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18.4.23

come desponsabilizzarsi dalle accuse di razzismo Per i dirigenti Juve gli insulti razzistici erano “catartici”: scritto nero su bianco nel 2015

Ma  come  si  fa    a sostenere  cose  del genere  ?  Anche  se    come  dice  dossier presentato dalla Juventus nell’autunno del 2015   dovesse  essere  vero   ciò non   una  giustificazione  per  evitare  di prendersi  le  proprie  responsabilità   di mancato  controllo    di tale teppaglia  . Infatti    da  

Ma come si permettono l’europa e il mondo di additare il nostro calcio come il più razzista e discriminatorio del “globo terracqueo” (cit. Meloni)? Ma che ne sanno loro degli sforzi profusi dai nostri club nell’impavido tentativo di sradicare dai nostri stadi razzismo e discriminazione? E dire che basterebbe andare in Google, scrivere “Colour? What colour? Relazione sulla lotta contro la discriminazione e il razzismo nel calcio”: e ci si troverebbe davanti alle 84 pagine del dossier presentato dalla Juventus nell’autunno del 2015. E sì, dopo averlo letto magari qualcuno potrebbe restare perplesso rispetto al tipo di riflessione suggerita sul tema dal club guidato fino a ieri da Andrea Agnelli: risolvere

il problema è impossibile: non per niente la squalifica della curva dell’allianz Stadium per i cori razzisti rivolti a Lukaku è stata subito tolta. E poi perché? Un po’ di sano razzismo e di sana discriminazione non ha mai fatto male a nessuno.
State pensando a uno scherzo? Beh, cambiate idea. Perché la conclusione cui gli esperti della Juventus giungono, a conclusione del loro ponderoso studio, è una e una sola: l’importante è non fare drammi. “Un approccio pragmatico – si legge a fine dossier, a pag. 73 – suggerisce che l’insulto collettivo basato sull’origine territoriale sia difficilmente sradicabile con l’applicazione di veti e sanzioni. Secondo il timore espresso da un noto esperto e attivista i tifosi, semplicemente, non capiranno e diventeranno meno ricettivi sulla necessità di disciplinarsi nell’uso di un vocabolario discriminatorio, sessista o razzista”. E dunque: “In conclusione, la decisione più saggia sulla discriminazione territoriale consiste forse nel tollerare, temporaneamente, queste forme tradizionali di insulto catartico (…) Le sanzioni collettive non sono ammesse nei sistemi giudiziari ed educativi delle democrazie progredite. Sono infatti considerate eticamente scorrette, illegali e controproducenti. È quindi difficile capire perché dovrebbero rivelarsi efficaci nel mondo del calcio” Avete capito bene: l’insulto razziale o discriminatorio viene definito “catartico”, e cioè da vocabolario “liberatorio, purificatore”. E chi siamo noi per impedire un tale processo di purificazione interiore delle masse? Ma non è tutto. Se l’insulto razzista assume connotazioni particolarmente odiose (vedi il verso della scimmia rivolto dall’intera curva juventina, 5 mila persone, all’indirizzo di Lukaku due settimane fa), “la correttezza politica ha storicamente dimostrato – si legge – che lo humour costituisce una risposta di grande efficacia agli atti discriminatori. Le reazioni spiritose, come quella di Dani Alves riportata nel paragrafo 2-4 (al lancio di una banana il giocatore brasiliano rispose, ai tempi del Barça, sbucciandola e mangiandola, ndr) hanno un impatto positivo sotto diverse angolazioni (…) l’umorismo raggiunge un esteso gruppo di persone, attira l’attenzione, si diffonde rapidamente e resta impresso nella memoria”. Insomma brutto piagnone di un Lukaku che ti ribelli se 5 mila spettatori fanno al tuo indirizzo il verso della scimmia: perché vuoi farne un dramma? Non potresti umoristicamente stare al gioco e che ne so, picchiettare in testa Onana proprio come fanno gli scimpanzé, o balzare in groppa a Dumfries o strofinarti ripetutamente il pelo sul petto per divertire la platea e irradiare così un messaggio subliminale di grande efficacia? Invece di lamentarti, fai anche tu qualcosa di utile per battere il razzismo. Fai l’orango.


  Quindi se  tale  problema   secondo  loro  non si  risolve  in tale  modo   , lor  signori  , cosa  propongono per   risolverlo ? 

