Quindi è meglio praticare degli esercizi per controllarla e restare vigili davanti a situazioni di pericolo . Non so che altro aggiungere se non di suggerire di nuovo l'articolo citato nella puntata precedente di Centro Ànemos - Lesmo (MB).
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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28.8.25
Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n XXXVIII. - per gestire stress ed ansia allenate la respirazione
Quindi è meglio praticare degli esercizi per controllarla e restare vigili davanti a situazioni di pericolo . Non so che altro aggiungere se non di suggerire di nuovo l'articolo citato nella puntata precedente di Centro Ànemos - Lesmo (MB).
21.8.25
Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco . - puntata n puntata XXXVII ANCHE LA RESPIRAZIONE PUÒ ESSERE UN’ARMA DI DIFESA
Quando ci si trova in situazioni di pericolo, come per esempio un’aggressione, il corpo umano reagisceavviando quello che viene chiamato “sistema di attacco o fuga”. Questo comporta che in pochi secondi il cuore acceleri, i muscoli si tendano e la mente si focalizzi sull’unica cosa che conta, vale a dire sopravvivere. In tutto quessto, spicca un elemento cruciale, che può fare la differenza tra il panico e il controllo, ed è la respirazione. Respirare in modo controllato e soprattutto consapevole è il primo passo per avere il comando della propria mente e del proprio corpo. Quando si è vittima di un’aggressione, si tende a trattenere il respiro o a respirare in modo rapido, quindi superciale. Questo tipo di respirazione peggiora la tensione dei muscoli, alimenta lo stato di confusione mentale e fa lievitare il senso di paura. Rallentare la frequenza del respiro, invece, è utile per ridurre l’ansia, mantenere un maggiore livello di lucidità e reagire in maniera più efficace. Per riuscirci, una delle tecniche più effiaci è quella della respirazione con il diaframma,che prevede di inspirare lentamente con il naso contando fino a 4, tra"enere il $ato per un paio di secondi, e poi espirare lentamente attraverso la bocca. Questo tipo di respirazione è in grado di stimolare il nervo vago e di abbassare la frequenza cardiaca, andando a inviare al cervello un senso di sicurezza. Ci aiuta a pensare con una maggiore chiarezza, anche quando ci si trova nel caos.Senza contare che respirare bene non signifca soltanto ossigenare il corpo in maniera adeguata, ma anche prepararsi mentalmente a scegliere la strategia più efficace e più sicura per la nostra incolumità. Ecco che in qualche modo la respirazione diventa un’arma di difesa, perché, pur non bloccando la paura, la rende in qualche modo più gestibile e quindi meglio affrontabile. Per non trovarsi impreparati nel malaugurato caso in cui si sia vittime di un’aggressione, è fondamentale allenarsi a respirare nel modo corretto anche in condizioni di stress. Del resto, chi controlla il respiro controlla anche se stesso.
Controllare la respirazione
Quando ero bambina si faceva un gioco “stupido” e pauroso … ma spesso i bambini vanno alla ricerca delle sensazioni di paura: metterle in atto rappresenta un modo per inscenarle, quasi per esorcizzarle. E così i bambini più grandi si nascondevano in vari punti delle cantine del mio condominio, che erano un una specie di labirinto, ed il malcapitato, solitamente i bambini più piccoli, dovevano attraversarle e subire gli agguati dei “mostri” nascosti. Solitamente accadeva che i bimbi attraversassero la cantina di corsa, col cuore in gola, in preda ad una vera e propria sensazione di panico.
Io prendevo per mano mio fratellino più piccolo e gli dicevo di respirare piano e di non correre, ma di attraversare la cantina camminando, respirando piano e con calma … il semplice calmare il respiro e controllare il tono muscolare, l’interrompere la reazione di fuga, trasformava quel gioco in qualcosa di divertente, quantomeno di più gestibile, e non più in qualcosa di terribilmente spaventoso (c’erano bambini che si facevano pipì addosso ed io non volevo che succedesse anche a mio fratellino). Ora, indubbiamente io lo facevo in maniera inconsapevole, il mio cervello si era “ingegnato” in maniera istintiva.
