Visualizzazione post con etichetta ‬ le storie. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ‬ le storie. Mostra tutti i post

9.12.24

Un sogno di carriera interrotto per scegliere DIO la storia di Chiara Franco









Chiara Franco, una giovane di 22 anni originaria di Sapri, stavavpreparando il suo futuro come membro dell’Arma dei Carabinieri, seguendo le orme del padre, comandante della stazione di Torchiara.




 La sua vita sembrava tracciata: un percorso di studi dedicato, un fidanzato con cui sognava un matrimonio e una famiglia. Tuttavia, il destino ha preso una piega inaspettata. Durante un viaggio con il suo compagno, Chiara ha sentito un richiamo interiore che l’ha spinta a riconsiderare le sue scelte. La vocazione religiosa, che fino a quel momento era rimasta in secondo piano, ha iniziato a farsi strada nel suo cuore
La vocazione che cambia tutto
Il 8 dicembre, una data simbolica per molti, è diventata il giorno della sua prima professione religiosa come suora delle Piccole Ancelle del Sacro Cuore. Questo passo ha segnato un cambiamento radicale nella sua vita. Chiara ha deciso di abbandonare i sogni di una carriera nei Carabinieri per dedicarsi completamente al servizio degli altri e alla sua fede. La sua scelta, sebbene sorprendente per molti, è stata accolta con rispetto e ammirazione da chi la conosce. La giovane ha trovato nella vita religiosa una nuova dimensione di realizzazione personale e spirituale, un cammino che promette di essere ricco di significato.
Un esempio di coraggio e determinazione
La storia di Chiara è un esempio di coraggio e determinazione. In un’epoca in cui le aspettative sociali spesso spingono verso carriere tradizionali e successi materiali, la sua scelta di seguire una vocazione religiosa rappresenta una sfida alle convenzioni. La giovane suora non solo ha abbandonato un percorso professionale promettente, ma ha anche scelto di dedicare la sua vita al servizio degli altri, incarnando i valori di altruismo e dedizione. Chiara è diventata un simbolo di speranza e ispirazione per molti giovani che si trovano a un bivio nella loro vita, mostrando che la vera realizzazione può trovarsi in luoghi inaspettati.
 

17.7.24

Da Ossi alla serie A: Simone Solinas torna in Sardegna e giocherà nel Tempio

 



Certi amori fanno dei giri immensi e poi ritornano. Simone Solinas, ex calciatore del Cagliari classe ’96, originario di Ossi, ritorna in patria dopo 15 stagioni lontano dalla Sardegna. L’esordio in serie A con la maglia del Cagliari, dopo aver indossato maglie prestigiose come quella della Triestina, Solinas si prepara a vestire la maglia del Tempio nella prossima stagione. Abbiamo fatto due chiacchiere con lui per scoprire di più sul suo percorso e sui suoi progetti futuri.

Dove ha iniziato a calciare i primi palloni?
“I primi calci al pallone li ricordo sicuramente al mare, con il mio babbo. All’età di 4 anni ho iniziato la scuola calcio nella squadra del mio paese, la Polisportiva Ossese.”

È cresciuto nelle giovanili del Cagliari. Com’è stato crescere lì?
“Ho iniziato con i giovanissimi nazionali per finire con la primavera e l’esordio in Serie A. Sono stati anni che mi hanno dato tanto: conoscenza, competenza, passione, sogni, gioie e anche qualche delusione. È difficile descrivere ciò che è stato in poche parole. Ho imparato il calcio e tutto ciò che lo circonda, per la squadra e insieme alla squadra. Crescere a Cagliari è stata l’esperienza più importante della mia vita, sia dal punto di vista personale che calcistico.”

Ha esordito in Serie A con la maglia del Cagliari contro l’Atalanta. Cosa significa per un calciatore esordire nella massima serie?
“Significa coronare il sogno di ogni calciatore che ama questo sport come lo amo io. Ricorderò per sempre le lacrime di gioia di quel giorno e il battito del mio cuore.”

Come mai poi non ha più calcato quei palcoscenici?
“Il calcio, oltre che di qualità proprie e lavoro sodo, è fatto anche di fortuna, di scelte, di visioni di gioco. Purtroppo non ho sempre avuto questi ultimi fattori dalla mia parte.”

Chi è la persona a cui tiene di più in questo ambiente?
“Tanti dei compagni di squadra e di vita, degli staff che ho conosciuto in tutti questi anni vissuti nel mondo del calcio. E anche chi mi ha dato l’opportunità di vivere un sogno, l’esordio in Serie A, mister Lopez.”

Ha passato tanti anni fuori dalla Sardegna. Racconti la tua esperienza.
“È stata sicuramente dura vivere lontano dalla mia famiglia e dalla mia terra. Tuttavia sono stati anni che mi hanno insegnato tanto. Sono cresciuto come persona, ho avuto modo di confrontarmi con tante persone diverse, in luoghi diversi, e tutto mi ha dato qualcosa che mi porto dentro.”

Quest’anno ha deciso di rientrare in patria. Come mai e perché proprio Tempio?
“Ho deciso di ritornare in patria perché dopo tanti anni fuori casa ho sentito il senso di appartenenza, di portare avanti i miei progetti qui, dove sono nato. Tempio ha una grande storia dietro, presenta una piazza importante, e ce la metterò tutta per onorare la loro maglia.”

Quali sono i programmi per il futuro?
“Attualmente sono in procinto di laurearmi in scienze motorie in modo sinergico al calcio. Il futuro chi lo sa, ciò che è certo è che sarà sempre colorato da ciò che più amo, il pallone.”

