Una storia che dimostra che l'affetto non è solo qualcosa di burocratico . Leggoi e riporto sotto , su repubblica d'oggi 4\5\2020
Carlotta Fruttero: "Mio padre e Lucentini non erano congiunti, ma un'amicizia così non si può tradurre nella lingua della burocrazia"
Parla la figlia dello scrittore che diede vita, insieme all'amico Franco, alla più celebre coppia letteraria italiana: "Avevano bisogno di stare vicini, camminare anche in silenzio. Era il loro modo di recuperare una dimensione intima e alimentare l'ispirazione che li teneva uniti"
Fruttero & Lucentini non erano "congiunti", né di primo né di sesto grado, tanto meno "affini" e neppure "affetti stabili", stando all'ultima interpretazione del decreto presidenziale che espunge dalla categoria l'amicizia. Sicuramente non potevano fare a meno l'uno dell'altro, nella vita come
nella letteratura. A pensarli nel distanziamento sociale imposto dal Coronavirus, viene in mente un possibile titolo a quattro mani: "La prevalenza del congiunto".
"Mio padre Carlo Fruttero collegato a Lucentini via Skype? Inimmaginabile. Non tanto per papà quanto per Franco, che non aveva la Tv, figurarsi lo smartphone. E poi entrambi guardavano con sospetto alle minime invenzioni tecnologiche, fossero anche una lametta da barba o un cavatappi di nuova concezione". Dalla più celebre coppia letteraria italiana, Carlotta Fruttero ha ereditato ironia e tenerezza. "No, non avrebbero mai potuto resistere lontani. Avevano bisogno di parlare, vedersi e stare insieme almeno un paio d'ore al giorno".
Era un'amicizia anche "fisica" che contemplava lunghe passeggiate.
"Sì, avevano bisogno di stare vicini, camminare anche in silenzio, a Torino lungo il fiume Po ai Murazzi, o in Francia vicino al canale del Loing, tra Fontainebleau e Nemours, dov'era la casupola di pietra di Franco. Avevano l'abitudine di ritirarsi da quelle parti ad agosto per lavorare. E papà mi raccontava le passeggiate notturne, misteriose, che era il loro modo di recuperare una dimensione intima e alimentare l'ispirazione che li teneva uniti. Potevano parlare per ore d'un dettaglio della trama oppure stare in silenzio: la loro amicizia non aveva bisogno di parole. Per decifrarsi l'un l'altro, bastavano uno sguardo, la postura delle spalle o il modo di camminare".
Come definirebbe il loro sodalizio?
"Un'amicizia assoluta. Inscindibile. Papà si sarebbe gettato nel fuoco per Franco, e viceversa. Era anche un'amicizia spirituale nel senso della coincidenza dei loro spiriti, e del sentire sul mondo".
Un'amicizia che fonde caratteri diversi.
"Sì, mio padre era quello che leggeva i quotidiani, s'informava, guardava la Tv: una costante immersione nella realtà, sostenuta da curiosità inesauribile. Franco era l'uomo dalle grandi visioni, letture alte tra filosofia e arte, conoscenza approfondita dei classici greci e latini, padronanza di almeno diciassette lingue. Papà mi diceva sempre: quello veramente bravo è lui, non io. Se non ci fosse stato Franco, non sarei riuscito e mettere in piedi la struttura del romanzo. In realtà non era così. Il suo libro Donne informate dei fatti ha dimostrato che poteva farcela da solo. Ma questo era il suo sentimento verso l'amico".
Non esisteva competizione.
"Si completavano vicendevolmente, senza ombre. Ed evitavano con accuratezza ogni discussione sterile. Potevano avere punti di vista differenti, ma il confronto era sempre limpido e amichevole".
Non hanno mai litigato?
"Mai. Erano capaci di stare in silenzio per molte ore, ma non li ho mai sentiti alzare la voce. C'era una cosa che creava tra loro tensione: l'uscita da casa in macchina per andare al cinema. Ansiosissimo per il parcheggio, Franco fissava la partenza un'ora prima; di temperamento più quieto, mio padre spostava più avanti l'appuntamento, con l'effetto comico di stare a discutere per ore sul minuto esatto dell'uscita. E mia madre sempre dalla parte di Franco".
