Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
22.4.12
Sabato 21 Aprile 2012 "Acqua Matrice di Vita" Edizione primaverile della Giornata Nazionale del Trekking Urbano
1.2.12
i veri eroi sono quelli che dopo il clamore passano nell'oblio il caso di Irena Sendler
« Ogni bambino salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra, e non un titolo di gloria » | |
(Lettera al Parlamento polacco)
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3.6.08
Vacanze
Complimenti per il nuovo look del blog, approfitto dell'invito per salutare tutti con questa foto scattata al mare la scorsa settimana.
Una settimana di ferie in Versilia purtroppo non c'è stato sempre bel tempo, così ora mi ritrovo con raffreddore e tosse, pazienza...mi consolo guardando le foto del mare.
Per chi ancora non mi conosce, l'invito a 'passare' nel mio blog è esteso a tutti: e voi, le vacanze dove le passerete?
24.7.07
Senza titolo 1952
dal bellissimo e ottimo blog www.censurato.splinder.com
Nel 1977 Peppino Impastato e il suo gruppo creano Radio Aut, a Cinisi (Palermo): un'emittente autofinanziata che indirizza i suoi sforzi e la sua scelta nel campo della controinformazione e soprattutto in quello della satira nei confronti della mafia e degli esponenti della politica locale. Nel 1978 partecipa con una lista che ha il simbolo di Democrazia Proletaria, alle elezioni comunali a Cinisi. Viene assassinato il 9 maggio 1978, qualche giorno prima delle elezioni e qualche giorno dopo l'esposizione di una documentata mostra fotografica sulla devastazione del territorio operata da speculatori e gruppi mafiosi: il suo corpo è dilaniato da una carica di tritolo posta sui binari della linea ferrata Palermo-Trapani.
Per chi volesse conoscere la vita e le gesta di quest'uomo, i riferimenti principali sono: il film di Marco Tullio Giordana, I Cento Passi e il sito www.peppinoimpastato.com, da cui abbiamo tartto questo post.
Qui invece, riesumato da un angolo buio della Rete, il brano satirico "Favoletta", preso da una trasmissione dell'epoca di Radio Aut...
per chi volesse ascoltare le altre trasmissioni della radio di Peppino le trova su questo bellissimo sito
2.7.07
la calunnia è il venticello
( ..)
La calunnia e' un venticello,
un'auretta assai gentile
che insensibile, sottile,
leggermente, dolcemente
incomincia a sussurrar.
Piano piano, terra terra,
sottovoce, sibilando,
va scorrendo, va ronzando;
nelle orecchie della gente
s'introduce destramente
e le teste ed i cervelli
fa stordire e fa gonfiar.
Dalla bocca fuori uscendo
lo schiamazzo va crescendo
prende forza a poco a poco,
vola gia' di loco in loco;
sembra il tuono, la tempesta
che nel sen della foresta
va fischiando, brontolando
e ti fa d'orror gelar.
Alla fin trabocca e scoppia,
si propaga, si raddoppia
e produce un'esplosione
come un colpo di cannone,
un tremuoto, un temporale,
un tumulto generale,
che fa l'aria rimbombar.
E il meschino calunniato,
avvilito, calpestato,
sotto il pubblico flagello
per gran sorte ha crepar.
Ah! che ne dite?
(..)
Ora veniamo di rispondere punto per punto a sifatte accuse.
Io sono e sarò sempre ( facendo il possibile per esserlo ) contro il fondamentalismo da qualunque parte provenga , ma quello ( ed è qui la causa di tale diatriba e accuse ) che sostengo , basandomi per esperienze personali fatte sia in rete che localmente con dialoghi e chiaccherate con fondamentalisti religiosi e politici non sempre anche se è vero il confine sono sottilissimi , fondamentalismo è uguale terrorismo .
Infatti, come ho già avuto modo di affermare su queste pagine ( potete vedere i miei post sugli attentati in Spagna , a londra e in Egitto ) , ho sempre e continuerò a farlo , a condannare il fondamentalismo ed il terrorismo , ma un conto è combatterlo con l'integrazione senza pregiudizi e idee aprioristiche , insomma una guerriglia contro culturale, cioè una politica della non violenza , dl rispetto reciproco e del dialogo interreligioso e interculturale . un altro facendo la guerra a chi ha fame con sta avvenendo in Afganistan ( foto dl novembre del 2001 prese dal sito ciai-s.net/novembre.htm


o rapendo con la collaborazione dei nostri servizi e processando arbitrariamente con uso della tortura le persone . Violando le leggi degli altri stati
12.12.06
Il Mozambico all'ombra della Mole
Prendete una libreria di viaggi, proprio all'ombra della Mole Antonelliana: «un ambiente intimo - come suggerisce la mia editrice :-) -, prezioso, perché fitto di libri; colorato, perché la tinta che il proprietario ha voluto per le pareti evoca il caldo del clima africano...».
La vostra immaginazione si è sintonizzata?
Bene, allora l'appuntamento è per le ore 21 del 14 Dicembre alla libreria Il Mondo in Tasca, in via Montebello 22/C, naturalmente a Torino.
Per fare cosa?
Per suggerire a tutti uno splendido itinerario africano avvalendosi di un calendario, di preziose illustrazioni e di tante, tante foto.
26.11.06
Mi piace l'idea
E questo blog di "viaggi" nella vita e nella società pare proprio averne compiuti parecchi, pertanto non posso che ringraziare di cuore per l'invito che mi è stato rivolto.
Mi piace iniziare questo nuovo viaggio insieme con una segnalazione ed una proposta di solidarietà: ho appena realizzato, con le foto ed i racconti del mio ultimo viaggio in Mozambico un e-book liberamente scaricabile dal sito del mio editore, è una sorta di taccuino di viaggio caratterizzato da libere impressioni, evocative fotografie e preziose illustrazioni realizzate da Enrico Guerrini.
In realtà l'e-book fa parte di un progetto che si completa con il Calendario 2007 dal titolo Il Mozambico per la testa, nel quale attraverso un sintetico reportage fotografico cerco di dare un senso dell'universo femminile di questo splendido paese dell'Africa centrale, proponendo essenzialmente acconciature ed una incisiva selezione di ciò che le donne sono solite trasportare sulla testa.
Sia nel caso dell'e-book che in quello del calendario abbiamo pensato ad un "atto di cuore" dedicato all'aiuto di chi è meno fortunato: devolvere parte del ricavato del calendario e richiedere una donazione libera e facoltativa (nel caso dell'e-book) per aiutare Medici Senza Frontiere nelle loro meritorie opere di solidarietà.
Se vi piace godetevi l'e-book, scaricatelo, stampatelo, copiatelo, speditelo e fatelo circolare: è un modo come un altro per assaporare la bellezza del mondo.
24.4.06
Senza titolo 1255

APPUNTi DI VIAGGIO
Su bartali
La vita Una breve biografia del campione.
Le vittorie Giro d'Italia, Tour de France, corse a tappe...
Galleria fotografica Alcune delle sue foto più note.
Hanno detto di lui testimonianze online nei giorni della sua scomparsa.
- http://www.ciclomuseo-bartali.it/
- http://it.wikipedia.org/wiki/Gino_Bartali
sul ciclismo
- Il Ciclismo nella rete
I link ai migliori siti dedicati alla storia di questo sport, gli eventi, i campioni, i ricordi.
12.1.06
Senza titolo 1086
http://www.pentagonstrike.co.uk/pentagon_it.htm

9.12.05
Senza titolo 1026
11.11.05
Senza titolo 968
Alla vita
La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla
dal di fuori o nell'al di là.
Non avrai altro da fare che vivere.
La vita non é uno scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla é più bello, più vero della vita.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant'anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.
Nazim Hikmet
immagine di Iperio, toscana meridionale, agosto 2004
4.10.05
Senza titolo 848
Ecco come lo stato italiano cerca di farci riguadagnare fiducia nelle forze dell'ordine... schifato.
