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16.6.22

“Dedico la mia laurea a chi si è suicidato per l’università”: la scelta di Giulia Grasso nel giorno di festa

  La  prima reazione    che  è venuta  al sottoscritto leggendo  tale  articolo   ( eppure   condivide  , riporta   storie  simili     ,  storie   normali  per  gente   speciale  storie  speciali  per  gente   normale  ) è stata

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Ci siamo passati tutti, sottoscritto compreso che si laureato a 35 anni , ma nessuno si è mai guadagnato un articolo sul Corriere della Sera . dove sta la novità ?.

Mai poi leggendo meglio ( li trovate sotto ) sia l'intero articolo del corriere della sera sia l'articolo di fanpage s'accorge che essa non è come può sembrare ad una normale lettura un qualcosa di ridicolo , di banale . Ma è proprio una di quelle storie speciali per gente normale , normale per gente speciali

La speciale dedica di Giulia, laureata a Bari: «A chi ha mollato, a chi si è tolto la vita per l'università»

di Alessandro Vinci

La 23enne Giulia Grasso, neodottoressa in Lettere Antiche, ha sofferto di ansia durante gli studi: «Mi sono immedesimata in chi ha preferito dire basta. La colpa è anche dei media e all'estero è diverso»

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Più e più volte Giulia Grasso, 23 anni, ha pensato di gettare la spugna. L’ansia, le notti insonni, l’emozione a tradirla sul più bello. Alla fine però non ha mollato, laureandosi mercoledì scorso in Lettere Antiche all’Università di Bari. Memore delle difficoltà incontrate, tuttavia, ha voluto mettere nero su bianco sulla sua tesi – «La censura nel cinema italiano da Totò e Carolina a Totò che visse due volte» – una dedica speciale: «A chi non ce l’ha fatta, a chi ha mollato, a chi non si è sentito all’altezza, a chi ha trovato solo porte chiuse, a chi non crede più in se stesso, a chi ha pianto notti intere pensando a quell’esame, a chi non è riuscito a respirare per l’ansia, a chi si è dato la colpa di ogni fallimento, a chi ha preferito morire invece che fallire ancora. A me, che alla fine ce l’ho fatta».
Il post sui social
Sì, Giulia ce l’ha fatta. Ed è anche riuscita a dare ampio risalto al suo messaggio. È stata infatti lei stessa a farlo diventare virale su Instagram, con oltre 2.700 «Mi piace» e centinaia di commenti (in continua crescita): «Nessuno parla mai di loro – ha scritto in riferimento ai destinatari della dedica –. Perché nessuno pensa mai a chi non ce la fa più, a chi si porta quell’esame dietro per anni e non perché non studia, ma perché qualcuno ha deciso che quella domanda sulla nota a piè di pagina di uno dei tre libri da 500 pagine a cui non ha saputo rispondere, vale la bocciatura». E ancora, come un fiume in piena: «La mia tesi, la mia laurea, tutti i miei sacrifici, li ho dedicati a chi ha passato notti intere a piangere, notti insonne a domandarsi: “ne vale davvero la pena?”, giornate a studiare sui libri per poi sentirsi dire che non era abbastanza. Ma non è così».Nelle righe successive Giulia si è poi rivolta direttamente agli studenti in difficoltà: «Non siete l’opinione di uno sconosciuto – si legge –. Non siete il voto che vi dà un docente che arriva stanco alla fine dell’appello e vuole tornare a casa. Non siete la performance che date all’ultimo appello di luglio, dopo aver atteso 10 ore il vostro turno. Voi siete quel pezzo di focaccia barese che avete bramato per così tanto. Siete quei fiori che i vostri cari vi danno in mano. Siete i sorrisi dei vostri amici. Siete i vecchietti che vi fermano per strada per farvi gli auguri. Siete il profumo di alloro che sentirete per giorni. Siete la sensazione di libertà che provate quando vedete l’ultimo esame convalidato sul libretto. Siete l’ultimo sguardo che date a quel posto che per anni è stato il vostro incubo. Siete tante cose, ma non siete quel fallimento che vi fanno pensare di essere. Perché la colpa non è sempre dello studente. E un bravo docente sa anche questo».

