Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
3.9.24
Esponente FdI celebra il matrimonio tra un ex missino e una donna transessuale: «Non è uno strappo alla linea di governo, è amore»
FdI: «Non siamo contro le persone transex, ma contro l'educazione transgender nelle scuole»
Al centro dell'attenzione non c'è la sposa, questa volta, ma chi ha celebrato l'unione: è stata Sonia Ghezzi, consigliera comunale legata a FdI, ad aver sposato Marco e Manuela in Val D'Orcia (provincia di Arezzo).
Come spiega il Corriere della Sera, al neosposa è nata biologicamente uomo e ha intrapreso un percorso per la transizione e, il fatto che a celebrare le nozze sia stata un'esponente della destra, ha stupito il pubblico. «È una donna, non c’è molto da aggiungere», ha detto Ghezzi in difesa dell'amica Manuela.«Credo che il polverone creatosi sia il semplice esito di strumentalizzazioni politiche spesso provenienti da sinistra - ha continuato a spiegare al Corriere della Sera -. Non è uno strappo alla linea di governo o alla linea del partito. Anzi è parte di un percorso che questo partito sta compiendo. Fratelli d’Italia è un partito attento alle varie sensibilità delle persone e agirà nel rispetto degli sviluppi della società civile italiana. Non ci battiamo affinché persone come Manuela non siano definite donne. Noi siamo contro l’utero in affitto - e contro l’educazione transgender nelle scuole, questo sì. Ma è un’altra questione».In realtà anche gli sposi hanno una "storia particolare": lui sembra essere imparentato alla lontana con Mussolini, mentre lei lavora nel settore dell'intrattenimento per adulti. «Non conosco Marco – ha dichiarato in conclusione Ghezzi – ma conosco Manuela Berretti e la sua famiglia. E certo è una famiglia di destra».
22.8.24
Mosca, 'fazioso revocare gli accrediti delle Paralimpiadi a un reporter della Tass' Ritirata l'autorizzazione a due giornalisti dell'agenzia TASS e già iniziano i primi attacchi agli atleti Lgbtq .il caso
Il primo caso e è quello della revoca del pass per la stampa all'agenzia sovietica Tass. Il secondo è quello per i momento i nostro politicanti tacciono , ma la destra religiosa e reazionaria sta facedo fuoco e fiamme , del caso del transessuale Valentina Petrillo che correra nella gara femminile
7.8.23
GPA, libertà o mercificazione del corpo? Una prospettiva femminista. Intervista a Valentina Pazè
credo che da antiproibizionista ed libertario dopo aver letto l'articolo sotto rireso debba rivedere le mie posizioni espressepiù volte precedentemente sul blog ( in particolare qui ) di voler normare la pratica . Resto solo contrario sul reato interazionale proposto da questo governo da https://www.pressenza.com/it/2023/08
GPA, libertà o mercificazione del corpo? Una prospettiva femminista. Intervista a Valentina Pazè
In questi giorni la Gestazione per altri (GPA) è ritornata d’attualità. Sebbene il proibizionismo della destra non sia una soluzione, il lassismo sulla GPA non può esserlo altrettanto in quanto esempio lampante di come, nelle democrazie neoliberali occidentali, sia sempre più preponderante l’affermazione del biocapitalismo, della mercificazione totale della vita. Negli anni il dibattito etico, bioetico e politico sul tema ha visto molta divisione interna nella sinistra, nel movimento LGBTQ e nel femminismo. Dopo decenni di lotte femministe a ribadire che la donna non è un utero che sforna bambini per lo Stato, che la maternità è una possibilità non obbligatoria, un sentimento non egoistico, non legato ai propri geni e alla consanguineità, ma a una relazione di scelta di parentela, di crescita e affetto reciproco, oggi ci troviamo a medicalizzare, per l’ennesima volta, il corpo delle donne e i nostri sentimenti con il rischio di nutrire economicamente le ‘cliniche della fertilità’, normalizzare l’idea della “maternità in vendita”, aprendo involontariamente a pratiche che si avvicinano alla vendita di organi (dal 2014, per esempio, stanno nascendo i primi bambini da utero trapiantato da ‘donatrice’ vivente).
Di questo ne parliamo con Valentina Pazé, docente di Filosofia politica e Teoria dei diritti umani presso il Dipartimento di Culture, politica e società dell’Università degli Studi di Torino che si occupa, in una prospettiva teorica e storica, di comunità, comunitarismo, multiculturalismo, teorie antiche e moderne dei diritti e della democrazia, del populismo, del pensiero politico di Norberto Bobbio e del rapporto tra genere e biologia. Quest’anno ha pubblicato il libro “Libertà in vendita. Il corpo fra scelta e mercato” (Bollati Boringieri, 2023) che affronta le questioni delicate della prostituzione, della maternità surrogata e del velo islamico nella prospettiva del rapporto tra scelte libere e dignità della persona.
