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12.11.22

«Libera grazie allo sport ai ragazzi dico: provateci» Silvia Salis, atleta olimpica del lancio del martello e vicepresidente Coni Il suo libro contro gli stereotipi di genere ha vinto il premio “Gianni Mura”

   a prescindere  dal  doping  imposto e   dal doping  spontaneo ,  dalle  violenze  psicolgiche     che  certi  allenatrori o dirigenti fanno  sugli atleti  vedi recenti  scandali    L’attività sportiva è  << uno strumento sempre più importante per favorire l’emancipazione femminile >> ma  soprattutto ed è ricca  di passioni   e sogni  . 

 da la  nuova  Sardergna  



Un campo di atletica come parco giochi, una distesa enorme dove correre, saltare e sfogare un’energia incontenibile e libera di esplodere. Sembra di vederla la piccola Stella spalancare la porta di casa e correre su e giù nel giardino enorme, tuffarsi e rituffarsi nella sabbia, arrampicarsi su attrezzi e pedane. E guardare, divorare con gli occhi gli atleti – bambini e adulti – che si allenano lì ogni giorno, sulla pista rossa e nella gabbia, e a poco a poco capire che quel parco, quell’iniezione quotidiana e continua di sport, avrebbe segnato la sua vita per sempre. La piccola Stella è la protagonista del libro “La bambina più forte del mondo” e la sua storia è quella di Silvia Salis, 37 anni, che nel campo di atletica
di Villa Gentile a Genova ha vissuto da quando aveva 3 anni sino all’adolescenza. Silvia e Stella Figlia di Eugenio, il custode del campo, Silvia è andata via quando è stata convocata in Nazionale e ha iniziato a girare il mondo conquistando decine e decine di titoli nel lancio del martello e partecipando a due Olimpiadi. Oggi Silvia, originaria di Sorso «luogo del cuore, delle amicizie, dei giochi con i cugini, di tanti ricordi bellissimi – è vicepresidente vicario del Coni, prima donna a ricoprire questo ruolo. Ed è anche scrittrice: la sua Stella ha conquistato i lettori e ora anche i giudici del premio letterario intitolato a Gianni Mura, il grande giornalista sportivo, anche lui con origini sarde (di Ghilarza). Oggi a Torino (Casa Tennis a Palazzo Madama) Silvia Salis riceverà il premio per la sezione “Fuoriclasse”: la sua “Bambina più forte del mondo” è il miglior libro di letteratura sportiva per ragazze e ragazzi. «Un onore, perché Gianni Mura ha raccontato lo sport, le imprese e le persone. con uno stile unico e ineguagliabile. Ed è bellissimo ricevere questo premio per un libro che racconta la mia storia, con il quale voglio trasmettere un messaggio». Maschi e femmine La storia di Stella è la storia di Silvia, è la favola di una bambina cocciuta che riesce a svettare in uno sport riservato fino al Duemila solo agli uomini. È un libro-manifesto sulla parità di genere nello sport, contro luoghi comuni che troppo spesso ancora tarpano le ali e uccidono i sogni di ragazzi e ragazze. «Mi sono sentita dire “lascia perdere” con il lancio del martello diventerai un maschio, non avrai mai un fisico e una bellezza femminile – dice Silvia Salis – io non ho dato retta e sono andata avanti, seguendo il mio istinto e la mia passione. E sono stata fortunata perché la mia famiglia mi ha sempre lasciato libera. Se i miei genitori avessero ceduto agli stereotipi “delle cose da maschio e da femmina” magari avrei indossato un tutù e fatto danza con poca voglia. Non avrei ottenuto i risultati di cui vado fiera, non avrei avuto la possibilità di raggiungere obiettivi importanti. Questo dico nel libro e questo racconto ogni volta che ho l’opportunità di confrontarmi con