«Mi sono immedesimata in chi ha detto basta»

Se la 23enne è arrivata a maturare queste riflessioni, è anzitutto perché lei stessa ha incontrato determinate difficoltà: «Da persona molto ansiosa quale sono ho sempre vissuto in maniera terribile l'avvicinamento a ogni esame – racconta al Corriere –. Anche io, quindi, mi sono spesso chiesta "Ma chi te lo fa fare?". Anche a me è capitato di essere bocciata solo perché l'emozione dell'esame aveva improvvisamente cancellato tutto quello che avevo studiato. Al momento di scrivere la dedica mi sono quindi immedesimata in chi ha preferito dire basta». A contribuire a questa particolare sensibilità, anche la sua esperienza Erasmus a Zara (Croazia): «Lì mi sono resa conto che le cose non devono per forza andare così – spiega –. L'ho visto nel rispetto che i professori portano nei confronti degli studenti. Nello sviluppo di rapporti che in Italia non ci sono. Poi certo, non faccio di tutta l'erba un fascio: qui per esempio mi sono trovata molto bene con il mio relatore Federico Zecca, ma dovrebbe trattarsi della regola, non dell'eccezione».

La pressione del confronto

A giudizio di Giulia, a contribuire al problema è anche il mondo dei media: «Sui giornali capita spesso di leggere di studenti che si laureano più volte e/o in tempi record – osserva –. Questo tipo di confronto crea molta pressione, perché ognuno ha i suoi tempi e le sue difficoltà. Penso per esempio a chi ha ridotte disponibilità economiche ed è costretto a lavorare per permettersi gli studi». Pensieri evidentemente condivisi anche da numerosissimi utenti del web: «Sono stati gentilissimi, mi sento davvero grata per tutti i commenti ricevuti – dice –. Qualcuno mi ha perfino scritto raccontandomi la sua storia».

Futuro in Inghilterra?

Nel futuro della neolaureata potrebbe esserci ancora l'estero: «Ho il pallino della scrittura e mi piacerebbe diventare una giornalista o un'insegnante. Sto già scegliendo la magistrale, ma non essendomi trovata bene in Italia sto valutando l'opzione di studiare nuovamente fuori. Per via della lingua mi piacerebbe trasferirmi in Inghilterra, ma la Brexit e il costo delle università locali sono ostacoli non da poco. Si vedrà». Forte di aver perseverato fino in fondo, non c'è sfida che ora senta di non poter affrontare. 

 https://www.fanpage.it/attualita/dedico-la-mia-laurea-a-chi-si-e-suicidato-per-luniversita-la-scelta-di-giulia-nel-giorno-di-festa/


16 GIUGNO 2022 10:58

“Dedico la mia laurea a chi si è suicidato per l’università”: la scelta di Giulia nel giorno di festa Giulia Grasso, 23 anni, si è laureata in Lettere Antiche all’Università di Bari. La studentessa ha dedicato la sua testi ai colleghi universitari di tutta Italia: “A chi non ce l’ha fatta e si è tolto la vita per gli esami. Non siete il fallimento che vi fanno credere di essere”

A cura di Gabriella Mazzeo


Una dedica per tutti coloro che non ce l'hanno fatta, ma anche per tutti gli studenti che ancora stanno cercando la loro strada. Giulia Grasso, 23 anni, si è laureata nella giornata di mercoledì scorso in Lettere Antiche all'Università di Bari. Memore delle difficoltà incontrate sul suo cammino, ha voluto mettere nero su bianco una dedica speciale. "A chi non ce l'ha fatta, a chi ha mollato, a chi non si è sentito all'altezza e a chi ha trovato solo porte chiuse – ha scritto Giulia sui social network -. A chi non crede più in se stesso, a chi ha pianto notti intere pensando un esame e a chi si è dato la colpa di ogni fallimento".



