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23.11.25

Il mondo “travessu” di un musicista con un paese intorno Pierpaolo Vacca, dal gruppo folk alle stelle di Time in Jazz E Da hostess ad artigiana: «Così sono rinata»ed altre eccellenze sarde

 unione  sarda  23\11\2025




Il paese resta ad aspettarti. Sa che prima o poi tornerai. O forse non sei mai andato via. A Ovodda ci sono giorni in cui fare festa è l’unica cosa che conta. Carnevale, Mehuris de Lissìa. C’è un ragazzetto che suona, tutto intorno a lui si muove al suono del ballo. Pierpaolo Vacca, 33 anni, è cresciuto con l’organetto in mano e il paese intorno. Il centro di un mondo musicale meticcio, in cui mescolare folk, elettronica, il suono della terra e i sospiri elettrici dell’altrove. Senza etichette, in una parola travessu : «Vuol dire ribaltare, e rimescolare ma inteso anche come controcorrente e bastian contrario. Partire dalle sonorità del mio paese, rimescolarle e ribaltarle creando una musica che stia di traverso tra quella tradizionale e la sperimentazione».
Presente e futuro
Ballo sardo, la poesia di un ritmo concentrico. Il nipote di Beppe Cuga, insigne suonatore di launeddas, è cresciuto, è diventato un alchimista di colori. «Sicuramente mi piace prendere spunto da ciò che mi circonda e da quello che vivo. Da lì nasce la mia ricerca: mettere in dialogo melodie e suggestioni del passato con quelle del presente e futuro, anche con l’elettronica. È un modo per creare qualcosa di nuovo, ma che abbia radici».
Dalle serate con il gruppo folk a Time in Jazz, restando quel ragazzo in piazza con l’organetto. «La mia educazione musicale è stata libera, con un approccio allo strumento sempre gioioso e spontaneo. Cerco di trasmettere la stessa libertà anche ai miei nipoti, stimolandoli a esplorare e a lasciarsi guidare dalla curiosità e dal piacere di suonare».
Il paese festival
Qualche anno fa Pierpaolo Vacca, con un gruppo di amici, ha creato “Sonala”, il festival con un paese intorno. «La risposta della comunità che ci segue, ci invoglia a continuare ad andare avanti e a cercare di costruire qualcosa di solido che continui nel tempo a seminare bellezza anche nei nostri piccoli paesi». Partire, girare il mondo. Suonare sotto le stelle del jazz come ai piedi di una quercia, a Santu Predu. Tornare in bidda tra gli ungrones dell’anima.
«Il legame con Ovodda è forte e viscerale. Credo che nei nostri paesi ci sia una qualità di vita invidiabile e che vivere in un piccolo paese se tutti scegliamo di essere cittadini attivi all’interno di una comunità, possa solo essere un grande privilegio». Ai piedi del monte Orohole fare baldoria è una disciplina sportiva praticata fin da bambini. Pierpaolo guarda avanti. «Ci sono nuovi progetti discografici all’orizzonte e collaborazioni che mi entusiasmano».
Incontro felice
Paolo Fresu è stato più di un incontro, qualcosa di magnetico. Lo spettacolo Tango Macondo ha girato l’Italia, Fresu ha prodotto il suo disco Travessu. «È stimolante ed è un grande privilegio lavorare a fianco a Paolo e al suo staff, che con esperienza e professionalità mi insegnano qualcosa di nuovo». Nel suo tessere trame, di suoni impilati come fogli di pane ‘e fressa , sovrapposti, elettrificati, le melodie restano sarde, il suono riconoscibile, un marchio per pochi. Il teatro è un giardino da esplorare. «Mi piace farmi ispirare dalle suggestioni che solo il teatro sa regalare. È un altro modo di suonare, ogni movimento e ogni suono cambia il significato del racconto. Cerco di lavorare sulle ambientazioni e trovare la dimensione per la narrazione». Con Paolo Floris porta in giro Restituzione, nato da un laboratorio in carcere. In questo tempo è impegnato con Sara Sguotti nello spettacolo Dedica, dialogo in uno spazio fisico. Poi tutto all’improvviso si muove in un ballo. C’è un uomo che suona e un paese intorno.





La mattina Giulia Aramu alza la serranda del suo laboratorio nel centro storico di Sestu. E quel gesto, per lei che ha girato il mondo, è un po’ spiccare il volo: 43 anni, due vite, due anime. Prima assistente di volo, poi artigiana di pelli e stoffe. Tutto in un nome: Anima Pellegrina.
Il racconto
«Non ho scelto questo lavoro, è lui che ha scelto me». Perché questa è una storia di viaggi, di caduta e rinascita. «Non ho nonne che cucivano, non sono figlia di sarti. Invece fin da bambina sognavo di viaggiare. Così ho deciso presto di fare l’assistente di volo». E decisamente non ama ciò che è facile: «Io sono di qui e ho dovuto cambiare città, studiare tanto. Ma ogni giorno potevo vedere un posto diverso. Sembrava tutto un bellissimo sogno, ho lavorato per varie compagnie, l’ultima Air Italy».
Il licenziamento
E il sogno s’interrompe un giorno, bruscamente. Air Italy è fallita nel 2020. E tanti dipendenti hanno perso le ali. «Ho provato tanta delusione, anche perché ci era voluto molto studio per arrivare fin lì. Ma non volevo cadere nel buio, ho cercato qualcosa di nuovo. Mi sono iscritta ai corsi regionali ed è nato un amore. Prima col cucito, stoffa, gonna. Poi col corso di pelletteria. Dopo qualche tempo ho aperto il laboratorio, anche grazie al supporto di mio marito Carlo nella parte burocratica».
La rinascita
Il nome d’arte «l’ho scelto perché anche tra le quattro mura del mio laboratorio, resto una viaggiatrice. E i clienti portano in giro le mie creazioni, mi mandano le foto, e mi sembra un po’ di viaggiare con loro». Come artigiana sa spaziare: «Lavoro pelli, stoffe, faccio tutto, da bracciali, a buste, a valigette». Indica due cartelle: «Queste le ho fatte con una tecnica che ho appena studiato. Cerco di imparare sempre qualcosa. A volte combino stoffa e pelle. O decoro le mie creazioni. Ho solo una regola: usare materiali unicamente naturali, niente plastiche. E uso anche gli scarti, niente sprechi». La parte più difficile? «Quando sminuiscono il lavoro d’artigiano, o ti chiedono sconti”. La più bella? «Quando mi scelgono».
Artigiana per amore
E questo lavoro l’ha portata a riflettere: «Mi ha insegnato a fermare il tempo. Prima andavo sempre di corsa. Qui se vai veloce fai male. Ti aiuta a riconnetterti con te stessa. Ho imparato a non cadere davanti a un errore. Se sbagli devi ricominciare da capo». Un obiettivo per il futuro? «Far conoscere l’artigianato. È speciale, meraviglioso».