31.5.15

Heysel 1985-2015.Gaetano Conte, tifoso rimasto sotto le macerie e gravemente ferito : “Ho chiesto un biglietto per finale di Berlino, Juve mi ha detto no”


  come  passa  il tempo  30 anni fa  la  vicenda  del Heysel

scorrendo la  mia  bacheca  di fb ,  per  cercare  un  video  ho trovato  questa  storia  . Lo so che  l'anniversario  è ormai   scaduto e  digerito (  come accade nel mondo  dìoggi dove  una news  di un' ora    fa   è   già vecchia  )  ma    chi se  frega  . Essa  dimostra  come il mondo dello sport  ed  istituzionale    tende  a  dimenticare  in fretta le  sue  magagne  \  responsabilità  (    ed  a non ricordare  le  vittime , o  i  sopravvissuti simbolo  come  questo .

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IlFattoQuotidiano.it / Calcio  del 29\5\2015


Heysel 1985-2015. Conte, tifoso rimasto sotto le macerie: “Ho chiesto un biglietto per finale di Berlino, Juve mi ha detto no”

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Divenuto il volto della tragedia in cui persero la vita 39 persone, dopo tanti anni di silenzio ha raccontato il dolore di quei momenti alla Gazzetta del Mezzogiorno: "Davanti a me c’era un uomo con la telecamera. Ricordo di aver letto ‘Italia’ sulla macchina da presa e iniziai a urlargli di aiutarmi, ma lui continuava a riprendere. Qualche tempo dopo mi dissero che aveva vinto anche un premio"
di Francesco Casula


“Non metto piede in uno stadio da quel 29 maggio 1985 e avevo deciso di tornarci proprio per vedere di nuovo la Juventus in finale e così ho scritto alla società: ho spiegato chi ero, quello che avevo passato in quella curva Z e ho chiesto due biglietti per Berlino. Mi hanno risposto che i biglietti sono nominativi e numerati, ma se volevo potevo vedere la sfida con il Napoli”. Inizia così il racconto di Gaetano Conte a La Gazzetta del Mezzogiorno. Il tarantino divenuto suo malgrado il volto di quella tragedia in cui persero la vita 39 persone, dopo tanti anni di silenzio e persino una diffida vana per evitare di rivedere il suo viso barbuto in tv, al quotidiano pugliese ha descritto i suoi ricordi, i suoi dolori e il suo sogno svanito.
Voleva riprendere da dove aveva lasciato, dal sogno di vedere la sua Juve sollevare la Coppa dei Campioni come la chiama ancora nostalgicamente. Ha chiesto alla figlia di spedire una mail, ma non è bastato. Lui che da quel giorno non è più tornato allo stadio: la finale contro il Barcellona, dovrà guardarla in tv. “Però lo so che a rispondermi è stato qualcuno dello staff perché se fossi riuscito a scrivere direttamente al presidente Andrea Agnelli, mi avrebbe accontentato”. Forse avrebbe potuto superare quella paura che ancora lo attanaglia. Quando qualcuno lo salvò dalle macerie che gli bloccavano le gambe fu sistemato su una barella di fortuna: “All’improvviso mi voltai a guardare gli altri feriti. Accanto a me c’era il corpo di una bambina. Avrà avuto 14 o 15 anni: aveva la gola tagliata. Ho passato tre giorni e tre notti a piangere”.
Sotto quelle macerie c’era finito per un altro piccolo tifoso: “Portai con me un ragazzo disabile. Aveva 15 anni e per fargli vedere la partita qualche settimana prima andai al comune e lo feci inserire sul mio stato di famiglia. In quella bolgia è stato il mio unico pensiero: quando riuscii a metterlo in salvo caddi per lo sfinimento. Lì cominciò l’inferno. La folla mi travolse e persi i sensi. Quando pochi minuti dopo mi risvegliai avevo le gambe bloccate dalle macerie e davanti a me c’era un uomo con latelecamera. Ricordo di aver letto ‘Italia’ sulla macchina da presa e iniziai a urlargli di aiutarmi, ma lui continuava a riprendere. Gli dicevo di tirarmi fuori dalle macerie, ma quello continuava a girare. Qualche tempo dopo mi dissero che aveva vinto anche un premio. Ci pensi? Io stavo morendo e lui aveva vinto u premio ”.
Ricorda ogni momento di quella giornata fino a quando la folla non lo travolse: la sua gamba è così livida che ogni giorno deve prendere pillole antidolorifiche. “Per curare le conseguenze di quella finale: ho girato l’Italia, ma non c’è niente da fare, mi devo tenere il dolore. Pensavo solo di ricominciare da dove avevo lasciato e invece la dovrò guardare in tv. Peccato. Però vinciamo noi, ho giocato un biglietto con il risultato finale. Vinciamo noi”.