Il messaggio della 23enne è diventato virale su Instagram con oltre 2.700 "Mi Piace" e centinaia di commenti. Nella sua dedica, Giulia fa riferimento anche alle decine di studenti che si sono tolti la vita a causa del libretto universitario. "Siete tante cose – ha scritto – ma non siete quel fallimento che vi fanno credere di essere. Nessuno pensa mai a chi non ce la fa più e si porta l'esame dietro per anni non perché non studia, ma perché qualcuno ha deciso che quella domanda sulla nota in fondo alla pagina vale la bocciatura". "Non siete l'opinione di uno sconosciuto – ha continuato la neolaureata – né il voto che vi dà un docente stanco alla fine dell'appello o la performance dell'ultimo esame di luglio. Siete quei fiori che i vostri cari vi danno, i sorrisi dei vostri amici, i vecchietti che vi fermano per strada per farvi gli auguri e il profumo di alloro che sentirete per giorni. Siete la sensazione di libertà che si prova quando viene convalidato anche l'ultimo esame sul libretto.

Siete l'ultimo sguardo che date a quel posto che per anni è stato il vostro incubo. La colpa non sempre è dello studente e un bravo docente sa anche questo". La neolaureata ha poi sottolineato di aver incontrato molte difficoltà sul suo cammino. Ha raccontato al quotidiano Corriere della Sera di essere molto ansiosa e di aver vissuto in maniera terribile l'avvicinarsi di ogni esame. "Mi sono spesso chiesta perché lo stessi facendo. Anche a me è capitato di studiare ed essere bocciata solo perché l'emozione aveva improvvisamente cancellato tutto quello che sapevo – ha dichiarato -. Quando ho scritto la dedica mi sono immedesimata in chi ha detto basta. Sui giornali capita spesso di leggere di studenti che si laureano in tempi record o che iniziano a lavorare giovanissimi. Questo tipo di confronto crea pressioni perché nella vita reale ognuno ha i suoi tempi e le sue difficoltà". Dopo la laurea, Giulia Grasso ha intenzione di raggiungere l'Inghilterra. "Sto scegliendo la magistrale, ma non essendomi trovata bene in Italia sto valutando l'opzione di studiare fuori. Mi piacerebbe trasferirmi in Inghilterra ma la Brexit e il costo delle università sono ostacoli non da poco".

10.12.21

quando una panchina rossa non è solo un simbolo pulicoscienza ed ipocrita .il caso MELEGNANO CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE. LARGO 25 NOVEMBRE E UNA PANCHINA PER SILVIA

 Ecco   come dicevo  dal titolo , uno dei casi  in  cui  le  anchine  rosse   non sono  solo  ipocrisia  e pulicoscienza  .

Infatti Il 27 novembre, a Melegnano ( città metropolitana di Milano ) , la via Giuseppina Biggiogero, una delle poche intitolate alle donne, si è colorata di rosso. 

da https://vitaminevaganti.com/2021/12/04/melegnano-contro-la-violenza-di-genere-largo-25-novembre-e-una-panchina-per-silvia/

Una folla di piumini, giacche e cappotti rossi, e tanti volti con la mascherina rossa, intorno alle 11, ha riempito la piazzetta antistante. I passanti curiosi e le persone affacciate alle finestre si chiedevano che cosa si stesse per celebrare. Si trattava dell’intitolazione del Largo 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne e il femminicidio, patrocinata dal Comune di Melegnano e proposta congiuntamente dalla locale Banca del tempo e da Toponomastica femminile.