In questi giorni, la destra ha riportato la GPA al centro del dibattito. Si tratta di un tema scottante per la società o una mossa propagandistica?
Le ragioni per cui la destra ha fatto della lotta senza quartiere della Gpa una bandiera sono facilmente intuibili. Per un verso, che cosa c’è di meglio, per chi sta disattendendo tutte le promesse elettorali (a partire dal blocco dell’immigrazione) che distogliere l’attenzione dal suo concreto operato agitando una questione più che altro simbolica (visto che la Gpa è già vietata nel nostro ordinamento) ma di forte impatto emotivo, su cui una sinistra balbettante e in stato confusionale sembra non avere nulla da dire? La contraddizione, naturalmente, è stridente, perché la destra ultra-liberista che demonizza la Gpa in nome del rifiuto della mercificazione del corpo femminile non è affatto preoccupata di porre un freno alla mercificazione della salute, dell’istruzione, del lavoro… Per altri versi, la battaglia contro la Gpa si presta ad essere declinata in chiave tradizionalistica, come difesa della famiglia “naturale” e rifiuto dell’omogenitorialità, tutti temi cari alla destra.
In Italia, mentre la destra sta monopolizzando il dibattito di opposizione alla GPA, la sinistra radicale, i movimenti femministi e il movimento LGBTQ+ sono molto divisi su questo tema al loro interno. In Europa invece quasi tutta la sinistra e il femminismo sono contrari GPA. Perché questa differenza?
Al di là della polarizzazione generata dal fatto di avere l’estrema destra al governo, la confusione del PD su questo tema rispecchia la più generale confusione che regna in un partito dall’identità incerta, tuttora senza bussola, che fino a pochi mesi fa brandiva l’agenda ultra-liberista di Draghi e oggi in molti suoi esponenti fa fatica perfino a distinguere il principio di autodeterminazione sul proprio corpo (che va garantito anche contro le pressioni del mercato) dal principio dell’autonomia negoziale. Per la sinistra-sinistra il discorso è più complesso. Per un verso mi sembra che mostri una certa subalternità nei confronti della cultura “radicale” (del Partito Radicale italiano, intendo), che ha da sempre coniugato liberalismo e libertarismo con una buona dose di liberismo economico. Non a caso il ddl che porta la firma dell’associazione Coscioni, riesumato dall’emendamento Magi al progetto di legge discusso di recente in parlamento, prevede che a rendersi disponibile per una Gpa “solidale” possa essere anche una donna che al momento della stipula del contratto è disoccupata o lavoratrice precaria. Un grosso ruolo ha poi giocato nel nostro paese – inutile nasconderlo – la scelta di Nichi Vendola e del suo compagno di avere un figlio ricorrendo a una madre surrogata californiana: una scelta personale, ma anche politica, per il modo in cui è stata pubblicizzata, esibita, rivendicata, che ha contribuito a diffondere l’idea che quella per la legalizzazione della Gpa sia una battaglia “di sinistra”, in difesa dei diritti LGBTQ+ (un unicum in Europa, come ricordavi). Quando, tra l’altro, la Gpa interessa quasi esclusivamente i gay, non le lesbiche.
Molti di coloro che sono a favore della Gpa sostengono che essa sia in fondo una pratica “altruistica”. Secondo lei è una motivazione accettabile?
Quella della Gpa “altruistica” o “solidale” è una bella favola a cui qualcuno (portatore di corposi interessi) vuole farci credere e a cui molti altri, e altre, hanno apparentemente un gran bisogno di credere, per ricomporre in un tutto coerente, desideri, valori, principi, tra loro in forte tensione. Mi diceva un amico gay, di sicura fede progressista: “se ci sono donne disponibili ad aiutare i gay ad avere figli, perché negare loro la possibilità di compiere un atto di generosità?”. Ma il problema è che queste donne non ci sono. Non, per lo meno, in un numero sufficiente a soddisfare una domanda crescente di servizi riproduttivi (non solo per coppie gay), che solo il mercato è in grado di soddisfare. Non a caso, nei paesi in cui è prevista la GPA “altruistica”, le donne si offrono per fare figli per altri solo quando il “rimborso-spese” si attesta su cifre paragonabili a quelle della GPA commerciale. Un discorso analogo vale per la “donazione” degli ovociti: se il rimborso non è cospicuo, le donatrici latitano… Di fatto, là dove esiste, nel mondo (nell’Unione europea in soli quattro Stati: Cipro, Grecia, Macedonia del nord, Portogallo), a prestarsi a questo genere di altruismo sono donne di ceto medio-basso, e di scarso livello di istruzione. Chi oggi difende convintamente la versione solidale della Gpa sarebbe più credibile se proponesse tra i requisiti per diventare madri surrogate il possesso di un contratto di lavoro stabile e di una buona retribuzione. Assisteremmo allora finalmente all’edificante spettacolo di donne medico, docenti universitarie, avvocate, manager, disposte a interrompere generosamente la loro carriera per donare un figlio alle coppie infertili? Temo di no. Nella divisione globale del lavoro, queste donne sono, e rimarranno, semmai, le potenziali acquirenti dei servizi riproduttivi altrui. Alcune multinazionali fin d’ora suggeriscono alle loro impiegate di rimandare la maternità, congelando i propri ovuli. In futuro, là dove la GPA venisse ovunque legalizzata e culturalmente accettata, le donne in carriera potranno permettersi di esternalizzare la stessa gravidanza, accollandone il peso, e i rischi, alle donne povere e alle straniere.