2.7.24

chi lo ha detto che i prof siano solo carogne ? Prof muore per un malore improvviso, la classe va sulla sua tomba dopo l'esame di maturità: «Una parte di lei è qui con noi»

COLONNA SONORA
LA STRADA-MCR( MODENA CITY RAMBLERS )

 
  dopo la notizia : << Maturità 2024, professoressa muore la notte prima degli esami: una collega fa trovare a ogni studente un cuore e un biscotto >> eccone un altra che dimotra come nonsempre i prof sono : apatici , carogne , ma anche punti di riferimento . concordo questo commento


Mirella Aversano
Che bello!
Quando la scuola è abitata di vita, i risultati non possono essere che questi!
La vita, oltre la vita e i ricordi monito per conquistare nuove conoscenze e sensibilità❣️ 


preso insieme e alla foto del giornale ) dall'account fb citato sotto nell'articolo




Un malore improvviso subito dopo i colloqui a scuola con genitori e alunni, poi la morte inaspettata a soli 55 anni. Da quando Michela Ferrante, insegante di Italiano e Latino del liceo Jommelli di Aversa, è venuta a mancare un anno e mezzo fa, il 13 dicembre 2022, per i suoi studenti è cominciata una lunga notte. Nessuno tra loro l'ha mai dimenticata, così come non l'hanno fatto i colleghi. E oggi, nei giorni dell'esame di maturità, i ragazzi della quinta F  (  foto    inizio  post  )  hanno voluto ribadire quanto la figura della professoressa sia stata per loro fondamentale.
Lo hanno fatto con una richiesta insolita al termine dell'esame: essere accompagnati al cimitero. «Avevano il desiderio di ringraziare la loro prof che non c’è più, ma che hanno sentito vicino tutti i giorni in cui è mancata. Una sensibilità che ripaga di tutto l’impegno profuso in cinque anni di insegnamento», ha raccontato al Corriere della Sera la docente di filosofia e scienze umane Enza Picone. È stata lei ad accompagnare i ragazzi e a condividere su Facebook la foto della visita accompagnata da un messaggio rivolto alla collega, ma che non può lasciare indifferenti anche coloro che non hanno avuto la fortuna di incrociarne i passi.
Al cimitero dopo la maturità
«Certi legami non si spezzano mai. Capita raramente, ma capita che l’amore di e per una persona continui, anche in sua assenza. Ed è così che una classe di ragazze e ragazzi di quinta liceo, decidano, appena conosciuto l’esito dell’esame di maturità, di andare a condividerlo con chi non c’è più, con la loro insegnante di italiano e latino, troppo presto e troppo velocemente andata via», scrive l'insegnante nel lungo post.

«Questa foto non vuole spettacolizzare sentimenti intimissimi. Vuole mostrare, se ce ne fosse ancora bisogno, la straordinarietà di una donna e di un’insegnante, Michela Ferrante, che continua ad essere amata e ricordata dai suoi alunni. Questa foto vuole mostrare che, quando la scuola funziona, gli adolescenti sono in grado di sviluppare sensibilità e capacità emotive profonde, accogliendo il dolore per trasformarlo in crescita matura e consapevole. Questa foto è anche il mio personalissimo orgoglio: nessuno dei miei studenti si è lamentato o stupito per il voto che ha ricevuto ma tutti mi hanno chiesto di essere lì, per l’ultima volta, con loro, in silenzio, con gli occhi lucidi, ciascuno con il proprio ricordo. Michela, abbiamo fatto un buon lavoro: oggi davanti a me c’erano uomini e donne che porteranno per sempre con sé quello che abbiamo loro insegnato, la meraviglia della vita, la passione delle idee e la volontà di cambiamento».
La lettera degli studenti
Gli studenti della classe quinta F, al termine del loro percorso di studi, hanno consegnato ai docenti una lettera che conferma l'ottimo lavoro svolto dalle inseganti. Dopo aver ringraziato i professori non hanno potuto fare a meno di rivolgere un pensiero anche a «lei», la prof «che non potremmo mai dimenticare, che con la sua gentilezza e la sua leggerezza illuminava le nostre giornate e che avrebbe fatto il tifo per noi fino alla fine. Ci conforta pensare che una parte di lei sia qui con noi oggi e ci stia ascoltando, anche se da lontano».

22.4.24

Sabreen Erooh, figlia della tragedia: nata dalla madre morente dopo un raid israeliano su Rafah diventa simbolo di speranza per la Striscia ., la storia di Valentina, vittima di truffa sentimentale: "Pensavo fosse amore ma ero diventata il suo bancomat: mi ha portato via tutto. Poi un diario ha cambiato la mia vita"

  repubblica  22\4\2024


La sua intera famiglia è morta durante gli ultimi bombardamenti sulla città al confine con l’Egitto. La piccola è stata chiamata come la mamma




 L’orrore della guerra ha partorito una bambina. I medici di Gaza l’hanno dovuta estrarre dal ventre della mamma morente Sabreen al-Sakani: una giovane donna incinta di 30 settimane quando un attacco aereo israeliano le ha raso al suolo la casa, uccidendone la famiglia: con lei sono infatti morti il marito Shoukri e l’altra figlioletta di tre anni, Malak. La bebé è stata fatta nascere tramite cesareo nell’ospedale kuwaitiano di Rafah da medici che hanno dovuto scegliere in fretta. Ed è stata chiamata, appunto, Sabreen Erooh in onore della donna che non conoscerà mai, perché i due nomi accostati significano “spirito di Sabreen”.

(reuters)

“La madre non aveva speranze, le sue condizioni erano molto critiche, pure il cervello aveva subito lesioni. Pochi istanti e sarebbe morto anche il feto. Abbiamo voluto dare una speranza alla vita, anche in condizioni così difficili” ha raccontato il dottor Ahmad Fawzi al-Muqayyad, parlandone a Sky News. E la neonata è diventata un simbolo di speranza per tutta Gaza.

La piccina è stata poi trasportata nel vicino ospedale saudita dove ci sono ancora incubatrici funzionanti. Ed ora è lì che piange e si dimena da sola. Resterà in quello spazio considerato sicuro per tre o quattro settimane. Poi, sarà affidata a parenti: “Zii e nonni si sono già fatti avanti” racconta un altro medico, Mohammad Salama, direttore sanitario di quel dipartimento. “Ha una famiglia, ma è figlia dalla tragedia, il suo destino di orfana la segnerà tragicamente”. La nonna Mirvat al-Sakani già dice che l’alleverà lei, è tutto ciò che le resta del figlio: “Di lui non hanno ritrovato neanche un brandello di corpo. La bambina è l’unica cosa che si lascia indietro”.

(afp)

Nello stesso giorno un altro raid ha colpito una casa dove c’erano 17 bambini e due donne, figli e nipoti di Saqr Abdel Aal: “La mia intera identità è stata cancellata con loro. Anche se sono vivo, vado anche io via con mia moglie, i miei figli i miei nipoti. Non ho più nulla per cui piangere, non o più nulla in cui credere. Quale sentimento mi guiderà d’ora in poi?” ha detto all’Associated Press mentre copriva i resti dei suoi figli col sudario. “Hanno ucciso donne incinte e bambini. Qual è la loro colpa? Sono forse terroristi anche loro?” piangeva invece forte Umm Kareem, altra parente.