Malegnano contro la violenza di genere

Dopo i saluti di rito, alla presenza delle forze dell’ordine, ha preso la parola l’assessora Roberta Salvaderi, cui ha fatto seguito l’intervento del sindaco Rodolfo Bertoli. La presidente della Banca del tempo Teresa Bettinelli, con l’assessora Salvaderi, ha scoperto la targa. Dopo le note dell’inno d’Italia è stato letto un intervento, a nome di Toponomastica femminile e della Banca del tempo, che riportiamo nei suoi passaggi essenziali, richiamati in parte anche dai discorsi delle autorità.Oggi, intitolando questo Largo alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile contro le donne, vogliamo in parte attuare le prescrizioni della Convenzione di Istanbul, che chiede un coinvolgimento attivo e coordinato delle istituzioni e delle associazioni nell’opera di sensibilizzazione della società su questo tema. Non dimentichiamo che Melegnano è già stata definita dal Consiglio comunale “Città contro il femminicidio” e che molto si può fare per sensibilizzare l’opinione pubblica melegnanese sul tema.

Panchina di Silvia

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Abbiamo voluto che in Largo 25 novembre fosse presente la panchina di Silvia e oggi di Silvia, l’artista che l’ha realizzata, vi vogliamo parlare. Silvia era una ragazza problematica, che si era avvicinata alla Banca del tempo insieme alla sua mamma e vi aveva trovato conforto ed accoglienza. Raccontava di essere stata abusata all’età di 9 anni e questo aveva minato il suo equilibrio e l’aveva resa più fragile. Aveva frequentato il Liceo artistico “Piazza” di Lodi ed era diventata molto brava, aveva una capacità manuale notevole e realizzava opere bellissime, ma non era mai riuscita a mantenersi un lavoro. Amava i gatti e viveva in una casa umile con la sua mamma. Con grande passione si era dedicata alla realizzazione di questa panchina, in occasione della Giornata del 25 novembre. Silvia era una giovane omosessuale, una persona non allineata e non omologata a questa società, le sue storie spesso finivano male e negli ultimi mesi della sua vita era stata ricoverata in psichiatria, dove aveva fatto coming out. Silvia si era affezionata alle donne della Banca del tempo, in particolare a una di loro che l’aveva fatta conoscere alla propria famiglia e di lei la ragazza era solita dire, con grande riconoscenza per quell’affetto insperato e che forse considerava immeritato, che questa persona era la sua seconda mamma. Silvia purtroppo non ce l’ha fatta, il peso della vita era troppo forte per lei e chissà quali ferite aveva prodotto sulla sua anima quell’abuso. Ha deciso di togliersi la vita il 5 giugno del 2018, gettandosi sotto un treno, alla stazione di Melegnano. La panchina di Silvia, che tutti e tutte potete vedere, era stata dapprima portata alla stazione, ma il posto era isolato e la posizione non rendeva giustizia all’artista autrice dell’opera. Adesso è qui, nel posto più giusto, in quel Largo 25 novembre che ricorda tutto il male fatto a Silvia e a tante altre donne.Vorremmo chiudere con una poesia molto significativa scritta per lei da una persona che l’aveva conosciuta:

Penso
al tuo sorriso timido che non si apriva,
a te che sei sempre stata così schiva,
alla tua dolce apparente insicurezza,
alla tua vita in tutta la sua durezza,
a ciò che avrebbe potuto essere e non è stato,
a perché la società, così credevi, ti ha scartato,
alla tua creatività che esprimeva il tuo travaglio,
ai tuoi pensieri e la tua mente con il bavaglio,
alle tue lotte interiori, ma, convinciti, tu eri sana,
al perché da sola hai deciso di startene lontana,
ma quando mi siedo sulla tua panchina,
ti vedo, sì, ti vedo, molto, molto vicina.

Il testo tratto da Uomini è ora di giocare senza falli  ( di  Tiziana  Ferrario   )  è stato letto dopo la Camminata silenziosa in ricordo delle vittime di femminicidio il 28 novembre in Piazza della Vittoria a Melegnano dall’attrice e regista Serena Cazzola, dopo la lettura dei nomi delle 109 vittime di femminicidio.