15.3.14

il calcio malato di razzismo i tifosi sempre più imbecilli il caso vedovca scirea vhs ultra juventini e il caso della squadra multi etnica del casablanca che gioca nei campionati amatoriali dell’Uisp di Forlì

dopo il caso   della  vedova  scirea - ultrà  Juventini

repubblica  13 marzo 2014


TORINO - Una risposta durissima e delirante, inaccettabile nei toni e nella sostanza, per replicare a Mariella Scirea. Alla vedova del campione bianconero, che in settimana aveva condannato i cori razzisti che spesso si evano dalla curva intitolata a suo marito, minacciando di togliere alla Sud il nome, ha risposto il gruppo dei Drughi: con una lettera nella quale insultano la signora e affermano che dovrebbe essere lei a rinunciare al cognome Scirea. Poi, nei primi minuti della partita con la Fiorentina, allo Juventus Stadium, la curva Sud ha intonato il coro "Mariella Cavanna, la senti questa voce? La Juve siamo noi". Volutamente gli ultrà bianconeri hanno chiamato la signora Scirea con il nome da nubile, Cavanna.
Nella lettera diffusa sul loro sito i Drughi attaccano Mariella Scirea sul piano personale ("varcò la soglia di Montecitorio grazie alla sua condizione di vedova di un grande campione, non certo per le sue qualità e tantomeno per la sua preparazione") e ricordano che "i cori incriminati, cantati da tutti da più di 20 anni, vengono intonati a pieni polmoni anche nella Nord, solo che quel settore dello stadio è riservato ai Club Doc ed indovinate chi è presidente del centro coordinamento? Bravi, proprio la signora in questione che preferisce tacere per evitare di doversi dimettersi da un incarico evidentemente ben remunerato". 

Inoltre, si legge nella lettera, "ovunque, dal sito della società compreso ai biglietti, passando per le indicazioni stradali fino agli abbonamenti, si parla sempre e solo di Tribuna Sud. Il nome di Gaetano Scirea non è mai contemplato quindi non capiamo come faccia a togliere qualcosa che semplicemente non esiste. Su una cosa siamo tutti d'accordo: giusto evitare tutti di strumentalizzare un Campione amato da tutti". Poi una provocazione: "accettiamo l'invito (ribadiamo invito perché non esiste un documento ufficiale che ne abbia decretato l'intitolazione al marito) della signora e da ora in poi il cognome Scirea non identificherà più il settore più vero e sincero dello Stadium, ma anche lei facesse altrettanto tornando a farsi chiamare con il cognome da nubile: Cavanna". I Drughi, infine, ritengono evidente "l'incompatibilità con il ruolo attuale di presidente del centro coordinamento, pertanto La invitiamo alle ovvie conclusioni di dimissioni inequivocabili. Siamo stati chiari, Signora Cavanna".
Il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, ha parlato di "invasione di campo" da parte degli ultrà. "La signora Scirea tiene alto il nome e l'immagine di suo marito che ha onorato il calcio italiano a 360 gradi con la maglia della Juve e dell'Italia", ha aggiunto il n.1 della Federcalcio. Anche Dino Zoff prende le distanze dalla riposta dei Drughi: "Si è superato ogni limite - ha detto l'ex portiere, icona bianconera e della Nazionale - Mi sembra si stia esagerando: penso che si debba chiudere qui e passare ad avere un comportamento più appropriato. La signora ha solo voluto mandare un invito ad abbassare i toni, invece è stato strumentalizzato"
Sul sito del gruppo ultrà anche un altro comunicato che annuncia l'adesione allo sciopero della curva Sud per la trasferta del 20 marzo a Firenze. Gli ultrà protestano contro le restrizioni dell'Osservatorio, contro i biglietti del settore ospiti a 50 euro e, a leggere quanto scrivono i 'Viking Juve Milano', anche nei confronti del club bianconero che "non ha preso alcun tipo di posizione, subendo passivamente gli eventi, senza tutelare minimamente gli interessi dei suoi sostenitori". 
Il gruppo di ultrà bianconeri dei Drughi ha diffuso una lettera nella quale insulta pesantemente la vedova dell'ex giocatore, che in settimana aveva stigmatizzato i cori razzisti della curva, minacciando di togliere il nome del marito. Zoff: "Superato ogni limite"  


