Questa storia è ormai di ordinaria meschinità politica. Ha radici lontane. Lo spunto è una data: il 12 marzo 1944. Ogni anno, sui social, in occasione di questa ricorrenza, si ricorda il grande alpinista e partigiano Ettore “Nino” Castiglioni, sottotenente degli Alpini che dopo l’8 settembre 1943 si era unitoai partigiani e che salvò oltre cento ebrei e antifascisti fra i quali il futuro presidente Luigi Einaudi, portandoli al sicuro in Svizzera, nel Cantone dei Grigioni, e queste imprese lo hanno eletto “Giusto tra le Nazioni”. Castiglioni, infatti, morì assiderato la notte del 12 marzo 1944 mentre fuggiva dalla Svizzera, dove era stato arrestato per la sua attività di passeur . Indossava un lenzuolo e un plaid: i gendarmi elvetici gli avevano sequestrato gli scarponi, gli sci, la giacca a vento, persino i pantaloni. Se assurda e ingiusta è stata la morte di Castiglioni, ancor più assurda e ignobile è invece stata la decisione di Donato Seppi, sindaco di Ruffré-mendola che ha negato la posa di un monumento dedicato all’eroico alpinista nella piazza del paese, in provincia di Trento, dove Ettore era nato il 28 agosto 1908. Successe cinque anni fa, ma da allora, ogni 12 marzo, un’ondata di indignazione si abbatte sul settantenne Seppi. Ancor prima di diventare partigiano, Castiglioni era stato tra le due guerre uno dei più forti scalatori europei (affrontò le Dolomiti a soli 15 anni), tanto da essere premiato con la medaglia d’oro al merito alpinistico. Autore di bellissime guide escursionistiche sulle Pale di San Martino, le Odle, il Sella, la Marmolada, le Dolomiti di Brenta, con il trentino Bruno Detassis aprì oltre 200 vie. Conosceva a menadito le montagne della Valtellina: accompagnava i fuggiaschi lungo sicuri percorsi in alta quota, sfruttando ogni valico, ogni passo, ogni scorciatoia. Una volta entrato in Svizzera, cercava di rabbonire le guardie con forme di formaggio. Ma non bastò. Arrestato per spionaggio e contrabbando, rimase in cella due settimane. Al rilascio, lo minacciarono: se rientri, ti sbattiamo in galera e gettiamo via la chiave della cella. Ettore non si spaventò. Continuò nei suoi percorsi clandestini, sfidando i nazisti e i loro alleati repubblichini. Un giorno, i gendarmi svizzeri lo intercettano. Addosso ha documenti falsi. Un’aggravante. Finisce rinchiuso in un hotel. Riesce a scappare lo stesso, calandosi dalla finestra con un lenzuolo, avvolto in una coperta. Troppo poco per proteggersi dal freddo. C’era la luna piena, quella notte. C’erano anche 20 gradi sottozero, mentre raggiunge il Passo del Forno. Il ghiacciaio non fece sconti. Stremato, Ettore si accostò a un masso. Forse voleva riposarsi, prima di riprendere il cammino verso il fondovalle. Non si rialza più. Il gelo lo uccide. Lo ritrovarono il 6 giugno. Appena oltre il Passo del Forno (quota 2770), sul versante italiano c’è un piccolo piano, formato dal letto di un ghiacciaio scomparso. Al centro, quel masso. Un po’ più grande degli altri che stanno attorno. E una piccola targa arrugginita: “Ettore Castiglioni – 12 marzo 1944 – alpinista patriota”. Ufficialmente, il sindaco di Ruffré ha motivato il rifiuto di concedere lo spazio pubblico al monumento perché “non aveva nulla a che fare con Ruffré, era uno di Milano”, scusa risibile, visto che Castiglioni era nato lì, dunque un legame tutt’altro che casuale (come il rapporto che Castiglioni aveva col Trentino). Era il 2018, il gesto del sindaco suscitò indignazione e proteste, alle quali Seppi replicò: se ci tenete tanto, potete erigere il monumento in un terreno privato. Lo fecero, in un bosco appena fuori Ruffré. Ma nessuno dimenticò l’affronto. Gli alpinisti sono come i marinai. Aiutano, soccorrono. Comprendono. Ma non perdonano gli inumani: “Stando a contatto coi profughi si può toccare con mano la gioia che si dà. Li si vede con la faccia stravolta dalla paura e poi, al confine, sereni e felici salutarti come un salvatore”, aveva appuntato Castiglioni nei giorni in cui salvava ebrei e antifascisti, “dare la libertà alla gente, aiutarli a fuggire per me adesso è un motivo di vita”. Disperatamente attuale.