Ora  La strada da fare è ancora molto lunga perché è diretta verso il superamento di una disparità funzionale a una società patriarcale costruita nel corso dei secoli e che solo a livello culturale potrà essere scardinata. E i cambiamenti culturali sono molto lenti. Per realizzarli dobbiamo fare rete, tutti e tutte insieme, non solo tra donne, ma anche con quegli uomini che sono nostri alleati e che ci piace definire femministi. Ed è proprio a questi uomini che ci rivolgiamo, con le parole di una grande giornalista e scrittrice, Tiziana Ferrario: « Servono uomini nuovi, consapevoli che gli amori possono finire/servono uomini nuovi che non picchino le donne/ servono uomini nuovi che non stuprino le donne/ servono uomini nuovi che non uccidano la donna che li sta lasciando/ servono uomini nuovi che non scrivano parole di odio in rete contro le donne/ servono uomini nuovi che difendano una donna se è indipendente, libera, sicura delle proprie idee, coraggiosa, brava/ servono uomini nuovi che dicano no alla violenza contro le donne/ servono uomini nuovi che aiutino gli uomini violenti a cambiare/ servono uomini nuovi che non girino la testa dall’altra parte davanti a un’ingiustizia perpetrata ai danni di una donna/ servono uomini nuovi che non paghino per fare sesso con ragazze che potrebbero essere le loro figlie/ servono uomini nuovi che si chiedano chi sono quelle ragazze che si prostituiscono ai bordi delle strade/ servono uomini nuovi che denuncino chi riduce in schiavitù le donne/ servono uomini nuovi che non abbiano timore di esporsi quando vedono un molestatore in azione/ servono uomini nuovi che non giudichino una donna per come è vestita/ servono uomini nuovi che credano realmente nella parità in casa e nel lavoro/ servono uomini nuovi che condividano le responsabilità in casa/ servono uomini nuovi che non dicano: “Ma è lei che comanda a casa!” per giustificare il loro non fare niente/ servono uomini nuovi che ascoltino che cos’hanno da dire le donne/ servono uomini nuovi che non si sentano a disagio se le loro compagne guadagnano di più/ servono uomini nuovi che non chiedano alla madre dei loro figli di optare per il part time. Lo facciano loro!/ servono uomini nuovi che si sentano offesi quando una donna viene offesa,/ servono uomini nuovi che si dicano orgogliosi delle loro figlie/ servono uomini nuovi che restino a casa dal lavoro quando il figlio ha la febbre/ servono uomini nuovi che prendano il permesso di paternità quando nasce un figlio/ servono uomini nuovi che non facciano battute volgari sulle donne/ servono uomini nuovi che facciano rete con tutti gli altri uomini che la pensano come loro/ servono uomini nuovi che facciano crescere altri uomini nuovi/ servono uomini nuovi che non si vergognino di dire :”No, io non ci sto” quando si insultano le donne (che siano famose o sconosciute, che siano belle o brutte, che siano povere o ricche, che siano giovani o vecchie, che siano malate o in salute). Quando gli uomini vivranno la violazione di un diritto di una donna come la violazione di un loro diritto, solo allora le donne scopriranno di essere veramente libere ».  Infatti la violenza di genere, in tutte le sue forme, non si combatte solo :  dando maggiori finanziamenti alle Case rifugio o approvando ed   facendole   applicare     altrimenti e  come  non farle    e  finisce  come le grida  manzoniane    leggi come quella del Codice rosso  .,  ma   soprattutto  si   dovrebbe  combattere  soprattutto a livello culturale, organizzando nelle scuole corsi che insegnino ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze a riconoscere gli stereotipi e i pregiudizi, abituandoli a quei rapporti paritari che già le Madri Costituenti avevano intuito essere alla base di una società veramente democratica. Non bisogna avere paura di parlare della violenza di genere nelle classi, di aiutare le/gli studenti a riconoscerne i segnali prima che si verifichino, non considerare le riflessioni e i laboratori sugli stereotipi retorica o tempo sottratto ai programmi, come purtroppo a volte ci si sente dire, anche da alcune/i docenti. Oggi, intitolando questo Largo alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile contro le donne,    gli amministratori   del  comune  sopracitato   hanno  voluto    in parte attuare le prescrizioni della Convenzione di Istanbul, che chiede un coinvolgimento attivo e coordinato delle istituzioni e delle associazioni nell’opera di sensibilizzazione della società su questo tema. Non dimentichiamo che Melegnano è già stata definita dal Consiglio comunale “Città contro il femminicidio” e che molto si può fare per sensibilizzare l’opinione pubblica  sul tema  e  non ridursi a  parlarne   solo  il 25  novembre  o 8  marzo    o peggio solo davanti all'ennesimo  omicidio  \  femminicidio  . Ma  soprattutto  ad  evitare   condanna   di serie   A  (  il caso di   Greta Beccaglia   ne  ho  parlato  qui in un precedente  post    ) e B  uno  dei tanti casi  femminicidio  o  di  violenza  sulle  donne  . Mi  fermo qui  perchè non so  che altro  aggiungere  


