Visualizzazione post con etichetta passioni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta passioni. Mostra tutti i post

22.7.23

Riccardo Serra, 17 anni e un sogno «La vita affascinante del fachiro» Dai primi spettacoli casalinghi da bambino ai numeri nelle piazze di fronte alle famiglie

  da  la  nuova  sardegna del 22\7\2023
Olbia
 Forse in cuor suo lo sa, quando mette davanti quel largo sorriso candido, che ha fatto una scelta anacronistica ma anche tremendamente romantica. Riccardo Serra ha 17 anni, è originario di Arzachena, viene dalla minuscola frazione di Monticanaglia, e alla voce “sogni per il futuro” è deciso: «voglio fare il circo». In realtà è già un artista circense a tutto tondo.

 Da qualche anno, infatti, ha conosciuto la famiglia di Priamo Casu, ultimi eredi della dinastia del circo sardo, e ha chiesto di diventarne allievo. Oggi, Riccardo è il fachiro della piccola carovana che gira le piazze dell’isola La fascinazione per i numeri in scena nasce da piccolo, quando Riccardo era uno dei
tanti bambini che sedevano di fronte al tappeto rosso e alla scenografia di strada degli spettacoli di 
Priamo, della moglie Paola e della figlia Shamira. Rimaneva incantato ogni volta, poi tornava a casa, si vestiva con colori accesi e provava a imitare i suoi idoli davanti ai genitori. Da qui la decisione di passare dall’altra parte, dalla platea al buio al centro della scena illuminato dai fari. «Ho conosciuto Priamo e la sua famiglia quattro anni fa – racconta Riccardo divertito –. Volevo mi insegnassero qualcosa». Affare fatto: diventaa tutti gli effetti un allievo del circo sardo, comincia come assistente del clown, che poi era il capofamiglia col nome di “Pompelmo”. Chiedete ai bambini di oggi e di ieri, riconosceranno subito il  divertente personaggio. Aspirante fachiro «Purtroppo o per fortuna, imparare l’arte circense richiede disciplina e volontà – dice Casu – ma Riccardo in questo è un caso eccezionale». Sì, il giovane ora è praticamente il jolly del gruppo, che si è arricchito anche della presenza di Eric, fidanzato di Shamira. «Da piccolo osservavo i numeri da mangiafuoco di Paola ed è una delle prime cose che ho voluto imparare. Ora ci riesco: passo il fuoco sulla pelle, in bocca, è una tecnica che va allenata». Niente trucchi con aghi, carboni ardenti o altre prove di resistenza: è pur sempre un circo che allieta i più piccoli. «Che bella vita» Nelle espressioni e nella voce di Riccardo, mentre si racconta, c’è incredibile garbo, entusiasmo, purezza d’animo.Di sicuro, è una personalità che colpisce subito, a primo impatto. Prima faceva avanti indietro da casa per andare a lezione dalla famiglia circense, che vive a Olbia nella frazione di Putzolu. Ora passa molto più tempo da loro, il suo alloggio è una roulotte e Priamo e Paola li chiama «zii». 

 

Alla domanda su che vita stia vivendo, risponde pronto: «affascinante. Ci vuole tempo e fatica per imparare a fare tutto, però poi quando vai in scena e la gente ti applaude, è la sensazione più bella di tutte». La storia e il futuro La storia del circo sardo, più che una storia, è un’epopea. Nato negli anni ’50 del secolo scorso dalla famiglia di Priamo Casu, il padre Piero varcò i confini isolani e finì persino in tv sulla Rai. In tempi recenti, la compagnia famigliare ha vissuto tra alti e bassi, questi ultimi acuiti nel periodo del covid e dello stop agli spettacoli dal vivo. Questa estate è fitta di appuntamenti, ma anche qui spicca l’episodio di lunedì scorso, quando i circensi sono stati mandati via dalla piazza di San Pantaleo dai vigili e con i bambini già seduti che si sono messi a piangere. Parentesi meno bella, ma anche questa è vita da circo. 
Riccardo e la mamma Patrizia Poma posano con un pitone dopo uno spettacolo

Si vive di precarietà, o meglio: di avventura. È un salto nel vuoto ed è meglio tenersi pronti, «vorrei imparare gli esercizi al trapezio».
Va bene, i genitori sonosempre di parte, ma loro giurano: «non è questo il caso. Quando diciamo che Riccardo è un ragazzo speciale è perché praticamente da sempre ce lo sentiamo dire da chi lo conosce.
Chi guarda gli spettacoli, chi lo frequenta a San Pantaleo, chi lo vede per la prima volta». Mamma e papà sono fieri: di più, sono fiduciosi che la scelta giusta sia far seguire a Riccardo il proprio istinto e la propria indole artistica. Willer Serra la prende larga, non si limita al lato circense: «è proprio un creativo in tutto. Ha tantissime passioni e tanta curiosità, pensa – ricorda, e lo racconta come fosse una delle cose più normali del mondo – che durante il covid gli è venuta voglia di imparare a fare il formaggio e gli ho comprato una capra. In generale, ha sempre ammaestrato e giocato con tutti gli animali in casa, dagli uccellini ai conigli». La mamma, Patriza Poma, ricorda quando anni fa portava i figli, Riccardo, il fratello più grande e la sorellina, agli spettacoli del circo. «Poi a casa Riccardo li
imitava. In particolare Shamira con gli hul hoop – così lei – e nella tavernetta ci chiamava per assistere ai suoi spettacoli». Ora i genitori sono quasi sempre in prima fila. «Ieri sera hanno fatto tappa a Cugnana, attorno a me la gente non sapeva chi fossimo eppure i commenti erano bellissimi. Che emozione». I genitori ci tengono al futuro: «vediamo grandi cose per lui, ma prima di tutto non deve mollare la scuola. Lo sosteniamo e siamo pronti a sostenerlo anche se volesse andare a studiare fuori, in una grande scuola di circo». Per ora il pubblico di locali e turisti in giro per il nord dell’isola sta imparando a conoscerlo, tra una fiammata che esce dalle labbra e un numero di musica

15.1.23

sara deiana la signora delle monete

 


Applausi, sorrisi, strette di mano. Lei al centro della sala, gli occhi di tutti puntati addosso e uno sguardo più importante degli altri, quello di mamma Rosalba, carico di orgoglio e approvazione. È in quel momento che Sandra Deiana capisce che la sua strada è tracciata, non ci sono più dubbi. È il 2016, Sandra ha 26 anni ed è a Dublino alla cerimonia organizzata dalla Central Bank of Ireland per presentare la moneta d’argento da 10 euro realizzata per commemorare Eileen Gray, designer e