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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18.3.23
14.6.17
In una mostra l'epopea della Strada delle 52 Gallerie sul Pasubio A Schio si ripercorre il secolo di storia della retrovia del fronte divenuta oggi meta del turismo escursionistic
la prima guerra mondiale non fu solo battaglie , morti ma anche retrovie
In una mostra l'epopea della Strada delle Gallerie sul Pasubio
A Schio si ripercorre il secolo di storia della retrovia del fronte divenuta oggi meta del turismo escursionistico
SCHIO (Vicenza). La strada delle gallerie sul Pasubio compie quest’anno cento anni. È un’opera della guerra combattuta sulle nostre montagne, le Prealpi Vicentine, è nata con essa, densa della sua storia. Quando la percorriamo ogni passo ne porta le tracce e il ricordo
Inizia a Bocchetta Campiglia, a 1216 metri di altezza, e termina a 1980 metri a Porte del Pasubio, una sella, un passo. Durante la guerra lì eral’immediata retrovia del fronte: uno snodo di mulattiere, sentieri e camminamenti, il punto di arrivo di tutto un sistema di teleferiche, ma anche un affastellamento di case, baracche, ricoveri in caverna a formare una piccola città aggrappata alle rocce, che i soldati chiamavano “el Milanin del Pasube”.
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La 33a compagnia minatori a Bocchetta Campiglia. Archivio famiglia Zappa
A guerra appena finita il CAI di Schio scelse di costruire proprio lì, a Porte, il suo rifugio alpino, sui resti di una di quelle case, un gesto fortemente simbolico, di adozione della montagna da parte di una città e di tutti i paesi delle valli, una casa della guerra mantenuta viva per proteggerne la memoria. Inaugurato nel 1922, si chiamava rifugio Pasubio.Ampliato via via negli anni è oggi quello che conosciamo come il rifugio Papa. La strada delle gallerie vi arriva dopo un percorso di più di sei chilometri scavato interamente nella roccia, di cui due chilometri e trecento metri distribuiti in 52 gallerie.
Tre ore di cammino attraverso luoghi e scenari sempre mutevoli, di incantata bellezza. Fu costruita dalla 33a compagnia minatori del Genio in soli dieci mesi, e iniziando nel pieno di uno degli inverni più freddi e nevosi del secolo, a fine gennaio del 1917, quando il Pasubio era coperto da metri e metri di neve.Serviva a mettere in difesa i crinali della Bella Laita e di Forni Alti, l’unico tratto del fronte della montagna che rimaneva ancora pericolosamente scoperto, ma doveva anche aprire una nuova via di accesso a Porte del Pasubio.
All’uscita della 13a galleria. Archivio famiglia Zappa |
Per riuscirci dovette inoltrarsi, o meglio inerpicarsi su un lato della montagna allora del tutto sconosciuto, ancora inesplorato, aspro, selvaggio, un groviglio di torrioni, dirupi, e strettissimi canaloni, un territorio di cui non c’erano perciò rilievi topografici e in cui non esisteva nessuna traccia di sentiero preesistente da seguire, che indicasse o suggerisse la via.«Si decise di innalzarsi man mano – scrisse il tenente Cassina, uno degli ufficiali protagonisti dell’impresa – e di condurre avanti contemporaneamente un sentiero, che permettesse di studiare il tracciato ulteriore della strada. Lo scopo principale che ci proponemmo innanzitutto – continua Cassina – fu quello di raggiungere la cresta della parete rocciosa che s’elevava a picco, di fronte a Bocchetta Campiglia. Poi, avremmo deciso il da farsi. Infatti noi sapevamo di dover raggiungere Forni Alti e il Passo di Fontana d’Oro, ma non avevamo la minima idea del come avremmo potuto arrivarci, perché la Bella Laita, che bisognava attraversare, era inaccessibile».È così che iniziò, cent’anni fa, l’epopea della costruzione della strada. Richiese ai soldati che vi presero parte, ma in particolar modo agli ufficiali, un coinvolgimento profondo. Fu per loro, se ci si può permettere di dire così parlando di un fatto della guerra, al tempo stesso un’impresa e un’avventura, del fare, dell’osare, della giovinezza.