4.11.25

Dieci anni fa l’orrore in Sud Sudan, Annet: «Vidi morire mio padre, ora rinasco a Cagliari»

   da  l'unione  sarda 4\11\2025 


 Era una ragazza quando i guerriglieri gettarono nel dramma la sua famiglia: «Sogno il dottorato, poi aiuterò l’Africa»





L’unico modo è raccontarlo come se fosse successo a un’altra. Altrimenti, le parole si soffocano in gola. Così Annet parla, ma dalla mente scaccia le immagini di quella tragedia: «Era il 2015, entrarono a casa all’improvviso, uccisero mio padre quasi subito. Avevo 15 anni e da noi in Sud Sudan la guerra civile spargeva tanto sangue. Erano in abiti civili e armati, nemmeno capimmo a quale fazione appartenessero. Volevano le cinquanta mucche con cui si sostentava la nostra famiglia di dieci persone. Mio padre rifiutò, significava cadere in miseria, e gli spararono davanti a noi: l’ho visto morire per terra. Poi chiesero alla nostra sorella maggiore se preferiva che i guerriglieri uccidessero mamma e tutti gli otto figli o andare in camera da letto con il capo. Non ci pensò nemmeno: si sacrificò per tutti. I guerriglieri se ne andarono con le nostre mucche, lasciandoci solo dolore e miseria. E papà morto per terra. E mia sorella umiliata».
Juan Annet Poni Micheal è una ragazza timida, dolce e garbata. Ora ha 26 anni e racconta quell’orrore con un filo di voce: «Dopo il raid fuggimmo in Uganda, in un campo per rifugiati». Annet, una roccia gentile, non si è lasciata andare: intelligentissima, vince tutte le borse di studio cui partecipa, a partire da quella del campo per rifugiati. L’ultima, in questi giorni, l’ha condotta a Cagliari: così come un ragazzo eritreo, si è aggiudicata la borsa di studio di Unicore (“Corridoi universitari per rifugiati”) per l’Università inclusiva bandita dall’Agenzia Onu per i rifugiati Unhcr e utilizzabile in 33 Atenei italiani, tra cui Cagliari. È un’iniziativa di Farnesina, Caritas diocesana di Cagliari diretta da monsignor Marco Lai, associazioni e fondazioni, oltre che dell’Ateneo anche attraverso l’Ersu. Un’iniziativa che l’arcivescovo del Capoluogo, monsignor Giuseppe Baturi, anche da segretario della Conferenza episcopale italiana, sostiene con forza. E di cui i sardi sanno troppo poco: un loro aiuto economico alla Caritas diocesana consentirebbe di accogliere altri studenti con storie difficili come Annet e Musie, il ragazzo eritreo giunto con lei in città. Da sabato sono ospiti del Campus “Sant’Efisio” nel Seminario arcivescovile in via Cogoni, dove conseguiranno la laurea magistrale: quarto e quinto anno. Per Annet è la terza vita: la prima finì a 15 anni con il blitz di guerriglieri e l’uccisione del padre, la seconda si è conclusa ora con la partenza dal campo di rifugiati in Uganda («sono tanto grata al Paese che ci ha accolti»), la terza inizia ora. In Sardegna.

Com’è capitata a Cagliari?

«L’ho chiesto: è uno dei pochi Atenei che offre il mio corso di studi in inglese e io l’italiano devo ancora impararlo. La mia gratitudine verso la città, l’Ateneo, la Caritas è grande».

Che cosa studia?

«Mi sono iscritta al corso di laurea magistrale in Economia, finanza e analisi dei dati, che conseguirò qui a Cagliari. Voglio anche un Phd, un dottorato di ricerca. Essere una rifugiata non significa che la mia vita è finita: devo farla ripartire. La borsa di studio che ho vinto in Uganda, la Dafi Scholarship, se l’aggiudicano 60 studenti su duemila. Chi ha ucciso mio padre, stuprato mia sorella e reso la mia onestissima famiglia un gruppo di rifugiati, non riuscirà a fermare anche la mia vita. Vado avanti, malgrado quel che ho dietro le spalle».

Lo dice con un filo di voce.

«Perché non è una rivalsa: lo studio è un diritto fondamentale, consente il riscatto e la riconquista della libertà. Ci credo e lo faccio, non mollerò mai, abiterò nei libri fino a quando non otterrò i risultati che mi prefiggo. Lo farò anche grazie a Cagliari, alla sua Università e alla Caritas» .

Possiamo scommetterci. Quanto è stata dura?

«Durissima, ancora lo è, ma devo farcela. Lo devo a papà che ha tentato di proteggerci anche se era impossibile, agli altri miei familiari, a chi mi aiuta qui e a chi l’ha fatto in Uganda, il Paese che ha accolto l’intera mia famiglia. Lo devo a mio cugino che, finché ha potuto, in Uganda ha pagato i miei studi con quel che riusciva a guadagnare, e l’ho ricambiato col massimo impegno. Lo devo a voi che mi ospitate e mi aiutate. Lo devo a me».

Studia per fare che cosa, dopo che avrà la laurea e anche il Phd?

«Non lo so di preciso, ma certo qualcosa che possa aiutare l’Africa, considerato che lo fanno in pochi nel mondo: le nostre guerre hanno meno seguito rispetto ad altre, anche se tutte sono terribili per le popolazioni: ovunque siano. Non sono mai più tornata in Sud Sudan da quando sono una rifugiata, quindi da una decina d’anni. La guerra civile è finita ma ormai è un Paese allo sbando senza legge né polizia. Ora studio, poi utilizzerò il mio sapere e la posizione che mi consentirà di conquistare per impegnarmi anche per il mio Paese e il mio continente. Adesso tanti aiutano me, poi toccherà a me aiutare e certamente non mi nasconderò. Anzi».

Sarà il frutto che verrà grazie a chi ha deciso di investire su di lei.

«Certamente. E poi faccio di tutto per essere un esempio per le persone che hanno perso tanto, a volte tutto: il riscatto è sempre possibile e sto cercando di dimostrarlo prima di tutto a me, con la speranza di motivare anche altri. Non è mai finita, se non lo consenti».

Dovunque studi, lei è tra i migliori. Ad esempio, seconda durante il college.

«Rientra in quel di cui abbiamo appena parlato. Anche al campo dei rifugiati ugandese, dove sono tornata dopo il college, esistono le borse di studio e io, che non ho più niente, ho fatto di tutto per ottenerla. E adesso si è aggiunta quella che mi ha condotto fin qui, a Cagliari, che si avvia a diventare una delle mie patrie. Nel mio futuro vedo senz’altro l’Uganda, così accogliente con i rifugiati. Cercherò di ricambiare quanto ho ricevuto da quel Paese, ma anche da voi».