architetto irlandese. Sandra è lì da protagonista, perché è lei l’artista ad avere dato vita alla prima moneta dedicata a una donna, una professionista molto importante per l’Irlanda al punto che la sua moneta celebrativa da quel giorno è esposta al Museo nazionale di Dublino, al quale la Banca l’ha donata. In quei momenti, Sandra Deiana capisce che è giusto accarezzare i sogni, anche perché a volte non restano così per sempre. Sei anni dopo, ci sono le iniziali S.D. incise nella moneta Britannia 2022, l’ultima moneta commemorativa della regina Elisabetta II, scomparsa a settembre dopo 70 anni di regno: è Sandra, oggi 32enne, la prima artista italiana a firmare una moneta per il Regno Unito dopo più di 150 anni. Lei, nata a Cagliari e cresciuta a Settimo San Pietro, è “una donna semplice che fa cose straordinarie”: per questo, per il suo enorme talento, a dicembre ha ricevuto il prestigioso riconoscimento Standout Woman Award a Palazzo Montecitorio. A Roma, La moneta per terra C’è un episodio dell’infanzia che Sandra ricorda con chiarezza, in ogni dettaglio. «Avevo sette anni, ero con mio padre Vittorio a Costa Rei, in un terreno dove d’estate facevamo il campeggio. Mio padre stava facendo dei lavori e scavando per terra, quando all’improvviso è saltata fuori una moneta. Ricordo perfettamente il gesto di mio padre che con la mano la ripuliva dalla terra. Era d’argento, molto bella, risalente al 1700 e probabilmente legata alla dominazione spagnola. La portammo a casa, dove la teniamo ancora. Io rimasi molto affascinata». Passano gli anni e Sandra conclude gli studi al Liceo Artistico di Cagliari, poi dopo la maturità si iscrive a Roma all’Accademia delle Belle Arti. Nella Capitale vivrà per 10 anni, l’Accademia invece l’abbandonerà dopo due, perché non era la scuola giusta
per lei. «Vengo a sapere di un bando alla Scuola dell’Arte della Medaglia, l’istituto della Zecca di Stato, nata nel 1907 per volere del re Vittorio Emanuele III. Ammettono solo 12 studenti per ogni triennio, ci provo e passo la selezione. Non è facile spiegare ai miei genitori che lascerò l’Accademia: vengo da una famiglia umile che per farmi studiare fa tanti sacrifici e sogna di vedermi laureata. Ma l’idea di disegnare monete è una calamita, non so ancora che farò da grande ma so che ripenso spesso a quella moneta trovata con mio padre quando ero bambina». Gli studi a Roma Nell’elegante palazzo in via Principe Umberto, quartiere Esquilino, si formano disegnatori e di monete e incisori. Per Sandra Deiana è un triennio intensissimo durante il quale la sua passione si conferma e si fortifica e lei si mette in evidenza per il grande talento. Tra le insegnanti c’è Uliana Pernazza, docente di modellazione e incisore della Zecca di Stato dove nacque la sua passione e i suoi primi bozzetti. Dove tutto iniziò. La moneta per terra C’è un episodio dell’infanzia che Sandra ricorda con chiarezza, in ogni dettaglio. «Avevo sette anni, ero con mio padre Vittorio a Costa Rei, in un terreno dove d’estate facevamo il campeggio. Mio padre stava facendo dei lavori e scavando per terra, quando all’improvviso è saltata fuori una moneta. Ricordo perfettamente il gesto di mio padre che con la mano la ripuliva dalla terra. Era d’argento, molto bella, risalente al 1700 e probabilmente legata alla dominazione spagnola. La portammo a casa, dove la teniamo ancora. Io rimasi molto affascinata». Passano gli anni e Sandra conclude gli studi al Liceo Artistico di Cagliari, poi dopo la maturità si iscrive a Roma all’Accademia delle Belle Arti. Nella Capitale vivrà per 10 anni, l’Accademia invece l’abbandonerà dopo due, perché non era la scuola giusta per lei. «Vengo a sapere di un bando alla Scuola dell’Arte della Medaglia, l’istituto della Zecca di Stato, nata nel 1907 per volere del re Vittorio Emanuele III. Ammettono solo 12 studenti per ogni triennio, ci provo e passo la selezione. Non è facile spiegare ai miei genitori che lascerò l’Accademia: vengo da una famiglia umile che per farmi studiare fa tanti sacrifici e sogna di vedermi laureata. Ma l’idea di disegnare monete è una calamita, non so ancora che farò da grande ma so che ripenso spesso a quella moneta trovata con mio padre quando ero bambina». Gli studi a Roma Nell’elegante palazzo in via Principe Umberto, quartiere Esquilino, si formano disegnatori e di monete e incisori. Per Sandra Deiana è un triennio intensissimo durante il quale la sua passione si conferma e si fortifica e lei si mette in evidenza per il grande talento. Tra le insegnanti c’è Uliana Pernazza, docente di modellazione e incisore della Zecca di Stato uno dei pochissimi, un’eccellenza assoluta che proprio in quella scuola si è specializzata: «Mi insegna l’arte del design e del rilievo, mi porta dentro il suo mondo, inizio a capire che appartiene anche a me». La permanenza nella scuola si prolunga oltre il triennio: grazie alle sue capacità Sandra vince una borsa di studio biennale a cui si aggiungono 12 mesi ulteriori. «Resto 6 anni e sono ancora lì quando partecipo al concorso della Central Bank of Ireland: con mio grande stupore vengo selezionata e lo vinco». La carriera È Dublino il luogo della svolta, interiore e professionale. Nonostante lo scetticismo di tanti: «Mi dicevano che difficilmente disegnare medaglie sarebbe diventato un lavoro, perché entrare nella Zecca italiana è complicato e nel nostro Paese non c’è un mercato privato. In effetti la maggior parte degli studenti della Scuola della medaglia abbraccia altre carriere grazie alle competenze acquisite nei corsi di oreficeria, sbalzo e cesello. Una delle pochissime coin designer free lance è Chiara Principe, allieva della scuola prima di me: siamo diventate amiche e nel 2019 siamo state invitate al Shanghai Coin design forum & award, evento internazionale organizzato da Shanghai Mint per rafforzare gli scambi sul design di monete nel mondo. Eravamo tre dall’Italia: io, Chiara e Loredana Pancotto». A Shangai Sandra arriva dopo un’altra esperienza entusiasmante negli Stati Uniti: «Nel 2018 ho frequentato il corso di specializzazione tenuto da Heidi Wastweet in South Carolina, una medaglista molto affermata da cui ho imparato tantissimo e che mi ha fatto innamorare dell’America, dove un giorno spero di trasferirmi». La Britannia 2022 Nel 2021 Sandra Deiana viene invitata dalla Royal Mint, con cui collabora, a partecipare insieme ad altri artisti alla selezione per la Britannia 2022, la moneta commemorativa che rappresenta l’identità della nazione. «Ovviamente dico sì e mi indicano il tema scelto: “Le tre età della donna, ispirato al dipinto di Gustav Klimt del 1905». Per diversi giorni il foglio resta bianco e l’idea inizia a prendere forma nella testa di Sandra. «Un pomeriggio sento di avere l’ispirazione giusta e la bozza viene fuori. Quando Simone, il mio ragazzo, rientra a casa, gliela faccio vedere. Poi guardiamo il telegiornale e scopriamo che è il compleanno della Regina: è il 21 aprile. È fantastico che l’ispirazione mi sia venuta proprio quel giorno». Ed è una ispirazione vincente, perché il bozzetto di Sandra viene scelto: sarà lei a realizzare la Britannia 2022 con la sua interpretazione delle tre età della donna. «Ho scelto di rappresentare la Britannia che passa dall’infanzia alla maturità: bambina, per raffigurare la nazione alla nascita, pacifica e con l’ulivo sui capelli, adulta con l’elmo sulla testa in una immagine classica, e la Britannia ai giorni nostri, donna anziana ma moderna ed elegante che porta sulle spalle la bandiera del Paese ». La Britannia 2022 è stata emessa l’8 marzo in una serie in oro e argento: sarà l’ultima ad avere sul retro l’effige della Regina. «Per me è un’emozione incredibile, sono orgogliosa di essere stata scelta per rappresentare attraverso la moneta l’identità di una nazione che non è la mia». Ma la vittoria per Sandra è stata doppia: la Royal Mint dopo avere scelto il suo disegno le ha infatti chiesto di realizzare anche il modello. Lei è uno dei pochi coin designer che non si avvale della tecnologia 3D ma fa la modellazione manuale tradizionale con il gesso. Un’arte imparata a Roma, alla Scuola della Medaglia, dove tutto iniziò.