In baracca_gara di fotografi. Da sinistra Ricci, Fuselli, un ufficiale non identificato, Ruffini |
In baracca_gara di fotografi. Da sinistra Ricci, Fuselli, un ufficiale non identificato, Ruffini
Oggi, la strada delle gallerie, unica nel suo genere per come in essa sono venuti a unirsi storia, ingegno umano e grandiosità dei luoghi che attraversa, è divenuta una meta per migliaia e migliaia di escursionisti che vengono ogni anno a percorrerla da ogni parte d’Europa.Da opera della guerra è diventata un luogo della pace, una strada speciale, “un cammino”, cioè uno di quei percorsi che non sono più solo delle vie di accesso, degli itinerari per arrivare a dei luoghi, ma sono diventati dei luoghi essi stessi, una di quelle strade che sono allo stesso tempo percorso e meta, esperienze che racchiudono in sé il loro significato
La mostra a Palazzo Fogazzaro
La strada delle gallerie ha cent'anni, una grande mostra dedicata alla strada: aperta sino al 24 settembre. Curata da Claudio Rigon, è promossa dal CAI di Schio, assieme al Comune di Schio e all’Unione Montana dei Comuni del Pasubio e dell’Alto Vicentino.Ricostruisce e ripercorre tutta la storia della strada, la sua costruzione ma anche il dopo, a partire da quando, appena finita la guerra, cominciò a essere percorsa da chi saliva in visita al Pasubio e iniziò a diffondersi e ad affermarsi il suo mito.
L’esposizione è costruita soprattutto attraverso fotografie (quasi trecento il totale, integrate da documenti e oggetti), riunite per piccoli nuclei significativi capaci ognuno di raccontare un pezzetto di storia. È divisa in tre sezioni: ognuna ha un suo senso compiuto oltre che un suo specifico allestimento.La costruzione della strada è naturalmente il tema della prima sezione, la sua epopea ripercorsa attraverso le fotografie scattate dal tenente Zappa, che era al comando della 33a compagnia nella fase di avvio dei lavori, ma anche poi dai tenenti Ruffini, Ricci, Ortelli, dal sottotenente Cassina e da altri ufficiali protagonisti dell’impresa, e infine quelle raccolte dal capitano Picone, il nuovo comandante.Sono fotografie molto belle, dense e vere, uniche. Sono molte, più di un centinaio. Per la gran parte non sono mai state viste, o pubblicate. Le abbiamo ritrovate presso le famiglie degli ufficiali di allora, con cui abbiamo stabilito un contatto e anche un’amicizia. Alcune anche in archivi, spesso disperse e separate dalla loro storia: abbiamo esposto solo quelle di cui siamo riusciti a ricostruirne la storia. Una dopo l’altra ci riportano indietro nel tempo, a quei momenti e a quegli uomini, ci restituiscono il senso di quell’epopea.La seconda sezione indaga il primo affermarsi del mito. Lo fa riproponendo le fotografie fatte fra il 1922 e il 1925 da Mario Zuliani, un fotografo di Schio, e che furono pubblicate in un libretto edito dal CAI di Schio. Si intitolava appunto La strada della Prima Armata ed ebbe un ruolo importante nel farla conoscere e nel fondarne il mito.È un libretto, quello di Mario Zuliani, solo apparentemente semplice: le gallerie fotografate una di seguito all’altra, salendo. A volte un’entrata, a volte il tratto che separa due gallerie successive ripreso da un’uscita, altre volte un interno.Di tanto in tanto una visione d’insieme del percorso fatto. Sessantaquattro fotografie in tutto, qualcosa che poteva riuscire monotono e che invece restituisce l’esperienza dell’andare, del guardare, dell’essere lassù. Un’opera concettuale ante litteram. Infine la terza sezione che riguarda gli anni a seguire, fino ai nostri giorni. Le campagne di manutenzione, certi interventi, l’escursionismo di massa. E naturalmente i fotografi: per chiederci come sia cambiato, nel corso di cento anni, il modo di guardare, e di raccontare la strada. E quale significato abbia il fatto che le sue ultime rappresentazioni, quelle con cui si chiude la mostra, le si veda su schermi comandati da computer: da un lato la sua mappatura fatta con lo scanner laser, dall’altro il suo percorso in 3D.