Annet non è d’acciaio: i momenti difficili ci sono ma ha deciso che, oltre che il padre, i guerriglieri non avrebbe ucciso anche lei: nell’anima. Allora vive, sogna, progetta: non c’è allegria, ma forza sì. L’entusiasmo della Caritas diocesana, dell’arcivescovo e dell’Università nel sostenere il progetto sono energie, e soldi, be n spesi. Da sei anni, ogni anno un ragazzo e una ragazza rifugiati vengono a studiare all’Università di Cagliari (quella di Sassari non aderisce al progetto) e si salvano, cambiano le loro vite con la qualifica di “dottori”. «Caritas e Università di Cagliari hanno scommesso su di me», sospira Annet, «devo dare un senso a questo aiuto. Solo così continueranno a darlo anche ad altri giovani che vivono un inferno. Devo vincere anche per loro».

20.9.25

diario di bordo n 148 bis anno III Ottantenne di Guspini dona il fegato e salva un’altra vita., chiara vigo la mia arte non è in vendita le madri devono insegnare a figli la bellezza dei mestieri .,negata la cremazione al marito di irene cristinzio scomparsa ad orosei nel 2013 serve l'autorizzazione del coniuge ., io erore ragazzino della tragedia del doner aereo cadut a genova nel 1999


unione  sarda  20  settembre  2025 





Una donna di 80 anni, deceduta per emorragia cerebrale, ha salvato la vita a un’altra persona. Il prelievo del fegato è avvenuto nei giorni scorsi all’ospedale Nostra Signora della Mercede di Lanusei su Bruna Caria, una signora originaria di Guspini, ma trapiantata a Tortolì, della quale, nelle ore precedenti, era stata accertata la morte cerebrale.
In seguito a un malore, sabato scorso, la donna è stata trasportata al Pronto soccorso e ricoverata in Rianimazione. Le sue condizioni, già disperate sin dai primi istanti del ricovero, sono progressivamente peggiorate, fino a quando il personale sanitario, con un’équipe di specialisti arrivati anche da altri presidi, non ha dichiarato la morte cerebrale.
Dall’accertamento è iniziato il periodo di osservazione e poi si è attivata la rete regionale dei trapianti. In breve tempo si è svolto il processo di idoneità e di allocazione dell’organo, destinato a una persona che, grazie alla volontà di donazione, avrà un’esistenza migliore. Un gesto d’amore molto sentito all’interno del nucleo familiare: sia la donna quando era in vita, sia i figli hanno mostrato una particolare attenzione e sensibilità verso gli altri.


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 nuova  sardegfna  19\9\2025







unione sarda del 19\9\2025






8.6.25

diario di bordo n126 bis anno III .Papa Leone XIV: "Penso con dolore ai femminicidi, la volontà di dominare sfocia in violenza"., Trova una bottiglia su una spiaggia, all'interno delle ceneri e un messaggio commovente: «È mia madre. Rilanciala in mare, sta girando il mondo»-. «Un uomo mi è caduto addosso mentre ero per negozi e sono rimasta paralizzata. È stato un trauma, ma così sono rinata»

  dal mio cazzeggio su msn.it  

Neppure   il  pontefice  è uno specialistra  eppure  parla  di  femminicidi 


"Lo Spirito trasforma anche quei pericoli più nascosti che inquinano le nostre relazioni, come i fraintendimenti, i pregiudizi, le strumentalizzazioni", ha detto Papa Leone XIV nella messa di Pentecoste in Piazza San Pietro. "Penso anche - con molto dolore - a quando una relazione viene infestata dalla volontà di dominare sull'altro, un atteggiamento che spesso sfocia nella violenza, come purtroppo dimostrano i numerosi e recenti casi di femminicidio", ha aggiunto il Pontefice.
"Abbattere i muri di odio, basi di nazionalismi e guerre" "Lo Spirito infrange le frontiere e abbatte i muri
dell'indifferenza e dell'odio", e "dove c'è l'amore non c'è spazio per i pregiudizi, per le distanze di sicurezza che ci allontanano dal prossimo, per la logica dell'esclusione che vediamo emergere purtroppo anche nei nazionalismi politici", ha detto ancora il Santo Padre. "E di tutto questo sono tragico segno le guerre che agitano il nostro pianeta", ha proseguito. "Lo Spirito apre le frontiere anche tra i popoli", ha spiegato Prevost nell'omelia: "Le differenze, quando il Soffio divino unisce i nostri cuori e ci fa vedere nell'altro il volto di un fratello, non diventano occasione di divisione e di conflitto, ma un patrimonio comune da cui tutti possiamo attingere, e che ci mette tutti in cammino, insieme, nella fraternità". "Invochiamo lo Spirito dell'amore e della pace, perché apra le frontiere, abbatta i muri, dissolva l'odio e ci aiuti a vivere da figli dell'unico Padre che è nei cieli".
"Viviamo connessi ma incapaci di 'fare rete .È triste osservare come in un mondo dove si moltiplicano le occasioni di socializzare, rischiamo di essere paradossalmente più soli, sempre connessi eppure incapaci di 'fare rete', sempre immersi nella folla restando però viaggiatori spaesati e solitari", ha sottolineato il Papa. "Lo Spirito di Dio, ha evidenziato ancora - ci fa scoprire un nuovo modo di vedere e vivere la vita: ci apre all'incontro con noi stessi oltre le maschere che indossiamo; ci conduce all'incontro con il Signore educandoci a fare esperienza della sua gioia; ci convince - secondo le stesse parole di Gesù appena proclamate - che solo se rimaniamo nell'amore riceviamo anche la forza di osservare la sua Parola e quindi di esserne trasformati. Apre le frontiere dentro di noi, perché la nostra vita diventi uno spazio ospitale".La vera Chiesa è uno spazio accogliente e ospitale verso tutti" "Lo Spirito allarga le frontiere dei nostri rapporti con gli altri e ci apre alla gioia della fraternità. E questo è un criterio decisivo anche per la Chiesa: siamo davvero la Chiesa del Risorto e i discepoli della Pentecoste soltanto se tra di noi non ci sono né frontiere e né divisioni, se nella Chiesa sappiamo dialogare e accoglierci reciprocamente integrando le nostre diversità, se come Chiesa diventiamo uno spazio accogliente e ospitale verso tutti", ha concluso il Pontefice.