Fruttero ha dovuto convivere per una vita con le malinconie della moglie e con la stessa attitudine saturnina del suo migliore amico.
"Sì, Franco poteva avere momenti di depressione e in questo senso lui e la mamma erano lo specchio l'uno dell'altra. Mio padre non poteva certo appoggiarsi sulla spalla dell'amico, perché sapeva che Franco viveva la difficile condizione di mia madre con grande angoscia. Per tutta una vita ha dovuto alleggerire le situazioni, invitandoci sempre a godere del dettaglio minimo del quotidiano. Non puoi guardare i problemi tutti insieme - mi diceva - perché c'è il rischio di restarne paralizzata. Bisogna guardare la vita un pezzo per volta. E lui riuscì a sopravvivere a una esistenza cupa rifugiandosi nella scrittura e nelle trame dei suoi romanzi".
Anche per questo aveva bisogno di stare con Lucentini. Per entrambi la letteratura era un rifugio.
"Sì, un'officina in cui non smettevano di progettare, inventare nuovi generi, lanciarsi in una sfida letteraria senza fine. La fantascienza, i fumetti, i classici rivisitati, i drammi e i radiodrammi, gli adattamenti televisivi. Li chiamavano Bouvard et Pécuchet, come i personaggi di Flaubert: loro li lasciavano dire, ma in realtà di quella strana coppia non condividevano la fede nel progresso, però l'ansia di fare sì. E ne hanno fatte tante insieme".
Lucentini più ansioso, anche nel progetto.
"La famosa scaletta: Franco esigeva un 'preromanzo', una traccia dettagliatissima, mentre mio padre preferiva lanciarsi in un percorso gravido di sorprese. E allora discutevano. "Sei schizofrenico" gli diceva papà. 'Vuoi scrivere sul serio, fingendo di scrivere per prova'. E lui replicava: 'No, schizofrenico sei tu che vuoi scrivere fingendo di non sapere dove stai andando'".
Come capirono di essere amici?
"Nei primi anni Sessanta, quando dalla Einaudi passarono alla Mondadori, con l'incarico di curare Urania, la collana di fantascienza. Non ne sapevano granché ma erano molto curiosi. Così andarono a fare incetta di racconti fantascientifici in lingua inglese nelle bancarelle di libri usati in corso Valdocco, a Torino. Poi se li dividevano per blocchi di sessanta titoli a testa; ognuno doveva fare la sua scelta. E successivamente si scambiavano i blocchi di libri, per un'ulteriore verifica. Alla fine scoprirono che i libri scelti erano gli stessi".
Si erano conosciuti a Parigi, nel 1953. Suo padre aveva 27 anni, Lucentini 33.
"Papà era rimasto colpito dal suo sorriso: ironico ma mai feroce, provvisto di un punto di vista preciso ma sempre indulgente. Come se fosse animato da un fondo di sconfinata tenerezza verso ogni minima cosa che poi si traduceva in compassione per ogni debolezza, follia, bassezza. Seppur ammirandone moltissimo l'indole, lui si sentiva diverso, più giudicante e tranchant".
Poi, nella vecchiaia, da dinamici Bouvard et Pécuchet divennero statici come i personaggi di Beckett paralizzati dall'attesa di Godot: lo racconta Fruttero in una bellissima pagina dedicata all'amico.
"Si incontravano al caffè o su una panchina di Piazza Maria Teresa o in ospedale per caso tra un ricovero e un altro: mi ricordo una volta in ascensore, Franco seduto sulla sedia a rotelle - era malato di tumore - e papà in attesa di una serie di controlli. Si guardarono con infinita tenerezza. Franco diceva di non starci con la testa, ma era lucidissimo: aveva paura della malattia, sentiva venir meno le forze. E non sopportava l'idea di non essere più autonomo".
È stata lei a dire suo padre del suicidio?
"Eravamo nella casa estiva di Roccamare, vicino a Grosseto, e presi la telefonata di Mauro Lucentini, il fratello. Entrai nello studio e glielo dissi. Non fece scenate, immobile, fedele alla sua educazione sabauda. Mi guardò con dolcezza e rassegnazione, come se in fondo se l'aspettasse. Negli ultimi mesi Franco non aveva voluto vedere nessun altro che lui. Mi chiese solo: come? Ed è stato il modo che l'ha straziato, il fatto che Franco sia stato costretto a fare tutto da sé, spingersi faticosamente sul pianerottolo, trovare un varco nella tromba delle scale. Se avesse avuto un medico pietoso al suo fianco, si sarebbe potuto risparmiare questa ultima crudeltà. Lo disse ai funerali, con quel termine inconsueto di 'suicida bricoleur'. E mentre parlava non riusciva a staccare la mano dal legno della bara".