-Aggiungo qui una piccola curiosità: sapete perché il mio cervello si era così ingegnato? Perché dovevo “proteggere” il mio fratellino. Lo sapete che il cervello delle madri -o comunque di chi si deve prendere cura di un individuo che percepisce come più debole- cambia? Ci sono esperimenti (vedi Ammaniti) che dimostrano come i neuroni del cervello delle madre diventino più grandi e che se alcune topoline-cavie vengono messe in un labirinto, le prime a trovare la soluzione per uscire sono priprio le topoline gravide, le quali hanno come un cervello “amplificato”, che deve pensare al benessere di due persone e non più solo di una.
In questo caso cosa si osserva? Che il cercare di controllare delle reazioni fisiologiche, che nella fattispecie erano quelle relative alla risposta di fuga, riuscivano a fare mantenere una certa capacità di controllo sulla situazione.
Respirazione accelerata o affannosa: l’organismo mette in atto la risposta di attacco/fuga, quindi il cuore batte più forte, il sangue viene spinto nei muscoli degli arti per sostenere la reazione “attiva” ed i polmoni accelerano per sopperire all’aumentato fabbisogno di ossigeno. Una reazione di questo tipo può portare a conseguenze quali iperventilazione e, in casi estremi, allo svenimento.
Respirazione irregolare o interrotta: alcune persone, di fronte al pericolo, tendono a trattenere il respiro, e questo è ancora una volta in linea con il percorso evolutivo: il cervello arcaico mette in moto il meccanismo di difesa primitivo per cui trattenere il respiro è funzionale al fingersi morto/mimetizzarsi/nascondersi/stare immobili. Questo tipo di reazione è chiaramente disfunzionale, ci fa restare in apnea, riduce l’apporto di ossigeno ed in casi estremi porta allo svenimento, alla perdita dei senso o ad eccessiva rigidità muscolare.Queste modalità di respirazione entrano in gioco in maniera involontaria, sollecitate dall’adrenalina, impattano negativamente sulla capacità di autocontrollo, di coordinazione e sul Sistema Nervoso in generale (la respirazione infatti è correlata ed in grado di REGOLARE il nostro SN), MA POSSONO ESSERE CONTROLLATE.
Quindi, se è vero che il nostro Sistema Nervoso può influenzare la nostra respirazione, è altrettanto vero che esercitare un controllo cosciente sulla nostra respirazione può influenzare il nostro SN e quindi il rendimento psicofisico.
Entrambi i tipi di respirazione disfunzionali sono caratterizzati dell’essere centrati nel petto (l’apnea trattiene il respiro ingrandendo il petto, l’affanno è caratterizzato da evidenti e frequenti movimenti di questa zona del torace). L’esercizio da fare è quello fatto nella prima parte del nostro incontro: portare il respiro nella pancia.
Il respiro nella pancia è in grado di calmarci psicologicamente, di diminuire notevolmente la frequenza cardiaca, di diminuire la sudorazione. Il respiro nella pancia è tipico del meccanismo n° 3, del sistema vagale mielinizzato, attivo durante gli stati di quiete e di interazione sociale, quindi portare il respiro nella pancia permette di disattivare i meccanismi di difesa arcaici e disadattivi promuovendo l’intervento del sistema più evoluto, che ha a che fare con l’autocontrollo e la consapevolezza.
È importante quindi respirare con la pancia evitando i grandi respiri di petto tipici di coloro che hanno paura/terrore o di chi ha fatto un grande sforzo; inspirare profondamente cercando quasi di spingere lo stomaco verso il basso, fare una piccola pausa, e poi espirare lentamente (solitamente l’espirazione dovrebbe durare più dell’inspirazione). Tenendo una mano sul petto ed una sulla pancia, quella sul petto dovrebbe rimanere piuttosto ferma e quella sulla pancia invece muorsi.
È possibile esercitare questa pratica, magari inizialmente a casa in tranquillità, facendo 12 respiri profondi di pancia prima di dormire. E poi anche in tutte quelle situazioni di panico o paura che affrontiamo nella vita quotidiana.
Anche qui aggiungo un piccolo aneddoto: ho provato ad esempio questo metodo durante l’arrampicata. Situazione tipo: ho paura dell’altezza, entro in panico, la respirazione diventa più veloce ed affannosa. Riconosco i sintomi, agisco un controllo sul pensiero, mi calmo grazie alla respirazione, mi riapproprio dell’autocontrollo.