(reuters)

Sono almeno 14mila i bambini morti a Gaza fino ad ora e i feriti sono oltre 10mila. Gli orfani sono anche di più: almeno 19mila secondo dati dell’Unicef. “Li incontri ovunque, non solo negli ospedali, ma per strada, nei rifugi di fortuna, mentre cercano di sopravvivere proprio come gli adulti” ha raccontato Tess Ingram, portavoce dell’organizzazione, pochi giorni fa, subito dopo aver visitato la Striscia: “Una situazione disperata. Dobbiamo intervenire. Subito”



-------

Molti nella vita hanno sperimentato un colpo duro, una caduta, una brusca fermata della loro esistenza. Ma non tutti sono capaci di trovare la forza necessaria per ribaltare la loro vita e ripartire, traendo da quanto accaduto una nuova consapevolezza. Per questo abbiamo pensato di dedicare a queste persone resilienti uno spazio dove raccontarsi, dove celebrare la loro rinascita, dove confrontarsi con la community dei nostri lettori per condividere il dolore prima e la forza poi. E abbiamo deciso di affiancare questi racconti spontanei e generosi che ci avete offerto (scrivendo alla mail rinascite@repubblica.it) a consigli di esperti (psicologi, avvocati...) che forniscano chiavi utili a tutti per trasformare in positivo un evento traumatico. Nasce con questo intento la serie Rinascite, buona lettura. 


 la storia di Valentina, vittima di truffa sentimentale: "Pensavo fosse amore ma ero diventata il suo bancomat: mi ha portato via tutto. Poi un diario ha cambiato la mia vita"