INFORMAZIONI
Informazioni e prenotazioni tel. 0445 691392 dal lunedì ore 9.00 – 13.00 e negli orari di apertura della mostra cultura@comune.schio.vi.it Orari di visita Da mercoledì a domenica ore 10.00 – 19.00; lunedì e martedì chiuso. Aperture straordinarie 17 aprile, 25 aprile, 1 maggio e 2 giugno Biglietti Il biglietto è personale e dà diritto a 2 visite
Visite guidate
Tariffa comprensiva di biglietto d’ingresso, per gruppi: a persona € 7.00 Laboratori per bambini a tema: a persona € 6.00 (attivati con un minimo di 10 partecipanti). Durata complessiva 90 minuti Per le scuole Visita guidata interattiva per le scuole di ogni ordine e grado, differenziata per età e contenuto. Durata complessiva di 1 ora. Per studente € 3.50 (insegnanti e accompagnatori gratuita) Laboratorio didattico per le scuole: laboratori con reperti e materiali fotografici inediti. Durata complessiva di 1 ora. Per classe € 70.00 Informazioni e prenotazioni: Biosphaera: tel. 0445.1716489 gallerie100anni@biosphaera.it Accesso e servizi per disabili La mostra è completamente accessibile. Visite guidate alla città Sono previste, su prenotazione, visite turistiche a Schio e al suo patrimonio di archeologia industriale per i gruppi che volessero effettuare oltre alla visita alla mostra anche un percorso guidato alla città. Come arrivare In auto: autostrada A4 Milano-Venezia, A31 Valdastico, uscita Thiene-Schio, poi SS122 per Schio. SS 46 del Pasubio da Vicenza-Costabissara-Motta-Isola Vicentina-Malo. In treno e bus Stazione di Schio, sulla linea Vicenza -Schio. Parcheggio Parcheggio interrato a pagamento in piazza Falcone e Borsellino, sul retro di Palazzo Fogazzaro parcheggio adiacente alla Fabbrica Alta, via Pasubio 149, in parte a pagamento parcheggio gratuito in via Milano, con passaggio pedonale attraverso la Stazione ferroviaria, 5 minuti a piedi (400 m). Palazzo Fogazzaro, Via Fratelli Pasini, 44, 36015 Schio VI
Per ulteriori informazioni: www.stradadellegallerie.it
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5.1.16
A Cortevezzo è rimasto solo il Peppino Giuseppe Cisari ha 91 anni e vive nella frazione del Brallo da quando è nato. Il suo diario: «Mangio tanto aglio, per questo sto bene»
colonna sonora oltre alla classica MA SOLITUDE ( con testo ) di GEORGES MOUSTAKI
eccone altre
a me piace vivere lentamente ( no ricordo la canzone di de andrè in sottofondo )
tale storia che mi presto a riprendere mi fa rivenire in mente un discorso del grande Fabrizio de Andrè più precisamente elogio della solitudine
A Cortevezzo è rimasto solo il Peppino
Giuseppe Cisari ha 91 anni e vive nella frazione del Brallo da quando è nato. Il suo diario: «Mangio tanto aglio, per questo sto bene»
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da http://laprovinciapavese.gelocal.it/pavia/cronaca del 3 03 gennaio 2016.