19.11.22

Martina Bernile: "Ero direttrice alle poste, ho lasciato tutto per l'Europeo

L'italiana contro la francese Lallemand. Il sogno inseguito a costo di sacrificare il posto fisso ("Ferie e permessi a New York per fare esperienza"), la nuova vita ("Ho aperto una palestra"), l'amore per gli animali. Il match in diretta sul nostro sito a partire dalle 20,30

 L’impiego alle Poste. L’immaginario collettivo, sensazione giusta o sbagliata che sia, lo associa a una vita tranquilla, magari senza picchi ma stabile. E se poi si diventa addirittura direttrice di una filiale, che volere di più dalla vita? “Nel mio caso ci si è messa di mezzo la boxe e allora ho mollato tutto per inseguire il mio sogno”. Martina Bernile, 34 anni, novarese (“Genitori napoletani, sennò mio padre chi lo sente”), stasera combatte il match più importante della carriera. Titolo europeo dei pesi mosca contro la francese Justine Lallemand, diretta live streaming su Repubblica.it a partire dalle 20.30.Se non ci fosse tanto altro (“Amo tutti i cani del mondo, ho due amstaff, Kora e Chavez, li porto anche sui pantaloncini quando combatto”), verrebbe da dire una vita tra ring e uffici postali: “Concorso a 20 anni, entro, lavoro tanto tempo al centro di smistamento. Mi permetteva di fare il turno di notte, così di giorno potevo allenarmi. Peccato che ogni tanto dovessi anche dormire…”. Poi la decisione fi cambiare tutto: “E’ stata una scelta forte ma con delle basi sotto. Mi sono sposata e sono andata in Sicilia, con mio marito, un ex della kickboxing, e abbiamo aperto una palestra a Mazara del Vallo. E’ stato un successo, sei anni intensissimi a formare ragazzi. Poi dopo la pandemia siamo tornati a Milano per un’altra scommesse di questo tipo, per la precisione a Cassano d’Adda”.In Italia la boxe femminile sta costantemente guadagnandosi spazio: “Ma non siamo in America, dove c’è una spinta importante, anche mediatica. Lo posso
dire con cognizione di causa,
 per tre anni le mie ferie erano per andare a New York e fare esperienza sul ring”. Una crescita del movimento andata a braccetto con Martina:  “Da piccolina ero una bambina frenetica, dovevo scaricare tanta energia. Ho provato tantissimi sport ma non ce n’era uno che mi catturasse. Poi mio padre mi ha portato in palestra e ho sbroccato”. Talmente giovane da dover pazientare: “Avevo 15 anni, e si parla di un’epoca in cui le atlete erano pochissime. Purtroppo non potevo fare la boxe perché ero minorenne, quindi praticavo anche altri sport di combattimento”.
Insomma, una sorta di suffragetta, con un match talismano tra i dilettanti: “Ho affrontato la grandissima Simona Galassi (super campionessa della boxe italiana, ndr), una signora dentro e fuori dal ring. E ovviamente ci ho perso. Ma che esperienza eccezionale”.  Piedi ben piantati per terra, metaforicamente (“Ma sognare non costa nulla, e sarebbe bello fare un match con il pubblico che va a vedere Katie Taylor”), e pugilisticamente: “Il mio alias, ‘Little Tank’, me lo ha dato mio marito. Sono piccolina, compatta. Tendo ad andare a cercare le mie avversarie, ma se occorre so anche girare al largo. La mia avversaria è più alta di me, ci completiamo per fare un grande match”. Tradotto: la andrà a cercare, Justine è avvertita.

12.11.22

«Libera grazie allo sport ai ragazzi dico: provateci» Silvia Salis, atleta olimpica del lancio del martello e vicepresidente Coni Il suo libro contro gli stereotipi di genere ha vinto il premio “Gianni Mura”

   a prescindere  dal  doping  imposto e   dal doping  spontaneo ,  dalle  violenze  psicolgiche     che  certi  allenatrori o dirigenti fanno  sugli atleti  vedi recenti  scandali    L’attività sportiva è  << uno strumento sempre più importante per favorire l’emancipazione femminile >> ma  soprattutto ed è ricca  di passioni   e sogni  . 

 da la  nuova  Sardergna  



Un campo di atletica come parco giochi, una distesa enorme dove correre, saltare e sfogare un’energia incontenibile e libera di esplodere. Sembra di vederla la piccola Stella spalancare la porta di casa e correre su e giù nel giardino enorme, tuffarsi e rituffarsi nella sabbia, arrampicarsi su attrezzi e pedane. E guardare, divorare con gli occhi gli atleti – bambini e adulti – che si allenano lì ogni giorno, sulla pista rossa e nella gabbia, e a poco a poco capire che quel parco, quell’iniezione quotidiana e continua di sport, avrebbe segnato la sua vita per sempre. La piccola Stella è la protagonista del libro “La bambina più forte del mondo” e la sua storia è quella di Silvia Salis, 37 anni, che nel campo di atletica
di Villa Gentile a Genova ha vissuto da quando aveva 3 anni sino all’adolescenza. Silvia e Stella Figlia di Eugenio, il custode del campo, Silvia è andata via quando è stata convocata in Nazionale e ha iniziato a girare il mondo conquistando decine e decine di titoli nel lancio del martello e partecipando a due Olimpiadi. Oggi Silvia, originaria di Sorso «luogo del cuore, delle amicizie, dei giochi con i cugini, di tanti ricordi bellissimi – è vicepresidente vicario del Coni, prima donna a ricoprire questo ruolo. Ed è anche scrittrice: la sua Stella ha conquistato i lettori e ora anche i giudici del premio letterario intitolato a Gianni Mura, il grande giornalista sportivo, anche lui con origini sarde (di Ghilarza). Oggi a Torino (Casa Tennis a Palazzo Madama) Silvia Salis riceverà il premio per la sezione “Fuoriclasse”: la sua “Bambina più forte del mondo” è il miglior libro di letteratura sportiva per ragazze e ragazzi. «Un onore, perché Gianni Mura ha raccontato lo sport, le imprese e le persone. con uno stile unico e ineguagliabile. Ed è bellissimo ricevere questo premio per un libro che racconta la mia storia, con il quale voglio trasmettere un messaggio». Maschi e femmine La storia di Stella è la storia di Silvia, è la favola di una bambina cocciuta che riesce a svettare in uno sport riservato fino al Duemila solo agli uomini. È un libro-manifesto sulla parità di genere nello sport, contro luoghi comuni che troppo spesso ancora tarpano le ali e uccidono i sogni di ragazzi e ragazze. «Mi sono sentita dire “lascia perdere” con il lancio del martello diventerai un maschio, non avrai mai un fisico e una bellezza femminile – dice Silvia Salis – io non ho dato retta e sono andata avanti, seguendo il mio istinto e la mia passione. E sono stata fortunata perché la mia famiglia mi ha sempre lasciato libera. Se i miei genitori avessero ceduto agli stereotipi “delle cose da maschio e da femmina” magari avrei indossato un tutù e fatto danza con poca voglia. Non avrei ottenuto i risultati di cui vado fiera, non avrei avuto la possibilità di raggiungere obiettivi importanti. Questo dico nel libro e questo racconto ogni volta che ho l’opportunità di confrontarmi con
adolescenti e genitori. C’è la tendenza da parte delle famiglie a fare percorrere ai figli le strade che sembrano più “sicure” perché rientrano nel concetto di “normalità”: succede per esempio che un ragazzo venga spinto a fare calcio anche se il pallone non è nelle sue corde e la ragazzina che si sente portata per una disciplina in cui dominano i maschi – come la lotta, lo judo o il rugby – venga dirottata da un’altra parte. In realtà – dice Silvia – è importante assecondare le inclinazioni di ciascuno, non
importa se si viene etichettati come “strani” o “stravaganti”: chi se ne importa dei giudizi altrui, le strade meno sicure sono quelle che possono dare soddisfazioni enormi. Io facevo salto in lungo ma il martello era una calamita. Avevo un fisico esile per quel tipo di attività, ma il mio allenatore Walter Superina ha visto qualcosa in me. È stata una folgorazione, una svolta, ero nel mio mondo. Ai bambini dico “provateci” , inseguite la strada che sentite vostra». Lo sport per affermarsi La favola nella favola, nella storia di Stella-Silvia, è quella di una bambina che non ha grandi mezzi eppure supera ogni ostacolo. «Ero la figlia del custode del campo di atletica – ricorda Silvia – la mia casa era lì dentro. E questa è stata la mia fortuna più grande perché grazie allo sport sono riuscita a ottenere rinoscimenti altrimenti impossibili». Non solo le medaglie, la gloria dei tanti titoli conquistati in giro per il mondo «ma una vera e propria emancipazione: senza lo sport non sarei qui, non sarei stata scelta per ricoprire un ruolo così importante nel Coni. Lo sport è fondamentale nella consapevolezza femminile e nello sviluppo dell’indipendenza, nell’affermazione di sè. Io sento di essere profondamente debitrice verso lo sport, anche per questo cerco di restituire quello che ho avuto». Le donazioni Silvia Salis ha un rapporto speciale con l’ospedale Gaslini. «È una eccellenza della mia città e della sanità italiana, che è doveroso sostenere». Già due anni fa Silvia e il marito, il regista Fausto Brizzi, hanno aperto in occasione del matrimonio una raccolta fondi su GoFundMe a favore del Gaslini e il regista ha devoluto all’ospedale il cachet per lo spot della Liguria. Non solo: la storia di Stella, bambina coraggiosa, è stata presentata in anteprima lì e il ricavato delle vendite del libro alimenta la ricerca e le cure per altri bambini.
Silvia Salis è nata a Genova il 17 settembre del 1985. Suo padre Eugenio, originario di Sorso, era il custode del campo di atletica Villa Gentile. È lì che Silvia ha iniziato a praticare attività sportiva, sino a diventare campionessa di lancio del martello, vincitrice di 22 titoli italiani (9 seniores, 3 universitari e 10 giovanili). Ha iniziato a praticare atletica leggera nel 1993, a 8 anni. Ha provato un po' tutte le specialità e si stava specializzando nel salto in lungo (a 9 anni saltava 3,70 metri): poi verso i 13 anni ha provato i lanci con il martello ottenendo risultati eccezionali con il supporto di Valter Superina, ex martellista che l'ha allenata per molti anni. Ha partecipato alle Olimpiadi in Cina nel 2008 e a Londra nel 2012 e detiene 2 delle 20 migliori prestazioni italiane femminili all time nel lancio del martello, lerestanti se le ripartiscono la primatista italiana Ester Balassini (10) e Clarissa Claretti (8). A 30 anni ha lasciato poco prima delle Olimpiadi in seguito a un infortunio. ] Il 6 novembre 2016 è stata eletta nel Consiglio Federale della Fidal, Federazione italiana atletica leggera. Nel 2017 è stata eletta nel Consiglio nazionale del CONI, il Comitato Olimpico Italiano e nel 2021 è stata eletta vicepresidente vicario. Nel novembre del 2020 – in piena pandemia – Silvia Salis ha sposato in Campidoglio il regista romano Fausto Brizzi. «La bambina più forte del mondo», pubblicato nel gennaio 2002, è il suo primo libro