E' stato promosso con lode al grado superiore Alessandro
Perugini, il sedicente "poliziotto" che nel luglio 2001 fu fotografato a
Genova mentre prendeva a calci in testa in ragazzino di sedici anni
gettato a terra e immobilizzato. Assieme a lui e' stato promosso
Vincenzo Canterini, rinviato a giudizio per violenze effettuate nella
stessa giornata. Nella commissione esaminatrice figura l'allora questore
di Genova Colucci, alle cui dipendenze avevano operato Perugini,
Canterini e altri 75 individui attualmente indagati per torture,
percosse, violenze illegali e altri reati.
Questo non e' il commento indignato di un cittadino, ma semplicemente un
promemoria per il prossimo ministro dell'interno (di centrosinistra),
che ci auguriamo non sia un altro manganellatore come Scajola o Bianco
ma una persona civile. A questa persona civile chiediamo, anzi ordiniamo
come elettori, di cacciare i poliziotti rinnegati come Perugini e
Canterini e di mettere sotto inchiesta i componenti della commissione
che li hanno promossi e lodati.
(da "La catena di San Libero" di Riccardo Orioles)
26.9.05
Senza titolo 823
la nuova del 27\9\2005 Pagina 44 - Cultura e Spettacoli
La Barbagia apre le sue «Cortes» Sino a gennaio artigianato e gastronomia in mostra a Nuoro e in 24 paesi Bitti, Oliena e Orani le prime tappe di un lungo viaggio nella tradizione e nell’antica ospitalità
«Camminare tra le case di pietra dei centri storici, assistere alle lavorazioni artigiane, assaporare prodotti tipici dai sapori genuini, scoprire i segreti di una cultura millenaria nello splendido scenario di una natura incontaminata». Romolo Pisano, presidente della Camera di Commercio di Nuoro, illustra così la filosofia alla base di «Autunno in Barbagia», la manifestazione che da alcuni anni si propone come vetrina delle zone interne dell’isola e che attrae migliaia di visitatori ad ogni sua tappa. Venticinque i centri della provincia di Nuoro, capoluogo compreso, che da settembre sino a metà gennaio propongono al pubblico un’offerta che ha nella nota ospitalità barbaricina il suo punto forte. «Autunno in Barbagia» è nata per riunire le manifestazioni dal nome «Cortes Apertas» che da diversi anni l’Aspen, l’azienda speciale della Camera di Commercio, organizza in collaborazione cone le varie amministrazioni comunali. A queste da quest’anno si aggiunge la seconda edizione di «Mastros in Santu Predu» (18-19-20 novembre), dedicata ad artisti e artigiani del quartiere più antico di Nuoro, ma anche la tradizionale Sagra della castagne e delle nocciole di Aritzo (28-29-30 ottobre), o «La montagna produce» di Desulo (dal 31 ottobre al 2 novembre). «Autunno in Barbagia» si è aperta ai primi di settembre con le «Cortes» di Bitti, Oliena (una delle più suggestive), e poi Orotelli e Orani, che si è chiusa proprio domenica scorsa. I prossimi appuntamenti sono in programma a Sarule e Ollolai (dal 30 settembre al 2 ottobre), dove si svolgeranno le «Cortes Apertas». A Tonara, il 1° e il 2 ottobre tocca invece alla sagra «Sonaggias e turrones, teruddas e taggeris». L’appuntamento successivo è a Gavoi (dal 7 al 9 ottobre) con «Ospitalità nel Cuore della Barbagia», cui segue Osidda (dal 14 al 16 ottobre) con le «Dommos Antigas». Il 15 e il 16 ottobre ci si sposta a Lollove, l’unica frazione di Nuoro, un borgo di pastori che conserva intatte, forse un caso unico nell’isola, le abitazioni tradizionali. La manifestazione ha per titolo «Vivilollove». Poi è di scena Orgosolo (21-22-23 ottobre) con «Gustos e Nuscos», e Belvì, negli stessi giorni con «Giochi e sapori in Barbagia». A Sorgono, il 22 e il 23 ottobre si svolge «Sa Innenna». Ottobre chiude con la sagra di Aritzo e le «Cortes Apertas» di Dorgali (28-29-30). Tra fine ottobre e inizio novembre Desulo ospita «La Montagna Produce», vetrina dei prodotti del Gennargentu che ogni anno richiama migliaia di visitatori. «Tappas a Mamoiada» e l’appuntamento dal 4 al 6 novembre, mentre a Ovodda (dall’11 al 13 novembre) le «Cortes Apertas» diventano «Ungrones de bidda». Un discorso a parte merita «Mastros in Santu Predu», la manifestazione che dal 18 al 20 novembre si svolge a Nuoro, dove non era mai stata realizzata una «Cortes Apertas». Due anni fa, in modo spontaneo e senza alcuna sponsorizzazione pubblica, un gruppo di artisti e artigiani del quartiere San Pietro, il nucleo storico della città, aveva dato vita a un percorso, «Le vie di San Pietro», che per un’intera giornata attirasse i visitatori nelle loro botteghe. L’iniziativa ebbe successo e l’anno dopo diventò «Mastros in San Predu», curata dall’associazione Traccas con la collaborazione dell’Aspen. Quest’anno è alla sua seconda edizione. «Autunno in Barbagia» prosegue ad Atzara (26-27 novembre), poi a Olzai (2-3-4 dicembre), Fonni (9-10-11 dicembre), Orune (17-18 dicembre), Tiana (16-17-18 dicembre), e si conclude a Teti (16-17 genanaio 2006). (p.me.)
dalla nuova sardegna del 26\9\2005
Pagina 5 - Sardegna
A Nule gli artigiani custodi della storia e dell’economia
Per il sindaco è un paese povero ma nella capitale sarda del tappeto decine di persone producono e vendono
Per il sindaco, Angelo Crabolu, ingegnere, capo di una giunta di centro destra, «Nule è un paese povero». Può darsi che abbia ragione perché tra Barbagia e Goceano sono poche - o del tutto inesistenti - le isole di vero benessere economico (e sociale). Però in questo paese di granito e molti gerani sui balconi, ai piedi del castello «Santu Lesèi» (Sant’Eliseo), in un territorio dominato da quaranta siti archeologici, non ci sono possessori di panfili e di jet ma un patrimonio belante di ventimila pecore che però rappresentano una cifra superiore ai due milioni di euro. Tra i 1550 abitanti (meno di 400 i nuclei familiari) non ci sono gioiellieri né industriali, ma di questi ultimi è tutta la Sardegna a non poter tracciare identikit.