 in questa prima puntata ci ha scritto Valentina e ci ha consegnato un racconto che la nostra esperta - la psicologa, psicoterapeuta e sessuologa Nicoletta Suppa, - ha inserito nella categoria di "truffa sentimentale"; Valentina ha 42 anni e un lavoro sicuro, fa la grafica a Milano, ma ha perso tutto, non solo il fidanzato Joel. Vi consegniamo la sua storia, raccontata con parole sue, e poi un'analisi lucida di quanto accaduto a firma di una psicologa e di un'avvocatessa esperta in diritto di famiglia, cui abbiamo chiesto di fornire strumenti utili a difendersi, dal punto di vista legale, di fronte a episodi che definisce "scamming":
tentativi di truffe che fanno leva sul sentimento, pianificate al fine di conseguire un illecito vantaggio nei confronti di chi le subisce. E che purtroppo negli ultimi anni, secondo la polizia postale, sono in forte aumento: nel 2021 sono cresciute del 118% rispetto all'anno precedente (dati 2022). E questo anche grazie all'uso di social che permettono ai truffatori di mantenere l'anonimato illudendo la vittima: si tratta di catfishing. Non è il caso di Valentina, lei Joel lo ha frequentato davvero, ma anche nella sua storia social e whatsapp entrano in gioco: il suo "fidanzato" mette in atto il ghosting, ovvero la pratica di bloccare il partner e sparire da tutti i contatti multimediali. Valentina: un amore che mette in crisi tutto “Sei sicura che non ti dica bugie?”, “Veramente ti fidi di lui?”. Erano queste le domande che le mie amiche mi sottoponevano ogni volta che raccontavo loro qualche problema con Joel. Nessuna di loro avrebbe scommesso sulla nostra storia, eppure erano quattro anni che stavamo assieme, anche se per la maggior parte del tempo vivevamo a distanza. Chiediamo a Valentina di raccontarci qualcosa di più sulla loro storia d'amore. "Ci siamo conosciuti a casa sua, a Cuba, dove sono stata in vacanza nel 2018. L’avevo presa come un’avventura, volevo che restasse tale. Ma tornata a Milano, lui non ha smesso di cercarmi, anche inviandomi fiori e bellissime lettere via posta, una cosa super romantica. Così, prendo un aereo e torno da lui, per due mesi. La convivenza mi fa capire che ci stiamo innamorando, così inizia un su e giù di viaggi per continuare a vederci. Fino alla pandemia. La mia professione non ne risente - sono una grafica, lavoro da casa in solitudine - mentre Joel inizia ad avere seri problemi con la sua attività imprenditoriale: forniva erbe aromatiche ai ristoranti e ai locali dell’Avana. L’affitto da pagare, il cibo da mettere in tavola, una madre da mantenere; il mio compagno si chiude in sé e cade in depressione. So che posso aiutarlo e lo faccio: gli invio dei soldi. Lui non vuole, poi accetta. Da quel momento in poi, divento il suo bancomat. Valentina ha affrontato la situazione con lucidità: Tutte le volte mi promette di restituirmi i soldi, ma non accade mai. Ogni volta c'è un problema: lui chiama e io in automatico faccio un bonifico, finché arriviamo a dicembre 2022 e di fronte all’ennesimo dramma dico "no". Lui si dispera. Gli concedo un out-out: “Non ho più soldi da parte - gli dico - questa volta devi rispettare le scadenze e restituirmi la somma, atrimenti vado io nei casini”. Joel mi giura che sarà così, e io gli credo. Arriva il fatidico giorno della scadenza: lo chiamo, ma il telefono è staccato. Passo su whatsapp e mi rendo conto che mi ha bloccato. E così anche sugli altri social. Provo a scrivere alle persone che lo conoscono, a Cuba. Nessuno mi sa dire nulla. È scomparso". La delusione è tanta. "Mi sono sentita una stupida, ero arrabbiata con me stessa e piena di dolore. In un secondo momento è subentrata la vergogna: non volevo raccontare a nessuno di essere stata così ingenua. Neanche alle mie amiche più care. Mi sono isolata, sono caduta in depressione. Per tre mesi mi sono sentita galleggiare nella disperazione, lavoravo e basta". La svolta arriva all'improvviso: "Una mattina mi sono guardata allo specchio, non mi riconoscevo più. Dovevo fare qualcosa. Il gesto più naturale e istintivo è stato scrivere, perché lo faccio fin da quando sono piccola. Ho trovato un quaderno vuoto e ho iniziato a buttare giù pensieri, come un flusso di coscienza, per sfogarmi, parlare con me stessa, visto che mi vergognavo di farlo con altri. L’ho fatto il giorno dopo e quello seguente, fino a farlo diventare un gesto quotidiano. A un certo punto mi sono compresa e ho smesso di giudicarmi, ho dato il giusto peso alle mie emozioni. E così mi sono sentita pronta per raccontare tutto ai miei cari: il giorno che ha segnato la mia rinascita è stato quello in cui ho radunato le amiche più care per raccontar loro tutto. Non mi vergognavo più, perché avevo dimostrato di potermi risollevare da sola, trasformando il grande dolore in una spinta per riprendere forza, sicurezza e determinazione. Con la scrittura avevo trovato un modo per salvarmi e rinascere, più consapevole e forte di prima. Poi, Valentina ha anche chiesto aiuto. "Il trauma l'avevo affrontato, ma avevo paura di ricadere in una situazione di dipendenza di questo tipo. Così sono andata in terapia; la ripresa è stata lenta ma costante, man mano vedevo tutti gli errori commessi con Joel e questo è stato un grande insegnamento sul fronte sentimentale, perché ho iniziato a decidere chi veramente volessi accanto: il mio futuro compagno avrebbe dovuto avere qualità morali cui assegnavo valore: rispetto, sincerità, onestà. Dal momento in cui sono cambiata, anche le mie scelte in fatto di partner sono cambiate. Ora vivo una relazione paritaria con Carlo, con il quale di soldi non abbiamo mai neppure parlato. La psicologa: "La storia di Valentina è un esempio di resilienza" “La storia di Valentina è un esempio di resilienza, mostra la capacità di poter utilizzare come strumento trasformativo un'esperienza di dolore". Così esordisce la dottoressa Nicoletta Suppa, psicologa, psicoterapeuta e sessuologa cui abbiamo sottoposto la storia, per commentarla. "Questa donna vive un insieme di emozioni negative che riesce a trasformare in opportunità di crescita e cambiamento". Come? "Partiamo dall'inizio: la storia tra Valentina e Joel è carica di aspettative e si colora di aspetti romantici, enfatizzati anche dalla distanza, che alimenta l'illusione di poter costruire un futuro insieme. La distanza è un'arma a doppio taglio: se da una parte cresce il desiderio di condivisione, dall'altra non permette a Valentina di confrontarsi con un partner reale, del quale poter conoscere anche aspetti negativi. Il loro sguardo è proiettato in avanti, sulla speranza di una vita insieme, e su questo futuro Valentina costruisce un desiderio che cresce nel tempo. I primi scossoni cominciano con le difficoltà economiche di lui, che però sembrano tradursi anche in incertezza rispetto al progetto comune. In effetti, i bisogni economici sembrano mascherare delle incertezze relazionali, che però Valentina sembra non vedere. Inconsciamente, sente di dover riparare qualcosa prima che diventi troppo tardi. È probabilmente questo a spingerla a diventare un costante supporto economico per Joel: il suo è non solo un atto d'amore, ma un modo di tenere in piedi il suo sogno. Quando tutto crolla e lui scompare, Valentina sembra leggere meglio alcuni segnali che prima aveva fatto fatica a vedere. Questo è il motivo per cui, insieme alla delusione e alla rabbia, emerge la vergogna. Si reputa ingenua, e questo la fa chiudere. Decide di affrontare il suo dolore da sola, ma con determinazione. Valentina sperimenta uno strumento terapeutico: la scrittura, attraverso la quale scopre le carte con se stessa, prima di farlo con gli altri. In quelle pagine Valentina dà voce alle sue emozioni e rileggere ciò che scrive le serve a dare un senso a tutto. Scrivere diventa come guardarsi allo specchio, mostrandosi nella propria nudità. È passata per alcune fasi dolorose ma necessarie, che vanno dalla vergogna all'accettazione di sé, fino alla comprensione e accettazione di quanto accaduto. Attraverso questo processo di svelamento ecco che inizia a sviluppare quella resilienza che le consentirà di superare questo momento critico senza andare in frantumi, modellando se stessa affinché questo non accada più in futuro. Decide di affidarsi anche a un percorso di psicoterapia, utile a comprendere i suoi errori e lavorare su alcuni aspetti di sé. Il lavoro di psicoterapia invita a portare in primo piano il proprio valore, per accogliere i propri errori senza giudizio. È proprio nel momento in cui Valentina smette di giudicarsi che riesce a fare di questa esperienza un'occasione di crescita. Si apre con le amiche per condividere le sue emozioni e avere conferma di merito per i suoi traguardi. Valentina è riuscita a puntare nuovamente su se stessa, anche sul piano lavorativo, dandosi fiducia. Nel processo di resilienza può accadere di vedere l'evento negativo attraverso un nuovo sguardo: è stato meglio lasciare andare Joel, piuttosto che provare a trattenerlo. Ora questa donna sa ciò che vuole da sé e da una nuova relazione, è uscita più forte da questa storia perché è stata capace di attraversare il suo dolore”. Come difendersi da una frode sentimentale: il consiglio dell'avvocatessa Valentina Ruggiero Considerata la complessità del tema, abbiamo interpellato anche un altro esperto - l'avvocatessa Valentina Ruggiero, esperta in diritto di famiglia - per capire se, a parte trarre esperienza da questa storia, esistano strumenti utili a tutelarsi in caso di frode sentimentale. “Valentina ha spontaneamente prestato dei soldi al compagno? Bisognerebbe leggere con attenzione la messaggistica tra loro per appurarlo. Sicuramente, se si tratta di somme cospicue si potrebbe richiederne la restituzione, anche se non si è fatta firmare nessuna scrittura o sottoscrizione di debito. Per farlo sarebbe necessario investigare in loco sulle attività e sulla vita di questo uomo, per rivalersi sullo stipendio o sulle sue entrate, ma prima bisogna intraprendere una causa ordinaria per la restituzione di questi soldi". Conviene? "Non sempre", risponde sincera l'avvocatessa. "In questo caso sarebbe notevole la spesa da sostenere, tra investigatore locale e spese legali. A tutti gli effetti sembra che Valentina sia stata vittima di una truffa. A oggi le consiglierei di far tesoro di quanto accaduto, andare avanti con la sua vita e proteggersi meglio nei rapporti interpersonali; anche se è bello essere generosi, nel mondo reale è necessario tutelare i propri interessi”.