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Trova una bottiglia su una spiaggia, all'interno delle ceneri e un messaggio commovente: «È mia madre. Rilanciala in mare, sta girando il mondo»


«Volevo che finalmente potesse viaggiare, perché non ci è riuscita prima di morire». Dopo la morte della madre la 24enne Cara Melia ha voluto che la donna potesse essere in giro per il mondo, per sempre. Ha così deciso di riempire una bottiglia con le sue ceneri da lanciare nell'oceano. Prima di separarsene, però, si è assicurata che il sogno del genitore non venisse interrotto. E così ha inserito un biglietto nella
bottiglia per tutti coloro che avrebbero potuto trovare l'oggetto sul bagnasciuga spinto dalla corrente.
Wendy Chadwick, 51 anni, è morta per un problema cardiaco. Madre di cinque figli non ha mai avuto la possibilità di viaggiare. «Per molto tempo si è presa cura del suo defunto fratello e della madre», ha raccontato Melia a “Manchester Evening News”. Chadwick amava il mare e sua figlia inizialmente ha pensato di spargere le sue ceneri sulla spiaggia a Skegness, una cittadina inglese lungo la costa del Mare del Nord. «Ma la mia migliore amica ha avuto l'idea della bottiglia da gettare in mare», ha detto. «Ho scritto il biglietto perché volevo che finalmente potesse viaggiare senza impedimenti».
«Questa è mia madre. Rilanciala in mare, sta girando il mondo. Grazie, Cara», sono le parole che la 24enne ha inserito insieme alle ceneri della madre.
Il post su Facebook
Melia ha dato l'ultimo saluto alla madre il 3 giugno 2025, ma solo 12 ore dopo la bottiglia è stata ritrovata da Kerry Sheridan che si trovava su una spiaggia di Skegness. Il post su Facebook ha reso il ritrovamento subito virale. «Potete tutti, per favore, condividere questo messaggio in lungo e in largo nella speranza che trovi Cara», ha scritto Kerry allegando una foto della bottiglia, del biglietto all'interno e un video mentre un bambino la rilancia in acqua.



«L'abbiamo trovata questa mattina», si legge. «È stata ributtata in mare come richiesto. Buon viaggio, mamma di Cara». Il post di Sheridan è stato condiviso da tantissime persone, fino a raggiungere anche la 24enne.


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«Un uomo mi è caduto addosso mentre ero per negozi e sono rimasta paralizzata. È stato un trauma, ma così sono rinata»





La 29enne Grace Spence Green non ricorda niente di quell'incidente che le ha cambiato la vita. Quando si è alzata la mattina del 17 ottobre del 2019 era serena e aveva deciso di approfittare del giorno di riposo dall'università – studiava medicina – per andare al centro commerciale. Ma la sera si è risvegliata in ospedale, paralizzata. Dopo aver fatto shopping stava camminando lungo l'atrio del centro commerciale per raggiungere la stazione ferroviaria che l'avrebbe riportato a casa. Ma un uomo è caduto
dal terzo piano, precipitandole addosso. «Dopo l'incidente, ho sentito come se la mia vita fosse improvvisamente diventata molto piccola e le cose che da quel momento avrei potuto fare potessero entrare tutte in una scatola molto piccola». Poi, però, l'esperienza traumatica l'ha fatta rinascere.
La storia
Un uomo è precipitato dal terzo piano di un centro commerciale cadendo addosso a Grace, allora 22enne, che da allora vive su una sedia a rotelle. Dell'incidente non ricorda quasi niente, se non di essersi svegliata sul pavimento senza più sentire le gambe. «Ricordo di aver pianto, forse urlato», ha raccontato a The Mirror. L'impatto le ha spezzato la spina dorsale, lasciandola paralizzata dal petto in giù. Improvvisamente, la specializzanda in medicina era diventata una paziente. Ha trascorso due settimane in ospedale, le hanno impiantato del titanio nella colonna vertebrale per tenere a posto le vertebre frantumate. Dopo giorni di anestetici, ha trovato la forza di reagire scrivendo e nel corso del tempo ha visto come i suoi sentimenti sono cambiati giorno dopo giorno. Alla fine non riusciva più a riconoscere la Grace delle prime pagine: «Mi dispiaceva molto per questa ragazza. Le pagine erano piene di rabbia o confusione. Sembravo una persona davvero persa, come effettivamente ero all'inizio. Ma ho dovuto attraversare tutto questo per uscirne».


La rinascita
Lentamente Grace ha iniziato ad accettare la sua condizione. Si è concentrata sulle cose positive che poteva trarre da quello che le era capitato. Grazie alla sua determinazione è tornata a medicina 10 mesi dopo l'infortunio e nel 2021 si è laureata e ha iniziato a lavorare in un ospedale londinese. Ha preferito non rivivere all'infinito il giorno del suo infortunio, né rimuginare sull'uomo che l'ha ferita e non ha mai provato rabbia o rancore nei suoi confronti.
Invece di soffermarsi sul passato, è molto più interessata a concentrarsi sul futuro e a sostenere le persone disabili. Ha scritto un libro sulla sua storia: «Non vorrei mai cambiare la persona che sono ora. Ma, condividendo la mia esperienza e mostrando la mia vulnerabilità, spero che le persone siano più aperte all'ascolto e all'apprendimento. Mi sembra il modo in cui posso fare la differenza. Le persone disabili meritano di più».

19.5.25

Rinascere dopo una condanna Un corso per educatori cinofili rivolto ai minori che hanno commesso reati

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https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2025/05/sulle-ali-del-vento-contro-il-tumore-le.html


fonte  unione  sarda 19\5\2025


Nel Campo Accademia cinofila di Margine Rosso c’è un gran fermento. Biassu, Wendy, Dylan, seguono attentamente i comandi degli istruttori: si siedono, si alzano, corrono, si fermano. Accanto a loro ci sono alcuni ragazzi: emozionati, guardano e imparano, per riuscire anche loro a rapportarsi con i cani coinvolti. Perché uscire dal tunnel, e trovare la speranza di una vita migliore, è possibile anche grazie a un amico a quattro zampe. Ed è questo che si prefigge il progetto “Il filo conduttore” rivolto ai minori che hanno compiuto reati ma che non si trovano in carcere e sono sotto la supervisione di servizi specializzati. Un progetto promosso dalla Bau Club Onlus assieme a Vsm (area minori esterna penale) che prevede un corso per assistenti educatori cinofili per favorire l’inclusione.
L’impegno per crescere
«Lo scopo di questi corsi», spiega la presidente della Bau Club Onlus Elena Pisu, «è garantire che il minore abbia la possibilità di crescere in un ambiente positivo, facendosi carico dei propri errori e lavorando per crescere e maturare». Le lezioni, spiega, «stanno andando benissimo, tutti i partecipanti sono felicissimi. Stanno lavorando con cani che frequentano l’Accademia cinofila, sotto la guida di istruttori esperti. Sono ragazzi che hanno bisogno di essere indirizzati in qualcosa, di avere uno scopo e si stanno dimostrando molto attenti e collaborativi».
Il rispetto manifestato
A guidarli in questa avventura è l’educatrice cinofila Erika Striulli che spiega, «mi sono commossa quando uno di loro mi ha detto “lei è bellissima, troverà il modo di conquistarla”, riferendosi ovviamente al cane, Olanda, che gli era stato assegnato. Una frase che denota un rispetto massimo per il cane che spesso non troviamo neanche negli adulti. Ragazzi così giovani che arrivano a dire cose molto profonde con un approccio delicatissimo. Una cosa che mi ha colpito molto». Questa esperienza, «è per noi, come centro cinofilo, molto positiva. Ci sta dando tanto sia dal punto di vista emotivo che professionale. I ragazzi stanno imparando valori come quello della collaborazione, e il cane diventa un veicolo sociale molto importante».
Teoria e pratica
Il corso prevede prima una parte teorica, «nella quale ad esempio spieghiamo come comunicare con il cane, parliamo delle differenze tra le diverse razze e così via». Poi si passa alla pratica, «con il team dei cani. A ogni ragazzo ne viene affidato uno. Un cane che dovrà preparare. E questo richiede da lui impegno e responsabilità». Il lavoro con il cane, sottolinea, «entusiasma di base tantissimi giovani. Ti fa vivere un’esperienza all’aria aperta, e tutti sono molto felici di partecipare». Sulle storie dei ragazzi non trapela niente: essendo anche minori c’è la massima segretezza. Certo è che spesso, per lasciarsi alle spalle una vita difficile, a volte basta un campo all’aria aperta e un nuovo amico.