29.9.19

non credo che chi chiede il suicidio assistito o si uccida per gravi malattie ed soprattutto ci aiuta come cappato sia un Assassino

nello scrivere il post precedente m 'ero  dimenticato    di mettere nelle risposte agli haters odiatori  che non sono un assassino  . Ma solo  uno che  vuole  morire  con dignità . Infatti  ti   se  mi  dovesse  (  faccio gli scongiuri 🤞🤘👎  )  capitare  una cosa  del genere   chiederò ed  lascerò scritto ✍ o  un vocale  il mio fine vita   in cui  non solo  :   come  ho  lasciato  nel modulo  per la  nuova  carta  d'identità  voglio  (  avendo  già  sofferto  abbastanza    ed   vedendo  grazie  ad  un trapianto  )   che  i miei  organi  e le  mie cellule  staminali siano  donati   a  chi   ne  ha  bisogno o  alla    ricerca   per   sconfiggere o ridurre   malattie  fin   ora  incurabili  o  curabili con difficoltà  , ma  che mi siano  dati  o  ma  on sono  troppo forte per  farlo   il suicidio assistito   o interruzione  delle cure  inutili  ma  di  lasciare    eventualmente    quelle  palliative  Se invece  dovesse  capitare, ancora  scongiuri ed  cosa  che non auguro  ci si debba trovare  ne a me stesso  ne ad  altri\e   ,  per  me    sarebbe molto difficile     come   la stessa situazione in cui  si  trovato Roberto Recchioni quando  ha  dovuto  dare  la  morte  al suo gatto (   perchè  cari  lettori\lettrici    gli animali sono come noi esseri umani e  soffrono come  noi  ) , chiederò  se non dovessi  trovare  coraggio   di farlo  a qualcun altro   qualora  ci fosse  una sua  richiesta  di fine  vita  .  Infatti    da Laico credente   chiedo le stesse  cose  ,  pur  non  essendo (  speriamo  di  non   esserlo mai   )  nelle  sue    condizioni  o  di quei    malati incurabili  o che  vogliono morire  con dignità ,   di Gianfranco Bastianello  ( foto  sotto al  centro   )   e  di cui  riporto    sotto    una sua intervista  a  repubblica  del   27 Settembre 2019
Malato di Sla scrive al Papa: "La morte può essere l'unica scelta. Dio non può permettere di vivere oltre il sopportabile"

Sentenza sul fine vita, la testimonianza di un malato: “Da cattolico voglio libertà di scelta”

Gianfranco Bastianello, veneziano, 63 anni, è malato di distrofia muscolare da quando ne aveva 14. Ha scritto una lettera aperta a Papa Francesco per dirgli che "l’eutanasia o il suicidio assistito non sono soluzioni di comodo”


VENEZIA. "Certe volte c'è un'unica via d'uscita. Andarsene". Gianfranco Bastianello ha 63 anni, è malato di distrofia muscolare da quando ne aveva 14 e da 10 è costretto a muoversi con una carrozzina. Da cattolico praticante ha scritto una lettera aperta a papa Francesco per dirgli, come si direbbe all'amico più caro di cui non si condividono le idee, che "l'eutanasia e il suicidio assistito non sono soluzioni di comodo, o sbrigative. Te lo assicuro". La lettera, pubblicata dalla Nuova Venezia, è partita da Cavallino, comune della costa veneziana dove Bastianello abita. Pensionato dopo aver lavorato all'hotel Danieli di Venezia, è impegnato nella Uildm e nell'assistenza ai malati gravi.