Si tratta di un metodo antistress e antipanico rapido ed efficace: non avevo molto tempo per pensare, dovevo agire in fretta per muovermi e procedere.
Riconoscere i "sintomi della paura"
Come spiegato nel precedente articolo, saper riconoscere i segnali dell'adrenalina (occhi sbarrati, movimenti rapidi degli occhi, respirazione alterata, ecc), che colpiscono non solo aggredito, ma anche l'aggreossore, aumenta la sensazione di padronanza di noi stessi e permette di riconoscere in tempo l’imminenza di un attacco, per poter predisporre una reazione efficace.
2.1.25
diario di bordo n 95 anno III La coppia con l'autismo scoperto da adulti: «L'ansia per i vestiti, al supermercato con le cuffie anti rumore» .,A 8 anni sopravvive 5 giorni in un parco con leoni in Zimbabwe
Ripubblichiamo l’intervista di Enea Conti a Martina Monti e Pippo Marino, pubblicata ad aprile, una delle più apprezzate dalle nostre lettrici e dai nostri lettori nel 2024
«La percezione è che la gente non abbia idea di che cosa sia l’autismo. Tanti pensano a Rain Man il film con Tom Cruise e Dustin Hoffman. Altri pensano al bambino che si dà i
«Fu un innamoramento lentissimo, ed entrambi siamo arrivati insieme a ricevere questa diagnosi». Spesso, però, tanti adulti con disturbi dello spettro autistico non riescono ad intraprendere alcun percorso. «Io, Martina, ho fatto anni di psicoterapia e ho scoperto spesso che la psicoterapia non è tarata sull’autismo lieve e quindi sull’autismo nell’adulto. Nessuno mi ha mai suggerito di pensare allo spettro autistico. Nonostante i soldi investiti sulla psicoterapia. Vogliamo raccontare la nostra storia per fornire un input ad altre persone in difficoltà».
Martina e Pippo, come siete arrivati alla diagnosi da adulti?
«Una cara amica di Martina ha un figlio che soffre di disturbi dello spettro autistico e lei stessa è arrivata alla stessa diagnosi dopo aver notato certe similitudini tra i propri comportamenti e quelli del figlio. In Martina rivedeva alcuni comportamenti simili ai suoi e Martina, a sua volta, vedeva in me comportamenti altrettanto simili. Entrambi abbiamo sempre avuto a che fare con gli psicoterapeuti perché i nostri problemi di ansia, cito in particolare l’ansia sociale. Questa nostra amica ci ha consigliato il centro "Cuore mente lab" di Roma, tra i pochi specializzati in Italia per quel che riguarda i disturbi dello spettro autistico negli adulti. A Roma venne fuori che entrambi rientravamo non solo all’interno dello spettro autistico ma anche nel adhd ovvero il disturbo da deficit di attenzione/iperattività. Altro disturbo frequentemente diagnosticato nei bambini ma meno negli adulti».
Potete fare un esempio concreto, tratto dalla vita di tutti i giorni?
Che percezione credete abbia la società delle persone con disturbo dello spettro autistico?
«La percezione è che la gente non abbia idea di che cosa sia l’autismo. Tanti pensano a “Rain Man” il film con Tom Cruise e Dustin Hoffman. Quando va male in tanti pensano al bambino che si dà i pugni in testa. Ma la verità è che non si ha la più pallida idea di che cosa sia l’autismo. A volte la sensazione è che la società considera gli autistici dei "poveri handicappati" talvolta, azzardiamo, anche con un’accezione negativa screditante. La verità è che la definizione “spettro autistico” ha un significato preciso e ampio: c’è una gamma enorme di sfumature. Ci sono le persone non verbali, che non riescono a comunicare e a interagire. Sono casi gravi e difficili. E poi ci sono altri casi: noi per esempio siamo stati diagnosticati ad alto potenziale cognitivo. Ma anche con un q.i. superiore alla media abbiamo difficoltà notevoli. Martina ha avuto diritto alla legge 104 per avere una riduzione dell’orario di lavoro necessaria ad evitare il burnout. Significa andare in esaurimento mentali da sovrastimoli».
Che cosa intendete per sovrastimoli?
