napoletano, in Campania. La parte dei siliconi e delle plastiche ABS per il corpo viene invece seguita da un'azienda che si trova nella cosiddetta “valle dei sex toys”, che non è in Italia, bensì a Hong Kong, poiché in Italia non esistono aziende che lavorano il silicone sui grandi numeri. Ci limitiamo quindi a seguire qui tutta la parte di prototipazione mentre poi in Cina lavorano sugli stampi da noi forniti e realizzati nel tarantino».

Alcuni dei prodotti Twilo

                                                      Alcuni dei prodotti Twilo

Quali sono i vostri pezzi più venduti e che tipo di interesse c'è per gli acquisti online?
«Online c'è interesse principalmente per i mini stimolatori, piccoli, colorati, molto ludici, semplici da utilizzare e ideali per chi si avvicina per la prima volta al mondo dei sex toys. Poi ci sono i massaggiatori come Tito e Augusto, ergonomici, anatomici, con un design che piace tantissimo. Poi c'è Cesare, stimolatore per il punto G: semplice, lineare, molto elegante, apprezzato proprio per la forma. Ancora in fase di test, c'è invece la collana Afrodite, decorata da un bullet, che lanceremo in Italia in quattro bagni di colore: Silver, Silver Gold, Rose Gold, e Black Metal, quale prima collezione di sex jewels Twilo. Abbiamo presentato il prototipo di Afrodite in anteprima ed è piaciuta soprattutto ai ragazzi dai 20 ai 27 anni e agli uomini in generale, perché è molto d'impatto: una catena immaginata proprio per sdoganare l'idea che il sex toys può portarlo anche un uomo».

Augusto, Cesare, Tito, Afrodite… Perché questi nomi?
«L'idea era quella di dare dei nomi legati al mondo dell'antica Grecia e di Roma, nomi di grandi condottieri, imperatori, dee. Volevamo dare l'idea di qualcosa di forte, di importante, di epico, che faccia stare bene. Ora come ora, stiamo anche realizzando un'App, con l'aiuto di un'azienda tecnologica di Potenza per impostare funzionalità che permetteranno di usare da remoto alcuni prodotti. Nel momento in cui si utilizzeranno con una persona, l'App permetterà di parlarsi, di guardarsi, di mandare delle reazioni e in generale di condividere quel momento in maniera più piacevole e passionale».

Qual è il punto di forza dei prodotti Twilo rispetto ad altri sex toys sul mercato?
«Siamo un'azienda che disegna e progetta ogni prodotto e questo ci permette di creare dispositivi innovativi e diversi sia nel design, sia nell'utilizzo. Avendo delle risorse che lavorano solo ed esclusivamente su questo riusciamo a creare prodotti esclusivi. In più, abbiamo la possibilità di modificarli e personalizzarli grazie all'attività dei nostri ingegneri e designer».

Com'è stato recepito a Potenza e dintorni un progetto di business femminile rivolto al mondo della sessualità?
«Le reazioni non sono state del tutto positive. Purtroppo, quando è una donna a fare queste scelte imprenditoriali, bisogna scontrarsi con molti retaggi culturali. C'è ancora chi pensa che - nonostante tu crei prodotti e fai Ricerca e Sviluppo con ingegneri designer - stai sempre e comunque trattando qualcosa che ha a che vedere con il mondo della pornografia. Pensano che chi lavora in questo ambito non lo faccia con serietà e professionalità, quando in realtà si tratta di un'azienda che sta facendo business come tutte le altre e con prodotti che sono dei normali dispositivi per il piacere».

Come affrontate questi pregiudizi?
«Invece di restare stabili a Potenza, abbiamo deciso di spostarci anche su Taranto, in Puglia, dove invece abbiamo avuto un'accoglienza ottima: le persone si sono dimostrate molto interessate ai prodotti e abbiamo organizzato degli eventi di presentazione che hanno riscosso un grande successo. Sono venuti a conoscerci, hanno guardato, hanno acquistato, hanno voluto parlare di sessualità. In generale, abbiamo visto un approccio veramente differente rispetto ad altre regioni - come la Campania o la Basilicata - dove è complicato parlare e fare passaparola, perché tutti provano vergogna e imbarazzo ad affrontare certi argomenti».

Andreina imprenditrice del sex tech «Sono single gli uomini mi dicono “Come faccio a raccontare che sto con una donna...