28.11.21

Il fabbro-musicista che ama i Beatles e i Rolling Stones «In laboratorio le mie passioni: jam session tra morse e saldatrici»



    da  https://www.unionesarda.it/carta/

Nel cuore della Marina, in via Dettori, spunta il laboratorio di Giovanni Polla, uno degli ultimi fabbri rimasti a Cagliari. Infanzia trascorsa a Laconi sino ai 12 anni, da trent'anni è uno dei volti riconoscibili del rione anche perché è un musicista. Il suo laboratorio è illuminato da una luce fioca, contraddistinto da due archi a mattoni e in pietra, oltre che da un soffitto in legno costituito da tronchi di zinnibiri. Tutto parla del suo mestiere e al suo interno sembra che il tempo si sia fermato: trapani a colonna, ercoline per

piegare i tubi, piegatrici per le lamiere, troncatrici, saldatrici a filo continuo, forgia a propano, pinze, punzonatrici, forbici, taglia tubi, morsetti, soffietti sono alcuni dei macchinari che usa giornalmente per le sue creazioni. «Per me il fabbro non è mai stato solo una professione ma una passione ereditata da mio nonno Efisio che mi regalò il suo martello che ancora conservo, il primo da me usato, un cimelio».
Il lavoro
«Realizzo scale a chiocciola, cancelli, grate, mensole, tettoie, porte, ringhiere, balconi. Mediamente per realizzare un cancello impiego 15 giorni mentre le grandi multinazionali due ma il ferro che io uso è più spesso, circa due millimetri, quindi più resistente. C’è una cura maggiore». Occhiali in volto, ventaglio in pelle per proteggersi dalle scintille della forgia e dai raggi della saldatrice, non manca l’occasione per dare spazio al proprio estro. «Creo anche lampadari con decorazioni naturali, dove si gioca con i dettagli realizzando geometrie perfette. Oppure soli a specchio, pavoncelle per bastoni da tenda, insomma la fantasia non manca». 
 Dalle pinze alla chitarra
Fantasia che riversa nell’altra sua grande passione, la musica. «Suono la chitarra e il basso, sono cresciuto ascoltando Jimmy Hendrix, i Beatles, i Rolling Stones. Tra una pausa e un’altra scrivo canzoni, mi raggiunge qualche amico con cui suono e diamo vita a jam sessions. Negli anni Settanta formai una band chiamata “I Diavoli Rossi” con cui abbiamo girato la Sardegna suonando in vari locali e feste». Marito, padre di due figli e nonno di quattro nipoti, come conciliare i suoi due grandi amori? «Lavorare il ferro e suonare sono due aspetti complementari della mia vita», conclude. «Non c’è differenza: in entrambi i contesti faccio uscire la poesia che ho dentro di me. Non sono né un poeta né voglio essere ritenuto un esempio ma un uomo semplice che affronta la quotidianità con il sorriso».

27.10.21

Medici di strada: un tampone per i clochard ., Il paese guardiano del bosco: lo difende fin dal medioevo., Il mago delle Ducati ora le restaura online ed altre storie

 


                                            Medici di strada: un tampone per i clochard



Aldo Morrone, dirigente del San Gallicano di Roma, ha organizzato una rete che effettua test Covid alle persone senza dimora. Ma nessuno voleva ospitare i positivi
                                              di Francesco Giovannetti


                       Il paese guardiano del bosco: lo difende fin dal medioevo



Se Luxottica ha adottato un’area boschiva veneta dopo la tempesta Vaia, a Trino Vercellese è la gente del posto a curare gli alberi. Con regole secolari
                di Giulia Destefanis



                           Il mago delle Ducati ora le restaura online



Enea era garzone d’officina nel mantovano, ma la sua passione era ridare vita alle moto d’epoca. E il direttore tecnico dello storico brand ha notato i suoi lavori
di Nicola Saccani



Sanremo, la dura vita del cacciatore d'autografi


In 28 anni di appostamenti Max ha raccolto 11 faldoni di firme delle star del Festival. I più sfuggenti? Achille Lauro e Bobby Solo. Ma nel 2021 il bottino è stato magro

di Giulia Destefanis



26.7.19

Giovanna ha 23 anni e restaura vecchie Fiat 500 per passione: "Ho imparato su Youtube"


L'immagine può contenere: 2 persone, persone che sorridononon si è però fermata davanti alle difficoltà anagrafiche. Così - informandosi nelle diverse comunità di appassionati - è iniziata la sua avventura nel mondo del restauro. "Guardando su internet - spiega Giovanna - ho capito che forse sarei stata in grado di farlo anche io: posterò i miei progressi del restauro su Youtube sperando possa essere d'aiuto a qualcuno". Negli spazi di Officine Zero, a Roma, Giovanna ha trovato un posto per portare avanti il suo hobby e continuare così l'avventura nel mondo del restauro delle auto d'epoca.  Ora  Tutti gli appassionati di Fiat 500 in rete la conoscono già e hanno già visto i video di Giovanna Parascandolo, della sua officina Nanna’s Garage, e delle fasi del restauro  della sua Cinquecento  e  già molti hanno espresso commenti favorevoli o contrari. Infatti viene da  chiedersi   Si tratta di una giovane e intraprendente appassionata restauratrice o di una mera trovata pubblicitaria di quello che potrebbe essere una trasmissione sul restauro delle auto d’epoca in stile “Affari a quattro ruote“?
Io , da   profano  (  ho  rapporto  particolare  d'odio e di amore   con le  auto  e  i mezzi a  motore   ma questa  è un'altra  storia     che   prima  o poi   racconterò    )  posso dire  che quando  c'è la passione  c'è  tutto  .  e che  anche  questa  è arte  . 
E non avendo  ne passione   , infatti quando  qualcuno  ( amici   , conoscenti  ,  familiari ecc ) parla di cavalli  \   cilindrate   me ne  esco  con  una battuta  : <<   ma  dove li metti tutti sti cavalli  ,   spendi un  capitale  in biada     per  dargli  da mangiare .  Vi lascio    a  questi   tre  video