22.9.24

Luna di miele da sola, l'avventura di Laura: «Il mio fidanzato è morto un mese prima del matrimonio, così ho affrontato il lutto» ., Monza, "vicini e parenti non vengano al mio funerale": sul manifesto funebre le ultime volontà di una 58enne

Canzone suggerita  


lo so che certe storie sono più adatte per la commemorazione dei defuntiGiorno dei Morti  o Hallowen    se  preferite  ma     visto il    forte legame  tra  vita     e  morte ,  fra   rinascita   ogni momento è     quello giusto  .  

La  prima 

Luna di miele da sola, l'avventura di Laura: «Il mio fidanzato è morto un mese prima del matrimonio, così ho affrontato il lutto»



Il marito di Laura è morto a 31 anni per un infarto, un mese prima del loro matrimonio. Il suo futuro è improvvisamente andato in mille pezzi e tutti i piani fatti fino a quel momento hanno subìto un brusco arresto. La ragazza è stata immediatamente circondata dall'affetto di amici e parenti, ma il lutto ha un modo tutto suo per farti sentire sola, anche quando sei in compagnia. Ci sono voci e carezze, ma senti solo freddo e silenzio. Uscirne è difficile, e ognuno lo fa a modo suo. Così Laura ha preso la decisione di partire per la luna di miele da sola, lasciare a casa il senso di colpa per la sua quotidianità da reclusa e provare a vedere se «la vita valesse ancora la pena di essere vissuta».

La luna di miele da sola: il viaggio di Laura
Laura Murphy sapeva che suo marito non avrebbe voluto che si facesse consumare dal lutto e dal dolore. Che smettesse di vivere. «È un'esperienza solitaria, che ti isola, perché non conoscevo nessuno che alla mia età avesse perso un partner - ha detto al Washington Post -. Avevo bisogno di trovare persone che potessero capirmi, perché volevo sapere come andare avanti». E poi c'era il desiderio di
allontanarsi dalla loro casa, dal loro paese: «Sono rimasta lì, seduta, per mesi, senza sapere cosa fare».
La luna di miele del lutto è stata condivisa con una serie di video sui social e Laura ha mostrato il suo viaggio, tra Londra e la Francia, con cene per uno, concerti in solitaria e momenti di puro dolore in cui ha bisogno di mettersi sotto le coperte e farsi «un bel pianto». Un'esperienza simile non è da lei, ammette Laura, che non avrebbe mai pensato di viaggiare da sola e tantomeno di condividere la sua vita sul web.
Dopo aver visto altre giovani vedove partire, Laura si è convinta. Ma i momenti difficili rimangono, come quando ha sentito il suono di un'ambulanza e la sua mente è subito tornata al momento in cui il fidanzato è morto a un ufficio di distanza. Il supporto che ha trovato online, però, aiuta: «Sono stata ricoperta da amore e supporto», dice con le lacrima gli occhi in una clip.


La seconda


Monza, "vicini e parenti non vengano al mio funerale": sul manifesto funebre le ultime volontà di una 58enne© Dal Web

Un funerale solitario, a tutti gli effetti. Del resto, la frase, breve e diretta, presente a
chiusura del lungo testo del manifesto funebre comparso per le strade di Villasanta (Monza), non lasciava spazio a interpretazioni diverse. E l'inusuale vicenda, arrivata sui social con una foto scattata al necrologio, sta facendo molto discutere. Alla formula di rito "non fiori, ma opere di bene" è stato preferito nel finale un "astenersi dalle esequie vicini e parenti". 



Ha lasciato scioccata una comunità il manifesto funebre che annunciava la morte di una 58enne di Villasanta (Monza) dopo una lunga malattia. A dare la notizia del decesso la sorella, che si è fatta carico anche delle ultime volontà della defunta: esequie interdette a "vicini di casa e parenti", senza dimenticare di ringraziare "quanti, incontrandola, le hanno riservato saluti e quanti nell'ultimo periodo si sono sinceramente preoccupati per le sue condizioni". E così al funerale celebrato il 17 settembre nella chiesa parrocchiale del comune brianzolo erano presenti la sorella, che l'ha "amorevolmente accudita fino agli ultimi istanti di vita", (parole scritte nel necrologio, ndr) e un paio di persone, come riferiscono i giornali locali.


4.7.24

diario di bordo n 60 anno II . MATRIMONIO IN METROPOLITANA , «Paralizzata per sempre per uno scherzo di un'amica al party prima del matrimonio: l'ho voluta comunque come damigella», Separate alla nascita, sorelle gemelle si ritrovano su TikTok: «Era uguale a me, abbiamo indagato e ho scoperto la verità»

 

  ogni luogo per  sposarsi    va  bene  .  L'articolo Coppia senza soldi organizza matrimonio in metropolitana: un successo proviene da Bake News.

                                                    Coppia senza soldi organizza matrimonio in metropolitana 

                                                                                           © TikTok

Quando una coppia si ritrova con pochi soldi per organizzare un matrimonio coi fiocchi serve fantasia ecco la storia di Daniel ed Esmy che per il sì hanno scelto la metropolitana di New York. Daniel Jean non aveva i soldi necessari per poter organizzare alla sua fidanzata Esmy Valdez un matrimonio esagerato. E così ha avuto la sua idea: organizzare le nozze nella metropolitana di New York. “Non avevamo i soldi per organizzare il ricevimento da sogno che avevo sempre immaginato”, ha detto al NY Post Jean, 39 anni, di professione responsabile marketing, sottolineando l’elevato costo dell’organizzazione di nozze a New York. “Ho deciso di sorprenderla organizzando un ricevimento fantastico sulla metropolitana L”, ha detto Jean.