In cosa vi state specializzando?
«Nella produzione di accessori per la stimolazione piuttosto che per la penetrazione. Lavoriamo molto anche per le spose. Creiamo dei kit speciali per l'addio al nubilato e kit dedicati alla sposa. Il bridal kit, per esempio, è una box che comprende vari oggetti tra cui stimolatori, preservativi, spillette e dadi personalizzati. Qualcosa di simile la stiamo facendo anche per il mondo dell'hôtellerie: siamo stati fra i primi a lanciare un Courtesy Kit e adesso stiamo lavorando proprio per il posizionamento all'interno dei boutique hotel. Contiene preservativi, una mascherina e un mini stimolatore personalizzabile. Al momento stiamo lavorando sull'Italia, ma abbiamo intenzione di espandere il progetto anche in Portogallo, in Grecia e in Romania. Un'idea curiosa, frutto purtroppo del mio essere una donna single…».

Perché «purtroppo»?
«Tutte le volte che mi piaceva qualcuno e ho voluto iniziare a stringere in modo un po' più serio la relazione, mi sono ritrovata davanti a esclamazioni del tipo: "Ma io come racconto che sto con una persona che fa questo?“ Mi è già successo due volte, la terza ho tagliato subito appena mi sono resa conto che sarebbe finita ancora nello stesso modo. Ogni volta chiedo: ma perché non facciamo un passo avanti? Potremmo fare insieme questo o questo … Poi vedo la reazione e capisco tutto. Uno mi ha persino detto: «Ma io come lo spiego a mia mamma il lavoro che fai? Il dispiacere che provo è lo stesso che possono provare anche le ragazze che lavorano con me e che magari subiscono i medesimi pregiudizi. C'è chi guarda già con un certo occhio una donna che fa l'imprenditrice, se poi la sua è un'azienda sex tech diventa tutto più difficile. Ma non si può non dire che produciamo accessori erotici, perché chiaramente è questo quello che facciamo. Tuttavia gli uomini e, in generale, anche altre persone vivono male questa realtà. Per me, quindi, è stato veramente difficile affrontare delle relazioni. E oggi sono sola, single e viaggiando spesso per lavoro, e sostando in albergo, so che può capitare talvolta di incontrare qualcuno che piace. Detto ciò, mi sono resa conto che è difficilissimo trovare dei preservativi, considerato che la protezione viene comunque prima di tutto. Mi è quindi venuto questo pallino di creare questo Courtesy Kit da proporre alle catene di alberghi».

Storie potenzialmente importanti, quindi, che si sono subito arenate a causa di persistenti pregiudizi attorno al business del sex tech. Ma davvero è possibile tutto questo?
«Il punto è che il mio lavoro viene inteso come un'attività ludica e poco seria. Agli occhi degli uomini con cui ho tentato costruire una relazione - ma anche di altri e altre in generale - io non sono una vera imprenditrice che ha avviato un progetto di business con tutti i criteri necessari, incluso un considerevole investimento economico. E parliamo comunque di uomini con un alto livello di educazione scolastica, con una professione importante, ma che vivono questa mia attività con imbarazzo al punto da porsi il problema di come presentarmi in pubblico se avessimo formato ufficialmente una coppia».

Tabù, cliché, pregiudizi… C'è speranza per un cambiamento culturale?
«Io vivo di fiducia e di ottimismo. Bisogna mantenere sempre alta la possibilità di raccontare determinate cose e quando alle persone parli, spieghi, racconti, a un certo punto iniziano ad ascoltarti, a capire, iniziano a vivere in un altro modo. Non ci sarà forse un cambiamento epocale, ma da qui a 5 anni si potranno vedere di certo i frutti del cambiamento imposto dalle nuove generazioni, già molto avanti nel parlare di affettività, di sessualità, di benessere. Sono loro che ci aiuteranno in questo passaggio».

Lei continua a credere nell'amore?
«Io credo tantissimo nell'amore. Sono un'emotiva romantica, mi batte il cuore in continuazione. Anche per questo i nostri prodotti non sono chiamati semplicemente sex toys ma Love Toys: il concetto di amore per noi è fondamentale. Eppure è difficile oggi riuscire ad avere una relazione, anche perché le persone non sono pronte, non hanno voglia, non hanno il tempo di gestire l'affetto. Vedo una difficoltà generale proprio a dedicarsi all'amore e alle relazioni monogame. Invece è proprio attraverso questo stato di passione, di emotività e di meraviglia reciproca che si può accedere davvero al piacere. L'amore regola tutto».