 

di cui  l'ultimo  è preso  dall suo account  fb  ufficiale   e mi trova  d'accordo  con    dice :  << “Sono cresciuta con l’idea di non essere adatta a capire determinate cose. Poi mi sono resa conto che è talmente divertente che è impossibile che non piaccia a nessuna ragazza” >>Giovanna Parascandolo ha scoperto la passione per la meccanica quando pur di avere una 500 d'epoca, ha deciso di ripararne una completamente da sola. Sul suo canale YouTube documenta tutti i passaggi del restauro per avvicinare le donne al mondo delle auto, che non è solo “roba da maschi”








con questo è tutto alla prossima

27.9.18

Aldo Fraoni, Lamiere e passione: il carrozziere di Laerru che fa rivivere vecchie Ferrari, Alfa e Maserati


dall'inserto lamiaisola della nuova sardegna Lamiere e passione: il carrozziere di Laerru che fa rivivere vecchie Ferrari, Alfa e Maserati Nel laboratorio di Aldo Fraoni, un artigiano che con pazienza cesella pezzi d'epoca 

di Roberto Sanna





L’Alfa Romeo 1750 ti accoglie rossa e aggressiva al centro della stanza. Poco distanti sonnecchiano una Ferrari 400i azzurra e una Lancia Beta Montecarlo rossa, mentre una Renault Alpine attende con pazienza il suo momento e sul ponte una Mercedes SE del 1961 osserva dall’alto la scena. Aldo Fraoni emerge dal suo regno con un sorriso, per farsi spazio sposta una Fiat 500 L degli anni ’70. Quelle automobili in via rinascita sono le sue compagne di vita, assieme a loro trascorre ore e ore in quello che visto dall’esterno è un anonimo capannone arroccato su una collina all’uscita di Laerru e all’interno si rivela una gioia per gli amanti delle quattro ruote.
La scuola varesina
Dei suoi 62 anni, Aldo ne ha trascorsi 50 a rimettere a nuovo automobili: «Ho cominciato presto, a Varese, dove la mia famiglia si è trasferita quando avevo otto anni. Sotto casa c’era un’officina, già a tredici anni, finita la scuola, andavo a dare una mano. A dir la verità avrei voluto proseguire gli studi ma non avevamo le possibilità, così ho continuato a lavorare. Roba pesante, la mattina appena arrivati cominciavamo a martellare paraurti di camion, io li tenevo e lui picchiava. Ci portavano anche auto sportive, rifacevamo i musetti delle Formula 3. Le carrozzerie che adesso mi portano da rimettere a nuovo le ho già fatte in quegli anni, so dove mettere le mani: Lancia, Millecento, Giulia, “Fulviette” HF, a Varese ho toccato le prime Ferrari». In quegli anni il lavoro si trasforma in una passione che non lo abbandonerà più: «Ero intraprendente, a vent’anni mi sono messo in proprio esono arrivato ad avere sette dipendenti. Poi nel 1985 mi sono stufato di stare a Varese e ho deciso di rientrare in paese. Ho venduto tutto e riaperto qui a Laerru, non mi lamento, la mia vita è qui, in mezzo alle automobili».




Vecchio è bello.
Quando si parla con lui bisogna fare una distinzione. C’è un Aldo Fraoni carrozziere, quello che rimette a posto le auto dopo un incidente o una manovra di parcheggio eseguita male; e poi c’è l’Aldo artigiano che dà una nuova vita ad auto che sembravano destinate a marcire per sempre in un garage o in qualche spiazzo di campagna: «Sono due cose diverse. Il lavoro è il lavoro, bisogna chiudere il mese. E, salvo situazioni particolari, le auto di oggi si fa in fretta a rimetterle in sesto. Anche perché non è più come una volta, è soprattutto una questione di pezzi. Anche troppo, ormai se fai un lavoro con quattromila euro di ricambi devi aggiungerne ottocento di mano d’opera, una sproporzione assurda. E le auto sono tutta un’altra cosa, a volte basta un danno da tre-quattromila euro e rischi di buttarle. Prima no, erano fatte per durare e col lavoro e la pazienza rimettevi a posto quasi tutto. Non parliamo della verniciatura, adesso due-tre mani sono anche troppe, prima passavamo fino a ventiquattro mani».





Portata a casa la pagnotta, Aldo Fraoni si dedica ai suoi gioielli: «Ci lavoro sere intere, anche la notte. Mi affeziono tanto che quando le portano via mi dispiace. Il mio non è un lavoro di restauro, il termine è improprio: preferisco parlare di ricondizionamento. Se accetto un incarico lo porto sempre a termine. Mettendo subito un chiaro una cosa col cliente: bisogna avere pazienza, se è un lavoro da cento ore, cento ore bisogna dedicarsi, non serve avere fretta. Anche se il cliente dopo un po’ comincia a diventare impaziente e lo capisco anche, quando ti porta qualcosa la vuole vedere pronta il prima possibile. Però serve tempo, bisogna recuperare i ricambi, poi c’è anche la parte meccanica. E non sempre le auto sono quelle che sembrano al primo sguardo, le devi aprire, controllare il fondo, vedere come sono state trattate in precedenza: per esempio, in Svizzera molti carrozzieri lavoravano aggiungendo lamiera su lamiera, ti ritrovi a tirare via tre-quattro strati prima ancora di cominciare».
I costi
«Quando un cliente ti porta un’automobile conciata male, sa che deve sborsare.I ricambi della Cinquecento bene o male le trovi, se invece è una Ferrari arriva la botta anche perché la parte dei ricambi è in Inghilterra: un semplice lunotto costa anche diverse migliaia di euro, tanto per dire. Sono orgoglioso del fatto che chi si rivolge a me lo fa per avere un lavoro fatto bene, ho ricevuto pochissime lamentele. A parte quelle per il tempo. In compenso i prezzi del mercato stanno aumentando e una Ferrari 208 la paghi anche quarantamila euro, un tempo le trovavi facilmente a poco. Sono passatempi costosi e devo anche dire che la maggior parte dei clienti se lo può permettere, se c’è bisogno di spendere lo fanno».
Auto da sogno
Nel suo laboratorio sono passati pezzi da museo e non per modo di dire: «Ho rimesso in sesto una Ferrari e una Lancia Stratos che poi sono state esposte negli Usa. E la Ferrari resta l’auto più bella che uno come me possa rimettere a nuovo, non c’è paragone. Se mi chiedete quale sia stato il modello che più mi ha dato soddisfazione e quello che vorrei nella mia officina la risposta è la stessa: una Ferrari degli anni Sessanta-Settanta, magari un Gto o una California o una Daytona, mi è capitato di provarle ed è un’emozione pazzesca. Adesso sto portando avanti un’operazione incredibile con una Maserati Mistral che vale più di duecentomila euro. Un’auto che il padrone ha recuperato da un capannone nautico di Alghero dove era rimasta per trent’anni parcheggiata in mezzo a motoscafi e gommoni. Tanto per capirci, quando ho aperto il cofano era pieno di topi morti. Pian piano l’ho riportata in vita, adesso è dal meccanico, i pezzi del motore li abbiamo presi dalla fabbrica, non appena la riportano a Laerru la finisco e so già che sarà una grande soddisfazione. Ricordo anche una Porsche cabrio che non riuscivo a completare. Ci lavoravo la notte, al mattino la prima cosa che facevo era ricontrollarla e trovavo sempre un errore, sono andato avanti così per due settimane, era diventato un affare personale».
Passione senza fine.
Aldo Fraoni non riesce a immaginarsi lontano dalle “sue” auto: «Mi chiedono perché non sono in pensione ma non vedo il motivo, dovessi ritirarmi andrei a curare la mia campagna e quello lo faccio già, al mattino presto e la sera dopo che chiudo. Le mie giornate sono qui, la passione non è mai calata, ho riempito la soffitta di riviste specializzate fino a quando mia moglie non mi ha minacciato. Mi dispiace solo non aver trasmesso la mia passione a qualche giovane. A Varese ho visto i miei dipendenti mettersi in proprio nel corso degli anni e per me è stata una soddisfazione, qui non ci sono riuscito. C’è stato qualcuno ma interpretava il lavoro in maniera sbagliata, alle cinque smetteva. Non funziona così, se ami qualcosa ti dedichi con tutto te stesso, non poche ore al giorno».