27.3.24

Pontedera, studente confessa di essere gay: i genitori lo cacciano da casa, lo ospita un prof


da  leggo.it    e   da  Il Tirreno  del  24\3\2024


«Figli gay qui non li vogliamo». Proprio quando aveva trovato il coraggio di confidarsi a cuore aperto con la famiglia, un ragazzo di 18 anni si è visto chiudere le porte in faccia da mamma e papà a causa del suo orientamento sessuale. La confessione avrebbe innescato una serie di incomprensioni tra il figlio e i genitori culminate nella richiesta di
lasciare la casa di 
Pisa dove viveva.
Ospitato dal prof
Rimasto senza una casa e senza soldi, il giovane la cui storia è raccontata oggi su Repubblica, ha vagato alla ricerca di un rifugio temporaneo, appoggiandosi alla generosità di conoscenti. La svolta è arrivata grazie al supporto ricevuto da uno sportello locale contro le discriminazioni e dall'incredibile solidarietà di alcuni professori della sua scuola. Uno di questi docenti, dimostrando un'empatia e un supporto concreti, ha offerto al ragazzo una stanza nella propria abitazione, consentendogli così di continuare gli studi fino al conseguimento della maturità. 
La frattura con la famiglia
«Mi hanno detto di andarmene perché tra i figli non andavo bene» ha raccontato il giovane agli operatori dello sportello Voice di Pontedera ripercorrendo la profonda frattura con la famiglia e le incomprensioni, in particolare con la mamma e la sorella. Una rottura che sia gli operatori sia l'insegnante hanno provato a risanare coinvolgendo gli assistenti socialiani, ma neanche questo sforzo ha portato ai risultati sperati.  
Il supporto
Emiliano Accardi, coordinatore di Voice, ha evidenziato l'importanza del gesto del docente che ha ospitato il ragazzo: «È stato un gesto non scontato e importante. Il nostro centro intanto continua a offrire il servizio psicologico. Abbiamo un gruppo di esperti, anche per gli aiuti legali e per questioni inerenti il lavoro». Questa storia non è un caso isolato, ma rappresenta una delle tante situazioni difficili affrontate da giovani che si trovano a navigare i pregiudizi legati all'orientamento sessuale e all'identità di genere. Voice, insieme ad altre realtà associative, svolge un ruolo cruciale nell'offrire supporto e orientamento non solo ai giovani in difficoltà, ma anche alle loro famiglie. «Sono venuti alcuni genitori perché il loro figlio ha chiesto di avviare un percorso di transizione di genere e avevano bisogno di strumenti per capire come affrontare al meglio questa fase», aggiunge Accardi, sottolineando l'importanza di un impegno collettivo nella promozione dei diritti e nella sensibilizzazione culturale contro ogni forma di discriminazione.

-----


 Ha solo 18 anni ed è rimasto in città perché un suo insegnante si è offerto di ospitarlo fino alla Maturità


PONTEDERA. Ha confessato la sua omossesualità e la sua famiglia l’ha cacciato di casa. Gli hanno sbattuto la porta in faccia. «Niente figli gay, vattene», hanno detto. Ha solo 18 anni, fra pochi mesi dovrà sostenere l’esame di maturità. È rimasto in città perché un suo insegnante si è offerto di ospitarlo fino al diploma. «Da quando ho fatto coming out come
transgender durante una riunione di lavoro mi è arrivata la lettera di licenziamento. Qualche giorno dopo, nonostante l’azienda stia continuando ad assumere. Nessun collega dice niente», si sfoga un altro ragazzo. «Nostro figlio non vuole indossare il grembiulino blu, vuole quello rosa. Siamo in difficoltà. Non sappiamo come comportarci», raccontano due genitori. Queste sono solo alcune delle voci che rivelano l’omotransfobia nascosta nei luoghi di lavoro, nelle pareti domestiche e anche in altri contesti come la scuola.
Sos diritti
Storie di disagio, esclusione, mobbing, silenzi. Dove la discriminazione sommerge la vita reale delle persone, giovanissime e meno giovani, nelle loro relazioni familiari e di vicinato, negli ambienti che frequentano o dai quali vengono allontanate o precluse. Un micro-mondo in cui l’orientamento sessuale o l’identità di genere diventa, a prescindere dalle capacità del lavoratore, dalla necessità dell’istruzione, dal bisogno di affetto, un ostacolo, spesso un bersaglio. E questi episodi succedono. Chi ne è vittima si sente isolato e se ne vergogna. Chi invece vorrebbe essergli di appoggio è confuso, non sa come muoversi e come comportarsi.
Team di aiuto
Ecco perché avere a Pontedera un centro di riferimento che accoglie i ragazzi in difficoltà, rifiutati dalle famiglie, allontanati dai datori di lavoro o dagli amici perché gay, trans, lesbiche, è importante. Per le persone Lgbt+ ma pure per i loro genitori, i colleghi, i compagni di banco e i loro insegnanti, la porta del centro Voice è sempre aperta. Nato nell’ottobre 2022, il progetto, che ha il parternariato del Comune e dell’Unione Valdera, promosso da Arci Valdera, è finanziato dall’Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali ed è gestito da avvocati, psicologi, assistenti sociali, educatori e mediatori linguistici. Una squadra di esperti che, al Poliedro, in piazza Berlinguer, offre ascolto, informazione, sostegno legale e psicologico e si batte contro il bullismo, le minacce, le criticità che sorgono dalle discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. «In questi mesi – dice il coordinatore del servizio Emiliano Accardi – abbiamo accolto e appoggiato 24 persone che sono arrivati da noi, a volte sotto l’anonimato, altre direttamente, con dubbi e incertezze durante un percorso legato alla transessualità, alla loro identità di genere. Abbiamo sostenuto tre famiglie alle prese con problemi e dubbi, dopo che il figlio aveva dichiarato la propria omosessualità. Altrettanti i casi di consulenza lavorativa, una decina per quella legale e otto per quella psicologica». Ci sono ferite lunghe da sanare, rifiuti che non si dimenticano ma che si può cercare di superare e nodi complicati da sciogliere. «Fra questi, quello che capita più di frequente è la questione che riguarda in che modo spiegare di essere gay. Una ragazzina – continua Accardi – è stata intercettata tramite chat, poi sostenuta e messa in contatto con i servizi sociali perché voleva suicidarsi. Era in depressione, né lei né la madre erano riuscite a parlare con il padre perché avevano paura della sua reazione».cardi
Sistema di protezione
Allo sportello invece, uno dei pochi in Toscana e l’unico in provincia di Pisa, che riceve le segnalazioni anche da tutta la zona del Valdarno, gli obiettivi che si vogliono perseguire sono quelli legati alla valorizzazione delle differenze, al rispetto e alla prevenzione di gravi situazioni. «Ci impegniamo – aggiunge Maria Grazia Rossi dell’Arci Valdera, con delega alle pari opportunità e alle politiche di genere – per tutelare la libertà di espressione e per creare una società dove c’è spazio per tutti. Il centro vuol dar voce, proprio come dice il nome, alle vittime di odio e intolleranza. L’idea è quella di lavorare in rete con il territorio perché spesso le problematiche sono proprio culturali. Nel senso che la discriminazione passa dalla non conoscenza. Quando però riusciamo a coinvolgere con i laboratori che proponiamo nelle scuole, tanto per fare un esempio, le classi e gli amici scatta un sistema di difesa, vicinanza e protezione spontaneo che rispecchia nel micro cosmo quello che potrebbe riproporsi nella quotidianità».