In quest’altra capitale sarda del tappeto - tra boschi, pascoli, sorgenti e rocce d’incanto - diverse decine di artigiani producono bene e vendono. Non c’è casa senza telaio, con o senza partita Iva. Ma soprattutto, c’è un’azienda, la «Tessile Crabòlu» che è riuscita nel miracolo di rivitalizzare un capannone quasi a mille metri sul livello del mare, nell’altipiano che porta a Bitti, zona archeologica di «Romanzesu». Per raggranellare miliardi a gogò dalla Regione era sorto alla fine degli anni Settanta, quando qualcuno - non ancora scottato dai cloni dei Nino Rovelli e brigate varie - credeva che bastasse un anonimo signore della Brianza a creare sviluppo tra i nuraghi. Nacque la Betatex, ci avrebbero dovuto lavorare cento ragazze soprattutto di Bitti ma erano state solennemente buggerate. Imprenditori da codice penale. Volevano lavorare nell’altipiano di San Giovanni la lana che arrivava addirittura dal Camerun. Fu un fallimento totale. Fino a quando sono emersi alcuni capitani coraggiosi locali. Cognome doc, Crabolu, che più sardo e bucolico non si può. I Crabolu di Nule acquistano lo stabilimento con i macchinari semimarci e arrugginiti. E gli ridanno vita. Sono loro a realizzare il sogno industriale, di trasformazione su larga scala dei prodotti locali. Creando l’unica azienda che utilizza la lana sarda, quella delle tosature delle pecore, raccolta in tutta la Sardegma, dal Sulcis alla Gallura. E da qui la lana esce in tappeti con lavorazione di pregio. Tra i clienti Porto Raphael di Perugia e altri bei nomi del bon ton tessile italiano e degli States. Un miracolo. Perché oggi a San Giovanni trovate montagne di sacchi di lana sarda che qui viene selezionata, pulita, filata in matasse o in rocche. Ci lavorano 18 persone di Nule e Bitti. Con professioni e macchine che ricordano la prima fase della rivoluzione industriale inglese. Ci sono i tessitori: Giovanni Pietro e Giuseppe Manca, Gianfranco Mellino, Davide Cancellu e Luca Sechi. Con loro i cardatori: Antonio Mellino (noto «Dentone») e Giuseppe Cossu. I filatori sono Mario e Giuseppe Manca, Antonello Bella e Mario Farre. Angelo Scanu, sassarese, è ritorcitore, prepara le rocche che poi vanno a finire sui telai. Biagio Masala è aspatore, segue alle macchine il confezionamento delle matasse. E poi il terzetto dei roccatori con Andrea Coratza, Gianfranco Mellino e Angelo Scanu. Macchinari computerizzati, quasi tutti nuovi. Se a San Giovanni si lavorano le lane (tra i 15 e i 18 mila quintali), in paese ci sono i laboratori. In mani femminili naturalmente. Qui vengono rifiniti i tappeti in cotone e in lana, tovaglie, tende, centrini, copriletto, tutto quanto è necessario e tutto quanto i clienti richiedono. Col lavoro manuale e creativo di Maria Antonietta Zoroddu (“madre di due figlie disoccupate”), Lucia Masala (altre due figlie, ancora a scuola), Maria Rita Manca e Manuela Mellinu. Due lavorano part time: Antonio Dessena e Simone Zoroddu. Il fatturato? Il 4 per cento in Sardegna, il resto tra Italia e mondo. Tutto avviene a Nule paese da export dove la lavorazione del tappeto tradizionale è nel dna di ogni ragazza che nasce sotto Punta Ameddaris. Continua a essere una grande tessitrice la madre dei Crabolu, Pietrina Cocco, 76 anni che aveva imparato “da zia Gavina”. C’è anche un decisivo innesto continentale. Il marito di Pietrina è Benedetto Crabolu, noto Initeddu, pastore di pecore nella solitudine delle campagne di Taspìle. Con la seconda guerra mondiale finisce in Grecia, sta per essere deportato in un campo di concentramento dei tedeschi, riesce a scappare dal treno in compagnia del suo tenente, bellunese. Initeddu resta quasi alla macchia perché qui, in Alta Italia, i tedeschi non perdonano. Fino a quando il tenente riesce a trovargli un lavoro clandestino in una filanda di Belluno. Initeddu vede i processi di lavorazione e giura che appena rientrato in Sardegna creerà a Nule un’azienda simile. Detto fatto. Initeddu e Pietrina si sposano il 22 agosto del 1953. Nel’64 nasce il primo laboratorio con personale di famiglia. «Ma facevamo solo la filatura», ricorda la signora Pietrina. La svolta è degli anni Ottanta. La Betatex va in malora. Subentrano i figli di Initeddu. Vanno in giro per fiere in Italia e all’estero, vanno a vedere aziende tessili in Italia e all’estero fino a quando la «Tessile Crabolu» decolla. Festa grande a San Giovanni. Dove oggi Giuseppe Luigi Crabolu, 47 anni, è presidente e amministratore unico con i fratelli soci: Biagio di 45 anni, direttore commerciale e Angelo, 41 anni (sindaco del paese). I punti di forza ?
«Usare prodotti locali, sicuri, facciamo noi la raccolta ovile per ovile. Abbiamo tecnici di alto livello, veramente professionali e affiatati, fanno gioco di squadra. Rispettiamo la tradizione facendo un prodotto sicuramente industriale ma di alta qualità. E la clientela è affezionata», dice Biagio. E i punti di debolezza? «Quelli di tutte le zone interne della Sardegna: la difficoltà dei trasporti, l’alto costo dell’energia, l’Adsl è un miraggio. Ma ci misuriamo con negozi che apprezzano la qualità: che è la nostra forza». Tappeti industriali e tappeti tradizionali. Le tessitrici attive sono oltre cinquanta ma quelle in regola con le leggi sono appena cinque: la cooperativa Madonna del Rimedio, collegata all’Isola che qui ha creato un buon nucleo di tessitrici rispettose della tradizione senza tralasciare gli effetti positivi delle nuove tecnologie. Ci sono Giovanna Chessa e Giovanna Maria Campus che propongono pezzi di pregio, hanno una clientela scelta, raffinata. Ghitta Dore ha una bella casa a «Su tronu» dove mostra tutti i suoi lavori con i colori caldi del tappeto di Nule. Ha una bottega museo Pina Crasta, ha l’arte e il commercio nel sangue, sulla porta d’ingresso trovate il suo nome in ceramica e in ceramica c’è anche il numero di telefono di casa e il cellulare. Lavora spesso con le sorelle Maria e Lucia. Di lei parlano le riviste specializzate. «Nei miei tappeti - dice - ci sono i miei sogni, i miei desideri, tutti i desideri, e li realizzo con la tecnica delle dita storte, sos poddighes trotos». Su Traveller le hanno fatto raccontare la tecnica di s’ambisue, la sanguisuga, «una sorta di patchwork di grande effetto cromatico». Da Pina Crasta ieri c’erano molti turisti. Decisamente incantati Giovanni Grieco di Rionero in Volture (Basilicata) dipendente di un’azienda telefonica e Saturnino Norcini, bancario genovese. Arrivavano dalle Terme di Benetutti in compagnia di due amici sardi, Lorenzo de Martin di Villagrande e Franco Loddo di Muravera.
Ma non di soli tappeti vive Nule. L’artigianato garantisce reddito a diverse famiglie. Eugenio Bitti e il figlio Giampiero mandano avanti una bottega da falegnami e il lavoro, come capita ovunque a tutti i bravi «maestri del legno», non manca. Antonello Mellino si ingegna con creazioni in ferro battuto, Antonio Giuseppe Manca si industria con l’alluminio. Tre le imprese edili con Francesco Cocco, Giuseppe Manca e Marco Pintori. Due calzolai moderni, Giuseppe Dore e Franco Campus con clientela affezionata sparsa in tutta la Sardegna. Giuseppina Leoni ha un calzificio che sforna calze in lana sarda per pastori, per trekking, per cacciatori. E c’è una piccola azienda, la «M.N», Manifattura Nulese, dove dal polipropilene si produce «filo tecnico», cioè filo per corde, cinture di sicurezza per le macchine e per mille altri usi. La materia prima si poteva comprare a Ottana, adesso giunge da Oltretirreno. Il titolare è Giovanni Crabolu.
Anche l’agroalimentare comincia a ritagliarsi fette e nicchie di mercato ancora modeste ma promettenti. Tre i panifici mandati avanti da Francesco Mellino, Alfredo Mellino e Mario Mela con i fratelli. Due i negozi di pasta alimentare fresca (Marina Coloru e Silvana Zoroddu) e altri due di dolci tipici (Angelo Mellino e Maria Luisa Cocco). Da un anno è attivo il «Consorzio del formaggio dell’altipiano di Nule» per produrre un pecorino che è già riconosciuto «prodotto tipico» ora in attesa del Dop, denominazione di origine protetta. È un formaggio assolutamente eccellente, ottimo sapore, buona la pasta, bello l’aspetto. Sono già attivi quattro laboratori artigianali di trasformazione, non sono minicaseifici ma vere e proprie aziende che seguono metodi tradizionali di lavorazione proprio per conservare una tipicità che non deve andare dispersa. Questo consorzio (presidente Giuseppe Crabolu) coinvolge un po’ tutto il paese, dai Manca (Giuseppe, Rosalia, Andrea) a Maria Maddalena Mellino, Antonio Dettori, Giuseppe Dessena, Antonio Dore e Piero Mulas. È una attività che può prosperare soprattutto se alla bontà del prodotto si affiancherà un sistema agile ed efficiente di commercializzazione. Le pecore sono poco più di ventimila, un numero sufficiente per consentire agganci anche con la grande distribuzione specializzata. «Ma va spezzato l’isolamento della campagna, sono necessarie strade di penetrazione agraria agevoli», dice l’assessore all’Agricoltura Salvatore Mellino. Hanno da fare anche gli altri assessori. Ornella Manca, ragioniera in cerca di lavoro, ha la responsabilità del Bilancio, Giuseppe Luigi Mellino - dipendente del ministero di Giustizia - la delega per i servizi sociali, Raimondo Satta - ingegnere - è ai servizi generali. C’è tanto «sommerso». Ma Nule potrebbe produrre molto di più se anche le altre istituzioni capissero quali e quante sono le risorse dei paesi della Sardegna di dentro, dei paesi - dice il sindaco - «senza santi in paradiso». Perché Nule «è parte del Goceano ma ai suoi margini, è parte del Monte Acuto ma - ha scritto Giovanni Michele Cossu - ai margini del Monte Acuto, non fa parte della Barbagia ma confina con essa, tanto vicina da averne subìto gli influssi». Le carte da giocare non mancano. L’economia del tappeto confezionato casa per casa, quella dei prodotti alimentari, l’artigianato avrebbero maggiore fatturato se esistesse una calamita che sapesse attirare più visitatori. Forse bisogna specializzarsi di più, rischiare di più. Qualche esempio positivo Nule lo ha dato. Sono attesi gli emulatori.