Carlotta, suo padre e Lucentini non erano congiunti, forse qualcosa di più.
"Mi è appena arrivata la notizia della morte di Mauro Lucentini, il fratello novantaseienne che viveva a New York. Per me è un dolore acuto, come se fosse venuto a mancare l'ultimo legame con quella che per molti è una coppia letteraria ma per me resta un universo affettivo intimo, una bussola sentimentale, un padre e un secondo padre. Non so come tradurlo nella lingua della burocrazia".
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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4.5.20
1.7.17
a volte anche la banalità può essere preziosa e servire per spiegare meglio la lettura ai bambini ed in alcuni casi reagire alla propaganda razzistica E' il caso di due storie fumettistiche recenti topolino e dylan dog
E' il caso , come dicevo dal titolo , di due storie fumettistiche ( quindi indirettamente è anche una risposta a chi dice ancora , sempre meno ma ancora " potenti " , che i fumetti sono per bambini ) la prima è : " topolino e la chiave dell'infinto " ( Silvia Martinoli - Roberto Martini ) topolino n 3214 .,la seconda : " IL terrore " Dylan Dog n 370 Gabriella Contu - Giampiero Casertano
Iniziamo dala prima
La storia è dedicata a Giacomo Leopardi che proprio in questi giorni , come tutti gli anni a Recanati ( la sua città natale ) e dove ha sede il centro studi leopardiani , viene festeggiato \ celebrato con una serie d'eventi .Essa è una buona storia , se pur banale per chi ha di più di 14 anni e conosce topolino dalle origini e sa già dove va a parare , ma un ottimo modo per spiegare uno dei poeti più complessi della nostra letteratura ai ragazzi delle elementari \ medie , unendo poesia con fantasia Infatti negli intendimenti della sceneggiatrice c'è un modo diverso ed accattivante di avvicinare un pubblico estremamente giovanile al poeta che viene disegnato ancora bambino, una scelta che si è rivelata vincente.
Inoltre e qui do ragione agli autori della storia << In fondo non c'è bisogno d'avere [ di raschiare il fondo del barile o andare alla ricerca di nuovi scritti inediti stesso discorso che vale in tutte le forme d'arte aggiunta mia ] un nuovo reperto per celebrare l'infinita a grandezza del poeta di Recanati . La testimoniano questi versi estrapolati da alcune sue celebri opere
1)
vaghe stelle dell'orsa , io non credea tornare ancor
per uso a contemplarvi .
2
La donzelletta viene dala campagna ,in sul calar del sole ,
con il suo fascio d'erba ; e reca in mano un mazzolin di rose e viole
dalla video lettura de |
3
dalla storia (n c0me le immagini sopra riportate ) di topolino
Cosi
tra questa
immmensita
s'annega il pensier mio e
il naufragar
m'è dolce
in questo mare
La seconda
Niente d'eccezionale , un po' banale almeno per me che leggo dylan dog dal 1989 \1990 e po' scritta troppo in fretta e al limite della stucchevolezza . Infatti che abbia un messaggio antirazzista non vuol dire automaticamente che sia una storia di qualità. ben vengano le storie d attualità e il sociale,ma che siano scritte bene, e non con i piedi!
Nonostante questi difetti ha colpito nel segno . Infatti ecco cosa dice questo commento , in risposta ai commenti " salvinisti " , presenti nei commenti sulla pagina fb ufficiale di DD
Nonostante questi difetti ha colpito nel segno . Infatti ecco cosa dice questo commento , in risposta ai commenti " salvinisti " , presenti nei commenti sulla pagina fb ufficiale di DD
Alessandro Lucia Ma quelli che s'indignano per una storia contro il razzismo son sicuri di aver capito che in mano hanno Dylan Dog e non il Mein Kampf? No perché quando vi professate vecchi lettori di DYD e vi sorprendete per storie come questa mi vien da pensare che fino a ieri abbiate letto tutto un altro fumetto.
