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4.2.17

per certe storie non è mai tardi e non hanno data Venezia, destini incrociati di due donne in ospedale In fuga dai nazisti, l'infermiera riconosce la paziente: "i miei nonni salvarono la sua famiglia"

ecco che certe storie non hanno non dovrebbero avere, come da titolo , date fisse o di scadenza e vanno raccontate sempre . Ecco perchè nei tag sulla giornmata della mmoria metto 27 gennaio sempre


da http://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca  del  4/2\2017 

Venezia, destini incrociati di due donne in ospedale
In fuga dai nazisti, l'infermiera riconosce la paziente: "i miei nonni salvarono la sua famiglia"

di Vera Mantengoli





Daniela Foà e la madre Egeria Banon

VENEZIA. «La famiglia Foà riconoscente». Per anni questa frase, incisa nel retro di un ciondolo raffigurante una Madonnina, ha accompagnato la famiglia Sartori di Pianiga. La scritta era un dono della famiglia veneziana Foà ai Sartori per ringraziarli di averli salvati dai campi di concentramento.
Se nel primo dopoguerra i rapporti tra i Foà e i Sartori erano continuati, lentamente poi si sono diradati fino a perdere ogni contatto. Un mese fa, per coincidenza o destino, le famiglie si sono incrociate.
L’attrice e casting director veneziana Daniela Foà, classe 1947, figlia dell’allora giovane coppia Enrico Foà ed Egeria Banon, è stata operata al cuore all'ospedale all'Angelo
Il giorno prima di essere dimessa, Catia Sartori, operatrice sanitaria del reparto di Cardiochirurgia, le ha chiesto timidamente se per caso appartenesse a una famiglia di origine ebraica. «Sapevo dell’esistenza di questa famiglia da una scritta su un ciondolo che mia nonna non si toglieva mai» racconta la donna, 53 anni, nipote di Federico Sartori e Margherita Testolini, i contadini (suoi bisnonni) che durante la guerra avevano ospitato la famiglia di Enrico Foà, sedici persone. «Ho sempre saputo di avere due padrini, uno cattolico e uno ebreo. Quello ebreo è Enrico Foà, il papà della nostra paziente Daniela» racconta Catia Sartori «Non è mai stato un problema quello delle due religioni, per noi era normale».



I bisnonni di Catia Sartor: salvarono la famiglia ebrea di Daniela Foà dai nazisti
Il giorno prima di essere dimessa, Catia Sartori, operatrice sanitaria del reparto di Cardiochirurgia, le ha chiesto timidamente se per caso appartenesse a una famiglia di origine ebraica. «Sapevo dell’esistenza di questa famiglia da una scritta su un ciondolo che mia nonna non si toglieva mai» racconta la donna, 53 anni, nipote di Federico Sartori e Margherita Testolini, i contadini (suoi bisnonni) che durante la guerra avevano ospitato la famiglia di Enrico Foà, sedici persone. «Ho sempre saputo di avere due padrini, uno cattolico e uno ebreo. Quello ebreo è Enrico Foà, il papà della nostra paziente Daniela» racconta Catia Sartori «Non è mai stato un problema quello delle due religioni, per noi era normale».



Catia Sartori, operatrice sanitaria all'Angelo

Daniela e Catia non hanno mia vissuto sulla loro pelle la fuga da Venezia, ma Egeria Banon, oggi 96enne residente al Lido, ricorda tutto. «Il 5 dicembre 1943» racconta la figlia Daniela «i miei ebbero una soffiata: quella notte sarebbero arrivati i nazifascisti al Ghetto. All’epoca avevano circa 22 anni e, nonostante fossero fidanzati da tempo, non potevano fuggire senza matrimonio. Così, in fretta e furia, si sposarono e poi scapparono con mezzi di fortuna rifugiandosi a Pianiga». A dar loro ospitalità furono appunto Federico e Margherita, genitori di Guido Giuseppe Sartori e Maria Lorenzi, i nonni di Catia. «Avevano paura di essere scoperti» spiega «Mio nonno lavorava come muratore a Venezia e forse si erano conosciuti così. Ogni giorno faceva Pianiga e Venezia in bicicletta. Mia nonna Maria non si è mai tolta quel ciondolo. Sono cresciuta con questa storia che ho sempre sentito vicina, soprattutto perché oggi abito nella stessa casa, dove il ricordo di quella famiglia è sempre vivo anche tra le mie zie Gianna, Giuseppina e Anna. Mi piacerebbe che anche mia figlia che ha 27 anni li conoscesse».


                                                      Egeria Banon


Per la famiglia Foà quei ricordi appartengono a un periodo buio. In sedici hanno dovuto affrontare molte prove, inclusa la volta che Egeria era stata fermata dai nazisti. «Cercavano una donna ebrea che le assomigliava» ricorda Daniela Foà «Mia mamma aveva un passaporto falso, ma si è vista la morte in faccia». Non ha rischiato solo quella volta. Egeria dopo un anno è rimasta incinta. Una levatrice veneziana si è offerta di nasconderla da lei fino al parto del primo figlio Franco, avvenuto di nascosto in una casa in Campo della Bragora. «Dopo è tornata in campagna» prosegue Daniela «Non potevano fare molto. Di giorno andavano nei campi a rubare le verze per mangiare. Alla sera arrivavano dei partigiani e si faceva filò tutti insieme attorno al fuoco. Avevano tutti paura di essere scoperti. Hanno patito il freddo, ma sono sopravvissuti».
Dopo due anni arrivano gli americani. «C’erano anche i marocchini con gli Alleati» racconta Daniela «I miei genitori avevano finito tutti i loro risparmi. Tornati a Venezia vennero ospitati dalle sorelle Lina e Amalia Navarro, sopravvissute ad Auschwitz». «Credo che questa storia abbia lasciato qualcosa a tutti i membri della mia famiglia» spiega Catia Sartori «Quando ho portato mia figlia a Venezia siamo andate al Ghetto e abbiamo preso qualche biscotto. Mia nonna mi diceva che i Foà ce ne mandavano sempre in occasione delle feste». Uscita dall’ospedale Daniela ha postato un pensiero su FB: «Senza l’aiuto di quelle persone probabilmente non sarei mai nata. C’è da riflettere? Io credo di sì».













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