adolescenti e genitori. C’è la tendenza da parte delle famiglie a fare percorrere ai figli le strade che sembrano più “sicure” perché rientrano nel concetto di “normalità”: succede per esempio che un ragazzo venga spinto a fare calcio anche se il pallone non è nelle sue corde e la ragazzina che si sente portata per una disciplina in cui dominano i maschi – come la lotta, lo judo o il rugby – venga dirottata da un’altra parte. In realtà – dice Silvia – è importante assecondare le inclinazioni di ciascuno, non
importa se si viene etichettati come “strani” o “stravaganti”: chi se ne importa dei giudizi altrui, le strade meno sicure sono quelle che possono dare soddisfazioni enormi. Io facevo salto in lungo ma il martello era una calamita. Avevo un fisico esile per quel tipo di attività, ma il mio allenatore Walter Superina ha visto qualcosa in me. È stata una folgorazione, una svolta, ero nel mio mondo. Ai bambini dico “provateci” , inseguite la strada che sentite vostra». Lo sport per affermarsi La favola nella favola, nella storia di Stella-Silvia, è quella di una bambina che non ha grandi mezzi eppure supera ogni ostacolo. «Ero la figlia del custode del campo di atletica – ricorda Silvia – la mia casa era lì dentro. E questa è stata la mia fortuna più grande perché grazie allo sport sono riuscita a ottenere rinoscimenti altrimenti impossibili». Non solo le medaglie, la gloria dei tanti titoli conquistati in giro per il mondo «ma una vera e propria emancipazione: senza lo sport non sarei qui, non sarei stata scelta per ricoprire un ruolo così importante nel Coni. Lo sport è fondamentale nella consapevolezza femminile e nello sviluppo dell’indipendenza, nell’affermazione di sè. Io sento di essere profondamente debitrice verso lo sport, anche per questo cerco di restituire quello che ho avuto». Le donazioni Silvia Salis ha un rapporto speciale con l’ospedale Gaslini. «È una eccellenza della mia città e della sanità italiana, che è doveroso sostenere». Già due anni fa Silvia e il marito, il regista Fausto Brizzi, hanno aperto in occasione del matrimonio una raccolta fondi su GoFundMe a favore del Gaslini e il regista ha devoluto all’ospedale il cachet per lo spot della Liguria. Non solo: la storia di Stella, bambina coraggiosa, è stata presentata in anteprima lì e il ricavato delle vendite del libro alimenta la ricerca e le cure per altri bambini.
Silvia Salis è nata a Genova il 17 settembre del 1985. Suo padre Eugenio, originario di Sorso, era il custode del campo di atletica Villa Gentile. È lì che Silvia ha iniziato a praticare attività sportiva, sino a diventare campionessa di lancio del martello, vincitrice di 22 titoli italiani (9 seniores, 3 universitari e 10 giovanili). Ha iniziato a praticare atletica leggera nel 1993, a 8 anni. Ha provato un po' tutte le specialità e si stava specializzando nel salto in lungo (a 9 anni saltava 3,70 metri): poi verso i 13 anni ha provato i lanci con il martello ottenendo risultati eccezionali con il supporto di Valter Superina, ex martellista che l'ha allenata per molti anni. Ha partecipato alle Olimpiadi in Cina nel 2008 e a Londra nel 2012 e detiene 2 delle 20 migliori prestazioni italiane femminili all time nel lancio del martello, lerestanti se le ripartiscono la primatista italiana Ester Balassini (10) e Clarissa Claretti (8). A 30 anni ha lasciato poco prima delle Olimpiadi in seguito a un infortunio. ] Il 6 novembre 2016 è stata eletta nel Consiglio Federale della Fidal, Federazione italiana atletica leggera. Nel 2017 è stata eletta nel Consiglio nazionale del CONI, il Comitato Olimpico Italiano e nel 2021 è stata eletta vicepresidente vicario. Nel novembre del 2020 – in piena pandemia – Silvia Salis ha sposato in Campidoglio il regista romano Fausto Brizzi. «La bambina più forte del mondo», pubblicato nel gennaio 2002, è il suo primo libro