All’età di 91 anni, l’alpino Giuseppe Cisari detto “Peppino” vive da solo come un’eremita a Cortevezzo, piccola frazione di montagna (950 metri) che si affaccia sulla Valle Avagnone nel comune del Brallo di Pregola. Lui è l’ultimo abitante di una località che negli anni Cinquanta ospitava una sessantina di residenti, ma che oggi vede soltanto la presenza di seconde case che si riaprono solo nelle domeniche di primavera e nelle settimane di luglio e agosto..
Per sei mesi il paese è vuoto e a fargli compagnia ci sono solo i suoi quattro gatti e alcuni caprioli e daini che al calar del sole arrivano furtivi alla ricerca di erba e bacche.
«Li ho visti morire tutti. Due anni fa è mancata anche la mia ultima sorella, Angela. Ora sono solo, ma non mollo. Voglio vivere qui dove sono nato il 21 aprile del 1924. A Cortevezzo c’è tutto il mio passato, tanti ricordi e soprattutto una valle stupenda – racconta Peppino con il suo sguardo segnato dal tempo, seduto in un muretto di sassi davanti alla sua casa dal camino fumante –. Ho iniziato a lavorare all’età di 10 anni e ho fatto di tutto, dall’agricoltore alla campagna del riso in Lomellina. Poi dopo il servizio militare ad Aosta negli alpini ho venduto il carbone a Milano. Erano altri tempi, tempi durissimi. Non mi piaceva stare in quella città e sono scappato».
Per questo motivo Peppino torna a Cortevezzo per continuare a fare l’agricoltore, a zappare la terra nella sua amata valle. Soltanto lì si sentiva e si sente sereno, con la sua famiglia numerosa e i tanti amici che incontrava nel bar e alla domenica nella vicina chiesa di Corbesassi. «Avevo tre fratelli e sette sorelle ma ora non ci sono più. Non ho mai voluto sposarmi. D’altronde di donne in casa ce n’erano fin troppe. – continua a raccontare l’eremita di Cortevezzo mentre si alza aiutato dal suo bastone per andare a prendere altra legna che servirà ad alimentare il camino. – Anche se vivo da solo sto molto bene. Non mi manca nulla. Ho una pensione da 900 euro che mi permette di fare una vita dignitosa. Purtroppo rispetto a qualche anno fa mi alzo più tardi, alle sette invece delle 5. Mi preparo una colazione con pane, salame e coppa e durante il giorno mangio tanto aglio. Per questo sono arrivato a 91 anni. Dopo la colazione faccio un giro per il paese e mi metto a spaccare la legna. Mi piace tanto la pasta con il pesto che mi cucinerò a Natale. Alla sera dopo aver cenato guardo un po’ di televisione. Ci sono però tante notizie brutte e allora spegno e vado a dormire».
Peppino, fino a qualche mese fa, per fare la spesa si spostava con la sua Panda 4X4 ma ora, che non gli è stata rinnovata la patente per problemi di vista, riceve aiuto da alcuni residenti dei vicini paesi che hanno preso a cuore la sua situazione. «Andavo a fare la spesa una volta alla settimana al mercato di Varzi. – dice Peppino mentre osserva i suoi gatti miagolare davanti alla porta. – Ora però non mi vogliono ridare la patente. Sono fregato. Come faccio. La macchina la uso solo per fare piccoli spostamenti. Potrebbero ridarmela. Cosa gli costa».