adesso  anche  il caso  ,  fortunatamente  rientrato  (  vedere  secondo articolo  )   ma  fino a quando  ? ,   della squadra    de  Casablanca  team  composto da immigrati gioca nei campionati amatoriali dell’Uisp di Forlì

da  la stampa  del 14\3\2014


I giocatori del Casablanca squadra composta da immigrati marocchini


“Esasperati degli insulti razzisti”Il Casablanca si ritira dal campionato  Il forfait dopo il “tornate a casa marocchini di m..” di sabato scorso; il team composto da immigrati gioca nei campionati amatoriali dell’Uisp di Forlì




Ogni fine settimana è sempre la stessa storia: in campo arrivano gli insulti razzisti. E così il Casablanca, squadra composta da immigrati marocchini che gioca nei campionati amatoriali dell’Uisp di Forlì, ha deciso di ritirarsi dal campionato. Lo racconta l’edizione locale del Resto del Carlino. 
L’ultimo episodio, quello che ha portato la squadra ha prendere la decisione, è arrivata sabato scorso: “Tornate a casa marocchini di m...”, ha gridato uno degli avversari, durante la partita contro il Club juventinità di Forlimpopoli, vinta per 3-0 dal Casablanca. 
I giocatori hanno immediatamente avvertito l’arbitro, ma non è stato preso nessun provvedimento, anche per questo è arrivata la decisone, come ha raccontato Rachid Hansal, 41 anni, capitano della squadra, con un passato nella serie A marocchina e qualche presenza in nazionale. 
Quello di sabato sarebbe, secondo il capitano del Casablanca «l’ultimo di una lunga serie di insulti a sfondo razziale. Purtroppo quasi ogni sabato è così. Non ne possiamo più. E adesso non giochiamo più. Abbiamo fatto anche un esposto alla Uisp, citando il nome dell’autore di quella frase. Di certo offese così non ne sopporteremo più. Era giunto il momento di fare qualcosa. Di prendere una decisione forte. E l’abbiamo presa». 
Da sabato prossimo, il Casablanca non scenderà in campo. Ma intanto Bruno Molea, vicepresidente gruppo Scelta Civica alla Camera e presidente nazionale dell’Associazione italiana cultura e sport si schiera a difesa dei giocatori: «Voglio esprimere tutta la mia solidarietà alla squadra di calcio del Casablanca per gli insulti razzisti ricevuti. È increscioso che non siano stati presi provvedimenti punitivi nei confronti delle squadre avversarie che hanno offeso i giocatori del Casablanca, immigrati di origine marocchina che giocano nei campionati amatoriali dell’Uisp di Forlì». E aggiunge ancora: «Chiedo che la Uisp intervenga subito e ponga in essere misure disciplinari contro chi ha leso la dignità altrui e auspico che la squadra del Casablanca torni presto in campo, anche per combattere e vincere contro ogni forma di razzismo, inconcepibile soprattutto quando avviene nei campi sportivi». 