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Un tesoro di tessuti e ricami nella mostra di Casa Garau
Per due settimane a Thiesi, nell’antica abitazione al centro del paese, in esposizione indumenti e abiti di gala risalenti al periodo tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento
THIESI. Se l’abito non fa il monaco, certamente è uno specchio rivelatore - e neppure troppo segreto - dei percorsi storico-culturali di una comunità distinta fra molte come quella di Thiesi. Per due settimane la casa Garau - un palazzotto nobiliare del centro storico, edificato quattro secoli fa in quella che attualmente si chiama via Vittorio Emanuele, rione «Sos Cavaglieris» - ha ospitato una mostra di indumenti e abiti di gala thiesini risalenti a un periodo tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. All’interno di questa casa antica «tutto sembra paralizzato - hanno scritto gli organizzatori della Pro Loco nella presentazione -, senza dimensione temporale, come se la maga cattiva abbia disteso il velo del sonno su tutto». La maga buona, invece, è Giovanna Chesseddu, un’insegnante di lettere dagli occhi chiari e dall’eloquenza naturale, che le si esalta ancora di più quando parla in sardo, per l’uso straordinario che riesce a far della lingua resistenziale: limbazu lichitu, parlata di estrema eleganza. Con Salvatore Ferrandu e Stefano Ruiu, Giovanna è l’anima dell’iniziativa messa in moto dalla Pro Loco.Negli anni Sessanta i proprietari hanno abbandonato Thiesi», ricorda Ferrandu, ex-sindaco del paese oltre che insegnante e animatore dei maggiori eventi culturali. «Ma la figlia ritorna sempre, da noi, e si prende cura della casa. Teresina Garau ci ha dato la possibilità di esporre e ha esposto anche lei. Guarda che roba! Ha conservato perfino le scatole dei magazzini Printemps di Parigi. Qui c’è un tesoro. Fra un anno si potrà aprire per far visitare anche la casa, con i mobili, l’arredamento». Il professor Ferrandu conosce tutto a menadito: «Questi pezzi sono del 1900: una mantella-scialle, corsetti con il vitino cosiddetto da vespa, ornamenti vari tipo le piume da inserire nei cappellini, borse, borsette e borsellini. Ogni pezzo va esposto con grazia. Quest’altro è un prendisole del 1800.Teresina è la depositaria di tutti i ricordi familiari, dunque della nostra comunità intera». Anche Giovanna-maga-buona si è documentata alla perfezione: «Questa è una cuffia della belle époque», inizia a mostrare. «Ed ecco sas bértulas, le bisacce con l’albero della vita, lo stesso disegno che ritroviamo poi nelle camicie. La mostra racconta l’abbigliamento a Thiesi, tutto: il feriale e il festivo. Eravamo partiti dall’idea del solo vestire quotidiano, ma il materiale era poco. Abbiamo fatto venire qui Gian Mario Demartis, etnografo della Sovrintendenza, per evitare de nàrrere calchi machine, di dire sciocchezze. Soprattutto per le datazioni. Questi coritos, giubbonetti, come li chiama l’Angius, hanno gli stessi disegni delle bisacce e delle camicie che puoi vedere esposte, una simbologia comune: figurava praticamente in tutti i capi». In sardo logudorese la camicia maschile si chiama bentone e il sostantivo è di genere maschile, per l’appunto. Ite sun custos bentones, Juanna? «Queste camicie», risponde la professoressa, «sono un rifacimento di quelle più antiche, senza colletto». Nel periodo spagnolo - aggiunge Salvatore Ferrandu - «questa tipologia ha preso piede, come camicia più importante, la Sardegna aveva il simbolo protettivo dell’albero della vita: non contava solo la bellezza dell’indumento, ma l’albero serviva anche a proteggere chi lo indossava. Simboli apotropaici, come dicono i dotti». Vengono poi le gonne, che a Thiesi si chiamano bunneddas quando sono di fattura ordinaria e tùnigas quando si tratta di pezzi importanti. Spiega Giovanna Chesseddu: «Questa è la gonna gialla d’orbace, per il lutto». Come, un lutto tinto di giallo? «Sì, alla fine dell’Ottocento il lutto esterno era di quel colore», precisa. «Il fazzoletto-copricapo, su mucaloru, nel lutto serviva anche a nascondere il volto. Ma non c’era la civetteria del nodo, il fazzoletto veniva tenuto insieme da una spilla che nascondeva anche il petto. Sa tùniga groga era poverissima, molto adatta per esternare il dolore dal momento che non ostentava nulla. Quest’altra era una gonna di gala, forse. C’è un abito di una donna ricca del 1880. Lo studioso Gian Mario Mario Demartis, che se ne intende, dice che tutta questa ricchezza non si ritrova in altri centri. Roba antica e moderna e abbigliamento di transizione. Nel primo decennio del secolo scorso abbiamo scialli alla veneziana e scialli ottocenteschi, perché qui c’era gente che vestiva all’antica e contemporaneamente altra gente che vestiva a sa tzivile, secondo criteri moderni».
Incorniciata su una parete, una foto di Don Enrico, «il capostipite dei Garau che un bel giorno vendette tutti i suoi possedimenti ad Arbus e comprò a Thiesi: terre e case dai feudatari», come racconta Salvatore Ferrandu. Si gira per le sale. Giovanna Chesseddu mostra su gabaneddu frunidu, il pastrano d’orbace ricamato in nero e foderato perché doveva essere comodo. Qui di ricostruito non c’è quasi nulla. Queste sono gonne di una che è morta al suo terzo o quarto parto, nel 1898: le sue gonne mostrano elementi di transizione come il ricamo a punto raso, importato a Thiesi dalle suore».
Si possono ammirare altri coritos, di fidanzate vicine alle nozze. «Ce n’è uno - spiega ancora Giovanna Chesseddu - usato dalla moglie del poeta improvvisatore Andria Nìnniri il giorno del matrimonio. Non è vero che il costume fosse uguale, le varianti dipendevano, sì, dalle possibilità economiche, ma anche dall’abilità nel ricamo di questa o quella donna thiesina». Su una sovracoperta da letto matrimoniale (sa fàuna) in lino tessuto al telaio c’è una scritta: «Viva Gesù Nostro Amore e Maria Nostra Speranza dopo Gesù, donna Giovanna Livesi nata Gutierrez anno Domini 1764». La parola nata «è scritta con due t», osserva un visitatore. Un altro risponde: «No ti nd’ispantes, non meravigliarti: ancora oggi ci sono personaggi importanti, anche se non nobili, che con l’italiano hanno parecchie difficoltà». E fa il nome di un notissimo uomo politico. Chissà chi lo sa, avrebbe detto Febo Conti. Un’altra sovracoperta in lino reca la data del 1883, più avanti si può ammirare un reggiseno da giovinetta nubile, ma già predisposto - da un apposito bottone anteriore - per il tempo tempodell’allattamento. «Vivo bene questo impegno - confida Giovanna -. Ci siamo stancati, abbiamo anche litigato, ma ci serviva fare uscire queste perle dalle casse, far conoscere alla gente ciò che aveva in casa. Personalmente, è un piacere, oltre che un dovere nei confronti del paese. Anche noi abbiamo diritto al bello. Il costume di Thiesi non è quello che presentano i gruppi folk, tutti precisini ma sempre identici a sé stessi». Parla Stefano Ruiu, che ha il doppio impegno della mostra e della tesi di laurea in filologia romanza sui poeti di Thiesi: «Una bella esperienza - dice - anche se mi dispiace non aver potuto dedicarle tutto il tempo che avrei voluto, ma grazie a Giovanna e anche a Salvatore...». Dal fondo della sala una voce lo interrompe: «Come, anche? Salvatore può essere tutto, fuorché un’anche. Vogliamo scherzare»? Il Salvatore in questione è Ferrandu, che interviene: «Loro due, Giovanna e Stefano, erano già in sintonia, io sono entrato dopo». L’onore dei grandi è l’umiltà.