26.6.17

Bari, l'ex agente di commercio cambia vita con l'orto sociale: "Aiuto i deboli e sono felice" e Da bioingegnere a sacerdote, la scelta di don Alessandro


Bari, l'ex agente di commercio cambia vita con l'orto sociale: "Aiuto i deboli e sono felice"




Quartiere Japigia, periferia di Bari. Angelo, 34 anni, tre anni fa ha deciso di cambiare vita. "Facevo l'agente di commercio per una grossa azienda che produce arredamento, percorrevo 80mila chilometri l'anno, avevo uno stipendio cospicuo, ma non ero felice. Così ho deciso di seguire seguire il mio cuore e ho realizzato un orto sociale". Dopo aver avuto le certificazioni per la produzione biologica, nel suo orto metropolitano Angelo ha intrapreso una serie di progetti di inclusione sociale. "Non mi importa di essere ricco, so che un giorno tutto il mio lavoro porterà i suoi frutti - afferma - Ma aiutare ragazzi inviati dai tribunali minorili e persone con handicap di vario tipo mi rende felice" (di Lorenzo Scaraggi)



Da bioingegnere a sacerdote, la scelta di don Alessandro
Da domenica la Chiesa udinese ha un nuovo pastore, ha 29 anni ed è nato in Belgio. Appassionato di orticoltura, parla cinque lingue. Sabato prossimo celebrerà la prima messa
di Monika Pascolo

  da il  messsageroveneneto del 26 giugno 2017




Don Alessandro Fontaine


UDINE. Di origine belga, ma cresciuto tra Bruxelles (dove erano emigrati i suoi nonni) e il Friuli (è stato battezzato a San Daniele), in tasca una laurea in Bioingegneria, da ieri il 29enne Alessandro Fontaine è un nuovo sacerdote della Chiesa udinese.
Attraverso il suo operato sarà uno dei protagonisti di quello che l’arcivescovo, monsignor Andrea Bruno Mazzocato – che ieri ha

22.6.17


Buja: Non può comprare la Lamborghini: la costruisce con il compensato . dopo cinque anni di lavoro William Covasso ha realizzato a casa la propria auto di lusso. Dalla passione per la falegnameria alla realizzazione di un prototipo con pannelli di legno . Realizzando

da  http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2017/06/22/
Il sogno di William si avvera: chiamato dalla Lamborghini .
Il 43enne invitato nella sede della casa automobilistica. Aveva realizzato una riproduzione dell’auto in compensato
                                            di Piero Cargnelutti




BUJA. Dalla Lamborghini realizzata in compensato con le proprie mani, alla possibilità di visitare la sede centrale della nota casa produttrice dell’auto di lusso. Un sogno si avvera per William Covasso, 43 anni di Buja, che negli ultimi cinque anni ha realizzato nel casolare della sua casa in località di Tomba una Lamborghini in formato originale.

"Vi racconto come ho costruito la Lamborghini con il legno"C’è chi può permettersi la Lamborghini, e chi invece se la costruisce da solo. La storia è quella di William Covasso, 43 anni, residente a Buja, che, seguendo la sua passione, tanto per le automobili di lusso che per la lavorazione del legno, è riuscito a realizzare con le sue mani (in cinque anni di lavoro) una Lamborghini, utilizzando pannelli di compensato. (Foto Petrussi - Videoproduzioni, intervista di Piero Cargnelutti)
La sua storia, raccontata sulle pagine del Messaggero Veneto del 08 giugno 2017, è giunta alle orecchie della casa madre a Sant’Agata Bolognese che ha preso contatti con William, e lo ha invitato a visitare lo stabilimento a settembre, oltre che a condividere un pranzo con i lavoratori dell’azienda. E, ovviamente, per fare un giro su una Lamborghini vera: «È un’emozione grande per me – dice William Covasso – e ancora ora non me ne capacito facilmente anche perché io ho fatto tutto quello per semplice passione. Poi, finire sulle pagine dei giornali ed entrare in contatto con la ditta che realizza la mia auto preferita, è qualcosa che non mi sarei mai aspettato. Sono state notti di entusiasmo per me nelle ultime settimane». La Lamborghini ha contattato l’assessore comunale Silvia Pezzetta a cui William avevo voluto far vedere la sua opera: «Ho sentito personalmente – spiega l’assessore Pezzetta – Mario Vecchi, rappresentante dei rapporti istituzionali della Lamborghini, che ha fatto l’invito a William. Credo sia una bella soddisfazione per lui, che è anche un buon esempio dell’ingegno e delle capacità che ci sono sul nostro territorio». Nei contatti che ci sono stati nelle ultime settimane, pare che la Lamborghini abbia richiesto anche le foto laterali del modello realizzato da William e sia intenzionata a far visita a Tomba per vederla con i propri occhi. Non è dunque detto che anche l’opera di William Covasso entri in futuro a far parte del celebre museo che la Lamborghini ha avviato sempre a Sant’Agata Bolognese: «A quello non ci ho pensato ancora – dice William – anche perché ci sono voluti cinque anni a realizzarla. Ma ci penserò: se verranno dalla Lamborghini sono pronto a fargli vedere quello che ho fatto». Certamente, per la nota casa madre bolognese quell’opera testimonia la passione che il bujese William Covasso ha per la celebre Lamborghini, ma i suoi referenti saranno ancora più sorpresi quando verranno a Buja e scopriranno che quel modello è stato realizzato con pochi mezzi tecnici da un autodidatta del legno.

22.2.17

ed io che credevo che tali storie fossero solo opere letterarie ed artistiche

http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/ del 22 febbraio 2017

Il vero padre era l'amico di famiglia: modenesi chiedono maxi risarcimento

Un medico facoltoso rivela al figlio di un amico poco prima di morire di essere il vero padre. Dopo il test del dna anche un fratello scopre la nuova paternità. I due avviano una causa civile per disconoscere il vecchio cognome e intanto fanno una seconda causa per ottenere il nuovo cognome e chiedono un risarcimento da 2 milioni di euro ciascuno alla erede. Ma i giudici li fermano: prima va riconosciuta e cambiata la vecchia paternità