L’Alpino di Cortevezzo è diventato un personaggio leggendario e conosciutissimo nelle valli che toccano le province di Pavia, Alessandria e Piacenza e in estate quando arrivano i turisti delle seconde case non vedono l’ora di rivederlo. «Nel mese di agosto ci sono tante famiglie con una decina di bambini. – afferma Peppino – Ci metto qualche giorno per abituarmi alla loro presenza. Ormai vivo da solo anche in inverno quando il sole cala alle 14.30 e la neve arriva a coprire strade, campi e case». Il 91enne Giuseppe Cisari anche se non ha il cellulare non teme per la sua salute. «Sono forte e nonostante gli anni e il bastone ho le forze necessarie per muovermi. Non ho paura di morire e poi ci sono tante persone che mi conoscono nei paesi vicini. Li vedo sempre
alla messa della domenica– Conclude Peppino – Io non voglio andarmene dalla mia terra. Lasciatemi qui». Dopo aver parlato con noi Peppino si alza ci saluta con un sorriso e una stretta di mano di altri tempi per poi spostarsi lentamente nella cascina a tagliare la legna.
Mattia Tanzi
Concordo con il commento di
Grande esempio, un uomo davvero forte, che dovrebbe dare l'esempio a persone così vuote e inutili che pensano all'alito del vecchietto perchè mangia l'aglio!!!!
un esempio di vita in questo caos.
4.5.14
Padre Generoso da Pontedecimo alias di attilio ghiglione
sulla vicenda di Attilio Ghiglione e sugli alpini
- http://www.ana.it/
- http://it.wikipedia.org/wiki/Alpini
- http://www.ana.it/page/dare-un-po-di-gioia-a-chi-non-l-ha--
sulla 1 guerra mondiale
- gli articoli usciti ad agosto dell'anno scorso su repubblica ( ora ripresi con video ed altro materiale nel dvd l'albero delle trincee ) di Pietro rumiz sul suo viaggio attraverso i luoghi dove nostri bis nonni e prozii - come nel mio caso - combatterono il primo conflitto , ne ho parlato in questo precedente post disponibile su dvd
visto che da quest'anno fino al 2018 si celebra il 100 della I guerra mondiale , racconterò storie riguardanti tali eventi .Iniziamo con questa di Padre Generoso da Ponte decimo alias di attilio ghiglione
Navigando per conto di un mia amica che mi ha chiesto un riassunto di una puntata sul sito della trasmissione chi l'ha visto mi sono imbattuto in questa storia
Genova - L’unico indizio, trovato accanto ai resti di un uomo sepolto ai margini di un bosco, è un nome di donna inciso su un bastone di legno. Nel corso della puntata di “Chi l’ha visto?” in onda domani sera su RaiTre si parlerà anche di una vicenda di settant’anni fa, nel tentativo di dare un volto ai protagonisti: una storia d’amore che riemerge dalla tragedia della seconda guerra mondiale
da il secolo XIX .it |
Di Erminia Riva, la donna al centro della ricerca, non si sa nulla. Probabilmente era la giovane fidanzata di un alpino richiamato alle armi da Mussolini («Spezzeremo le reni alla Grecia») per quella che si sarebbe rivelata una spedizione disastrosa, se a ribaltare provvisoriamente le sorti non fossero intervenute le armate tedesche. Erminia, la donna senza volto, aveva forse vent’anni, oggi se è viva sarebbe ultranovantenne.
Dell’alpino che ha inciso il suo nome si sa con certezza che faceva parte della Brigata Julia, battaglione Gemona, ma poteva provenire da qualsiasi parte d’Italia ed essere stato aggregato all’ultimo ai militari inviati in Grecia. mandati al massacro e costretti a retrocedere fino al monte Golico in terra albanese; l’ultimo confine dove gli alpini arginarono la reazione dei greci per quaranta giorni, pagando però un prezzo altissimo.
«Gli alpini non dimenticano i loro morti», racconta Giancarlo Militello, curatore (cinque anni fa) della pubblicazione delle memorie di padre Generoso da Pontedecimo, il cappellano degli alpini che avrebbe aiutato migliaia di feriti e seppellito un numero inimmaginabile di morti proprio sul Golico e poi in Russia. Ma i diari di padre Generoso, al secolo Attilio Ghiglione, accanto alle descrizioni minuziose della quotidianità della guerra accompagnate da fotografie, conservano qualcosa di unico: la dettagliata mappatura dei luoghi delle sepolture, realizzata con l’aiuto di un cartografo dell’esercito, con l’indicazione per ciascun tumulo di ogni elemento utile alla futura individuazione dei resti: a cominciare dalla quota e dalla collocazione della sepoltura.