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Il fascino dell’abito di gala
La descrizione dell’abate Vittorio Angius nel 1846
THIESI. Quel cronista memorabile che risponde al nome dell’abate Vittorio Angius nell’anno di grazia 1846 scriveva così del costume di Thiesi: «Le donne del popolo seguono l’antica moda e amano il colore giallo nella gonnella di panno (sa tùniga groga), dal quale sono nei paesi vicini riconosciute fanciulle o donne di Thiesi. Il petto copresi in parte da un busto di velluto o di altra stoffa di color arbitrario e un giubbonetto (su coritu) con le maniche, nell’inverno». Questo nell’ordinaria amministrazione dell’uso. Per le solennità, ovviamente, il discorso cambia e l’abate-cronista-storico lo documenta perfino nei dettagli. «Quando sono in gala - distingue il curatore del dizionario del Casalis - allora le gonnelle gialle cedono a quelle di scarlatto (sas tùnigas rujas) - il busto di velluto a quello di broccato in oro od in argento; lo scarlatto serve anche di giubbone, nelle cui maniche pendono e suonano sei od otto grossi bottoni sferici di filigrana d’argento o d’oro con molti anelli, bei pendini pendinie collane di corallo incastrate nell’oro o nell’argento che si posano sul mezzo petto nudo, sopra i bottoni d’oro o d’argento, che chiudono la camicia ricamata sulle mammelle».Ausonio Spano, in una poesia intitolata «Sa thiesina» ricorda Giovanna Chesseddu, dice che le nostre antenate avevano scoperto assai presto sas artes de sas signorinas, le arti delle damigelle. Arriva l’ora dei primi bilanci. La mostra ha raggiunto quota mille e trecento presenze documentate dalle firme nel registro apposito. Ma si calcola che un numero di visitatori oscillante tra il quindici e il venti per cento non abbia firmato. «Noi siamo contenti, la gente è addirittura meravigliata», commenta ancora Giovanna. «Chi conosceva queste cose ha avuto modo di ricordarle e di rifletterci sopra, chi non le conosceva ha imparato qualcosa di nuovo». Le fa eco Stefano Ruju: «La collaborazione dei nostri compaesani è stata buona. La popolazione ha risposto molto bene: quando la gente vede un interessamento vero e capisce che tutto questo può servire alla comunità collabora volentieri. All’inizio, magari, c’è stata una qualche titubanza, poi abbiamo avuto una risposta piena». Ma il bello - o il brutto, a seconda dei punti di vista - deve ancora venire.
Annuncia Giovanna Chesseddu: «Occorrerà documentare tutto questo fervore di iniziative con una pubblicazione che rimanga negli anni a testimoniare un patrimonio di valore fuori dal comune. Speriamo di essere all’altezza». Intanto, sempre per iniziativa della Pro Loco e del suo presidente Juanne Uneddu, sta per essere pubblicata una raccolta di versi di Juanne Antoni Cossu, poeta thiesino vissuto tra il 1897 e il 1972, dal titolo «Chentu poesias», con contributi di Salvatore Tola, Tonino Rubattu, Stefano Ruju, Giovanna Chesseddu e Angela Cossu, la figlia del poeta. E non sarà sicuramente dimenticato un altro artista di virtù elevata, il grande cantore estemporaneo Antoni Piredda, nato a Thiesi nel 1905 e morto a Sassari nel 1984.Tiu Piredda è stato uno degli estemporanei di maggior talento nella storia della poesia cantata in piazza, protagonista di ardite battaglie in versi con i più famosi cantadores logudoresi: Barore Tucone, Barore Sassu, Remundu Piras e Peppe Sozu in testa. Un onore che il paese renderà volentieri a chi ha fatto conoscere il nome di Thiesi nei più lontani villaggi della montagna sarda: un guerriero sui palchi, una persona amabile fuori dagli agoni poetici, un uomo vero.
15.9.05
12.9.05
Senza titolo 792
Salve a tutti\e voi cari amici vicini e lontani appena tornatri o che partite per le ferie Rieccoci al consueto appuntamento ( se voi avete altri post simili ben vengano in qualunque momento ) del lunedi .
Prima degli articoli di oggi voglio però L'introduzione d'oggi non serve per spiegare l'articolo ma per rispondere a delle email ( scusate ma non ho resisto e poi è meglio soffernmarsi a chiarire che lasciare delle ambiguità o deimalintesi , non vi sembra ? ) che stò ricendo da quando ho deciso di aprire ispirato al bellissimo blog maree.splinder.com e alle lezioni di letteratrura italiana del prof Nicola Tanda e di filologia romanza del prof Paoolo Manichedda . Alcune d'esse ( la maggior parte ) sono d'approvazione e di metraviglia , altre ( ma che ci volete fare la mamma dei cretini è sempre incinta ) di sfottò del tipo : << sei troppo nostalgico , troppo al passato , ecc ) e\o provocatorie : << come uno di sinistra è passato a destra o fà la politica della destra ,ti contraddici , hai buttato via i tuoi ideali , ti sei convertito hai voltato gabbana , ecc ) . Ecco la mia risposta alla prinma affermazione E' vero a volte sono un nostalgico , ma chi non lo è , e poi è meglio vivere nel presente con la consapevolezza delle tue origini in modo da capire chi sei e dove vai , piuttosto che farlo senza una base o meglio senza identità o coscienza delle proprie origini . Quindi guardare si al futuro , ma senza vivere solo nel passato in maniera da evitare inutile nostalgie e rimpianti e allo stesso tempo senza dimenticarsi d'esso . Per quanto riguarda la seconda poso dire che il scoprire ( riscoprire nel mio caso ) le proprie tradizioni non è solo di una parte politica \ ideologico ma lo diventa o puà diventere se ci si chiuda a riccio a gli apporti esterni fondendosi e diventando tutt'uno con il razzismo e la xenofobia della legadi alcuni settori di An oltre ai gruppi \ grupposcoli della destra extra parlamentare o ,SIC , nell'antimericanismo e attacchi ad israele a senso unico di certe frangie di estrema sinistra parlamentare ed extra parlamentare . Cosi facendo si rischia che le radici imputridiscano se raxcchiuse in qualcosa . Io ho risolto questo problema trasformandole in seme facendo la mia bandiera ( anche con questo blog ) del la frase dello scrittore ( ne ho parlato neio precedenti post ) Sergio Atzeni (1962-1995), che affermava : << ... Sono sardo, sono italiano,sono europeo >> era un suo "credo", molto prima dell'avvento di Maastricht ; e da questo strofa tratta da un canto anarchico \ libertario del 1800 i pare si chiami Dimmi bel giovane per il testo sezione canti anarchicio del sito ildeposito ( più vote rifatto e riomaneggiato come è tipico della canzone di ptrotesta , la versione che qui è riporto è di Pietro Gori del 1904 intitolata " Stornelli dall'esilio " trovate qui il testo integrale ) che dice " nostra patria è il mondo intero, nostra speme la libertà " unici rimedi contro l'attaccamento estremizzato conservatore