Nel suo libro “Libertà in vendita”, pone l’accento su come la libertà nell’epoca del neoliberismo e delle democrazie di mercato, sia un tema contraddittorio e fallace. Con la GPA, anche l’intimità, sessuale e riproduttiva, rischia di diventare una merce tra le altre? Davvero siamo liberi? E se sì, di quale libertà parliamo?
Libertà è una bella parola, che può significare molte cose. Nella sua accezione più semplice, e più immediata, consiste nella possibilità di fare tutto ciò che vogliamo, in assenza di obblighi e divieti. Non è difficile accorgersi, tuttavia, che una simile libertà “selvaggia” (la libertà dello stato di natura di Hobbes, in cui ciascuno ha “diritto a tutto”, anche “al corpo di un altro”) si traduce nella libertà del lupo di predare l’agnello. Perché ciò non accada, è necessario limitare la libertà del forte, in funzione della difesa del debole. Concetti semplici, che sono all’origine di norme come l’art. 36 della nostra Costituzione che, vietando ai lavoratori di rinunciare alle ferie e al riposo settimanale, rende effettiva la loro libertà di scelta, in contesti asimmetrici, in cui non basta il principio del consenso informato a tutelare le parti deboli del rapporto contrattuale. In base allo stesso principio la Carta di Nizza vieta, all’art. 3, di fare del corpo umano, o delle sue parti, fonte di lucro.
Alcune femministe hanno definito questa pratica come una colonizzazione patriarcale sul corpo femminile[1], una tecno-rapina da parte delle nuove tecnologie riproduttive, nate dal grembo dello sviluppo indefinito dell’attuale società industriale, dipendente dal mercato globale neoliberista dove tutto diventa merce. Quale piega sta prendendo la libertà delle donne alla luce delle nuove tecnologie riproduttive?
E’ paradossale assistere oggi al ritorno delle parole d’ordine del femminismo degli anni Settanta, con un significato sensibilmente diverso da quello originario. “L’utero è mio e lo gestisco io” era uno slogan che serviva a rivendicare il diritto di autodeterminazione delle donne. In relazione all’aborto, sembrava assodato che l’ultima parola dovesse spettare alla donna, non certo al padre che, pure, ha contribuito alla procreazione dal punto di vista genetico. Oggi i contratti che regolamentano la GPA, per lo meno quelli che trasferiscono fin da subito la genitorialità ai committenti (come prevede il ddl Coscioni), mettono in dubbio questo principio. Anche quando è riconosciuto formalmente alla donna il diritto di abortire, o di non abortire (nei casi, non infrequenti, in cui siano consigliabili interventi di “riduzione embrionale”), ci sono le pressioni delle agenzie e dei “genitori intenzionali” (che hanno talvolta fornito, in tutto o in parte, il materiale genetico). E ci sono i condizionamenti economici. Non bisogna poi dimenticare che stiamo parlando di gravidanze fortemente medicalizzate, in cui ogni fase è soggetta a controlli e supervisione, medica e psicologica. Dopo la firma del contratto, di autonomia per le donne ne rimane poca. E l’ultima parola, in caso di controversie sulla genitorialità del nuovo nato, spetta ai giudici, non a colei che ha portato avanti la gravidanza e partorito. Come tutto ciò possa essere compatibile con la retorica sull’autodeterminazione delle donne è per me un mistero.
In Italia, gran parte del femminismo liberale sostiene che la GPA sarebbe un “diritto”. É possibile parlare di diritto quando la sua applicazione coinvolge necessariamente l’uso di soggetti terzi? La riproduzione è un “diritto” o una “possibilità”?