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Il caffè del marinaio: storia e ricetta della bevanda nata sui pescherecci marchigiani


affè del marinaio si beveva all’interno delle imbarcazioni del medio Adriatico, nel sud delle Marche. Un mix di caffè, rum, distillati locali all’anice da bere caldo secondo la tradizione. Ma c’è anche chi lo propone nei cocktail

Un caffè rinforzato nato in ambienti marinai nel medio Adriatico, dal gusto robusto e dal tenore alcolico sostenuto. Pariamo del caffè del marinaio, una preparazione che è nata a bordo dei pescherecci marchigiani per poi diventare rito di ogni fine pasto. Non c’è ristorante, bar e trattoria tipica di pesce nella zona di San Benedetto del Tronto, località di mare nel sud delle Marche e importante porto peschereccio, che non serva in maniera tradizionale questa bevanda calda.  Anche d’estate. Vi raccontiamo la sua storia ed evoluzione.

Il caffè del marinaio: perché si chiama così

Per scoprire le origini del caffè del marinaio si deve tornare agli inizi del ‘900 con l’avvento del peschereccio a motore. Infatti la storia del caffè del marinaio è legata al progresso di quegli anni. E proprio a San Benedetto del Tronto il 26 maggio 1912 venne varata la prima imbarcazione a motore d’Italia. Il peschereccio San Marco entra dunque nella storia. Visto che i viaggi iniziavano ad essere più lunghi nasceva l’esigenza di portare a bordo generi alimentari di lunga conservazione e capaci di ristorare nei rigidi inverni l’equipaggio. Dunque liquori, distillati e ovviamente caffè fatto rigorosamente con la moka. Bastava correggere il caffè con tutto ciò che si aveva a disposizione ed ecco che nasce il caffè del marinaio, momento di ristoro dopo le lunghe e faticose giornate a mare.

Il porto di San Benedetto del Tronto
Il porto di San Benedetto del Tronto

La ricetta del caffè del marinaio e come si beve oggi

Non c’è una ricetta codificata del caffè del marinaio: ogni famiglia custodisce la sua. Non si può prescindere dal caffè fatto con la moka a cui si aggiunge un insieme di alcolici come rum, mistrà (una versione locale di distillato all’anice, ve ne abbiamo parlato qui), oppure Varnelli o Meletti, e c’è anche chi aggiunge il Caffè Borghetti. Oggi si consuma a fine pasto, servito in un bricco portato ad ebollizione e con i famosi cantuccini da intingere.

Old Sailor Coffee
Old Sailor Coffee

Il caffè del marinaio in bottiglia

Nonostante il caffè del marinaio non abbia una ricetta scritta e viene consumato esclusivamente in questa zona delle Marche, c’è chi ha scommesso sulla sua riuscita. Parliamo della Levante Spirits, società di produzione di alcolici artigianali nata dall’incontro del marchigiano Fabio Mascaretti e il toscano Enzo Brini. “Volevamo far conoscere la storia e far capire che questo prodotto può avere una vita fuori dal consumo strettamente territoriale” spiega Mascaretti. Il loro prodotto si chiama Old Sailor Coffee: Partiamo da un rum giovane e bianco a cui vanno aggiunte infusioni separate di anice verde di Castignano, caffè Barbera e buccia d’arancia. Per un prodotto che contiene solo il 15% di zucchero rispetto alla media dei liquori al caffè che si attesta sul 35-40%”. Si consuma freddo con ghiaccio, ovviamente caldo con una scorza d’arancio al suo interno, e in miscelazione. A registrare il brand caffè del marinaio c’è invece l’Italian Creative Food, di San Benedetto del Tronto, che produce un liquore al caffè. Si chiama appunto Il Caffè del Marinaio e omaggia la tradizione marinara locale.


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(ANSA) - PALERMO, 27 LUG - Riottiene la patente dopo 23 anni e alla fine dell'iter processuale viene risarcito. E' accaduto a un automobilista di Caltabellotta, al quale era stata revocata la licenza di guida nel 1996, per decisione della prefettura di Agrigento che gli addebitava la mancanza dei requisiti morali, in quanto sottoposto a sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. 