e l'invenzione \ l'esaltazione localista che nè fa un uso strumentale delle radici, contro il rapporto razzista sangue-suolo di infausta memoria ( leggi fascismo e nazismo ) . Condivin parte quanto dice Melisssa P nel suo ultimo libro :<< (..) Spesso sento dire a chi si è allontanato da casa per troppo tempo che l'unico motivo che lo spinge a ritornare nella propria cuccia è il bisogno d'impossesarsi dele proprie radici , di sviscerarle dal terreno e appropiarsene vivisezionandole . Radici? di che cazzo di radici parliamo ? Non siamo alberi siamo uomini . uomini provenuti da un seme e rimaniamo semi per l'eternita Semai , forese l'unico luogo dove abbiamo messo rafdici , è il ventre materno . E se un giorno io vorrò ritornare alle origini , se vorrò mangiare le mie radici , non dovrò farealtro che squarciarti il ventre entrarci dentro con tutto il corpo e legarmi a te con un filo ormai fittizio Ma non mi sevirebbe a niente .Voglio continuare ad essere seme .Voglio esere la mia origine e la mia fine . e non voglio imputridire dentro nessun terreno voglio che il vento mi trascini sempre >>
D Dopo questa prolissa introduzione , ne chiedo scusa ma non riesco ad uccidere o trasformare la mia loggorea ecco gli articoli in questione IL primo articolo è tratto dalla ormai consueta rubrica del lunedi la nuova sardegna 12\9\2005 ex miniera che diventerà ( speriamo il più presto possibile ) patrimonio dell'Unesco . IL secondo sempre dalla nuova sardegna del 11\9\05 ma dall'edizione di Olbia - Gallura si parla di una serie di manifestazioni a sostegno e per la raccolta di fondi per l’Auser del AUser concluse il 12\09\2005
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<< La cava dei bronzi di rame Gadoni, la miniera di Funtana Raminosa che vive come immersa nel passato adesso coltiva il sogno dell’Unesco Nella montagna si nasconde un esteso giacimento di metallo con il quale i nuragici hanno fuso i loro piccoli guerrieri >>
Il nome è poetico, da ode oraziana: Funtàna Raminòsa. Come quella letteraria di Bandusia è una sorgente che filtra tanta acqua fresca dai ghiacciai del Gennargentu. Ma questa è la montagna che nasconde anche un esteso giacimento di rame, il metallo col quale sono stati fusi i bronzetti nuragici e che ha battezzato la foresta incantata nel territorio di Gadoni. Oggi la Regione la vuol riportare - e ha in parte riportato - all’uso collettivo. Per ricordare come eravamo e come lavoravamo. Obiettivo: farne uno dei musei e una delle calamite più attraenti dell’archeologia industriale in Sardegna. Già oggi queste gallerie sono percorribili, messe in sicurezza. Attendono una cosa sola: i visitatori, gli studenti, i tecnici dell’ingegneria mineraria. Traguardo non proprio a portata di mano, ma da raggiungere costi quel che costi. È valore aggiunto per il turismo sardo. Ne parleremo più avanti. Un po’ di storia, per cominciare. Di questo tesoro si erano già accorti i primi invasori ed esploratori dell’Isola. Ne fanno fede la galleria Fenicia (negli atti ufficiali definita in francese, Phenicienne). C’è ovviamente la galleria romana (cantiere Sant’Eugenio) visto che almeno fin qui erano arrivati i centurioni e gli schiavi di Cesare e Pompeo. Ecco la galleria “Yvonne”, pare dal nome della bella moglie di uno dei direttori che si sono avvicendati da queste parti. Una pagina di storia tanto antica quanto affascinante per gli intrecci politici, economici, industriali e scientifici che suscitava. C’è una “permissione” allo sfruttamento dei minerali “dell’incontrada di Belvì” risalente al 26 giugno del 1517: il primo a beneficiarne è un certo Pietro Xinto. La miniera continua a imporsi a livello internazionale dopo il 1880, prima con gli scavi attribuiti a un ingegnere piemontese, Vincenzo Ridi, poi - nel 1886 - a un altro professionista-industriale sassarese, Luigi Satta Manunta che segnala il ritrovamento al collega Emilio Jacob. Dai tecnici si passa presto ai finanzieri quando, nel 1912, è un avvocato d’Oltralpe, Paolo Guinebertière ad acquisire tutti i permessi rilasciati. Ed è questa una delle tappe da globalizzazione di Funtana Raminosa. Sotto terra lavorano più di duecento persone, Gadoni è un polo di attrazione, chi lavora in miniera è ritenuto un fortunato perché “almeno lo stipendio arriva a casa ogni mese”. Gadoni è la Ottana, la Sarroch, la Portotorres di fine Ottocento e del primo Novecento. Le “cattedrali” non erano nel deserto ma dentro le viscere della terra. Guinebertière esporta il rame sardo nel mondo, soprattutto nel Regno Unito e in America. Qui il rame di Gadoni, di Funtàna Raminòsa, trova il suo grande sponsor: il presidente degli Stati Uniti Herbert Clark Hoover che prima di mettere piede alla Casa Bianca bada ai suoi affari di imprenditore, di finanziere nato a West Branch nello Iowa e presto estende i suoi interessi specifici di ingegnere minerario nella City londinese e nella sua America. È Hoover che conia il motto “The business of America is business”, gli affari dell’America sono gli affari. E Hoover - prima che sull’America si abbatta la grande crisi del 1929 - fa affari davvero, col rame sardo macina dollari e sterline, è lui a dire che “Sardinian copper is excellent” perché è più puro di altri, è duttile, si presta a tanti tipi di lavorazione. In questi anni l’avvocato Guinebertière arriva ad esportare negli States 63 mila tonnellate di prodotto. Come oggi cambiano proprietà le banche e le aziende, anche allora mutavano le sigle industriali. Viene costituita la “Société Anonyme des Mines de Cuivre de Sardigne”. Ne parla nel 1937 Vincenzo Ravizza nel volume “La Funtana Raminosa” edito dalla “Premiata Scuola Tipografica Salesiana”.
Ne riferiscono in lungo e in largo le “Relazioni sul servizio minerario e statistico dell’industria estrattiva in Italia” redatto dal ministero dell’Industria e commercio fra il 1880 e il 1985 a cura del Poligrafico dello Stato. E si ha notizia di tanti altri passaggi di mano. È lo stesso Ravizza, nel 1936, a sottrarre la miniera ai francesi e a costituire la “Società Anonima Funtana Raminosa” con investimenti negli impianti e in tecnologie estrattive. Le cose vanno bene per quattro anni fino a quando la società di Ravizza viene messa in liquidazione per passarne la gestione nel 1940 alla “Società Anonima Cogne-Raminosa”. È l’inizio della seconda guerra mondiale. I nuovi proprietari di Gadoni hanno ottime intenzioni, il rame sardo è molto richiesto dai mercati, funziona ancora l’effetto Hoover, vengono ordinati nuovi macchinari ad aziende tedesche. Ma la nave che li trasportava viene affondata da un siluro nelle acque del Mediterraneo.