                        di Carlo Gregori








MODENA. Un modenese ha scoperto di essere figlio di un facoltoso medico quando questi glielo ha confessato a pochi giorni dalla morte. La perizia del Dna ha accertato che lui e un fratello erano davvero suoi figli biologici, ma i due non hanno però potuto accedere alla cospicua eredità, anche se il padre naturale aveva confidato al primo di volerlo riconoscere. Per chiedere quanto spetterebbe loro - compreso un risarcimento di 2 milioni di euro a testa che chiedono all'erede - hanno intentato una causa civile per disconoscere il loro cognome ufficiale, quello che per decenni ha fissato la loro identità. La causa non è ancora terminata. Nel frattempo hanno già avviato una seconda causa per ottenere il riconoscimento della nuova paternità. Ma il Tribunale civile di Modena l'ha chiusa condannandoli a risarcire le spese. Li ha fermati ricordando che era prematura: prima devono cancellare il vecchio cognome.
Gli sposi e lo studente. Dietro questo importante caso in corso c'è una storia uscita da un romanzo d'altri tempi. Nel 2015 Roberto (i nomi sono di fantasia) avvia un'azione legale al Tribunale civile contro Paola, erede di un facoltoso medico da poco deceduto. Roberto chiede al giudice che venga riconosciuto che il suo vero padre è il defunto, e non più il marito di sua madre come si era sempre creduto e come risulta all'anagrafe.
Fin dall'infanzia Roberto aveva vissuto coi genitori e quattro fratelli senza che mai un sospetto lo turbasse. Poi nel febbraio 2015 incontra il medico, amico di famiglia, e questi, ormai vecchio e prossimo a spegnersi, gli confida una rivelazione sconvolgente: non è figlio di suo padre ma suo. Era un giovane studente universitario arrivato dal Sud Italia a Modena per studiare medicina, quando è stato accolto a casa dei suoi genitori. Ma tra lui e la donna che lo ospitava è nata una relazione passionale. La madre è rimasta incinta di Roberto. Per non destare scandali, la relazione è rimasta nascosta e la gestazione è proseguita come se il bimbo fosse stato del marito. Ma il marito sapeva del tradimento in corso e ha deciso di riconoscere ugualmente il neonato come suo figlio e lo ha iscritto col suo cognome allo Stato Civile. In quella famiglia nulla poteva fare insorgere sospetti. Infatti il rapporto clandestino è andato avanti mentre lo studente di medicina ha fatto da padrino al bimbo sapendo che era suo figlio. E ha continuato a frequentare la famiglia anche quando è diventato un importante e facoltoso medico.
La sconcertante verità. La confessione ha sconvolto Roberto. Ancora più impressionante è stato però il motivo della confessione fatta dopo tanti anni a un figlio segreto adulto: il medico gli aveva rivelato la verità per riconoscerlo come figlio a tutti gli effetti. Un atto riparatore che però non ha potuto portare a termine: è morto pochi giorni dopo. Roberto racconta, nel suo atto presentato ai giudici della Seconda Sezione Civile, di aver parlato di questa rivelazione sconcertante anche con Paola, la figlia del medico, mentre andavano nel Sud per trasportare le ceneri e dare l'addio a quell'uomo che li univa in modo così inatteso.
La svolta arriva però dalla decisione di Roberto di sottoporsi a una perizia genetica. Nel settembre 2015 lo farà con i quattro fratelli utilizzando campioni prelevati dalla salma del medico. La conferma arriva: è figlio naturale del medico. Subito dopo il colpo di scena: anche uno dei fratelli risulta figlio del medico. Con Paola però non arrivano a un accordo e parte la causa civile intentata da Roberto. Chiede ai giudici di cancellare il cognome dell'uomo che ha creduto suo padre per tanti anni: allo Stato Civile deve risultare il suo “nuovo” vero padre, il medico. A lui si unisce il fratello di sangue: anche lui fa causa.
La causa prematura. I fascicoli sono unificati e la causa risulta ancora in corso. Nel frattempo, però, i due fratelli avviano una seconda causa sempre contro Paola per far sì che il Tribunale riconosca con una dichiarazione giudiziale che sono figli effettivi del medico. Il Secondo Collegio del Tribunale Civile ha però giudicato inammissibile questa richiesta condannando i due fratelli a pagare 2.500 di euro per le spese. Il motivo è che, scrivono i giudici, un individuo non può essere figlio di due padri. In altre parole non può risultare contemporaneamente figlio di una coppia e anche figlio biologico di un terzo. Prima i due fratelli devono eliminare l'ostacolo giuridico, il fatto di risultare nati nel matrimonio, e quindi la prima causa deve concludersi a loro favore. Se ci sarà una dichiarazione giudiziale che è venuto meno il loro stato di figli nati dal matrimonio, potranno
essere riconosciuti figli naturali del medico, si farà l'importante variazione allo Stato Civile del Comune di Modena e alla fine godranno dei benefici. Compresa l'eredità. E potranno anche chiedere ed eventualmente ottenere il risarcimento dei danni quantificati in 2 milioni a testa.


17.6.16

Ritrovata la spider della "Dolce Vita" di Fellini, la Triumph acquistata da un collezzionista - appassionato di auto d'epoca per caso


da
Cultura » Provincia di Pesaro e Urbino

Ritrovata la spider della "Dolce Vita" di Fellini, la Triumph acquistata per caso

Oggi alle 12:19 - ultimo aggiornamento alle 12:52

La Triumph Tr3

Un vero e proprio colpo di fortuna, quello capitato a Filippo Berselli, ex senatore e appassionato di auto d'epoca, che, non avendo idea di quale gioiello stesse per acquistare, alcuni mesi fa ha comprato per 30mila euro quella che poi si è rivelata nientemeno che il simbolo della "Dolce Vita" e di un pezzo di storia del cinema.
Quella spider Triumph Tr3 che, nel celebre film di Fellini, Marcello Mastroianni guidava per le strade di Roma.
LA STORIA - Berselli nota l'auto a Pesaro e se ne innamora, nonostante quella Triumph sia in pessime condizioni. Poco più che ''un pezzo di ferro'', racconta, "tutta da restaurare.
Dopo alcuni approfondimenti circa l'anno di immatricolazione e la targa nera che porta, l'ex senatore scopre che tra i vari proprietari c'è il nome della Riama Film, società di Angelo Rizzoli che ha prodotto la "Dolce Vita".
L'ultima targa conosciuta della vettura riporta a Pesaro, ma dall'estratto cronologico emerge che la prima targa è "Roma 324229" e che è stata immatricolata il 15 luglio del 1958: dunque è proprio lei, la Triumph della "Dolce vita".
La spider inglese, una delle primissime importate in Italia, venne pagata la bellezza di un milione e 998mila lire, un cifra per l'epoca considerevole. Passata di proprietà alla Riama, viene messa in vendita nell'estate del 1963 e acquistata da Paolo Bettini di Viterbo, proprietario del suggestivo Parco dei Mostri di Bomarzo.
La macchina viene poi venduta a una signora di Forlì, che non seppe mai che si trattasse della Triumph della "Dolce Vita".
Che dopo il 1970 arriva a Pesaro, dove è stata acquistata da Berselli lo scorso marzo.
Per poter ammirare l'auto dal vivo, di cui è ancora in corso il restauro, si dovrà attendere il 15 luglio quando lo stesso Filippo Berselli la esporrà per la prima volta a Roma durante la manifestazione Santa Croce Effetto Notte.

Marcello Mastroianni e Anita Ekberg
Marcello Mastroianni e Anita Ekberg 
 
"UNA COSA MERAVIGLIOSA" - Francesca Fabbri Fellini, nipote del regista Federico Fellini, si è detta molto felice per il ritrovamento della mitica Triumph Tr3: "Credo che la cosa sia meravigliosa - ha detto - oggi possiamo rivedere quell'auto che appartiene al sogno che Federico ci ha regalato con questo film. Lui è stato talmente bravo da riuscire a proiettare con il suo immaginario in tutto il mondo le atmosfere, i colori e i rumori che tra l'altro arrivavano con quei motori, con quelle auto".