flash della gazzetta dello sport 




Non ci ritireremo dal campionato Uisp. Restiamo in campo perché altrimenti sarebbe una sconfitta rispetto al razzismo". A parlare è Youssif Laazizi, difensore del Casablanca, la squadra di marocchini che, dopo aver ricevuto insulti razzisti, aveva dichiarato di voler abbandonare il campionato Uisp di Forlì-Cesena in cui gioca da anni. La decisione arriva al termine dell'incontro, iniziato oggi alle 13 nella sala della Giunta del Comune di Forlì, tra alcuni calciatori del Casablanca, il sindaco Roberto Balzani e una rappresentanza comunale e una delegazione della Uisp.
"LA UISP NON CI STA" — "Adesso il campionato Uisp può riprendere", dice Vincenzo Manco, presidente nazionale dell'associazione che, per protestare contro il razzismo e solidarizzare con la squadra di immigrati, aveva sospeso il torneo. "Non bisogna abbassare la guardia contro il razzismo, non bisogna minimizzare su ciò che avviene in campo e negli spalti. Questo vale dappertutto: in serie A e nei tornei amatoriali come il nostro. Sport significa dignità, integrazione e rispetto. Per questo può contribuire a cambiare e migliorare il nostro Paese. Se diventa altro l'Uisp non ci sta. Questa vicenda si chiude ma se ne apre immediatamente un'altra: l'impegno per la cultura del rispetto riguarda tutti in tutti i luoghi di incontro, dallo sport alla scuola, al mondo del lavoro". La prossima partita del Casablanca è fissata per domenica alle 10.30 nel campo Buscherini di Forlì, contro il Castelnuovo, squadra di un piccolo centro alle porte della città. I giocatori indosseranno una maglietta con la scritta "NO al razzismo".
Fino a quando le  società    calcistiche faranno il bello o il cattivo tempo   per  poi  andare  con la coda   fra le  gambe   alle  forze dell'ordine   la  situazione sarà destinata  a peggiorare  . Infatti  << ( ... ) il discorso vale per tutti i club, senza eccezioni - si renderà pienamente conto di cosa stiano diventando, o siano già diventate, le enclave degli ultrà negli stadi italiani. La vicenda degli insulti a Mariella Scirea, nella sua miseria, è solo una conferma di ciò cui assistiamo da inizio stagione: l'affermazione continua e costante di un potere rivendicato sfacciatamente e sguaiatamente, anche se si tratta di un potere illegale. La replica feroce alla garbata amarezza della vedova del giocatore-simbolo della correttezza in campo e fuori, che aveva soltanto espresso il proprio rammarico nel vedere la curva intitolata a suo marito teatro di striscioni dementi e canti razzisti, è molto più della reazione stizzita di un gruppo di mascalzoni. E' piuttosto un voler marcare il territorio, un messaggio di pura intimidazione che si traduce così: non vi immischiate, non vi azzardate a parlare di noi, non giudicate le nostre azioni, perché noi siamo i padroni e chi è contro di noi sarà punito. Un'arroganza figlia dell'impunità accordata per decenni (sì, decenni: dentro stadi vecchie e nuovi, non fa differenza) a gruppi e gruppetti uniti da sigle spesso ispirate al fascismo, al razzismo, alla violenza. Li hanno lasciati fare, bollandoli come folklore. Li hanno ringraziati, "i ragazzi della curva". Li hanno omaggiati, in tutti i sensi. Hanno giudicato ragazzate le loro sempre più spinte provocazioni. Adesso si raccolgono i frutti: saranno pure pochi, perché poi la maggioranza dei tifosi, anche in curva, è gente che vuole solo divertirsi e tifare. Ma sono fuori controllo. La polizia li lascia fare, per evitare problemi, i club ne sono ricattati. Fine. (....) continua sempre su repubblica del 13\3\2014 >>

Ora  non bastano le belle e lodevoli iniziative per ora  isolate   come quelle di topolino con le storie ed i messaggi antirazzisti e non violenti








Ti piace il calcio? E la squadra dei topi/paperi Disney? Se la risposta è sì i entrambe le domande, allora preparati a vivere una nuova dose di emozioni fantastico-sportive su Topolino Gol, il nuovo magazine mensile in 5 volumi ispirato al campionato di calcio Seria A dove potrai trovare tante storie a fumetti, avventure speciali che avranno come protagonisti i grandi campioni del calcio italiano, articoli e interviste esclusive a tanti giocatori di Serie A TIM e 20 “scudetti” delle squadre di Serie A TIM “paperizzati”, cioè rivisti in stile disneyano, che diventeranno delle fantastiche copertine da collezione sugli albi “TopolinoGol” e sugli album delle figurine Panini della raccolta “Calciatori 2013-2014”.
La notizia si fa sempre più interessante, vero? Bene, allora sappi che il primo Topolino Gol è in edicola proprio in questi giorni insieme al numero settimanale di Topolino: una coppia di bomber del divertimento davvero irresistibile, sopratutto se pensi che sulla copertina del numero 1 di Topolino Gol ci sono Paperino, Paperoga e Gastone nei panni di novelli testimonial della lotta contro e il razzismo e le discriminazioni.
Topolino Gol, infatti, non è solo una nuova fonte di risate, ma fa anche parte della nuova campagna “Insieme contro le discriminazioni” avviata dalla Lega Serie A insieme a Panini per combattere le discriminazioni di ogni tipo grazie alla sensibilizzazione dei più giovani tifosi di calcio e fan di Topolino. In questa partita contro le discriminazioni, Topolino Gol farà squadra con il secondo dei prodotti più celebri di Panini, cioè l’intramontabile collezione di figurine “Calciatori”, per portare avanti un nuovo calcio sempre più ricco di valori positivi come quelli dell’integrazione e della condivisione.   (  .... continua qui )  


o misure repressive , basterebbe che chi è vero tifoso facesse lo sciopero del calcio in tv o allo stadio cosi le società la smettono di predicsare bene e razzolare male cioè di farsi riccattare dagli ultà


2.9.13

CHI LO HA DETTO CHE BISOGNA TIFARE PER LA SQUADRA CHE TIFANO I GENITORI ?