22.9.23

il caso di Romina Marceca “Mi ha stuprata nel mio letto. Non ho paura di mostrarmi, è lui che deve nascondersi”: il racconto della prima vittima del netturbino Stefania Loizzi, ex banconista di una gelateria, racconta la notte in cui fu violentata. Ha denunciato Ubaldo Manuali: “Metto la mia faccia sul giornale per tutte le altre come me”

 repubblica  

IL coraggio   di  Stefania Loizzi (  foto a  destra  )    che  sta cercando di scalare la montagna della paura. È sopraffatta, non riesce a dormire al buio, a

camminare da sola in strada la sera. «Tutta colpa di quell’uomo maledetto che si chiama Ubaldo Manuali . Ha rovinato la mia vita in meno di un anno», racconta.



 Il netturbino che ha drogato e stuprato almeno altre due donne è ai domiciliari perché Stefania Loizzi, ex banconista di una gelateria, prima vittima del netturbino romano, non ha perso tempo. «L’ho denunciato subito e metto la mia faccia sul giornale per tutte quelle donne vittime come me. Non dobbiamo avere paura dei nostri “No”. Dobbiamo mostrarci perché siamo le vittime, non i carnefici. Loro devono nascondersi».

Come vi siete conosciuti?

«Mi ha chiesto l’amicizia su Facebook a fine 2020. Ho visto che in comune avevamo un’amica. Sono una persona molto diffidente e ho chiesto informazioni a lei. La mia amica mi ha detto che era una persona tranquilla, simpatica».

Poi?

«Abbiamo cominciato parlare e ci siamo scambiati i numeri di cellulare. Lui mi parlava della figlia, della sua frequentazione in chiesa, del suo padre spirituale. Era separato, mi ha detto. Lo ammiravo come padre».

La prima volta che vi siete visti?

«Mi ha portato dei rosari e dei santini. Ci vedevamo ma sempre fuori. Lui faceva sempre foto, io non volevo. Poi mi ha detto che gli interessavo come persona e gli ho risposto che potevamo essere solo amici, lui ha accettato. Sono passati dei mesi senza vederci».

La sera del 14 gennaio 2023 l’ha drogata e violentata

«Quella sera mi ha chiamato, avevo un braccio ingessato per una frattura, avevo perso da poco mia mamma. Era un brutto periodo. Prima mi ha detto che passava a prendermi e che cenavo a casa sua. Non volevo, non mi andava, poi ho accettato».

Lui ha preparato una trappola

«Sì, mi ha richiamata dicendo che portava la cena a casa mia: dall’antipasto al dolce, fino al vino. Ero giù, ho accettato. Una volta a casa mia ha aperto il prosecco per fare un brindisi. Ho bevuto e mi ricordo solo che ero andata in cucina a prendere le patate. Poi, il buio».

Al risveglio?

«Mi sono svegliata di notte, stavo malissimo. Non riuscivo a vedere bene. Ho trovato una sua mano sulla faccia, ho reagito male e gli ho detto: “Schifoso, che fai nel mio letto?”. Lui mi ha risposto che mi ero sentita male e che non voleva lasciarmi sola. Ho avuto la forza di voltarmi e ho visto che era senza pantaloni ma sono crollata».

Cosa ha fatto dopo?

«La mattina seguente sono andata dal medico curante, che ringrazio dal profondo del mio cuore, e gli ho detto cosa era accaduto. Lui mi ha detto “Oddio, mi stai sconvolgendo” e mi ha consegnato un foglio urgente per il pronto soccorso. Nel mio sangue i medici hanno trovato la droga dello stupro. Pensavo che mi avesse drogata per derubarmi. Invece mi ha violentata in casa mia. Provo troppo schifo».

Ha anche filmato

«Purtroppo sì. Ho visto alcune foto ma c’è anche un video che ha girato ai suoi amici del calcetto. Si faceva grande con i suoi amici che mi fanno schifo tanto quanto lui perché avrebbero dovuto denunciare. L’ho fatto io, invece, lo stesso giorno della visita. E se tornassi indietro lo rifarei di nuovo».

Lui ha ripulito tutto

«Sì ma il suo Dna c’era in casa mia, la scientifica ha portato via tutto. È stato uno schifoso, ha bivaccato in casa mia».

La figlia difende il papà

«Ha rilasciato un’intervista in cui dice che noi donne lo cercavamo. Io so solo che un giorno mi inviò le foto di sua figlia che nel camerino stava provando biancheria intima. Spero si faccia chiarezza anche su questo».

Lei è una delle tre vittime di quest’uomo. Tante altre sono le violenze con la droga dello stupro

«Abbiamo una dignità da salvare, se è “no” deve essere “no”. Evidentemente il mio rifiuto lo ha stuzzicato ancora di più e ha aspettato il momento giusto. I poliziotti mi sono ancora vicini a distanza di tempo, non sono rimasta sola».

Ha incontrato le altre due donne?

«No, vorrei tanto conoscerle. Vorrei capire come lo hanno incontrato. Come è iniziata la loro storia con lui».