Comunque era un bel po' che non leggevo un DD che non fosse splatter o horror diretto \ classico .In cui c'era la coraggiosa scelta di giocare con i classici malintesi da commedia (l'esercito alla strumptruppen), il modo in cui si è giocato con i rapporti tra i personaggi. Lo scopo era usare un linguaggio volutamente semplice, comico per veicolare un messaggio serio.
<< L'unica cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa >> ( franklin Delano Roosvelt ) certo citazione un po' scontata per coloro non credono alla propaganda e alle verità della televisione , ma praticamente obbligatoria --- come dice anche lo stesso Recchioni nel dylan dog horror club di questo numero ---- dato il tema di una storia , quella di cui trovate la copertina affianco , bellissima e banale al tempo stesso ma che risulta purtroppo [sic ] d'attualità .
Un ottimo modo , come suggerito da : << credo nel potere del riso , delle lacrime , come antidoto all'odio e al terrore >> Charlie Chaplin , per descrivere : il terrorismo , la sua psicosi la paura onnipervasiva ed onnipresente per un nemico invisibile o costruito ad arte dalla propaganda [ vedi post ] che potrebbe colpire in qualunque luogo ed in qualunque momento .
Infatti : << qui chi non terrorizza , s'ammala di terrore >> ( Fabbrizio De Andrè ) ma evidentemente i soliti salvinisti e company che si bevevono le verità ufficiali e non si pongono domande \ mettono in discussione od esprimono dubbi dicono che è buonista
20.12.16
Ines, la “sentinella” della vallata, è l'unica residente di Moschiasinis Tramonti, a 93 anni continua a vivere nella borgata fantasma: «È il mio paradiso terrestre»
Sulle note della bellissima e toccante versione Live di Campestre - C S I in La terra,la guerra, una questione privata
Riporto una storia che è tipica , anche non riguarda la sardegna che purtroppo sta subendo una lenta agonia antropologica e geografica ( paesi dell'interno che si spopolano e si desertificano mentre paesi vicino alle coste si aumentano per tali immigrazioni interne d'abitanti come dimostra il grafico sotto al centro )
Riporto una storia che è tipica , anche non riguarda la sardegna che purtroppo sta subendo una lenta agonia antropologica e geografica ( paesi dell'interno che si spopolano e si desertificano mentre paesi vicino alle coste si aumentano per tali immigrazioni interne d'abitanti come dimostra il grafico sotto al centro )
ma è una storia che secondo me s'adatta benissimo alle tematiche di questa pagina fb https://www.facebook.com/Paesitudine-352090741835437/
da http://messaggeroveneto.gelocal.it/tempo-libero/ del 20\12\2016
da http://messaggeroveneto.gelocal.it/tempo-libero/ del 20\12\2016
Ines, la “sentinella” della vallata, è l'unica residente di Moschiasinis
Tramonti, a 93 anni continua a vivere nella borgata fantasma: «È il mio paradiso terrestre»
di Giuseppe Ragogna
TRAMONTI. Ines è rimasta l’ultima sentinella di una delle numerose borgate disperse nelle vallate friulane. È l'unica abitante di Moschiasinis: un pugno di abitazioni ridotte all'osso e abbandonate, dove ormai si respira soltanto passato. Lassù anche i ricordi sbiadiscono con il passare del tempo.
Pian piano, la Natura si riappropria, implacabile, delle opere fragili dell'uomo. Il municipio di Tramonti di Sotto è sei chilometri più in là, verso il passo del Rest. Sotto Natale, Ines Crovato compirà 93 anni. Un'età che non sente. La “signora dei monti” non vuole abbandonare la sua casa, perché lì è racchiusa tutta la sua vita.
Giunse da Muinta, località sull'altra sponda del fiume Meduna, quando il lago artificiale di Redona ancora non esisteva. Era pronta a coronare il grande sogno di mettere su famiglia con l'amore della vita: . Gjovanin Miniutti, un lavoro da emigrante, tra Francia e Germania, per guadagnare qualche soldo in più.
A chi va a trovarla, ripete la scarna filosofia esistenziale: «Non ho mai sentito il bisogno di altro. Qui ho sempre trovato tutto ciò di cui ho bisogno».