Il resto è storia recente e cronaca. Il Boom industriale diventa declino. Nel 1950 le concessioni minerarie passano alla Cuprifera sarda. Ma l’interesse per gli impianti della Sardegna centrale ormai va scemando. Molte professionalità cambiano lavoro. Gadoni, da paese di immigrazione, diventa paese di emigrazione. A poco serve se nel 1973 arrivano le Partecipazioni statali. Ma un fatto positivo avviene (ed è ciò che non è successo nel Sulcis-Iglesiente): la miniera viene ristrutturata, messa in sicurezza, gli impianti salvati ed ecco il miracolo di oggi: la miniera può essere visitata. Funtana Raminosa è stata visitata, nei giorni scorsi, dai consiglieri del Parco geominerario accolti dal presidente dell’Igea Franco Manca, geologo di Carbonia e da un altro geologo, Roberto Sarritzu, cagliaritano, responsabile del servizio minerario e del monitoraggio delle falde. Ci sono il presidente Emilio Pani col nuovo direttore Luciano Ottelli, Ivano Iai (ministero dell’Istruzione), Francesca Segni Pulvirenti (ministero Beni culturali), Giampiero Pinna, Nicolino Rocca e Giancarlo Pusceddu (rappresentanti della Regione). È un viaggio nella presitoria, nella storia e nella cronaca. Perché si è ripetuto che i bronzetti nuragici sono fatti di rame e il rame utilizzato era proprio quello di Funtàna Raminòsa. Si possono vedere le gallerie, le centinature, i martelli perforatori e soprattutto i macchinari utilizzati per estrarre il metallo. Tra i consiglieri del Parco c’è un ingegnere minerario dell’Università di Cagliari, Marcello Ghiani. Sprizza felicità mostrando macchine dell’Atlas Copco impiegate dalla fase della frantumazione dei minerali per arrivare alla macinazione, flottazione e filtrazione. Questo - dice Ghiani indicando un congegno - era un nastro trasportatore brandeggiabile, quello era un silos di alimentazione dei mulini a palle». E sono ancora visibili le “palle” di minerale, della dimensione di una pallina da tennis. Ai lati di un torrente detto Rio Saraxinus c’è la sala compressori. Qui si ingegnano due sorveglianti di Gadoni, Quinto Secci e Antonio Venier: fanno funzionare, esattamente come avveniva un secolo fa, un generatore elettrico alimentato dalle acque del torrente, c’è una grande ruota in ferro di almeno tre metri di diametro ed è trascinata da una cinghia di trasmissione in cuoio, il tutto per quell’acqua benedetta che scende ancora copiosa da questa boscosa montagna di incanto. Ora il silenzio diventa religioso perché tutti ammirano la cascata circolare interna alla miniera, le gocce sembrano fili d’argento illuminati sapientamente da fibre ottiche piccole come la punta di una penna biro. La magìa è quella del concerto d’acqua di Haydn. Franco Manca, presidente dell’Igea (Iniziative di gestione ambientale, 325 dipendenti in tutta l’Isola), fa notare “gli addensatori e i filtri per la disidratazione dei concentrati e le pompe per l’invio della torbida sterile al bacino di decantazione”. Un altro fabbricato multipiano: c’è il silos di alimentazione di un frantoio, qui arrivava il grezzo proveniente dai vari cantieri attraverso una ferrovia, la teleferica, mezzi gommati. Più avanti si separavano i minerali, in particolare la calcopirite, la blenda, la galena. Altra galleria, altra visione stupefacente. È la “Rampa Brebegargiu”, e così ci si rende conto dell’integrazione fra attività mineraria e bucolica con una galleria dedicata a sua maestà il pastore di pecore.Questa rampa - spiega Sarritzu - è l’ultimo importante scavo realizzato nella miniera che avrebbe dovuto riprendere l’attività estrattiva nel 1980». Così non è stato. Corsi e ricorsi industriali. Per cui dall’attività e dallo sfruttamento si passa all’archeologia. Qui ci sono macchinari unici al mondo. Vanno valorizzati, come fossero nuraghi moderni. E non è detto che questo trapasso non possa creare nuove forme di reddito. Nelle miniere francesi, austriache e tedesche è successo e succede da tempo. Ed è boom di visitatori con numeri che superano il mezzo milione annuo.
Gli antichi bacini minerari sono diventati culturali e turistici. Perché in Sardegna no? A quando i percorsi geominerari e ambientali dal Sulcis alla Nurra? Gadoni è un paese dell’interno, fa parte della Barbagia di Belvì e del Bim, bacino imbrifero montano del Flumendosa. Un villaggio ordinato, per terra è difficile trovare una cicca. Ogni madre di famiglia pulisce con cura il selciato davanti alla propria abitazione. “La strada è pubblica ma è anche l’ingresso della mia casa, perché non devo tenerlo pulito?”, dice una donna in via San Pietro, tra casette basse, finestrelle piccole, infissi in legno. Il finito edile detta legga sul non finito, fiori e piante da frutto. In piazza ci sono ancora gli alberi con le susine viola e gialle, sono dolcissime, gustose. Al paese si arriva percorrendo la statale 128, prima di Aritzo deviazione a destra, al bivio di Cossatzu, sei chilometri di curve fra castagni secolari e noccioleti. In fondo la vallata del Flumendosa verso i tacchi di Seulo e la punta di Bruncu Sa Scova. Ma il paese si spopola. Quando la miniera era in attività gli abitanti arrivavano a 1250, adesso sono meno di mille, alta percentuale di anziani. «Oggi viviamo di pensioni, la produttività è modesta», dice l’ex sindaco Nicolino Rocca, medico, consigliere d’amministrazione del Parco geominerario. Qualcosa si muove. Ma se la miniera, come è possibile, dovesse diventare davvero una calamita che attrae visitatori, molto resta da fare. Si sta formando una buona schiera di piccoli manager. Due i panifici: quello di Caterina Secci e Gisella Dessì, specialiste nel pistoccu di alta qualità, coccoi e pane bianco di semola. L’altro forno è di Monica Abis, cinque dipendenti, pane tradizionale e una larga offerta di dolci tipici. È in leggera ripresa l’artigianato con le botteghe di Antonello Moro, Davide Castangia (rientrato da Cesano Boscone dov’era emigrato in cerca di lavoro), Adriana Mura fa cornici e vassoi. Due ristoranti-trattoria (di Telemaco Pilia e Christian Moro) e i primi due Bed and breakfast di Mario Cocco e Carlo Polla. Albino Moro, figlio di “Momorettu” confeziona salumi, salsicce e prosciutti. Ottimi. E poi? E poi, dicevamo, le pensioni. Oggi sono molte le case abbandonate. L’idea condivisa un po’ da tutti è quella di risanarle rispettando i modelli urbanistici e trasformarle poi in albergo diffuso. Con una integrazione di reddito che andrebbe spalmato fra molti: “Daremmo intanto un volto sempre più ordinato al paese, crescerebbe il decoro urbano e potremmo essere in grado di far pernottare qui decine di visitatori”, dice Rocca. Certo, non può essere solo questa l’unica ricetta per far rinascere un paese al tramonto. Come in tutti i centri dell’interno occorre ridare vita all’artigianato, soprattutto a quello artistico, collegandolo al turismo integrato all’archeologia industriale, alla valorizzazione dell’ambiente. Ma è necessaria anche una nuova organizzazione turistica. E se questa, pur tra cento stenti è possibile, è molto più impegnativo creare animazione economica e competenza diffusa da Santa Teresa di Gallura a Sant’Anna Arresi. E poi, si chiede un gruppo di giovani al bar Zelig: «Perché venire a Gadoni percorrendo strade tracciate due secoli fa e rimaste immutate, solo con un nastro d’asfalto a ricoprire la massicciata del tempo che fu? L’isolamento non si argina anche con vie di comunicazione agevoli ?”. La materia prima per creare moderne forme di reddito non manca. Le nuove tecnologie collegano anche Gadoni a New York in tempo reale. Si studia più di prima, cresce il numero dei laureati. Ma sarà necessario trovare un altro presidente degli Stati Uniti che, come Hoover per il rame, sponsorizzi la Sardegna di dentro per la sua storia millenaria? È la sperata rivoluzione prossima ventura. Per l’Unesco le miniere abbandonate sono patrimonio dell’umanità. Sono zone con una marcia in più. Ma il motore va acceso presto.
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Ma quei mestieri sono da salvare Artigiani all’opera all’Auchan. Raccolta di fondi per l’Auser
OLBIA Oggetti intagliati nel legno, o specchi di legnoe pietra ( come questo nella foto tratta dal sito www.sardegnacreazioni.it) centrotavola ricamati o all’uncinetto, strumenti per aggiustare gli orologi. Sono i simboli di alcune arti ormai in estinzione, incapaci di mantenere il passo con la concorrenza e con la tecnologia.
Ed è proprio il desiderio di non dimenticarle che ha ispirato la mostra inaugurata ieri nella galleria Auchan e aperta al pubblico per tutta la giornata di oggi che ospita alcune esposizioni di oggetti dell’antico artigianato; assenti gli artigiani della pasta e delle pelli per alcuni problemi organizzativi.