«Vale la pena fare un esempio. Non faccio più la spesa. Entrare al supermercato costa uno stress pari a un giorno di lavoro intero: luci alte, le persone intorno, il fastidio di essere toccati. Quando ci vado devo andarci con le cuffie anti rumore, perché sono "iper-uditiva". C’è chi, invece, soffre molto le luci perché percepisce molti più input luminosi rispetto al normale. Personalmente, molti vestiti mi fanno venire l’ansia se indossati, certe texture mi innervosiscono. Sono esempi di sovrastimoli».
La vostra storia è stata raccontata parecchie volte in questi giorni. Il motivo che vi ha spinto a renderla nota?
«Creare un po’ di curiosità. Tante persone si riconosceranno in alcuni tratti nella nostra storia. E magari molte di loro, che forse sono in cura per l’ansia o altri disturbi, potrebbero scoprire che in realtà hanno un problema di neuro divergenza. Per loro sarà una porta da aprire per vivere in pace. Non ci illudiamo e non illudiamo nessuno, la qualità della vita è pressoché la stessa dopo la diagnosi: noi però siamo molto più consapevoli, non ci colpevolizziamo per quello che siamo, come un tempo e ci accettiamo. È molto liberatorio poter dire "non sono io che non funziono ma sono neuro divergente". Io, Martina, ho fatto anni di psicoterapia e ho scoperto spesso che la psicoterapia non è tarata sull’autismo lieve e quindi sull’autismo nell’adulto. Nessuno mi ha mai suggerito di pensare allo spettro autistico. Nonostante i soldi investiti sulla psicoterapia ero sempre allo stesso punto».
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Il bambino ha trascorso cinque giorni "dormendo su uno sperone di roccia in mezzo a leoni ruggenti, elefanti e mangiando frutti selvatici", ha detto. Il parco giochi di Matusadona conta circa 40 leoni e per un periodo ha avuto una delle più alte densità di popolazione di questi animali in Africa, secondo African Parks citato da Bbc. Murombedzi ha detto che il bambino ha usato la sua conoscenza della natura selvaggia e le sue abilità di sopravvivenza per rimanere in vita. Tinotenda è sopravvissuto mangiando frutti selvatici, ha scavato piccoli pozzi nei letti asciutti dei fiumi con un bastone per procurarsi acqua potabile, un'abilità che viene insegnata in questa zona soggetta a siccità. I membri della comunità locale di Nyaminyami hanno organizzato una squadra di ricerca e hanno suonato tamburi ogni giorno per riuscire a riportarlo a casa. Alla fine sono state le guardie forestali a recuperare il bambino: al suo quinto giorno nella natura selvaggia, Tinotenda ha sentito l'auto di una guardia e le è corso incontro mancandola di poco, ha detto il parlamentare. Fortunatamente, le guardie forestali sono tornate indietro e hanno individuato "piccole impronte umane fresche", hanno quindi setacciato la zona finché non lo hanno ritrovato. "Questa era probabilmente la sua ultima possibilità di essere salvato dopo 5 giorni nella natura selvaggia", ha detto il parlamentare Il parco ha una superficie di oltre 1.470 km quadrati e ospita zebre, elefanti, ippopotami, leoni e antilopi. Sui social media, gli utenti hanno celebrato la forza e l'istinto di sopravvivenza del bambino: "Avrà una storia incredibile da raccontare quando tornerà a scuola". (ANSA).
16.6.22
“Dedico la mia laurea a chi si è suicidato per l’università”: la scelta di Giulia Grasso nel giorno di festa
La speciale dedica di Giulia, laureata a Bari: «A chi ha mollato, a chi si è tolto la vita per l'università»
La 23enne Giulia Grasso, neodottoressa in Lettere Antiche, ha sofferto di ansia durante gli studi: «Mi sono immedesimata in chi ha preferito dire basta. La colpa è anche dei media e all'estero è diverso»

Più e più volte Giulia Grasso, 23 anni, ha pensato di gettare la spugna. L’ansia, le notti insonni, l’emozione a tradirla sul più bello. Alla fine però non ha mollato,
laureandosi mercoledì scorso in Lettere Antiche all’Università di Bari.