1.1.16

Castellania, trovata la bici dell’ultima corsa di Coppi Scoperta da un appassionato a Milano, esposta durante le celebrazioni di sabato. Realizzata da Fiorello Masi nel 1959, usata dal Campionissimo al Trofeo Baracchi

 Mi  sa  che   de  Gregori quando   ha  ripreso  dal fratello   questa  canzone


pensasse    a    storie  come     questa   del ritrovamento  della  famosa    che  il grande   Fausto  Coppi   uso  nella  sua ultima corsa  .
La news   è    riportata     da http://laprovinciapavese.gelocal.it/pavia/cronaca del 30 dicembre 2015.  Una  storia   bellissima   che  dimostra    che  anche  come  sembra  volerci dire     lo stesso  De  Gregori  in  la  storia  , è la passione ti fa fare delle scoperte storiche . 
 come quella  riportata  sotto  





CASTELLANIA
 Il Campionissimo: un mito che non muore, anzi che si rilancia grazie a una sorprendente scoperta. E’ stata, infatti, ritrovata a Milano e sarà esposta nei prossimi giorni, a Castellania, la mitica bicicletta, con la quale Fausto Coppi gareggiò nell'ultimo anno di attività agonistica.
Il prossimo due gennaio, in occasione delle annuali manifestazioni commemorative per l’anniversario della morte del campionissimo, sarà presentata ed esposta al pubblico la “Fiorelli Coppi” con la quale l’Airone gareggio nella squadra della Tricofilina Coppi.
Nella giornata in cui tutti gli appassionati di ciclismo si danno appuntamento per ricordare il grande ciclista tortonese, il Comitato Colli di Coppi, organizzatore de “La Mitica” ciclostorica, ha donato agli appassionati, un’occasione in più per ritornare a Castellania. L’ultima mitica bicicletta che il grande Fausto usò nel 1959, sarà presentata alla stampa ed al pubblico.
«E’ stata ritrovata a Milano grazie alle ricerche di un appassionato di ciclismo, Giampaolo Bovone – dichiara il presidente del Comitato Pietro Cordelli - E’ una Fiorelli Coppi che il grande Faliero Masi costruì all’inizio del 1959 per la squadra “Tricofilina Coppi” capitanata dal Campionissimo».
Una bicicletta davvero bella che Fausto Coppi fece realizzare da uno dei migliori telaisti italiani dell’epoca e che accompagnò Fausto nella sua ultima impresa agonistica, il “Trofeo Baracchi” del 4 novembre 1959, disputato in coppia con il campione francese Louison Bobet».
La bicicletta, perfettamente conservata, è dal punto di vista della ciclistica, come indicano gli esperti,un raro esempio di stile ed eleganza e porta ancora il nastro del manubrio di quell’ultima corsa di Fausto Coppi.
Acquisita recentemente dal figlio Faustino Coppi, sarà esposta nella sala consiliare del Comune di Castellania dove farà bella mostra insieme ad un’altra bicicletta gemella, da pista, con identiche misure di telaio, 58 ½ x 57 cm.
L’invito naturalmente, che avanza il Comitato, è quello ad intervenire numerosi per commemorare Fausto Coppi, ammirare la mitica Fiorelli Coppi. Resta anche vivo l’invito per firmare la petizione a sostegno della candidatura della “Bicicletta” al Premio Nobel
per la Pace 2016 “Bike the Nobel” promossa dalla trasmissione “Caterpillar” di Radio 2». Sempre sabato 2 gennaio alle ore 10.30, nel mausoleo di Castellania, si terrà la tradizionale consegna del premio “Welcome Castellania” a due noti giornalisti sportivi.

                                 Paola Dellagiovanna

2.9.13

CHI LO HA DETTO CHE BISOGNA TIFARE PER LA SQUADRA CHE TIFANO I GENITORI ?

Di  solito  , per  esperienza  personale  con amici\che milanisti ed  interisti  ,  avevo sempre  conosciuto  gente  che tifa   una determinata  squadra perchè la  si tifava  in famiglia . Ma  questa   storia   , conferma  anche il mio  percorso  calcistico da  ex  juventino ( tranne che   nelle coppe  europee )    dopo gli scudetti  vinti illecitamente    o presunti tali come  quello  del  1996\7  contro l'inter  ,  ho smesso di tifare fisso   per  una squadra   e  mi appassiono di calcio  in generale  .  Sono passato a : << (...)  Il tifo sportivo non hanno una logica, è irrazionalità pura, non mi sono mai chiesto né ho mai capito perché tifi Ducati e McLaren, è così e basta e non c'è verso che cambi idea. Ad esempio tifo Basket Napoli, una squadra che dopo paio di fallimenti non esiste più e da allora non c'è verso di farmi interessare ad un club di basket, guardo solo la nazionale.Il tifo sportivo non si sceglie, ti capita.( Biagio Scotto di Carlo  commento   all'articolo dell'HuffingtonPost


Mio figlio che tifa per il Cagliari

Pubblicato: 31/08/2013 18:45  DI 
Darwin Pastorin




Ho fatto il possibile, lo giuro. E anche l'impossibile. Da piccolino, lo mettevo davanti alla TV: a vedere la Juventus. Vinceva? "Visto, come siamo bravi?". Perdeva? "Visto come siamo generosi?". Gli parlavo del mio idolo Pietro Anastasi, che ad Arpino ricordava il ragazzo Rosario del mai finito romanzo "Le città del mondo" di Elio Vittorini, della fantasia di Sivori, Platini, Roberto Baggio e Del Piero, degli scudetti e delle coppe.
TIFOSI ROSSUBLU' IMMAGINE SIMBOLO  . DALL'UNIONE  SARDA  ONLINE 

Lui, mi accorgevo, non sorrideva mai. Fino a quando, avrà avuto quattro, cinque anni, mi annunciò, abbandonando lo stadio durante un match di campionato tra la Juve e il Verona: "Basta con questa Juventus! Io sono del Cagliari!". Fine delle trasmissioni, dell'abbonamento insieme per seguire i bianconeri... Santiago, così si chiama mio figlio, per il pescatore de "Il vecchio e il mare" di Hemingway e non per lo stadio Bernabeu di Madrid, aveva deciso di scegliere la parte materna, i nonni sardi della Barbagia. "E non ti offendere, papà, mi piace ltua par-brasio mi sento sardo. Viva Casteddu e viva su Casteddu!
Così, andiamo allo stadio una sola volta a stagione. Per Juventus-Cagliari. Dove lui, in piena tribuna juventina, si presenta con sciarpa e maglietta rossoblù. Due anni fa, dopo una rete di Vucinic a inizio incontro, gli dissi: "Figliolo, al tre a zero torniamo a casina...". Mi rispose: "Non è finita, non fare il presuntuoso bianconero...". Si alzò il presidente Cellino, vide mio figlio e lo aabbracciò e accarezzò, manco fosse Sant'Elia. Alla fine, su Casteddu pareggiò, con Cossu. Santiago esultò, urlando: "Questa si chiama giustizia!".
Mio figlio, oggi quindicenne, è mancino. Gigi Riva, al telefono, mancino per eccellenza, gli disse: "Santiago, ricordati: storti sono gli altri non noi!".
È irrecuperabile. Anche perché, come ricorda spesso Eduardo Galeano, "una persona nella sua vita può cambiare moglie, idea politica, religione, persino il sesso, ma non la squadra del cuore" (Emilio Fede a parte, ovviamente). E il poeta Giovanni Raboni insegnò: "Si è tifosi della propria squadra perché si è tifosi della propria vita, di se stessi, di quello che si è stati, di quello che si spera di continuare a essere. È un segno, un segno che ognuno riceve una volta per sempre, una sorta di investitura che ti accompagna per tutta la vita, un simbolo forte che si radica dentro di te, insieme con la tua innocenza, tra fantasia, sogno e gioco".

 )

21.3.12

Primavera










Primavera,
maestosa,
superba e altera,
sfuggita ormai
in contrade di solitudine,
lasci il tuo passo,
discreto e troneggiante,
in ricordi d'un ieri,
in città malate,
nel vapore
dei nostri tenui desii.

4.3.12

Fotografia

Testimone, dov'è il testimone?
Nel passato remoto della gioventù,
in quei tratti nervosi, nelle schegge degli occhi,
o nella sapienza dolente dei passi stanchi?
E' ritratta, in voi, la musica.
La fine dei padri. Le generazioni complicate.
Il sussulto dell'incerto domani.
L'ansia d'un Dio rinnegato e sfuggito.
L'età della perdita. Un diamante folle.
Troppo prezioso e fulgido per noi,
poveri carboni spenti.




Sopra: Renato Zero e Lucio Dalla davanti alle immagini di Tenco ed Endrigo. Sotto: Montreux, 29 febbraio 2012, l'ultimo concerto di Dalla, a poche ore dalla morte.




emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...