da repubblica online
ù
L'anno scorso, alla Mostra di Venezia, le sezioni (cosiddette) minori erano affollate di opere dedicate agli immigrati. Un segno esplicito del cambiamento - sociale e culturale - prodotto dalla presenza degli stranieri fra noi. Una novità, non ancora assorbita, che il cinema ha colto e narrato. Quest'anno è avvenuto lo stesso. Anche se in senso opposto. Attraverso l'osservazione della nostra presenza in terre lontane. Da dove provengono molti immigrati. La prima opera presentata - fuori concorso, il giorno stesso dell'inaugurazione - punta, infatti, l'obiettivo sull'esperienza del CUAMM. Un'Organizzazione Non Governativa, di ispirazione cattolica, che, nella sua storia ormai lunga, ha garantito la presenza di oltre 1300 medici e infermieri volontari in diversi ospedali dell'Africa. Il film-documentario, girato da Carlo Mazzacurati, si intitola, descrittivamente, "Medici con l'Africa".
Ambientato dentro e intorno a un ospedale del Mozambico, è una storia che intreccia molte storie. Storie di medici italiani, che provengono da contesti diversi. Con specialità diverse, motivazioni diverse. Alcuni mossi da "spirito rivoluzionario", hanno seguito i luoghi dei movimenti di liberazione, fino ad arrivare lì, in quel luogo lontano da noi. A dare se stessi agli altri. Alcuni - i più - mossi da spirito solidarista. Cattolici e laici. Il docu-film racconta storie e drammi quotidiani. Il dolore dei bimbi e delle madri, in un'area dove la maternità è spesso dolore. E morte, invece che gioia. Racconta, ancora, il dolore dei malati, in un mondo dove mancano medicine e attrezzature. Mazzacurati affronta queste storie ponendosi, come sua abitudine, alla "giusta distanza". Senza pietismo. Semmai con grande pìetas. L'Africa che emerge dal film è diversa da quella proposta da altri racconti e da altri film. Sicuramente non c'è nulla di esotico, nella rappresentazione. Ma neppure di patetico.
L'Africa: una realtà lontana eppure vicina. Anche perché le storie dei medici e dei pazienti sono legate da un filo che unisce i due mondi. Noi e l'Africa. Storie riassunte e cucite insieme dalla storia del CUAMM e di chi lo conduce. Di chi l'ha immaginato e fondato, oltre 60 anni fa. Un prete, don Luigi Mazzucato. Un "imprenditore del Bene Comune". Che ancora oggi, a più di 80 anni, passa la sua vita tra l'Italia - il centro: a Padova - e gli ospedali dell'Africa. E poi, al telefono. A chiamare o richiamare medici, disponibili a spostarsi, per un periodo più o meno lungo, in Mozambico. Oppure nel Sud Sudan. E ancora: in Tanzania oppure in Angola. O in Sierra Leone. Molti medici, pronti a partire e a ri-partire alla chiamata di don Luigi - e dei volontari del CUAMM.
Pronti a muoversi in fretta. Oggi stesso. Perché nell'Africa profonda c'è un ospedale rimasto senza medici. Questa storia di storie è sorprendente. Stupisce. Spiazza. Perché spesso noi siamo abituati a rappresentarci cinici ed egoisti. Non senza ragione. Vediamo e valutiamo la nostra società: amorale e qualunquista. E consumista fino all'estremo eccesso. L'accostamento con l'Africa, d'altronde, è devastante. In grado di denunciare, più di ogni discorso, quanto la nostra economia e la nostra vita siano fondate sul mercato e sul "consumo" dell'inutile. Sullo spreco in-giustificato. Eppure, "Medici con l'Africa" mostra, con altrettanta evidenza, come qui, in questa stessa società, vi siano enormi "riserve di altruismo". Una disponibilità estesa di persone e gruppi rivolti al "bene comune". Impensabile, per chi non è abituato a guardare oltre la superficie. Oltre il senso comune. Che considera l'altruismo un optional. Ma il "bene comune" è un "Bene ostinato", come ha raccontato Paolo Rumiz, in un bel libro (pubblicato nel 2011 da Feltrinelli), dedicato anch'esso alle "missioni" del CUAMM in Africa. (Missioni intese come vocazione e impegno. Perché gli uomini del CUAMM, non sono missionari e svolgono la loro missione negli ospedali civili dell'Africa.) "Ostinato", perché si impone contro ogni giudizio e pregiudizio. Tanto più perché, non per caso, nasce nel Nordest. Nella terra degli egoismi, secondo i luoghi comuni. Dove, invece, per riprendere le parole di Rumiz, incontriamo "il nucleo di un altruismo" altrettanto ostinato.
Perché il "bene comune" non è un consumo voluttuario ma un bene di prima necessità. Per spiegarlo Mazzacurati si serve delle parole di una dottoressa che, da molti anni, continua a recarsi in Mozambico. "Non lo faccio per loro, gli ammalati, i poveri" - recito a memoria - "Non solo per loro. Lo faccio per me. Soprattutto per me. Perché ne sento e ne ho bisogno. Senza l'Africa, senza di loro: non riuscirei a vivere". Senza l'Africa, i suoi ospedali, i suoi ammalati: i medici impegnati nel e dal CUAMM si sentirebbero e sarebbero sicuramente più poveri. Perché fare bene fa stare bene. Perché senza gli altri: noi stessi non esisteremmo.
(06 settembre 2012)