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Matrimonio in metropolitana costato solo 3mila dollari

Lui e Valdez, estetista trentottenne, hanno celebrato ufficialmente il loro matrimonio con una cerimonia privata in chiesa il 27 giugno. Martedì 2 luglio invece i due hanno brindato alla loro presunta unione insieme a 20 amici all’interno di una carrozza della metropolitana piena di perfetti sconosciuti. E per farlo hanno speso in tutto 3.000 dollari. Secondo recenti statistiche raccolte dal Post pronunciare il fatidico sì con una cerimonia e un ricevimento standard nella Grande Mela può costare alle coppie fino a 63.000 dollari.
Jean, tuttavia, scelse l’amico Jodell “Joe the Show” Lewis per organizzare la loro serata economica in metropolitana. “Ho presentato il ricevimento, il mio amico Christopher Dupree ci ha aiutato a gestire l’allestimento e abbiamo assunto una wedding planner, Anya, per aiutarci con la produzione generale”, ha detto Lewis, 40 anni, comico, al Post. Lewis aveva già diretto diverse feste sgargianti sul treno, tra cui una festa in piscina bagnata.

Il video del matrimonio in metropolitana diventa virale

“Abbiamo ricevuto il cibo preparato dallo Chef O di O’s Grill Spot [a Brooklyn], abbiamo avuto una torta, bevande e musica dal DJ Whoo Kid”, ha detto Lewis della festa di nozze. “È stata una festa incredibilmente divertente e memorabile per circa $ 3.000 che sarebbero costati $ 30.000 in una sala ricevimenti”.E la frugalità ha fatto miracoli anche in un altro modo per Valdez: ha raccontato al Post che la loro accoglienza sfrenata ha ulteriormente approfondito il suo amore per Jean. “Quando sono salita sul treno e ho visto tutto, ho pensato: ‘Wow, ho scelto la persona giusta'”, ha detto entusiasta la novella sposa. Le immagini virali dei festeggiamenti hanno totalizzato più di 363.000 visualizzazioni su TikTok.


La gente in questa città pensa che sia importante per gli uomini avere cose costose per stupire la donna dei loro sogni”, ha aggiunto. “Il nostro ricevimento era tutto incentrato sull’amore”. “Ma non esiste nessun altro posto al mondo in cui puoi celebrare le tue nozze su un treno e ricevere così tanto amore da persone felici che non conosci nemmeno”.


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da   www.leggo.it    tramite  msn.it   • 8 ora/e • 2 min di lettura


© Social (Facebook etc)



Una storia di dolore, profondo e inaspettato, ma soprattutto una storia di vita, di rinascita, di accettazione: Rachelle è rimasta paralizzata per sempre dopo uno scherzo della sua migliore amica durante l'addio al nubilato e il giorno del matrimonio ha dovuto percorrere la navata in sedia a rotelle. Eppure, tra le damigelle della sposa, quell'amica era presente e anche con lei ha celebrato l'unione con l'uomo della sua vita.«Non mi piacerà mai essere paralizzata - dice la donna, mamma e moglie - Ma il trucco sta nel guardare sempre al lato positivo, nella vita». Rachelle ha deciso di raccontare la sua storia tramite una serie di video sui social, non solo il drammatico momento dell'incidente, ma anche tutto ciò che è successo dopo, a dimostrazione che nonostante gli ostacoli che ha dovuto superare, è riuscita a raggiungere la felicità.
L'incidente in piscina e il matrimonio
«Quattordici anni fa il mio mondo ha tremato - scrive Rachelle nella didascalia del video pubblicato su TikTok, raccontando la sua storia -. Avevo 24 anni e la mia vita stava andando alla grande. Avevo comprato casa, ottenuto il primo lavoro vero e mi ero fidanzata con il mio amore dell'università. Era arrivato il momento di festeggiare l'addio al nubilato e io ero al settimo cielo! Dopo una serata fuori a divertirci tra amiche siamo tornate a casa per fare una nuotata in piscina».Nulla di strano in tutto ciò. Poi l'incidente inaspettato: «Un'amica mi ha spinta in piscina. Sono stata colta di sorpresa, sono caduta di testa e mi sono rotta il collo, il che ha causato una lesione istantanea al midollo spinale. Potrei parlare nel dettaglio di tutto ciò che è successo quella sera - scrive Rachelle -, ma questa è una storia di amore, famiglia e di ostacoli superati. Un anno dopo ci siamo sposati, abbiamo avuto una bimba e quattro anni dopo abbiamo una vita fantastica».Rachelle non vuole raccontare il dolore, ma la gratitudine: «Lasciatemi dire... vorrei che ci fosse una cura. Ci penso spesso. Ma è possibile volere una cura e comunque andare avanti con la vita ed essere grati per ciò che si ha. In tanti ambiti sono davvero, davvero fortunata, e me ne rendo conto. Il mio messaggio è di essere sempre grati, umili e gentili... e fate attenzione vicino all'acqua!».
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Sorelle gemelle si trovano grazie a TikTok

Una studentessa si è imbattuta in un video di TikTok di una ragazza che le somigliava tantissimo: ha iniziato a seguirla sui social credendo che fosse semplicemente un caso. Sono diventate amiche e solo dopo hanno scoperto di essere sorelle gemelle, vittime di un enorme traffico umano durato più di 50 anni. Elene, 19 anni, della Georgia, stava guardando alcuni video su TikTok quando le è apparsa una clip girata da una ragazza di nome Anna con dei tratti somatici identici ai suoi: naso, bocca, occhi e mani, tutto di quell'adolescente le ricordava se stessa. Le due sono diventate amiche, «senza sospettare che potessimo essere sorelle - spiega Anna - ma entrambe sentivamo che tra noi c'era un legame speciale».Quando le rispettive famiglie delle ragazze hanno svelato a ciascuna di averle adottate, le ragazze hanno deciso di indagare. Con un test del DNA hanno scoperto di essere sorelle gemelle. «Ho avuto un'infanzia felice - ha raccontato Anna a The Sun - ma d'un tratto tutto il mio passato mi sembrava un inganno. Ho fatto fatica a elaborare l'informazione, ad accettare la nuova realtà: le persone che mi hanno cresciuto per 18 anni non sono i miei genitori biologici. Ed ora avevo anche una sorella».
50 anni di adozioni condotte illegalmente
Dietro la loro adozione c'è una storia davvero sinistra: le due ragazze «sono tra le decine di migliaia di bambini georgiani venduti illegalmente in uno scandalo di traffico di neonati durato decenni», riferisce la testata inglese. «Il piano, scoperto dai giornalisti e dalle famiglie in cerca di parenti scomparsi, prevedeva il furto di neonati alle loro madri, molte delle quali si sentivano dire che i loro bambini erano morti ed erano stati sepolti nel cimitero dell'ospedale». Il fenomeno è durato per oltre 50 anni, «sorprendentemente orchestrato dagli operatori sanitari stessi», i quali falsificavano gli atti di nascita e affidavano i neonati a nuove famiglie in cambio di denaro.
La giornalista georgiana Tamuna Museridze combatte ancora contro questa macabra criminalità. La donna, che è lei stessa vittima di questo sistema malato, gestisce un gruppo Facebook dedicato al ricongiungimento dei bambini sottratti ai loro genitori, il quale conta 200 mila membri attivi. Tamuna afferma di avere le prove che almeno 120.000 bambini sono stati rubati ai loro genitori e venduti tra il 1950 e il 2006, anno in cui le misure anti-tratta del presidente riformista Mikheil Saakashvili hanno definitivamente stroncato il sistema.
Molte coppie che scoprono un problema nella fertilità sono disposte a ricorrere a un'adozione illegale, purtroppo, come ha fatto la mamma di Elene: «Adottare da un orfanotrofio sembrava impossibile a causa delle liste d'attesa incredibilmente lunghe», ha dichiarato la donna. Nel 2005 un conoscente le parlò di una bambina di sei mesi disponibile per l'adozione presso un ospedale locale, dietro pagamento di un compenso e lei ha accettato, perché le sembrava l'unica occasione rimasta per allargare la famiglia. Alcuni infermieri hanno portato Elene direttamente a casa sua e lei non ha compreso fino in fondo che si trattava di un'operazione illegale. Per formalizzare l'adozione, ci sono voluti mesi estenuanti di ritardi burocratici, ma poi la coppia ne uscì con successo: Elene era la loro bambina, a tutti gli effetti.
Al momento, il gruppo Facebook gestito dalla giornalista ha riunito più di 800 famiglie; mentre gli organi di giustizia georgiani cercano di rintracciare tutti i responsabili di traffico umano. Qualcuno è stato arrestato, ma si presume che la maggior parte dei professionisti coinvolti sia ancora a piede libero. Anna e Elene non provano risentimento per la faccenda: oggi sono due ragazze gioiose di essersi trovate e sono concentrate sul vivere al meglio il loro rapporto.