Padre Generoso in realtà benediceva e seppelliva tutti i morti che poteva, italiani o greci o russi, così come assisteva i feriti di ogni nazionalità. I resti dell’alpino senza nome di cui si parlerà nella puntata di “Chi l’ha visto?” sono interrati sul monte Golico in un luogo indicato da padre Generoso come «bosco tra quota 1143 e quota 1250, tomba numero 34». Padre Generoso lo aveva poi identificato così: «Sconosciuto con segno identificativo giberne ed accanto un bastone con scritta Riva Erminia».
«Gli alpini tornano ogni anno nei luoghi dove hanno perso tanti compagni - riprende Militello - e non perdono mai la speranza di dare un nome e una sepoltura onorevole ai corpi ritrovati lontano da casa».
Incuriosito da questo frate ho fatto in base agli indizi ivi contenuti delle ricerche ed ecco cosa ho trovato su di lui
la prima news è questo libro tratta da http://www.avianieditori.com/
l'altra da due siti : il primo dell'Ana ( associazione nazionale alpini ) di cui trovate l'url sopra ad inizio post ., il secondo da http://www.polcevera.net/
da www.ilgiornaledivicenza.it/galleries/Foto/fotodelgiorno/400484/?refresh_ce |
Padre Generoso da Pontedecimo, Attilio Ghiglione fu Tenente Cappellano Militare degli Alpini (8° Battaglione Gemona ) Ha partecipato dal 16.12.1940 al 23.Aprile 1941 col Btg. Alpini e dal 23.4.1941 col Btg. Gemona alle operazioni di guerra sul fronteGreco-Albanese.Dal 8.8.1942 al 13.3.1943 è in Russia col Btg.Alpini Gemona. Dal 25 Settebre 1943 al 28 Aprile 1945 opera con la formazione partigiana 1° Div: Ioppo Friuli ,.Gli viene riconosciuta la qualifica di "Partigiano Combattente" del Triveneto. Decorato con medaglia di guerra al V.M.
Ad Arma di Taggia il suo nome è ricordato sul cippo dedicato agli Alpini.Era sempre presente ai raduni. Ogni tanto tornava in Friuli per trovare i coetanei Alpini, era un Alpino tra gli Alpini.Morì nell'ospedale di Pontedecimo il 26 Novembre 1962. La funzione funebre alla presenza di molti Alpini e confratelli religiosi si tenne nella chiesa del Convento di Pontedecimo. Il suo corpo riposa nel cimitero di Cesino.Il 29 aprile 1995 gli è stato dedicato il nuovo piazzale antistante la piscina.
Ad Arma di Taggia il suo nome è ricordato sul cippo dedicato agli Alpini.Era sempre presente ai raduni. Ogni tanto tornava in Friuli per trovare i coetanei Alpini, era un Alpino tra gli Alpini.Morì nell'ospedale di Pontedecimo il 26 Novembre 1962. La funzione funebre alla presenza di molti Alpini e confratelli religiosi si tenne nella chiesa del Convento di Pontedecimo. Il suo corpo riposa nel cimitero di Cesino.Il 29 aprile 1995 gli è stato dedicato il nuovo piazzale antistante la piscina.
Era sempre presente ai raduni. Ogni tanto tornava in Friuli per trovare i coetanei Alpini, era un Alpino tra gli Alpini.Morì nell'ospedale di Pontedecimo il 26 Novembre 1962. La funzione funebre alla presenza di molti Alpini e confratelli religiosi si tenne nella chiesa del Convento di Pontedecimo. Il suo corpo riposa nel cimitero di Cesino.Il 29 aprile 1995 gli è stato dedicato il nuovo piazzale antistante la piscina.
Per desiderio della sorella il suo cappello da alpino è stato donato alla Sez. Alpini di Pontedecimo.
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