Dopo avere espiato la misura di prevenzione, l'uomo si vedeva respinta la richiesta di riavere la patente.Assistito dagli avvocati Girolamo Rubino e Daniele Piazza, l'automobilista ha presentato ricorso al Tar di Catania, ottenendo la sospensiva e il rilasciao di un titolo provvisorio alla guida. A distanza di diversi anni il Tar ha ritenuto di non essere competente per giurisdizione e la causa è passata al giudice civile di Palermo, che con la sentenza del 3 novembre scorso, dopo 23 anni dall'inizio del contenzioso, ha deciso la restituzione della patente, condannando la prefettura al pagamento delle spese del processo.Visto il lungo percorso processuale i legali dell'uomo hanno presentato alla corte d'appello un ricorso, sulla base della legge Pinto, contro il ministero dell'Economia per ottenere l'equo indennizzo per l'irragionevole durata del giudizio, durato complessivamente 23 anni. I giudici d'appello hanno accolto il ricorso e condannato il ministero a pagare 8 mila euro in favore dell'automobilista per il danno non patrimoniale sofferto, oltre al pagamento delle spese di lite. (ANSA).



 

20.4.24

Matrimoni nudisti in spiaggia, i naturisti lo vogliono e il teologo li benedice


la  nuova  sardegna   20 aprile 2024

di Michela Cuccu

L’associazione Anita plaude all’iniziativa di San Vero Milis: «Un sindaco illuminato». Biancotti: «La Sardegna è molto avanti, il progetto Is Benas è meraviglioso»









San Vero Milis «Sarebbe bellissimo»: i naturisti plaudono alla proposta del sindaco di San Vero Luigi Tedeschi che vorrebbe si potessero celebrare matrimoni anche nella spiaggia nudista di Is Benas. «L’iniziativa potrebbe essere di grande aiuto per il naturismo in Italia», dice Maurizio Biancotti, responsabile dell’Ufficio stampa di Anita, l’associazione che in Italia promuove la cultura naturista come stile di vita. Teologo e docente di religione nelle scuole, Biancotti dice di apprezzare molto l’iniziativa di San Vero. «La Sardegna, che ha ben sette spiagge dove poter praticare il naturismo, è più avanti rispetto alle altre regioni italiane. Sapere che è possibile un’attività anche così bella e intima come il matrimonio, rispettando la volontà degli sposi, ci trova molto favorevoli», afferma, puntualizzando: «Il naturismo non è esibizionismo. Nessuno pensi che ci si sposi nudi per poi fare foto e diffonderle sui social. Le foto rimarranno nell’ambito familiare e degli amici». Precisazione che serve a capire meglio la posizione di Anita, associazione che tra le tante attività, da anni si fa promotrice dell’istituzione di aree dove poter praticare il naturismo.
Associazione con 1300 iscritti «numero esiguo rispetto a Spagna, Francia e Olanda dove i naturisti superano il milione», precisa Biancotti, è grazie all’associazione che sono nate le spiagge naturiste, come appunto quella di San Vero Milis. È grazie a i naturisti che la Sardegna è una delle poche regioni italiane (assieme a Piemonte, Abruzzo, Emilia Romagna, Veneto e Lombardia) ad aver promulgato una legge a favore del turismo naturista, che permette di istituire delle aree dedicate.
I matrimoni naturisti in spiaggia potrebbero dunque cambiare l’approccio sociale nei confronti di questa pratica. «Ciò che manca in Italia è la mentalità – dice Biancotti –. Prima di tutto per accettare una cosa del genere bisogna imparare a separare il corpo nudo dal sesso. In Italia, vuoi o non vuoi, la sessualità viene legata al naturismo e questo non è bene». All’estero le cose vanno molto diversamente. In Spagna, ad esempio, è legale star nudi dove non è specificamente vietato: «Fino a poco tempo fa – racconta Biancotti – si poteva andar in giro nudi per Barcellona».
In città della Germania come Monaco e Berlino, ci sono parchi dove esistono spazi per praticare il naturismo in tranquillità. «Non sono spazi chiusi - precisa Biancotti - non ci sono recinti perché non siamo animali rari». Il problema di fondo è che in Italia, mentre alcune regioni si sono dotate di leggi specifiche, manca una legge nazionale quadro. Di recente i vertici Anita hanno avuto un incontro con il vice presidente della Camera, Sergio Costa, che si è impegnato a farsi promotore di una proposta di legge. «Questo potrebbe cambiare le cose», commenta Biancotti che torna sui matrimoni in spiaggia. «Ho assistito a due cerimonie: una a Corfù dove arrivarono gli sposi completamente vestiti nella spiaggia dove si praticava il nudismo. Vollero celebrare lì, con gli altri nudi, le loro nozze. In Piemonte, alla spiaggia naturista del “Secchiello selvaggio”, lungo il fiume Trebbia, gli sposi, che avevano già celebrato il loro matrimonio, hanno voluto ripetere la cerimonia con un celebrante nudo, come loro e gli invitati, che indossava la fascia tricolore. Sono state bellissime esperienze, molto intime», dice. Poi torna al progetto per la spiaggia di Is Benas dove l'amministrazione comunale vorrebbe che i matrimoni, civili, avessero valore legale.
«Speriamo che un sindaco illuminato come quello di San Vero Milis riesca a realizzare questo progetto, portandolo all’attenzione dei media e dell’opinione pubblica. Sappiamo che ci saranno delle lamentele, che molti parleranno di esibizionismo. Questo però non ci preoccupa: il naturismo è una filosofia di vita molto sana».