2.6.24

Caterina Stellato,Vittima della violenza di suo marito viveva in segreto, ora si candida a Borgo San Lorenzo (Firenze)

  fonte  Ansa.it


Vittima violenza marito viveva in segreto, ora si candida© Provided by ANSA

(ANSA) - FIRENZE, 02 GIU - Vittima della violenza di suo marito - un caso diventato noto per un video virale che ritraeva l'uomo mentre cercava di arrampicarsi su una grondaia per entrare in casa della moglie nel 2020 -, ha vissuto "in segreto" con i suoi tre figli a Borgo San Lorenzo (Firenze), decidendo ora di uscire allo scoperto candidandosi in una lista civica come consigliera comunale nella cittadina che l'ha accolta. "Voglio che la mia storia possa aiutare altre donne a trovare il coraggio di denunciare. A scappare da uomini che, quando va bene, ci riducono a sopravvissute" le parole di Caterina Stellato, 43 anni, a La Nazione che oggi racconta la sua storia."L'ansia e i timori ci sono, è innegabile - aggiunge spiegando la sua scelta - Ma voglio reagire. Voglio smettere di vivere nella paura. Non mi voglio più nascondere, chi deve nascondersi è lui", Antimo Carrera, condannato a 6 anni e 6 mesi di reclusione dal tribunale di Napoli per maltrattamenti ai danni di Caterina e che tuttora si trova in carcere. "Io dal Mugello non mi muovo più. Voglio viverci senza l'ossessione che il mio ex marito venga a cercarmi - dice ancora -. Conoscendolo, quando uscirà dal carcere, farà di tutto per trovarmi. Sicuramente la detenzione non lo avrà cambiato. E proprio per questo non mi voglio nascondere. Vivere nascosti significa vivere nella paura. Ho vissuto troppi anni con i brividi sulla pelle e con i sospiri per un nonnulla". Su come è arrivata in Mugello spiega che "'Chi l'ha visto?' si occupò del mio caso": "Arrivarono offerte da tutta Italia per aiutare me e i miei figli. Tra le tante me ne colpì una che proveniva da Borgo San Lorenzo. Fulvia e Marcello mi offrivano un lavoro in una struttura sanitaria. Ricordo ancora il giorno in cui vennero a prendermi alla stazione, era il 29 aprile 2021, mi accolsero con un paio di chiavi. 'Queste sono della tua nuova casa'. E' stato il giorno più bello della mia vita. Borgo San Lorenzo mi ha datto un'opportunità di rinascita. Sono grata a questo paese e se posso fare qualcosa mi metto a disposizione con grande umiltà".Quanto a cosa la politica possa fare per le donne vittima di violenza dichiara: "Credo che purtroppo il divieto di avvicinamento serva a ben poco. Mio marito lo aveva ma lo ha violato più volte. Dovrebbe scattare subito l'arresto. E poi, insisto, è necessario che le donne denuncino, abbiano il coraggio di farlo. Questo è il primo passo per la salvezza".

19.6.23

La nuorese Pierpaola Porqueddu si rimette in gioco per il pubblico a 47 anni Venti anni fa lo stop alla carriera. Oggi conquista la copertina di “Amadeus”

queesta  vicenda    conferma   come già  dicevo nell'introduzione del precedente post  : <<  Cagliari, aveva chiamato i carabinieri per interrompere il violinista: ora lo invita a suonare all’inaugurazione del negozio .... >>  l'importanza  e   la base  musicale   critica  o  acritica  che  sia     è  contenuta  nella  vita  di tutti  i  giorni 


da  lanuova  sardegna  del  19\6\2023

Ha un tono di voce che il suo racconto sembra un preludio in sol minore. Le parole, le vibrano. Modulate, leggere, decise. L’accordatura è perfetta, la stessa frequenza di un diapason. Dita lunghe e affusolate, pronte a danzare, a carezzare e picchiare, a esultare lungo i tasti bianchi e neri. Sorride, soprattutto. Ha un sorriso grande così, vero, profondo. È un sorriso felice. «Sì, ora sono pronta» gioisce Pierpaola Porqueddu. «Ci sono voluti venti anni, ma adesso non vedo l’ora di tornare sul palcoscenico» dice la pianista nuorese. È così che rinasce una musicista: a 47 da compiere domani, ha vinto e metabolizzato l’emozione di suonare in pubblico che l’ha bloccata quando di anni ne aveva appena 27. Allora aveva davanti a sé una carriera luminosa e promettente. Vantava già un curriculum brillante e un’infinità di teatri e auditorium che la volevano al centro del palcoscenico. «La mia grande emotività, le mie paure e la mia mania di perfezionismo sono stati ostacoli insormontabili» racconta. Ecco perché si era ritirata dalle scene. Anche se la musica è rimasta sempre e comunque la sua linfa. «Mi sono dedicata all’insegnamento, dai bambini agli anziani» va avanti Porqueddu. Docente al Conservatorio “Gesualdo Da Venosa” di Potenza, è diventata una vera e propria star digitale. Nel frattempo ha avuto tre figli: Leonardo, 21 anni; Alessandro, 17; e Naima, 7 anni. «Sono loro che mi hanno fatto capire la vita, con tutte le sue difficoltà» spiega. Loro: la famiglia che ha messo su, a Imola, dove la pianista barbaricina ha trovato l’amore e la nuova casa. È in questa casa che ha vinto la sfida con sé stessa, che ha visto rinascere la primavera, con tutte le sue emozioni ora sotto controllo, governate da una forza interiore che soltanto una mamma può avere. «Finalmente ho ritrovato il piacere di suonare per gli altri dal vivo». Pierpaola, Pierpaola Porqueddu: semplicemente . La prima pagina Notissima agli internauti, solo su Spotify conta 40mila ascoltatori al mese, la nuova vita dell’artista nuorese comincia subito con il botto: la pianista ha conquistato la copertina di Amadeus [  foto   a  sinistra   in alto  ] , il mensile di riferimento della grande musica, la rivista pilastro della classica. A firmare l’ampio servizio su Pierpaola Porqueddu è Filippo Michelangeli in persona, editore e direttore del magazine. Le fotografie sono di Stefania Varca. 