Anche in tema di diritti, esiste oggi una grande confusione. Si dimentica che a ogni diritto corrisponde un dovere altrui, che nel caso di un ipotetico “diritto alla GPA” consisterebbe nell’obbligo, in capo a una donna, di mettere a disposizione il proprio corpo per consentire ad altri di diventare genitori. Il linguaggio dei diritti, tra l’altro, non ha niente a che vedere con quello del dono. Un diritto si esige; un dono no. Ma si dimentica anche, in secondo luogo, che non tutti i diritti possono essere messi sullo stesso piano. I diritti fondamentali, riconosciuti universalmente da norme giuridiche, in genere di rango costituzionale, non sono la stessa cosa dei diritti patrimoniali, che sorgono su base contrattuale e spettano singolarmente a qualcuno, ad esclusione di tutti gli altri. In base alla gerarchia delle fonti stabilita dalla nostra Costituzione, la legge prevale sui contratti, i diritti fondamentali prevalgono sui diritti patrimoniali. Riconoscere validità giuridica ai contratti di Gpa, aventi per oggetto beni personali indisponibili come le parti del corpo umano e gli status legati alla filiazione, significa sovvertire questa gerarchia, stabilendo che il diritto (patrimoniale) dei clienti a ottenere la prestazione concordata prevale sul diritto (fondamentale) delle donne a decidere sul proprio corpo, al riparo da condizionamenti economici, conservando fino all’ultimo la possibilità di riconoscere il figlio che hanno partorito.
La sociologa ecofemminista Laura Corradi ha definito la GPA come una pratica classista che è definita da privilegi economici e geopolitici, ovvero un qualcosa di cui può disporre solo la popolazione bianca occidentale ricca a discapito di altre donne del Sud del Mondo, che hanno minori mezzi economici, status ed educazione. Cosa ne pensa?
Oggi è senz’altro così: donne e uomini ricchi, per lo più occidentali, usufruiscono dei servizi di donne povere del sud del mondo, o anche del nord, tenendo conto che la nozione di povertà è relativa e che a una donna del “ceto medio” negli Stati Uniti i 10.000 dollari guadagnati con la Gpa possono risultare molto comodi per pagare l’assicurazione sanitaria o per mandare un figlio all’università. E tuttavia è impressionante constatare come vi sia, anche a sinistra, chi decide di chiudere gli occhi di fronte a questo fenomeno. L’approvazione, a Cuba, di un nuovo Codice di famiglia, che apre a una forma di Gpa “solidale” riservata a persone unite da legami familiari o amicali, può essere salutata come una conquista di civiltà solo da chi decida deliberatamente di ignorare che cos’è Cuba, oggi, in quale abisso di miseria viva gran parte della sua popolazione dopo decenni di sanzioni economiche. E come sarà agevole per un ricco turista occidentale diventare “amico” di una donna cubana per avere accesso alla sua capacità riproduttiva.
Inoltre la questione riguarda anche il tema della salute delle donne: i problemi di salute materno-infantili correlati all’uso di tecnologie riproduttive e le implicazioni etiche, biologiche e psicosociali connesse. Studi scientifici parlano dell’elevato numero di aborti spontanei e dei danni del bombardamento ormonale che ricevono le gestanti…
Sì, certo. Paradossalmente la versione originaria della GPA (quella “tradizionale”), in cui la gestante era anche la madre genetica del bambino, comportava meno rischi per la salute della donna di quella odierna, che prevede la scomposizione del processo riproduttivo in un maggior numero di soggetti: una donna che offre l’ovocita, un uomo che fornisce lo sperma e un’altra donna nel cui utero viene impiantato l’embrione prodotto attraverso le tecniche della fecondazione in vitro. Questo genere di gravidanza, esito di un’ovodonazione, è esposto a una probabilità di fallimenti e di complicanze, anche gravi, molto superiori a quelle di una gravidanza fisiologica.
Cosa si potrebbe fare concretamente per colmare il desiderio di genitorialità in molte persone (etero ed omosessuali) senza dover ricorrere alla surrogazione di gravidanza?
Intanto non è detto che tutti i desideri debbano, e possano, essere soddisfatti. Posso desiderare moltissimo di avere un partner, ma non riuscire a trovarlo. Posso desiderare un figlio, ma non essere in grado di averlo, per ragioni che attengono alla fisiologia della riproduzione umana. Detto questo, il desiderio di accudire e crescere i nuovi nati può essere soddisfatto anche in modi diversi dalla genitorialità biologica: attraverso l’adozione (che andrebbe aperta anche alle coppie gay) e l’affidamento. O anche attraverso accordi davvero solidali – non mediati da contratti – con amici o parenti felici di condividere le gioie e le fatiche della genitorialità con persone a cui sono legati da vincoli di affetto e amicizia.