È anche questa l'armonia della semplicità: portare a termine nei giusti tempi e nei modi equilibrati ciò che è essenziale per vivere.
E, ovviamente, accontentarsi: «Si campava con ciò che dava la terra. Tanta polenta profumata, fatta bene, con passione, per tirarla a giusta cottura perché come per le opere d'arte a vul timp; e poi minestrone di fagioli, patate lesse, radicchio di orto, verze, rape per la brovada; e poi ancora formaggio fresco, o vecchio, e un po' di carne di gallina, ma poca, quel che basta. Nei tempi buoni c'era la mucca per il latte».
Magari lentamente, ma il mondo è cambiato anche per la signora Ines: ora ci pensano i figli a portarle le scorte di beni alimentari.
Roba semplice, senza esagerare: «Nella borsa ci buttano dentro i biscotti savoiardi, che vanno bene con il caffè e mi fanno fare bella figura con i pochi ospiti che passano da queste parti».
Muoversi per sempre da Moschiasinis, mai! Ines accetta l'invito dei familiari a trascorrere le feste natalizie e il periodo più freddo dell'anno tra San Foca e Pordenone: «Ma dopo torno, eh! Non posso chiudere baracca anch'io.
Qui c'è il mio Paradiso in terra. Sono nata tra le montagne: qui si vive e si muore. Ci si affida a Dio per qualsiasi cosa, anche soltanto come modo scaramantico: Che Diu nus vuardi dal pesu / Che Dio ci guardi dal peggio».
Ines ha trasmesso i ricordi e le tradizioni ai figli, soprattutto a Meto (Giacomo Miniutti, il cantore della vallata). Le storie devono passare di generazione in generazione. E ci si mette sempre qualcosa di nuovo. Storie che talvolta diventano leggende. Ora tocca ai nipoti.
Si sa che i racconti hanno bisogno di un'atmosfera speciale. Il posto c'è ancora, in alto per scrutare meglio l'orizzonte verso il lago. Vicino all'abitazione resiste infatti una panca di pietra (prima era in legno), per anni il luogo del raccoglimento tra i silenzi, per conversazioni e testimonianze. «Nascevano tante fantasie attorno a una domanda curiosa: chissà che cosa ci sarà oltre quelle montagne?
Un mistero per chi conosceva al massimo le numerose borgate tutt'attorno. L'ho capito solo andando in pianura a barattare le ceste fatte in casa con un po' di cibo per l'inverno. Sì, laggiù c'erano tante novità, ma nulla di importante per me. Che cosa farmene della modernità quando a Moschiasinis avevo già tutto? Il televisore l'hanno regalato anche a me.
Mi fa un po' di compagnia, ma soltanto di sera, prima di addormentarmi. Per il resto… al basta un tic (è sufficiente un po' di niente): l'aria, il sole, la luna, l'acqua... e le piccole cose che mi servono. No stracià (non sprecare!)».
Successivamente, negli anni del dopoguerra, la costruzione della diga di Redona rivoluzionò la vita degli abitanti della Valtramontina. Il lago avrebbe dovuto portare progresso e benessere per tutti: invece scompaginò numerose vite e il paesaggio per garantire l'energia necessaria all'industrializzazione lontano dalla vallata.
Le sue acque inghiottirono alcune borgate, i cui scheletri delle case riemergono ancora nei periodi di siccità. Molti residenti ne approfittarono per andarsene in cerca di miglior fortuna. Il futuro era altrove: in pianura, in giro per il mondo, non certo nelle scomode montagne, che non rendono. Ines però non vuole mollare. Resiste come silenziosa custode di tante storie della vallata.
TRAMONTI. Ines è rimasta l’ultima sentinella di una delle numerose borgate disperse nelle vallate friulane. È l'unica abitante di Moschiasinis: un pugno di abitazioni ridotte all'osso e abbandonate, dove ormai si respira soltanto passato. Lassù anche i ricordi sbiadiscono con il passare del tempo.
Pian piano, la Natura si riappropria, implacabile, delle opere fragili dell'uomo. Il municipio di Tramonti di Sotto è sei chilometri più in là, verso il passo del Rest. Sotto Natale, Ines Crovato compirà 93 anni. Un'età che non sente. La “signora dei monti” non vuole abbandonare la sua casa, perché lì è racchiusa tutta la sua vita.