7.8.12

oltre il nuoto , il canottaggio , adesso anche l'atletica ? ma che ..... sto succedendo stanno prevalendo le armi ?

 dovremo ricominciare  da capo  se  vogliamo riprenderci sport  in cui   eravamo  eccelsi  e  (  fncl ai miei dettrattori   via@ ) e non essere  ricordati solo  ,  sport  per altro eccelsi e degni di rispetto  anche se  veicolo ( poi  ovviamente dipende  dalle persone  ) di una cultura  guerriera   e guerrafondaia   , per  sport  d'armi  .
 Leggendo questo articolo   tratto da http://www.repubblica.it/speciali/olimpiadi/londra2012/ che   riporto  qui sotto  

Fidal, fallimento da 15 milioni

Il caso Schwarzer è solo l'ultimo episodio negativo per una federazione che da anni non produce più atleti di valore. Eppure i finanziamenti non mancano


dall'inviato ENRICO SISTI

LONDRA - Giochi sì, ma proibiti, squallidi. Quello che colpisce è lo stupore. Quello che emerge è la disperazione. Che pena tutta questa storia. Il numero uno dell'atletica italiana, l'unica ragionevole speranza che avevamo (se Donato non ci smentisce) di conquistare un'oro nell'atletica a queste Olimpiadi che si sono tinte di un azzurro acido, un giorno decide che non è abbastanza quello che fa, che ha, che è. All'atletica italiana mancava proprio questa ciliegia guasta sulla torta spappolata delle sue colpe. Quando è arrivata la telefonata, il pacco bomba, la buona novella che Schwazer era un appestato qualunque, che era paragonabile a un qualunque atleta della vecchia Ddr, che era caduto vittima dei fraudolenti consigli dei suoi amici russi marciatori, sempre stando al racconto cui dobbiamo credere, i volti del dt Uguagliati, l'amarezza del presidente Arese, lo stato depressivo del team manager Morini facevano venire una stretta al cuore. Era come se l'intero staff dirigenziale si fosse messo sui blocchi di partenza per i 100 metri e allo sparo dello starter i blocchi gli fossero scivolati sulla pista mandandolo faccia a terra. Impotenza. Incredulità. A Helsinki non sapevano cosa dire della costosa e infruttuosa trasferta in Florida avallata per tre atleti che tuttora risultano agonisticamente dispersi (Licciardello, Galvan e Grenot). A Londra non sapevano che il loro numero uno in realtà era il dott. Mortimer e che mentre loro lo aspettavano fiduciosi per la 50 klm di marcia lui, al riparo dagli occhi del mondo, trafficava con gli aghi in una cabina telefonica per diventare Superalex, l'insuperabile. Mentre da un'altra parte del mondo si vivono momenti gioiosi, le lacrime di Sanchez, l'amicizia fra Rupp e Mo Farah dominatori dei 10000, la grandezza di Bolt, la festa, i colori, la passione, l'emozione, la Fidal, come tutto lo sport italiano (le medaglie non contano, sono un'illusione per chi crede che lo sport cominci ad alto livello) vive la sua vita alla rovescia, da vaso di coccio, da azienda che non può prendersi più alcuna responsabilità, non può vigilare, non può contare sui propri dipendenti, non riesce a stipendiare preparatori, non trova nemmeno il tempo di ricostruire il capannone dell'Acquacetosa messo su nel '70 da Carlo Vittori per allenare Mennea nei giorni di pioggia. Insomma non comunica più con quelli che dovrebbero tradurre gli investimenti in risultati e con la base. Sono tutti rapporti saltati. Nel bene come nel male. Il Coni assegna ancora alla Fidal una cifra che ruota attorno ai 15 milioni di euro l'anno (per difetto). Evidentemente son soldi che non servono a niente. Non si capisce dove finiscano. Non riescono a ristrutturare campi d'allenamento, non parlano con le scuole, non organizzano corsi per aggiornamento tecnico (perché non un bel seminario di Clyde Hart, l'ex coach di Michael Johnson?), si sono da tempo liberati dei centri di raccolta dei bambini, aspettano che siano le singole società a mandare avanti la carretta, o che qualche atleta indipendente, allenato da tecnici "esterni" oppure in pensione dal loro vero lavoro, trovino l'occasione per mettersi in mostra, o ancora immaginano che i gruppi militari possano sopperire alle vistose carenze del sistema. Del resto anche l'Eden delle caserme formative è diventato un prataccio incolto, se è vero che è stato proprio un carabiniere, il carabiniere Alex Schwazer, ad aprirsi la strada verso l'illegalità. Verso il precipizio. Alla fine del quale non c'è più atletica. Non c'è più dignità. Non c'è più vita. 



 , per  me  è acqua  calda    avendo  fratello  che ha  praticato (  poi  ha dovuto mollare per  motivi  di salute  )  l'atletica  a livello agonistico .
Mi chiedo  perchè   gettiamo via   sia  nell'atletica  ( ricordo ancora  direttamente   ed  indirettamente  , i mennea  , i cova  , i simeoni ,  gli antibo  , i da Milan o , I bordin  , ecc  )    sia nel canottaggio \  canoa   (  ricordo ancora   anche s'ero bambino  alle  olimpiadi    degli anni  '80  e  90   gli Abbagnale e  company    )   , nel  nuoto , un patrimonio di valori , di medaglie   , record  , sofferenze  , sacrifici  . 
Ora  molti  di  voi   si chiederanno se  mi sto  contraddicendo con quanto   scrissi   su  Valeria Straneo
. No cari . Non mi sto  contraddicendo  , perchè  certo che   le  medaglie   fanno sempre piacere   , ma  non importa   se  non arrivano medaglie   l'importante    è  lottare  con le  proprie  forze  (  vedere   il finale  di  Running 1979  con Michael Douglas , ma  usare  il  doping  e  il lasciarsi andare   ( vedere  la  finale  dei  3 mila siepi maschile
da  http://www.outdoorblog.it/post/13003/

 dove il nostro Floriani,  erano troppo  forti  va bene  , e magari non ce la  faceva ad  arrivare  a medaglie  , ma  ha  rinunciato a lottare   cosa  che invece  ha fatto nella semi finale dove a veva tenuto  resta  ai campioni arrivando  secondo  .


«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...