[1] Interessante sul tema è stato l’intervento della deputata Luana Zanella, storica femminista ed ecologista, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra https://www.youtube.com/watch?v=A3UxJBTjpKM https://www.youtube.com/watch?v=sFq7TVmlxAE
24.7.23
Maternità surrogata, dai “Figli del peccato” ai “Figli del reato”
dati di fatto.
A partire da questa proposta rivolgiamo un appello a tutti i Parlamentari delle forze progressiste e liberali presenti in Parlamento. Non basta opporsi alla proposta Varchi. Dire no al Reato Universale mantenendo quello nazionale è una grande ipocrisia. Significa invitare le coppie a continuare ad andare all’estero, discriminando, ancora una volta, chi non ha la possibilità economica di intraprendere questo percorso fuori dall’Italia, senza tutele nel proprio Paese.Su questo +Europa ha le idee chiare, ma capiamo che negli altri partiti di opposizione, a partire dal PD di Schlein, il dibattito sia acceso e complesso.Il nostro auspicio è però che le voci in dissenso trovino la forza di farsi sentire, uscendo dagli schieramenti precostituiti, per combattere con noi una battaglia di legalità. Contro una destra che vorrebbe sterilizzare ogni diversità, nella sua concezione del mondo grigio e scialbo.Non accettiamo compromessi con questa destra. Le opposizioni devono essere pronte a costruire un Paese completamente diverso da quello che il Governo immagina.Un Paese che garantisca dignità a tutti, nelle diversità di ognuno, e che non lasci indietro nessuno. A prescindere anche dalle modalità in cui si nasce.
Insomma il modello da cui partire potrebbe essere quello del Canada, la maternità surrogata non commerciale è legalmente consentita per i cittadini e gli stranieri uniti in un matrimonio formale o una convivenza, comprese le coppie dello stesso sesso. Una legge non perfetta ma perfettibile . Infatti La legge sulla riproduzione umana assistita del Canada (AHRA) è stata approvata nel 2004 ed è la legge principale che disciplina la maternità surrogata gestazionale. Essa ha forti restrizioni su come possono avere luogo la maternità surrogata e la donazione di ovuli o spermatozoi.
La maternità surrogata o La Gestazione per Altri come la si voglia chiamare può piacere o no, ad esempio a me non mi piace come ho già detto all'inizio del post sia che sia in ambito utilitaristico sia per soddifare una maternità ( a prescidere che si tratti di coppie etero o lgbtq o single ) a tutti i costi o peggio bypassare le pratiche dell'adozione . Ma “Io non lo farei”, per noi non può significare “Non lo devi fare nemmeno tu”. Ecco che come Europa+ chiedo << Ai Parlamentari liberali e progressisti che proprio su queste battaglie si fa può fare differenza, su queste battaglie si costruisce l’alternativa.E’ arrivato il momento di scegliere: con Fratelli d’Italia o con i Figli e le Figlie d’Italia.>>
17.6.22
L'alunna della prof trans Cloe Bianco: "Veniva derisa da tutti. E i genitori facevano la coda ai colloqui per vederla come fossimo al circo"
Leggi anche
- Ogni parola di rabbia e delusione non sarebbe degna della delicatezza e dignità del gesto di Cloe - di Licia Atzara
- La solitudine di Cloe Bianco, la prof transgender che si è uccisa dando fuoco al suo camper
- uguaglianza a tutti i costi ed il politicamente corretto obbligato uccidono la diversità oltre che creare - rafforzare il conformismo le polemiche il caso di Michela Marzano
lo so m'ero promesso sul mio facebook ( per chi volesse aprofondire trova in cima al post odierno i post miei e non su tale vicenda o argomenti ad essa collegati )
ultimo post su #Cloe. e poi facciamo cadere il silenzio ( non vuol dire dimenticarla , ma lasciare che riposi in pace lontano dal clamore dei media e dal #Chiacchericcio ed probabili strumentalizzazioni ) . [....]
In questi giorni è riapparsa una lettera in cui, nel 2015, il padre di un'alunna, con toni forti, denunciava all'assessore regionale all'istruzione il disagio provocato dall'arrivo in classe del docente di fisica con abiti femminili. Cosa successe realmente quel giorno?
"Eravamo a metà del primo anno scolastico, quando il professore arrivò in classe vestito da donna. Era la prima ora, arrivai un po' in ritardo e vidi un capannello di compagni che usciva dal laboratorio ridendo a crepapelle. Entrai, stranita, ma mi resi conto che quella loro reazione era spropositata".
Eravate a conoscenza della sua transizione di genere?