8.2.24

Le parole di Giovanni Allevi a Sanremo: “Con la malattia ho perso tutto,... ., “Ti rispetto, ma la malattia non si racconta così” La risposta al monologo di Giovanni Allevi di Max Del Papa, il giornalista colpito da tumore


Due modi diversi di raccontare parlare della malattia oncologica . Quello di Giovanni Allevi che sul palco dell'Ariston esprime l'esperienza della malattia e la gioia di vivere in un intenso monologo e si esibisce poi  al pianoforte con "Tomorrow"    composta   in ospedale  



ed   l'intervento   risposta   risposta al monologo di Giovanni Allevi di Max Del Papa, il giornalista colpito da tumore 



secondo  lui  causato dal sacro siero  (  termine  con  cui  i no  vax   come  lui     chiamano   i vaccini   su  social   per  sfuggire   alla rimozione  dei  loro post )  qui  l'articolo completo   che  riporto per non condividendolo per    dovere di  cronaca   .  Ora  a prescindere dall'essere   pro o no  vax  o  scettici   sui  vaccini     chiedo  per     curiosità  a  voi familiari  di malati  oncologici  o   malatoi oncologici   o  ex    come  bisogna  raccontare    la  malattia  ? 

22.10.23

SMONTIAMO UN TABU SESSISTA non dobbiamo mai giudicare una donna per le sue scelte sessuali un cortometraggio ricorda il diritto delle donne a fare del proprio corpo ciò che si vuole

 "Se di un uomo che va a letto con tante donne diciamo che è un Don Giovanni, un gran fico, allora perché pensiamo che una donna che fa sesso con tanti uomini sia una 'facile'? Se la domanda potrebbe suonarvi retorica, banale e ridondante, chiedetevi perché sentiamo ancora il bisogno di farcela.
La verità è che ancora oggi applichiamo due pesi e due misure (come
minimo!) quando si parla di libertà sessuale: nell'immaginario collettivo persiste una visione angelica (o demoniaca?) della donna come oggetto passivo di una "conquista" del maschio, mentre un arcaico subconscio comune insiste nel voler sminuire e ridicolizzarne il suo ruolo di soggetto attivo capace di scegliere, desiderare, lasciarsi andare in piena libertà. Questa discriminazione si manifesta in modo subdolo e strisciante in molti aspetti della vita sociale,   anche  quando si parla di sesso , argomento  er  i quale     dovrebbero    cadere tutte le maschere  riemergono tutti quei pregiudizi primordiali e radicati.
Per rompere i codici e ricordare a tutti che il diritto di fare l'amore senza essere giudicati è universale  il regista Teddy Etienne ha realizzato il cortometraggio ''Dites Oui''  (   sotto  in lingua  originale  oppure    qui   con i  sottotitoli in italiano   ) 



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 in gara nel Mobile Film Festival, un concorso internazionale che premia video di un minuto girati con uno smartphone."Una donna dovrebbe fare del proprio corpo ciò che vuole, senza che la società o la religione la reprimano, la giudichino e la insultino. Oggi chiediamo alle donne di dire sì alla loro libertà". Queste le parole del regista che ha voluto esprimere un'esigenza non più procrastinabile.