Memore delle difficoltà incontrate, tuttavia, ha voluto mettere nero su
bianco sulla sua tesi – «La censura nel cinema italiano da Totò e Carolina a Totò che visse due volte» – una dedica speciale:
«A chi non ce l’ha fatta, a chi ha mollato, a chi non si è sentito
all’altezza, a chi ha trovato solo porte chiuse, a chi non crede più in
se stesso, a chi ha pianto notti intere pensando a quell’esame, a chi
non è riuscito a respirare per l’ansia, a chi si è dato la colpa di ogni
fallimento, a chi ha preferito morire invece che fallire ancora. A me,
che alla fine ce l’ho fatta».
Il post sui social
Sì,
Giulia ce l’ha fatta. Ed è anche riuscita a dare ampio risalto al suo
messaggio. È stata infatti lei stessa a farlo diventare virale su Instagram, con oltre 2.700 «Mi piace» e centinaia di commenti (in continua crescita): «Nessuno parla mai di loro
– ha scritto in riferimento ai destinatari della dedica –. Perché
nessuno pensa mai a chi non ce la fa più, a chi si porta quell’esame
dietro per anni e non perché non studia, ma perché qualcuno ha deciso
che quella domanda sulla nota a piè di pagina di uno dei tre libri da
500 pagine a cui non ha saputo rispondere, vale la bocciatura». E
ancora, come un fiume in piena: «La mia tesi, la mia laurea, tutti i miei sacrifici, li ho dedicati a chi ha passato notti intere a piangere,
notti insonne a domandarsi: “ne vale davvero la pena?”, giornate a
studiare sui libri per poi sentirsi dire che non era abbastanza. Ma non è così».Nelle righe successive Giulia si è poi rivolta direttamente agli studenti in difficoltà: «Non siete l’opinione di uno sconosciuto
– si legge –. Non siete il voto che vi dà un docente che arriva stanco
alla fine dell’appello e vuole tornare a casa. Non siete la performance
che date all’ultimo appello di luglio, dopo aver atteso 10 ore il vostro
turno. Voi siete quel pezzo di focaccia barese che avete bramato per
così tanto. Siete quei fiori che i vostri cari vi danno in mano. Siete i
sorrisi dei vostri amici. Siete i vecchietti che vi fermano per strada
per farvi gli auguri. Siete il profumo di alloro che sentirete per
giorni. Siete la sensazione di libertà che provate quando vedete
l’ultimo esame convalidato sul libretto. Siete l’ultimo sguardo che date
a quel posto che per anni è stato il vostro incubo. Siete tante cose, ma non siete quel fallimento che vi fanno pensare di essere. Perché la colpa non è sempre dello studente. E un bravo docente sa anche questo».
«Mi sono immedesimata in chi ha detto basta»
Se la 23enne è arrivata a maturare queste riflessioni, è anzitutto perché lei stessa ha incontrato determinate difficoltà: «Da persona molto ansiosa quale sono ho sempre vissuto in maniera terribile l'avvicinamento a ogni esame – racconta al Corriere –. Anche io, quindi, mi sono spesso chiesta "Ma chi te lo fa fare?". Anche a me è capitato di essere bocciata solo perché l'emozione dell'esame aveva improvvisamente cancellato tutto quello che avevo studiato. Al momento di scrivere la dedica mi sono quindi immedesimata in chi ha preferito dire basta». A contribuire a questa particolare sensibilità, anche la sua esperienza Erasmus a Zara (Croazia): «Lì mi sono resa conto che le cose non devono per forza andare così – spiega –. L'ho visto nel rispetto che i professori portano nei confronti degli studenti. Nello sviluppo di rapporti che in Italia non ci sono. Poi certo, non faccio di tutta l'erba un fascio: qui per esempio mi sono trovata molto bene con il mio relatore Federico Zecca, ma dovrebbe trattarsi della regola, non dell'eccezione».
La pressione del confronto
A giudizio di Giulia, a contribuire al problema è anche il mondo dei media: «Sui giornali capita spesso di leggere di studenti che si laureano più volte e/o in tempi record – osserva –. Questo tipo di confronto crea molta pressione, perché ognuno ha i suoi tempi e le sue difficoltà. Penso per esempio a chi ha ridotte disponibilità economiche ed è costretto a lavorare per permettersi gli studi». Pensieri evidentemente condivisi anche da numerosissimi utenti del web: «Sono stati gentilissimi, mi sento davvero grata per tutti i commenti ricevuti – dice –. Qualcuno mi ha perfino scritto raccontandomi la sua storia».