"Nessuno sapeva nulla, non avevamo mai avuto alcun sentore. Avevamo notato che portava le unghie lunghe, ma credevamo suonasse la chitarra. Con noi alunni era sempre stata sorridente, pacata e disponibile. Come ha continuato ad essere, semplicemente indossava abiti femminili".
Per tale motivo, però, fu giudicata pesantemente da tanti suoi compagni, ma anche tra i docenti?
"Quel primo giorno, con serenità, ci spiegò cosa l'aveva portata a quel cambiamento. La discriminarono subito, anche i colleghi la guardavano con disprezzo. Quando scoppiò il caso tutti le voltarono le spalle. Alcuni docenti, addirittura, si sfogavano con noi dicendo che aveva rovinato la reputazione della scuola".
I genitori degli alunni, invece, come reagirono?
"Fu una vergogna: tanti che, fino a quel momento, non erano mai andati ai colloqui di fisica perché la reputavano una materia inutile all'istituto agrario, tutto d'un tratto iniziarono a fare lunghe code per vederla come se fosse l'attrattiva del circo e schernirla".
E l'istituzione scolastica non intervenne, anzi la allontanò dall'insegnamento. A suo parere, che azione sarebbe stata necessaria per normalizzare la situazione?
"Secondo me, sarebbe bastata una circolare in cui ci avvisavano che, da quel giorno, ci saremmo dovuti rivolgere alla docente al femminile. E, magari, per sensibilizzare maggiormente noi alunni, avrebbero potuto prevedere lezioni sull'identità di genere che, spesso, proprio a causa di retaggi culturali, è ancora un argomento tabù".
Un silenzio assordante proviene anche dalle istituzioni?
"Già, purtroppo, in Veneto, siamo indietro in merito ai diritti Lgbt+. C'è gente che non manifesta la propria identità per timore di essere disprezzato e isolato, come è capitato alla nostra professoressa. Che io sappia non ci sono associazioni né eventi a tutela dei diritti delle minoranze".
Qual è il suo rammarico?
"Con il senno di poi, mi rattrista non essere riuscita a mostrarle la mia vicinanza, a dirle anche soltanto "mi dispiace", ma ai tempi ero poco più che una bambina. Poi non l'ho più vista, finché la triste notizia mi ha confermato che non era scappata a farsi una nuova vita, come speravo per lei, ma era stata abbandonata dall'intera società, a cui ha dedicato l'ultimo amaro saluto sul suo blog, il suo unico spazio di libertà, segreto".
12.1.21
ecco perchè se pur critico certi loro atteggiamenti non riesco ad essere anti LGBT(Q ). Enzo è diventato Carla: la nuova vita dell'ex poliziotto
Ogni mio ulteriore commento alla storia di Enzo (uso ancora il nome maschile in quanto anagraficamente e chirurgicamente non è donna ) che leggerete sotto è inutile ed non aggiunge niente di più a quanto detto sotto da lui stesso . Ser non queste poche righe prese dall'articolo riportato sotto
La sua è una storia particolare in quanto Innocenzo Giagoni ha 55 anni ed è nato a Roma dove ha vissuto fino al 1992 per trasferirsi, poi, in Sardegna. Nel 1986 è entrato in polizia. Dopo aver chiesto e ottenuto il trasferimento nell'isola, ha lavorato nei diversi reparti della polizia della provincia di Sassari. Nel 2010 è arrivato in città ed è entrato in servizio alla polizia stradale di Olbia, successivamente, nel 2013, l'anno in cui il ciclone Cleopatra devastò la Gallura provocando la morte di 13 persone, tra cui la compagna di 42 anni e la figlia di quasi due anni, lavorava alla polizia di frontiera all'aeroporto "Olbia Costa Smeralda"
Detto questo lascio la parola alla sua storia presa Da la nuova Sardegna del 12\1\2021
Enzo è diventato Carla: la nuova vita dell'ex poliziotto
Giagoni, 55 anni, era sopravvissuto all'alluvione che gli aveva strappato moglie e figlioletta. Ora sta diventando donna
OLBIA. Carla Baffi non è una persona qualunque. E non solo perché Carla prima era Enzo, ma soprattutto perché Carla, quando era ancora Enzo, è sopravvissuta all’alluvione del 18 novembre 2013 a Olbia. Ha visto morire davanti ai suoi occhi la compagna Patrizia e la loro figlia Morgana di 23 mesi, trascinate via dalla piena. Una ferita che nel suo cuore non guarirà mai.Enzo Giagoni, 55 anni, romano, ex poliziotto, con trent’anni di servizio alle spalle, ha deciso di cambiare sesso e lo ha fatto dopo un lungo travaglio interiore. Un percorso che deve ancora concludere. «Sono Carla. E ora sono quella che sono sempre stata. Non potevo più continuare a farmi del male costringendomi a vivere una vita che non sentivo mia».