Bastianello, perché ha deciso di scrivere una lettera aperta al Papa?
"Sono cattolico, mi interrogo. Ma soprattutto volevo portare la mia esperienza personale, cercare di trasmettere lo stato in cui sono costretti a vivere alcuni malati gravi dopo che il Papa aveva parlato dell'eutanasia come di una scelta sbrigativa. Ho la distrofia muscolare da quando ero bambino, ogni mattina un pezzetto in più del mio corpo non risponde ai comandi, devo farci i conti tutti i giorni".

Parla di esperienza personale, c'è la sua biografia. Ma quanto conta l'impegno nell'assistenza ai malati gravi?
"Con un gruppo di volontari prestiamo assistenza alle persone con gravi disabilità, costrette a letto, spesso in stato vegetativo. Sia chiaro, io mi batto per la vita, e per un'assistenza dignitosa per chi è malato di distrofia muscolare, di Sla, o di altre gravi malattie neurodegenerative. Ricordo con orgoglio la battaglia che feci anni fa, incatenandomi davanti a Palazzo Balbi, sede della Regione a Venezia, per garantire l'assistenza notturna che veniva negata a un malato di Sla. Dico però che deve esserci la libertà delle persone".

Cosa intende quando parla di libertà delle persone?
"Parlo della libertà delle scelte delle persone. Chi decide di rimanere in vita lo deve fare, e gli devono essere garantite tutte le cure e il sostegno necessario, cosa che oggi non avviene, come sanno bene le famiglie. Ma chi decide di andarsene, deve essere lasciato libero".

Non c'è contrasto tra questa posizione sul fine vita e l'essere cattolico?
"Non è una questione di religione, ma di buon senso. Si parla di sacralità della vita, ma che cosa c'è di sacro nel corpo di una persona che si trova in uno stato di coma vegetativo permanente? Non voglio essere irrispettoso, ma ripeto: se uno vuole andarsene deve essere lasciato libero di farlo. Qual è il senso di tenerlo in vita, di tenerlo, come si dice, attaccato alle macchine? Io non lo vedo, mi sembra piuttosto un atto di violenza. Lasciateci andare".

Spera che la sua testimonianza possa incidere nel dibattito?
"Sono disilluso, anche un po' stanco. Ma non mollo. Il dibattito c'è da anni, non porta da nessuna parte. La Cei ha parlato di una sconfitta. Mi chiedo quanti di coloro che parlano abbiano un'esperienza diretta con il fine vita, quanto conoscano la fatica delle famiglie. L'unica speranza è arrivata dalla Corte Costituzionale ma temo che, tra qualche giorno, non ne parlerà più nessuno".
                                       


5.6.19

La bufala sull’eutanasia concessa dall’Olanda alla 17enne Noa Pothoven

colonna  sonora

Di  cosa  stiamo parlando  

NOA POTHOVEN EUTANASIA BUFALA – No, Noa Pothoven (ne ho parlato precedente ), la diciassettenne olandese ammalatasi di anoressia e depressione in seguito a uno stupro subito all’età di dodici anni, non ha ottenuto alcuna eutanasia. Quindi la storia dell’eutanasia ottenuta da Noa Pothoven è una bufala.


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prima di far  scannare  la  gente    dobbiamo verificare  la  news    onde  evitare  errori . 