29.8.23

il problema degli stupri specie quelli condotti da minorenni non va affrontato di pancia di Gennaro Pagano

 visto  che mi dice  che  esagero quado parlo  degli stupri  e dei femminicidio    che   siamo di fronte  ad  emergenza  culturale  ed  sociale  , lascio la  parola  ad  un esperto     che  ne   sà  più di  me 


Quanto accaduto a Caivano, come a Palermo, atterrisce. E atterrisce altrettanto gli opinionisti e i
tuttologi che sparano la soluzione mediatica ad alto impatto oppure che si limitano a descrivere l'evidente senza andare oltre. Il problema della sessualità, dell'abuso da parte di giovanissimi verso ragazze poco meno che coetanee, della violenza gratuita e bestiale è un problema complesso e che come tale va affrontato, analizzato, affrontato di pancia capito, andando oltre il politicamente corretto di uno sdegno sterile, tutto pancia e niente testa (la “pancia” è utile, necessaria e sacrosanta ma se non muove ad un pensiero capace di dirigere un’azione è socialmente sterile).In questo breve post voglio fermarmi su quattro parole chiave che meriterebbero un'analisi ulteriore. Condivido questi pensieri assolutamente non esaustivi per spingere a riflettere e ad andare oltre gli slogan :

1. Empatia. Spesso durante il mio servizio all’Ipm di Nisida e durante l’attività di psicoterapeuta mi è capitato di incontrare adolescenti "sotto anestesia"emotiva, completamente incapace non solo di elaborare ma anche di riconoscere le proprie emozioni e quelle della loro vittima. Negli ultimi anni vi è un "distanziamento emotivo" molto preoccupante e pericoloso, correlato senz'altro in molti giovani all'utilizzo smodato di social network, video, schermi e tastiere: non si tratta di "influenza" dei social, attenzione, ma di un vero e proprio mutamento di reti neuronali che nei nativi digitali sta avvenendo, come dimostrano numerosi studi avviati. Se a questo si aggiunge spesso la mancanza di mediazione e narrazione della realtà da parte del mondo adulto, tutto diventa più comprensibile.
2. Porno. Non se ne parla. Pare un discorso da bigotti e politicamente scorretto. Ma chiunque abbia esperienza di accompagnamento psicologico di adolescenti e ragazzi sa bene quanto l'esposizione pressoché quotidiana - che non di rado sfocia in una vera e propria dipendenza - a siti e video pornografici abbia delle ricadute importanti sulla concezione del sesso, delle pratiche sessuali, del rapporto e degli atteggiamenti da assumere. L'altra/o viene "cosificata", ridotta a merce da consumare e buttar via. Non si gode della relazione (anche sessuale) ma dell'oggetto da consumo che diventa il corpo dell'altro. Del porno e del suo effetto sugli adolescenti si parla poco: ricordiamoci che è una delle industrie più fiorenti di sempre. Ricordiamoci anche che ci troviamo dinanzi ad un inedito storico: mai l'accesso alla pornografia è stato così facile e potenzialmente continuo come negli ultimi venti anni. Questo vuol dire che chi liquida questo problema lo fa con superficialità e senza pensare.
3. Consumismo. Il "consumismo", parola che andava tanto di moda negli anni '80 e '90 , è diventato sempre più un concetto anche relazionale ed esperienziale. Non si tratta più di consumare merci e cose ma anche persone, corpi, relazioni. Non superando mai la fase infantile, narcisistica ed egocentrica, in cui l'altro viene concepito unicamente come funzionale al mio bene e, perché no, al mio piacere. L’altro non è più persona ma merce, cosa fa consumare. Anche sessualmente.
4. Povertà. Abusi e stupri possono avvenire ovunque come dimostra la storia e la casistica ma in alcuni casi, soprattutto in quello che vede protagonisti minori o giovanissimi, vediamo che avviene più spesso in contesti sociali o territoriali segnati dalla povertà educativa, dalla marginalità sociale, dal degrado morale. Questo significa che anche in quest'ambito i più poveri sono quelli che subiscono di più: nascere in una famiglia difficile, di un quartiere difficile di una realtà difficile espone maggiormente a traiettorie di vita deviate.
In tutti questi ambiti occorre lavorare con un metodo seriamente preventivo, transdisciplinare e di rete. E nonostante l'urgenza occorre essere preparati ai frutti che non arriveranno domani ma dopo domani: si tratta di cambiamenti della mente "sociale" e questo richiede tempo.E in questo tempo occorre lavorare con solerzia, coraggio, passione e senza protagonismi di sorta ad aiutare le vittime e ad evitare, vigilando, che ve ne siano altre.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...