«Sono Carla. E ora sono quella che sono sempre stata. Non potevo più continuare a farmi del male costringendomi a vivere una vita che non sentivo mia». La gonna ha preso il posto dei pantaloni, i tacchi hanno soppiantato le scarpe basse, la parrucca nasconde i riccioli neri ribelli. Ma il suo animo è sempre stato quello di una donna anche quando indossava giacca e cravatta o la divisa da poliziotto. Così è stato fin da quando era bambino e di nascosto infilava i collant e indossava i vestiti delle clienti dell'affittacamere di sua madre. «Ho dovuto far morire Carla mille volte rinnegando me stessa, il mio vero essere, per non far soffrire gli altri. Ora è tempo di essere liberamente, fisicamente e totalmente Carla», dice. Nella sua nuova vita non c'è più spazio per Enzo Giagoni. L'uomo che è stato per quasi cinquant'anni vive solo nei documenti. Per la legge lei è ancora uomo, ma Carla Baffi - così ha scelto di chiamarsi - da un anno ha cominciato il suo complesso percorso di transizione che la porterà ad essere riconosciuta anche legalmente donna, col cambio di generalità e i conseguenti interventi chirurgici. Accavalla le gambe avvolte dagli stivali neri. Gli occhi brillano sotto i capelli a caschetto. È pronta per raccontare. Dice che spiegare, per lei, è liberatorio. Sì, perché Carla, o meglio Enzo, 55 anni, romano, ex poliziotto, con trent'anni di servizio alle spalle, non è suo malgrado una persona qualunque. È sopravvissuto all'alluvione del 18 novembre 2013. Ha visto morire davanti ai suoi occhi la compagna Patrizia e la loro figlia Morgana di 23 mesi, trascinate via dalla piena. Una ferita che nel suo cuore non guarirà mai. «Cinque anni dopo la loro morte ho deciso di dire basta: non potevo più continuare a nascondermi. Ho deciso di uscire allo scoperto. E di combattere per essere me stessa. Quasi tutti ormai sanno di Carla e io mi sento felice e libera di esserlo. Non indosso più abiti maschili, me ne sono disfatta. Racconto di me perché voglio che sia chiaro a tutti una cosa: quella che sono ora, non è un riflesso o una conseguenza del trauma subito nella tragedia di sette anni fa. Voglio demolire preconcetti o idee sbagliate: Carla è sempre esistita, è sempre stata dentro di me, ma non potevo farla vedere agli altri», spiega. E va avanti, con l'impeto di chi vuole far emergere la verità. «Ho avuto quattro donne nella mia vita, tutte importantissime. E tutte sapevano. Alcune hanno accettato la mia parte femminile, altre no. E io per non perdere il loro amore, nascondevo Carla, la reprimevo. Spesso le persone con cui parlo mi chiedono se sono sicura di ciò che sto facendo, se sia la cosa che desidero. La mia risposta è sì, è ciò che ho sempre desiderato. Non rinnego nulla della vita di Enzo perché mi ha dato due splendide figlie, la più grande che ha 30 anni, nata dal mio matrimonio, e la piccola Morgana, avuta con Patrizia, ma col senno di poi, vedendo la serenità con cui vivo ora e la conflittualità che Enzo aveva dentro se stesso e nelle relazioni con le donne, mi dico che avrei dovuto cominciare il percorso molti anni fa. Avrei dovuto far nascere Carla prima anziché farla morire continuamente per non far soffrire gli altri».I ricordi affiorano veloci nel suo racconto. Immagini ed emozioni del passato, forti e nitide come allora. «Sono stata consapevole del mio essere femminile fin da quando avevo sette anni. Amavo i collant, rimanevo incantata a guardare gli abiti sui letti e negli armadi delle clienti della piccola pensione che mia madre adottiva, mamma Michelina, aveva a Roma. Ho vissuto con lei fino al 1992. Andavo con mamma a pulire e sistemare le camere e qualche volta, di nascosto, indossavo i loro vestiti. Quando lei mi beccava, piangeva. Non capiva. Io ricordo benissimo la sensazione che provavo quando mettevo quegli abiti: mi sentivo bene, tranquilla, protetta. Ma quando vedevo mamma piangere, facevo sparire tutto. Non volevo che soffrisse». Parlare e spiegare della sua nuova vita alle persone che hanno conosciuto Enzo e che ora si ritrovano davanti Carla, non è certamente facile. «"Guarda che non sono più quello di prima: quando ci vediamo capirai"», avvisa prima di incontrare - puntualmente vestita con gonna e tacchi - chi ancora non lo