Futuro in Inghilterra?
Nel futuro della neolaureata potrebbe esserci ancora l'estero: «Ho il pallino della scrittura e mi piacerebbe diventare una giornalista o un'insegnante. Sto già scegliendo la magistrale, ma non essendomi trovata bene in Italia sto valutando l'opzione di studiare nuovamente fuori. Per via della lingua mi piacerebbe trasferirmi in Inghilterra, ma la Brexit e il costo delle università locali sono ostacoli non da poco. Si vedrà». Forte di aver perseverato fino in fondo, non c'è sfida che ora senta di non poter affrontare.
16 GIUGNO 2022 10:58
“Dedico la mia laurea a chi si è suicidato per l’università”: la scelta di Giulia nel giorno di festa Giulia Grasso, 23 anni, si è laureata in Lettere Antiche all’Università di Bari. La studentessa ha dedicato la sua testi ai colleghi universitari di tutta Italia: “A chi non ce l’ha fatta e si è tolto la vita per gli esami. Non siete il fallimento che vi fanno credere di essere”
A cura di Gabriella Mazzeo
Una dedica per tutti coloro che non ce l'hanno fatta, ma anche per tutti gli studenti che ancora stanno cercando la loro strada. Giulia Grasso, 23 anni, si è laureata nella giornata di mercoledì scorso in Lettere Antiche all'Università di Bari. Memore delle difficoltà incontrate sul suo cammino, ha voluto mettere nero su bianco una dedica speciale. "A chi non ce l'ha fatta, a chi ha mollato, a chi non si è sentito all'altezza e a chi ha trovato solo porte chiuse – ha scritto Giulia sui social network -. A chi non crede più in se stesso, a chi ha pianto notti intere pensando un esame e a chi si è dato la colpa di ogni fallimento".
Il messaggio della 23enne è diventato virale su Instagram con oltre 2.700 "Mi Piace" e centinaia di commenti. Nella sua dedica, Giulia fa riferimento anche alle decine di studenti che si sono tolti la vita a causa del libretto universitario. "Siete tante cose – ha scritto – ma non siete quel fallimento che vi fanno credere di essere. Nessuno pensa mai a chi non ce la fa più e si porta l'esame dietro per anni non perché non studia, ma perché qualcuno ha deciso che quella domanda sulla nota in fondo alla pagina vale la bocciatura". "Non siete l'opinione di uno sconosciuto – ha continuato la neolaureata – né il voto che vi dà un docente stanco alla fine dell'appello o la performance dell'ultimo esame di luglio. Siete quei fiori che i vostri cari vi danno, i sorrisi dei vostri amici, i vecchietti che vi fermano per strada per farvi gli auguri e il profumo di alloro che sentirete per giorni. Siete la sensazione di libertà che si prova quando viene convalidato anche l'ultimo esame sul libretto.
Siete l'ultimo sguardo che date a quel posto che per anni è stato il vostro incubo. La colpa non sempre è dello studente e un bravo docente sa anche questo". La neolaureata ha poi sottolineato di aver incontrato molte difficoltà sul suo cammino. Ha raccontato al quotidiano Corriere della Sera di essere molto ansiosa e di aver vissuto in maniera terribile l'avvicinarsi di ogni esame. "Mi sono spesso chiesta perché lo stessi facendo. Anche a me è capitato di studiare ed essere bocciata solo perché l'emozione aveva improvvisamente cancellato tutto quello che sapevo – ha dichiarato -. Quando ho scritto la dedica mi sono immedesimata in chi ha detto basta. Sui giornali capita spesso di leggere di studenti che si laureano in tempi record o che iniziano a lavorare giovanissimi. Questo tipo di confronto crea pressioni perché nella vita reale ognuno ha i suoi tempi e le sue difficoltà". Dopo la laurea, Giulia Grasso ha intenzione di raggiungere l'Inghilterra. "Sto scegliendo la magistrale, ma non essendomi trovata bene in Italia sto valutando l'opzione di studiare fuori. Mi piacerebbe trasferirmi in Inghilterra ma la Brexit e il costo delle università sono ostacoli non da poco".Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...
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