Giunse da Muinta, località sull'altra sponda del fiume Meduna, quando il lago artificiale di Redona ancora non esisteva. Era pronta a coronare il grande sogno di mettere su famiglia con l'amore della vita: . Gjovanin Miniutti, un lavoro da emigrante, tra Francia e Germania, per guadagnare qualche soldo in più.
A chi va a trovarla, ripete la scarna filosofia esistenziale: «Non ho mai sentito il bisogno di altro. Qui ho sempre trovato tutto ciò di cui ho bisogno».
È anche questa l'armonia della semplicità: portare a termine nei giusti tempi e nei modi equilibrati ciò che è essenziale per vivere.
E, ovviamente, accontentarsi: «Si campava con ciò che dava la terra. Tanta polenta profumata, fatta bene, con passione, per tirarla a giusta cottura perché come per le opere d'arte a vul timp; e poi minestrone di fagioli, patate lesse, radicchio di orto, verze, rape per la brovada; e poi ancora formaggio fresco, o vecchio, e un po' di carne di gallina, ma poca, quel che basta. Nei tempi buoni c'era la mucca per il latte».
Magari lentamente, ma il mondo è cambiato anche per la signora Ines: ora ci pensano i figli a portarle le scorte di beni alimentari.
Roba semplice, senza esagerare: «Nella borsa ci buttano dentro i biscotti savoiardi, che vanno bene con il caffè e mi fanno fare bella figura con i pochi ospiti che passano da queste parti».
Muoversi per sempre da Moschiasinis, mai! Ines accetta l'invito dei familiari a trascorrere le feste natalizie e il periodo più freddo dell'anno tra San Foca e Pordenone: «Ma dopo torno, eh! Non posso chiudere baracca anch'io.
Qui c'è il mio Paradiso in terra. Sono nata tra le montagne: qui si vive e si muore. Ci si affida a Dio per qualsiasi cosa, anche soltanto come modo scaramantico: Che Diu nus vuardi dal pesu / Che Dio ci guardi dal peggio».
Ines ha trasmesso i ricordi e le tradizioni ai figli, soprattutto a Meto (Giacomo Miniutti, il cantore della vallata). Le storie devono passare di generazione in generazione. E ci si mette sempre qualcosa di nuovo. Storie che talvolta diventano leggende. Ora tocca ai nipoti.
Si sa che i racconti hanno bisogno di un'atmosfera speciale. Il posto c'è ancora, in alto per scrutare meglio l'orizzonte verso il lago. Vicino all'abitazione resiste infatti una panca di pietra (prima era in legno), per anni il luogo del raccoglimento tra i silenzi, per conversazioni e testimonianze. «Nascevano tante fantasie attorno a una domanda curiosa: chissà che cosa ci sarà oltre quelle montagne?
Un mistero per chi conosceva al massimo le numerose borgate tutt'attorno. L'ho capito solo andando in pianura a barattare le ceste fatte in casa con un po' di cibo per l'inverno. Sì, laggiù c'erano tante novità, ma nulla di importante per me. Che cosa farmene della modernità quando a Moschiasinis avevo già tutto? Il televisore l'hanno regalato anche a me.
Mi fa un po' di compagnia, ma soltanto di sera, prima di addormentarmi. Per il resto… al basta un tic (è sufficiente un po' di niente): l'aria, il sole, la luna, l'acqua... e le piccole cose che mi servono. No stracià (non sprecare!)».
Successivamente, negli anni del dopoguerra, la costruzione della diga di Redona rivoluzionò la vita degli abitanti della Valtramontina. Il lago avrebbe dovuto portare progresso e benessere per tutti: invece scompaginò numerose vite e il paesaggio per garantire l'energia necessaria all'industrializzazione lontano dalla vallata.
Le sue acque inghiottirono alcune borgate, i cui scheletri delle case riemergono ancora nei periodi di siccità. Molti residenti ne approfittarono per andarsene in cerca di miglior fortuna. Il futuro era altrove: in pianura, in giro per il mondo, non certo nelle scomode montagne, che non rendono. Ines però non vuole mollare. Resiste come silenziosa custode di tante storie della vallata.
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