Di  solito  , per  esperienza  personale  con amici\che milanisti ed  interisti  ,  avevo sempre  conosciuto  gente  che tifa   una determinata  squadra perchè la  si tifava  in famiglia . Ma  questa   storia   , conferma  anche il mio  percorso  calcistico da  ex  juventino ( tranne che   nelle coppe  europee )    dopo gli scudetti  vinti illecitamente    o presunti tali come  quello  del  1996\7  contro l'inter  ,  ho smesso di tifare fisso   per  una squadra   e  mi appassiono di calcio  in generale  .  Sono passato a : << (...)  Il tifo sportivo non hanno una logica, è irrazionalità pura, non mi sono mai chiesto né ho mai capito perché tifi Ducati e McLaren, è così e basta e non c'è verso che cambi idea. Ad esempio tifo Basket Napoli, una squadra che dopo paio di fallimenti non esiste più e da allora non c'è verso di farmi interessare ad un club di basket, guardo solo la nazionale.Il tifo sportivo non si sceglie, ti capita.( Biagio Scotto di Carlo  commento   all'articolo dell'HuffingtonPost


Mio figlio che tifa per il Cagliari

Pubblicato: 31/08/2013 18:45  DI 
Darwin Pastorin




Ho fatto il possibile, lo giuro. E anche l'impossibile. Da piccolino, lo mettevo davanti alla TV: a vedere la Juventus. Vinceva? "Visto, come siamo bravi?". Perdeva? "Visto come siamo generosi?". Gli parlavo del mio idolo Pietro Anastasi, che ad Arpino ricordava il ragazzo Rosario del mai finito romanzo "Le città del mondo" di Elio Vittorini, della fantasia di Sivori, Platini, Roberto Baggio e Del Piero, degli scudetti e delle coppe.
TIFOSI ROSSUBLU' IMMAGINE SIMBOLO  . DALL'UNIONE  SARDA  ONLINE 

Lui, mi accorgevo, non sorrideva mai. Fino a quando, avrà avuto quattro, cinque anni, mi annunciò, abbandonando lo stadio durante un match di campionato tra la Juve e il Verona: "Basta con questa Juventus! Io sono del Cagliari!". Fine delle trasmissioni, dell'abbonamento insieme per seguire i bianconeri... Santiago, così si chiama mio figlio, per il pescatore de "Il vecchio e il mare" di Hemingway e non per lo stadio Bernabeu di Madrid, aveva deciso di scegliere la parte materna, i nonni sardi della Barbagia. "E non ti offendere, papà, mi piace ltua par-brasio mi sento sardo. Viva Casteddu e viva su Casteddu!
Così, andiamo allo stadio una sola volta a stagione. Per Juventus-Cagliari. Dove lui, in piena tribuna juventina, si presenta con sciarpa e maglietta rossoblù. Due anni fa, dopo una rete di Vucinic a inizio incontro, gli dissi: "Figliolo, al tre a zero torniamo a casina...". Mi rispose: "Non è finita, non fare il presuntuoso bianconero...". Si alzò il presidente Cellino, vide mio figlio e lo aabbracciò e accarezzò, manco fosse Sant'Elia. Alla fine, su Casteddu pareggiò, con Cossu. Santiago esultò, urlando: "Questa si chiama giustizia!".
Mio figlio, oggi quindicenne, è mancino. Gigi Riva, al telefono, mancino per eccellenza, gli disse: "Santiago, ricordati: storti sono gli altri non noi!".
È irrecuperabile. Anche perché, come ricorda spesso Eduardo Galeano, "una persona nella sua vita può cambiare moglie, idea politica, religione, persino il sesso, ma non la squadra del cuore" (Emilio Fede a parte, ovviamente). E il poeta Giovanni Raboni insegnò: "Si è tifosi della propria squadra perché si è tifosi della propria vita, di se stessi, di quello che si è stati, di quello che si spera di continuare a essere. È un segno, un segno che ognuno riceve una volta per sempre, una sorta di investitura che ti accompagna per tutta la vita, un simbolo forte che si radica dentro di te, insieme con la tua innocenza, tra fantasia, sogno e gioco".

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«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...