LEGGGI ANCHE  

La figlia del netturbino accusato di stupro: "Ci sono donne malate. Mio padre è sempre piaciuto, non aveva bisogno di fare certe cose"

29.6.23

Maturità 2023, padre si diploma con la figlia: “Ho ripreso gli studi per farle vedere che le cose si possono fare a qualsiasi età”



dal web


Una storia toccante quella che arriva da Pontedera, nel pisano, dove un padre, 52enne magazziniere, ha svolto l’orale di maturità lo stesso giorno della figlia, 19enne, lo scorso 26 giugno. A riportarlo La Repubblica. Ecco cosa ha detto e quali sono le motivazioni che lo hanno spinto a riprendere gli studi.
“Ho riscoperto il piacere dello studio
“Non potevo rimanere il ciuchino di famiglia. Domani torno a lavorare, con un peso in meno e una soddisfazione in più”, ha detto. Per quasi dieci mesi ha staccato da lavoro alle 18.30 e poco dopo si è messo tra i banchi dei corsi serali di meccatronica a scuola, dal lunedì al venerdì. “Ho lasciato i banchi a 3 mesi dalla fine della quinta, poi ho iniziato a lavorare. Però mi sentivo qualcosa, tipo un debito coi miei genitori che avevano fatto di tutto per farmi studiare. Perciò ho ripreso, anche per far vedere a mia figlia che le cose si possono fare a qualsiasi età”, ha spiegato. I due hanno anche svolto, si dà il caso, la stessa traccia alla prima prova scritta dell’esame: “Non lo abbiamo fatto apposta, ma abbiamo scelto pure la medesima traccia alla prima prova, ovvero l’elogio dell’attesa nell’era di Whatsapp”. “Ero più emozionato per quello di mia figlia che per il mio – afferma il genitore -, ma devo dire che lei se l’è cavata alla grandissima, d’altronde è brava. Io diciamo che me la sono cavicchiata, qualcosa ho detto, dai! Battute a parte mi hanno tenuto dentro un’ora e un quarto, nessuno c’è stato quanto me, ma io sono un chiacchierone”.“Non capita tutti i giorni che padre e figlia facciano l’esame insieme, no? Il nostro caso ha impressionato tutti. Avevo paura di prendere di più di lei, ma è impossibile, è molto brava. Ho riscoperto il piacere dello studio. Ho voluto dimostrare che per certe cose non è mai troppo tardi, è la forza di volontà a muoverci”, ha concluso.
Non è mai troppo tardi
La storia rimarca, per certi versi, quella della donna di 90 anni che ha svolto la maturità quest’anno, con il sogno di diventare una maestra. “Lo studio, il sapere e il desiderio di conoscere non hanno età ed io ne sono la dimostrazione. Avanti ragazzi ora non si scherza più. Dopo il diploma anche la laurea? Chissà perché no?”, ha detto l’anziana.“Senza sacrificio non si ottiene nulla nella vita ed a questa età ho deciso di rimettermi in gioco ed affrontare questo esame, un obiettivo che ho rincorso da sempre ma che per varie ragioni, familiari e di lavoro mi è sfuggito. Ora sono qui e grazie all’aiuto della mia famiglia inizio il percorso di prove, che spero, mi condurranno ad ottenere il diploma. Li abbraccio tutti questi bellissimi giovani che oggi qui con me ed in tutta Italia sono pronti a superare gli ostacoli degli esami”, ha aggiunto, prima di sostenere la prova.
 
Proprio mentre sto finendo di fare cute paste (copia e incolla ) leggo su Google news più  precisamente   su  https://www.tecnicadellascuola.it/ 29/06/2023 questa bellissima storia d'amicizia e solidarietà collegata agli esami di maturità.


Studente del Cpia muore prima del diploma, i suoi compagni fanno la maturità per lui: “glielo abbiamo promesso”

Una storia toccante arriva dal corso serale dell’Istituto Agrario di Asti. Qui uno studente lavoratore di 56 anni, Pasquale De Filippo, si è spento a causa di un tumore prima di completare gli studi. E così, per onorare il suo percorso e il suo desiderio, i compagni di scuola

hanno preso il suo posto e hanno svolto l’esame orale a turno davanti alla commissione e un banco vuoto con sopra il diploma di Pasquale.
“Glielo abbiamo promesso alla veglia funebre – parla la sua compagna Giulia Bianco – e ora siamo qua per mantenere la parola data”.
Uno dei compagni ha commentato commosso: “ha dimostrato fino alla fine che lo voleva, che ci teneva e quindi era giusto che anche lui avesse il suo diploma”.
E il dirigente dell’istituto Penna, Renato Parisio, aggiunge: “Non so se è un momento triste o bellissimo di certo sarà impossibile dimenticarlo”.

22.4.23

Una lettera chiusa in una bottiglia racconta la storia di Franco Cesana 13 anni il più giovane partigiano nella lotta di Liberazione

In  risposta ad  Ignazio  la  Russa  ed  ai  suoi seguaci  che  dicono  chhe  la  costituzione  italiana   è  antifascista   :    “I giovani non sanno abbastanza per essere prudenti, e quindi tentano l'impossibile e lo ottengono, generazione dopo generazione”

                                                            Pearl S. Buck



ed è  proprio     partendo  da     questa  citazione    che   riprendo   la  storia   riporta  dalla  News Letters  di     Mario  Calabresi  


Alle otto di mattina del 25 aprile il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, che coordinava le operazioni militari delle formazioni partigiane, manda ai milanesi un messaggio che passerà alla storia. La voce di Sandro Pertini, che nel 1978 diventerà Presidente della Repubblica, incita dalla radio all’insurrezione generale contro i nazifascisti. Quel giorno Milano viene liberata e quella sera Benito Mussolini fugge dalla città, travestito da soldato tedesco, ma due giorni dopo viene catturato dalla 52esima Brigata Garibaldi all’uscita di Musso, a un chilometro da Dongo, sul Lago di Como, dove sarà processato e fucilato il 28 aprile.