sa. «So che ci vuole tempo per metabolizzare, è normale, lo capisco. Ma per me affermare la mia vera identità è fondamentale. Spero di realizzarmi presto anche sotto l'aspetto professionale, trovare un lavoro ora è molto difficile, molti non capiscono la natura di una transgender». Carla un anno fa, ha cominciato il percorso di transizione. È seguita dal Saifip (Servizio di adeguamento tra identità fisica e identità psichica) del San Camillo Forlanini di Roma che ha accertato la disforia di genere (disturbo dell'identità sessuale), ed è sotto terapia ormonale al Policlinico Umberto 1 di Roma. Con le relazioni finali delle due strutture sanitarie, quando arriverà il momento, potrà chiedere al tribunale il cambio delle generalità e iniziare il percorso chirurgico, come prevede la legge. «A mia mamma biologica, mamma Teresa, che oggi ha 90 anni, ho cercato prima di farglielo capire e poi gliel'ho detto chiaramente. "Ti ho partorito come Enzo, per me è difficile accettarlo", mi ha detto. Ma, poi, un giorno l'ho vista che mi lavava un vestito, un altro giorno mi ha consigliato di usare la piastra per i capelli come fanno le mie sorelle perché mi lamentavo dei miei ricci... Mi ama e piano piano si abituerà. Ci vuole tempo per tutti. Ma io in questo tempo che serve agli altri, continuerò a percorrere la mia strada. Chi mi vuole bene, capirà»
.
Ma soprattutto ha avuto sempre dalla nuova sardegna
IL ricordo doloroso di quel giorno: «Volevo morire con loro. Ora chiedo giustizia»
«L'acqua me le ha strappate via»
Il 22 dicembre scorso Morgana avrebbe compiuto 9 anni. E anche quest'anno, come ad ogni compleanno, Carla le ha portato il regalo. L'ha poggiato sulla sua tomba, nel cimitero di Calangianus, dove la piccola è sepolta insieme alla mamma. «Le ho regalato la trousse di Barbie. La sua prima trousse. Sono certa che a 9 anni, vispa com'era e desiderosa di essere una signorina più grande, avrebbe chiesto a me e alla mamma i trucchi». Morgana aveva 23 mesi quando la piena ha travolto l'auto sulla quale viaggiava insieme ad Enzo, che era alla guida, e a Patrizia che la teneva in braccio nel sedile a fianco. La macchina finì nel canale di via Belgio, diventato un tutt'uno con la strada. L'inferno vissuto quel giorno è un ricordo vivo nella mente di Enzo, oggi Carla. Un mese fa, l'ha ripercorso davanti alla Corte d'Appello di Sassari dov'è è in corso il processo di secondo grado (l'alluvione provocò sei vittime in città) per i quattro imputati, ex amministratori e dirigenti del comune di Olbia, tutti assolti in primo grado. «Ho cercato di aprire lo sportello di Patrizia ma non ce l'ho fatta. Ho dato una spallata al mio e si è aperto. Ho afferrato la manina di Morgana che era in braccio alla mamma convinto di poter trascinare tutte e due fuori dalla macchina, ma in quel momento è arrivata l'ondata e me le ha strappate via... La macchina è sparita», ricorda. Quando capì che erano morte, tentò il suicidio tuffandosi nello stesso canale. «Volevo morire anch'io». Era stato salvato da un abitante della zona che lo aveva afferrato per le maniche del maglione e legato alla ringhiera del suo giardino. È stato in malattia per un anno e mezzo e poi riformato dalla polizia al compimento del trentesimo anno di servizio. Un anno dopo Cleopatra, insieme ad altri olbiesi, si era infilato gli stivali di gomma ed era andato a spalare fango in un paesino ligure devastato da un'altra alluvione. Per questo gesto aveva ricevuto il "Premio bontà", un riconoscimento che ogni anno premia degli olbiesi impegnati nel sociale.Non si è costituito parte civile nel processo. Ma porta avanti la sua battaglia in sede civile (assistito dall'avvocato Angelo Merlini). Nell'ultimo anno la vita di Enzo si è trasformata. Ha deciso di "liberare" quella donna che sentiva di essere da sempre e che viveva imprigionata nel corpo di un uomo. Ma la sua fiducia nella giustizia non è mutata, né tanto meno la determinazione nel volerla raggiungere. «Se nel canale ci fosse stata la barriera che c'è ora, la macchina non ci sarebbe finita dentro - ribadisce - Non mi fermerò finché non avrò giustizia. Arriverò fino alla Corte europea dei diritti dell'uomo se sarà necessario».
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