In allegato, al numero ora in edicola, un album esclusivo e inedito di Porqueddu dedicato alle Sonate di Franz Joseph Haydn (1732-1809). «Sono di una bellezza assoluta, persino superiore a molte pagine di Mozart» sottolinea la musicista. A Emiliano Buggio, invece, il compito di accompagnare i lettori di Amadeus nell’analisi delle quattro Sonate eseguite da Pierpaola Porqueddu su un pianoforte Steinway D 274. Un cd “fisico” che segna un punto di ripartenza, dunque. Dopo tanto successo conquistato nel web, comunque, attraverso lo streaming on demand, sugli store digitali. «Suona con una intensità e un senso del legato sorprendenti» dice di lei Michelangeli. Lei ricorda perfettamente l’ultima volta che si era esibita all’Accademia di Santa Cecilia di Roma, all’esame finale. Era il 2003. Esattamente venti aanni fa. «Ero già emotivamente molto vulnerabile – ricorda oggi –. Sono arrivata all’esame finale svuotata». Nata a Nuoro nel 1976, Pierpaola Porqueddu era arrivata al Santa Cecilia con il diploma in pianoforte conseguito, appena ventenne, con il massimo dei voti, al Conservatorio di Cagliari. La ragazza aveva talento, e non temeva neppure le partiture più impervie. Stava persino cominciando a trionfare nei concorsi internazionali. Nel 2000 ha vinto lo “Speranza” di Taranto. Ormai, la giovane pianista aveva lasciato la Sardegna, per formarsi e affrontare il mondo. A Nuoro, i primi a tifare per lei, erano e sono la
madre e il padre: Pasquina Ledda, prima maestra alle elementari, poi insegnante nel carcere di Badu ’e Carros; Graziano Porqueddu, chitarrista autodidatta di grande talento e passione sconfinata. Pierpaola ha pensato bene a perfezionarsi con i mostri sacri della tastiera: con Paul Badura-Skoda alla Chigiana di Siena; con Paolo Bordoni all’Accademia di Pescara; con Sergio Perticaroli al Mozarteum di Salisburgo. Poi, l’Accademia nazionale di Santa Cecilia di Roma, appunto. La gloria e lo stop improvviso. Stop, si fa per dire, visto che Porqueddu ha comunque continuato a suonare e a registrare. In Emilia Romagna ha concentrato le sue forze sulla famiglia, ha persino rinunciato a un tour in Giappone. «Prima di tutto viene la famiglia e i tre figli. Avrei dovuto assentarmi da casa» racconta. Qualche rarissima esibizione. Tante esecuzioni, invece, destinate al web. Nel 2017 è uscito “Piano recital”, con musiche di Mozart, Haydn, Chopin, Schumann, Debussy. Nel 2020 ha registrato per la fluente Records l’album “Russian music for children” dedicato a musiche didattiche di Prokofiev e Kabalevsky. Oggi incide per Halidon music e ha pubblicato, tra gli altri, i 24 Preludi op. 28 di Chopin («il primo amore») e un cd dedicato a Mozart. Nella sua discografia , Pierpaola Porqueddu lo riserva a un grande didatta italiano, Remo
Vinciguerra (scomparso il 6 luglio del 2022). «Attraverso le sue composizioni – dice la musicista nuorese ad Amadeus – ho trovato la felicità nei bambini a cui insegnavo il pianoforte». «L’insegnamento è stata la mia attività preferita – aggiunge – perché amo stare con i ragazzi. Credo che in ciò non sia irrilevante la passione, oltreché per la musica, per la psicologia, la filosofia, la pedagogia». «Grazie a Vinciguerra ho trovato il modo di far sorridere i miei allievi. E il loro sorriso mi ha contagiato». «Prima di avere avuto i figli ero una insegnante severa, poi mi sono ammorbidita – sorride –, gli allievi mi sembrano tutti miei figli. Pero sono precisa e li aiuto a esprimere il massimo delle loro potenzialità». La famiglia, l’insegnamento. Nel frattempo è cresciuta anche la popolarità sul web, le play list si sono allungate, i download moltiplicati. «Un’emozione bellissima sapere che mi ascoltano persone che non mi conoscono» sorride la pianista. «Non riuscivo a credere che in tutto il mondo, dagli StatiUniti alle Filippine, all’Indonesia, potessero ascoltarmi». L’hanno ascoltata anche in Svizzera, è piaciuta molto la sua esecuzione della Sonata in Mi minore di Haydn. Così è successo che un giorno l’hanno chiamata dalla radio Swiss Classic che l’ha subito inserita nel palinsesto. Un inno alla vita, alla gioia della vita, all’equilibrio ritrovato. «Devo ringraziare Luca Rasca, un pianista meraviglioso, che mi ha aiutato a colmare alcune lacune che avevo nel mio modo di studiare, mi ha dato un metodo che non avevo. Ma adesso mi manca il pubblico. Molto»

7.4.23

Moristi per noi - © Daniela Tuscano

 




                                                       

Moristi per noi. E chi lo nega
Vuol crocifiggerti ancora.
Moristi per noi
Non per placare ire divine
Ma perché ormai
Non potevi più fermarti
Anche se tremavi
Di paura e dolore.
Moristi per noi
Perché avesti un corpo
Nudo e solcato
Di vene, membra, muscoli
Un corpo di maschio
Dalla dolcezza di donna
Un tratto levigato
Con ruvidezze semite
Un corpo giovane
Estenuato come un vecchio
Un corpo esangue
Ma da schiavo, schiavo nero
Come quella croce
Per stranieri e malfattori.
Moristi per noi
Perché ci unisti tutti
E tutte, e il mandorlo,
Gli uccelli, i cani
E per questo sei scandalo
Per chi vorrebbe cancellare
Questo sesso che unisce
E seca le ipocrisie
E i neutri tepori

© Daniela Tuscano

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