Immagine di copertina
Il caso di Noa è deflagrato in Italia nella giornata di ieri, martedì 4 giugno, e ha tenuto banco per quasi 24 ore, scatenando un accesissimo dibattito pubblico. Fiumi di parole sono però stati spesi per commentare una notizia che, allo stato attuale, altro non è che una vera e propria fake news.Come rivelato a TPI da Marco Cappato, leader dell’associazione Luca Coscioni, la diciassettenne olandese non ha affatto ottenuto l’eutanasia ma al contrario si è lasciata morire di fame e di sete proprio perché l’Olanda le ha negato la possibilità di accedere al trattamento di fine vita.“L”Olanda ha autorizzato l’eutanasia su una 17enne? Falso!!! I media italiani non hanno verificato. L’Olanda aveva rifiutato l’eutanasia a Noa. Lei ha smesso di bere e mangiare e si è lasciata morire a casa, coi familiari consenzienti. Si attendono smentita e scuse”, si legge nel tweet pubblicato da Cappato.noa pothoven storia

“Ho chiesto informazioni a una mia amica, per sapere che cosa stessero scrivendo i giornali olandesi sul caso e lei mi ha risposto che non ne stavano parlando perché in realtà la ragazza aveva semplicemente smesso di magiare e di bere. Inoltre è venuto fuori anche che lei aveva fatto richiesta per ottenere l’eutanasia, ma la domanda le era stata rifiutata.A leggere la stampa italiana sembrava invece che l’Olanda avesse eutanasizzato una ragazza depressa di 17 anni. Il fatto che un caso del genere fosse esploso in Italia, in prima pagina ovunque, senza che in Olanda se ne parlasse minimamente mi ha fatto capire che c’era qualcosa che non tornava”, spiega Marco Cappato.“In Italia, peraltro, in una situazione del genere, il caso avrebbe potuto essere trattato allo stesso modo perché nessuno può essere costretto a nutrirsi e idratarsi se non si dimostra che è una persona incapace di intendere e di volere e allora si procede con un Tso. Ma se non fai un Tso, la persona si lascia morire. A creare confusione è stata l’espressione “legal euthanasia” utilizzata in un articolo inglese. La ragazza non ha agito contro la legge, se si usa “legal” in quel senso può anche andare bene, ma Noa non ha avuto accesso a quella che noi chiamiamo “eutanasia legale” e dunque una pratica che avviene sotto controllo medico e con autorizzazione legale da parte delle istituzioni”, conclude Cappato.Ad annunciare il rifiuto dell’eutanasia da parte dell’Olanda era stata proprio la stessa Noa: “La domanda è stata rifiutata perché sono troppo giovane e avrei dovuto prima affrontare un percorso di recupero dal trauma psichico fino ad almeno 21 anni. Pensano che sia molto giovane, pensano che debba finire il trattamento psicologico e che il mio cervello sia completamente sviluppato. Non succederà fino all’età di 21 anni. Sono devastata perché non posso aspettare così a lungo”, si legge nel libro autobiografico della diciassettenne pubblicato lo scorso anno.Nel suo ultimo post Instagram, pubblicato pochi giorni prima della morte, la diciassettenne aveva inoltre annunciato di aver deciso di smettere di mangiare e bere per lasciarsi morire: “Voglio arrivare dritta al punto: entro un massimo di 10 giorni morirò. Dopo anni di continue lotte, sono svuotata. Ho smesso di mangiare e bere da un po’ di tempo, e dopo molte discussioni e valutazioni, ho deciso di lasciarmi andare perché la mia sofferenza è insopportabile. Respiro, ma non vivo più”.Nessuna eutanasia legale è stata quindi concessa dal sistema sanitario olandese, i medici dissero a Noa, anche nel tentativo di trovare un rimedio alla patologia depressiva che da troppi anni la affliggeva, che qualora non avesse cambiato idea avrebbe dovuto attendere il compimento del 21esimo anno di età. Nonostante queste informazioni sul caso di Noa fossero di dominio pubblico, in Inghilterra – complice un articolo pubblicato dal Daily Mail – e in Italia a traino, la notizia della morte per eutanasia si è diffusa a macchia d’olio.


Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...