La copertina del podcast "Hai presente il 25 aprile?" prodotto da Chora Media. È possibile ascoltarlo gratuitamente online da questa mattina cliccando qui


Perché proprio la data del 25 aprile è stata scelta come Anniversario della Liberazione? Cosa è successo nelle settimane precedenti? Chi erano e quanti erano i partigiani? C’erano anche donne tra loro? Cosa era successo nei due lunghi inverni di occupazione nazista? A tutte queste domande, che sono   di  Altre/Storie di Mario Calabresi  ma, immagino, anche di molti di voi,  << ho cercato di dare risposte interrogando Chiara Colombini, ricercatrice presso l’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e autrice del libro “Anche i partigiani però…” e Paolo Pezzino, che ha insegnato Storia contemporanea a Pisa, è uno studioso delle stragi nazifasciste e presidente dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri. Ne è nato un podcast realizzato proprio in collaborazione con l’Istituto Parri, che con lo stesso formato del precedente “Hai presente la Marcia su Roma?” dà vita a una collana di divulgazione storica di Chora Media, curata da Davide Savelli. L’idea è quella di cercare risposte competenti ma comprensibili a tutti, capaci di fare memoria e di combattere oblio e qualunquismo. >>

 Ed   è  per  questo  che  riporto    dalla  stessa  fonte      la storia del più giovane partigiano italiano, Franco Cesana  (  foto  a  sinistra   )  , che a soli dodici anni scappò di casa, dopo aver detto che usciva a prendere il latte, per raggiungere il fratello e unirsi alla Resistenza. Solo due mesi dopo, a giugno del 1944, la mamma ricevette una meravigliosa lettera in cui Franco le raccontava la sua avventura. È una storia dolorosa e commovente, che ho scoperto grazie alla storica Liliana Picciotto che da anni alimenta il portale Resistenti ebrei d'Italia nel quale raccoglie testimonianze sul contributo ebraico alla Resistenza.
Liliana Picciotto, che è responsabile per la ricerca storica del CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), ha appena presentato una nuova parte della sua ricerca, fatta di storie e podcast, da cui condivido una parte del racconto su Franco Cesana, che era nato a Mantova il 20 settembre del 1931, si era trasferito con la famiglia a Bologna ed era rimasto orfano del padre quando aveva otto anni. All’inizio del 1944, il fratello maggiore Lelio si era arruolato con i partigiani nella formazione Scarabelli, creata in provincia di Modena, e Franco sognava di raggiungerlo come racconterà la mamma Ada Basevi: «Era parecchio tempo che questo benedetto bambino mi chiedeva sempre, alla sera: “Mamma, lasciami andare, voglio andare con i partigiani, dammi il permesso”. Gli rispondevo sempre di no: “Sei troppo piccolo, lascia fare a tuo fratello che è più grande”». Il primo aprile Franco fugge e riesce a trovare i partigiani, ma per poter essere accettato mente sulla sua età, dichiarando di avere 16 anni, e così gli viene affidato il compito di staffetta portaordini con il nome di battaglia di “Balilla”. La madre per lunghe settimane non saprà nulla del destino del figlio, anche se lo conosceva come un ragazzino responsabile e più maturo della sua età: «Mio figlio, era molto indipendente, non si lasciava sottomettere dalla paura dei castighi ed era molto religioso, tanto che studiava da rabbino». Finalmente, il 7 giugno 1944, a casa arriva una lettera rassicurante, scritta con una calligrafia da bambino. “Carissima mamma, dopo la mia scappata non ho potuto darti mie notizie per motivi che tu immagini. Ti do ora un dettagliato resoconto della mia avventura: partii così all’improvviso senza sapere io stesso che cosa stavo facendo. Camminai finché potevo poi mi fermai a dormire in un fienile in località Osteria Matteazzi. Al mattino, svegliandomi con la fame, ripresi a camminare in direzione di Gombola, sfamandomi con le more. Arrivai a Gombola verso le nove e di lì cercai i partigiani, deciso a entrare a far parte di qualche formazione. Riuscii a trovare patrioti che mi insegnarono la strada per andare al Comando che si trovava a Maranello di Gombola. Arrivai nella detta località stanco morto, ma mi feci coraggio e mi presentai. Dopo un po’ mi si presentò l’occasione di entrare a far parte della formazione Marcello. Sei contenta? Presentandomi a Marcello, fui assunto e siccome ho studiato, fui dislocato al Comando e attualmente mi trovo stabile relativamente sicuro in una località sopra a Gombola. Così non ti devi impensierirti per me che sto da re. La salute è ottima; solo un po’ precario il dormire. Per chiarire un increscioso incidente, ti avverto che non ho detto quella cosa che mi hai fatto giurare. Così, chiudo questa mia, raccomandandoti alto il morale, che ormai abbiamo finito. Affettuosamente ti bacia e ti pensa il tuo tesoro. Ti raccomando, appena ricevi la mia bruciala. Ancora ti saluto e ti abbraccio”.


Lettera di Franco Cesana alla madre, 7 agosto 1944. © Archivio Fondazione CDEC


Ciò che la mamma aveva fatto giurare a Franco, era di non dire mai, in nessuna occasione, di essere ebreo, essendo per lui doppio il pericolo: l’appartenere al movimento partigiano e l’essere ebreo. La lettera non fu bruciata ma chiusa in una bottiglia di vetro e seppellita, affidata dalla mamma alla terra, futura testimonianza su quanto avvenuto alla famiglia Cesana. Dopo alcuni mesi di silenzio, il 14 settembre 1944, Ada Basevi si vede comparire davanti il figlio, cresciuto, bello, sicuro di sé. “Non piangere, mamma – gli dice, nel salutarla – ritornerò per il mio compleanno”. Il 20 settembre, infatti, Franco avrebbe compiuto 13 anni. La sera dopo, nel corso di una missione con il fratello Lelio e altri partigiani, incontra un gruppo di tedeschi che, allertati da una spia, non esitano a sparare uccidendo Franco e altri quattro ragazzi. Mancavano sei giorni ai suoi tredici anni. Il comandante della formazione partigiana riuscirà a recuperare il corpo di Franco per portarlo alla madre proprio il 20 settembre, il giorno del compleanno.
Il portale web “Resistenti ebrei d’Italia” della Fondazione CDEC, con le illustrazioni di Sara Radice


La ricerca sul contributo ebraico alla Resistenza riprende uno dei primi progetti avviati dal CDEC che ne ha caratterizzato l’attività fin dalle origini (1955) e che in tutti questi anni, pur non essendo mai stato portato a termine, ha costituito uno dei principali nuclei del patrimonio di documenti della Fondazione.
La ricerca viene resa pubblica tramite l’aggiornamento del portale online con un database di oltre trecento profili di resistenti e con la narrazione di cinque vicende particolari – tra cui quella di Franco – presentate anche sotto forma di podcast. La ricerca esplora vicende per lo più sconosciute e indispensabili per ricostruire il ruolo degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale, non solo vittime ma anche protagonisti della resistenza al nazifascismo.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...