Nel mondo dell’artigianato ci sono tradizioni tramandate di padre in figlio: come il lavoro all’uncinetto e ai ferri che Vilma Ghigliano apprese dalla nonna quando aveva sei anni. «E’ un’arte bellissima - spiega - che coltivo da tanto tempo. Mi rilassa, mi aiuta a dimenticare i brutti pensieri e poi mi da soddisfazione: con un po’ di impegno si riescono a fare dei lavori molto belli».Il rimpianto della signora Ghigliano è quella di non avere delle figlie alle quali insegnare quest’arte. «Per questo spero di riuscire a organizzare un corso di uncinetto all’interno dell’Auser: è un peccato che tradizioni come queste vadano perdute». Salvatore Pireddu, invece, incarna due arti ormai in via di estinzione: scalpellino per alcuni anni, in seguito a un incidente sul lavoro divenne orologiaio dopo aver seguito un corso in Svizzera. «Lo scalpellino è un mestiere che ancora esiste, ma in maniera completamente diversa - spiega -: noi eravamo dei taglia sassi e con le nostre mani e l’aiuto di piccoli strumenti modellavamo la dura pietra. Certo gli oggetti che realizzavamo non erano perfetti, ma in ognuno di essi c’era la nostra mente e il nostro cuore». L’uso delle macchine ha poi reso meno faticoso questo mestiere, ma secondo l’ex scalpellino lo ha privato dell’anima. Nella mostra all’Auchan, però, Salvatore Pireddu ha voluto esporre gli strumenti della sua seconda arte, quella dell’orologiaio, e una collezione di orologi e cronografi degli anni trenta e quaranta. «Era un lavoro di precisione - spiega l’ex orologiaio - che non esiste più, soppiantato dalla tecnologia e dalle produzioni giapponesi ».
In corso di riscrittura e di correzione dello sfasamento del template e degli eventuali errori d'ortografia mi sono accorto di aver dimenticato un articolo interessante che inizialmente ritenevo di scarso interesse , ma poi rillegendoli mi sono sembrati di notevole interesse e ho deciso di metterli che riguarda rubrica bi settimanale il silenzio e la parola sempre di lunedi della nuova sardegna tenuta da paolo Pillonca . Esso parla dello studio storico e filologico sulle origini del nome dela cittadina di Tortoli fatto dallo scrittore tortoliese il primo è una recensione -intervista , il secondo di una sua "£ biografia " .
«E proprio una passione e si accompagna alla curiosità di indagare i luoghi dove sono stato. A Oristano ho lavorato per nove anni e ne ho tratto il mio primo libro, ‘Temi sull’Oristanese’. Poi è venuto il lavoro sul mio paese natale e quello sul vino. Sono un sommelier».
-Perché un secondo libro su Tortolì?
«Il mio lavoro, nel 1991, è stato il primo a parlare della storia del paese, in assoluto. Il secondo completa in parte i libri di Virgilio Nonnis. Non siamo in concorrenza: Nonnis parla della gente di Tortolì che ha conosciuto e ne fa un quadro molto convincente, io completo la sua opera partendo dal periodo romano, con i due personaggi storici tortoliesi di cui è stato rinvenuto il congedo, i marinai della flotta del Miseno Numitorio Tarabone e suo figlio. Dopo la mia notizia, a Tarabone è stata dedicata una via. Questo è il primo tortoliese e quindi uno dei primi ogliastrini storicamente attestati. Siamo nel 187 dopo Cristo».
-Come fa a dire tortoliesi?
«O vi si erano stanziati con la flotta o sono tornati a Tortolì dopo il congedo. Se sono ritornati probabilmente erano ogliastrini, d’altra parte in Ogliastra sono stati ritrovati altri due diplomi di questo tipo, ma di marinai appartenenti ad altra flotta».
-Venendo a secoli più vicini a noi, cosa ha trovato?
«A parte il Medioevo, ho completato il quadro con le genealogie e con un censimento di fine 1700 dove sono riportate tutte le famiglie. Abbiamo un quadro di Tortolì al 1780 e possiamo conoscere tutti i ceppi familiari che vivevano nel mio paese in quel tempo. Partendo dal censimento, ho ricavato tutti quelli che sono arrivati a Tortolì dal 1780 al 1915, 135 anni di storia. Una curiostà: ho individuato il cognome forse più antico del mio paese, Murreli».
-Antico quanto?
«Quasi settecento anni».
-Andando per archivi, quali sono le difficoltà maggiori per un ricercatore?
«Non sempre si può cercare ciò che si desidera. Molte volte ci si deve basare solo sugli inventari, schedari, cataloghi e promemoria. Importanza notevole hanno i Quinque libri, i registri delle parrocchie. Per me il problema è stato che a Cagliari i Cinque libri dell’Ogliastra non ci sono».
-Il suo tempo libero dove va a finire?
«Negli ultimi due anni ho trascorso il sabato mattina all’Archivio di Stato, oltre che il martedì ed il giovedì pomeriggio, giorni di apertura serale. I pomeriggi domenicali li ho passati all’Archivio dei Mormoni sfogliando i registri anagrafici di Tortolì».
-Che c’entrano i Mormoni?”I Mormoni hanno microfilmato i registri anagrafici di tutto il mondo: con una semplice richiesta e il pagamento di circa tre euro si può far arrivare a Cagliari, in via Peretti, anche la bobina di Tortolì».
-Altre carte?
«Una fonte importante, la segreteria di Stato del periodo sabaudo. Vi si trovano molte informazioni. Inoltre i testamenti: non sono soltanto nell’archivio di Stato ma anche nei Cinque Libri. Io ne ho trovato uno di un notaio tortoliese del 1600».
-Quale diffusione, per i libri di storia locale?
«Il mio libro sull’Oristanese è stato acquistato a Oristano e provincia. Questo di Tortolì è in tutte le librerie, sta andando molto bene».
-Esiste una ricetta che favorisca il gradimento da parte dei lettori?
«Direi il carattere popolare. Scrivendo il primo libro mi ero posto proprio il problema di essere il più semplice possibile e nello stesso tempo di trasmettere il maggior numero di informazioni. La gente legge poco. Volevo dare la possibilità ai tortoliesi di leggere un libro: devo dire che ci sono riuscito».
-Come fa ad esserne sicuro?
«Il primo libro ha venduto più di duemila copie soltanto a Tortolì. Non sono poche. Con questo secondo sono entrato più in profondità negli argomenti ma ho cercato di conservare la semplicità di scrittura».
-Preferenze dei lettori?
«Sembrerà strano, ma gli alberi genealogici interessano moltissimo. Come pure i racconti dell’ultima parte, tratti da documenti dell’Archivio di Stato, dalle cause civili e penali. Un esempio è la storia di Efisia Cardia, una ragazza imprigionata dai genitori per quindici anni perché era rimasta incinta di un ragazzo di famiglia plebea all’inizio dell’Ottocento».
-Da chi era costituita due secoli fa la popolazione di Tortolì?
«Molti lavoratori delle campagne venivano da fuori, troviamo parecchi giardinieri di Barisardo e diversi pastori arzanesi. Pietro Ferreli di Arzana aveva il bestiame nella tanca di San Salvatore, poi si è fermato a Tortolì e ha dato origine al grande ceppo dei Ferreli tortoliesi: informazioni che dànno un’idea degli interscambi».
-I libri non si scrivono per far denaro. Quale può essere, allora, la gratificazione interiore per chi si dedica a questa passione?
«Il libro su Tortolì l’ho riletto almeno venti volte, ogni volta che lo rileggo è come se non l’avessi scritto io. La gratificazione? Aver dato la possibilità ai miei compaesani di leggere queste cose. Io sono innamorato del mio paese forse perché ne sono stato sradicato presto. La gratificazione è anche quella di aver visto la firma di mio nonno che non ho conosciuto perché è morto nel 1924. Durante l’elaborazione del libro ho vissuto un film in diretta, il migliore della mia vita».
-Che tiratura avete fatto?
«Mille copie. Il primo problema è coprire le spese. In questo lavoro è già intervenuta la Comunità Montana e la Provincia. Il presidente Piero Carta è stato molto sensibile».
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«A Macomer mi avevano messo in una classe di pendolari, mi son trovato isolato anche perché a quell’età si sente il distacco dagli amici d’infanzia. Allora sono voluto andare via ed ho ripiegato su Nuoro dove mi sono diplomato, poi mi sono laureato a Cagliari in Economia e commercio. Qui mi sono fermato, con la parentesi del servizio militare: sono stato a Salerno, Napoli e Firenze che mi ha aiutato molto a crescere». Assunto come «addestrando per diventare funzionario della direzione generale della banca nazionale del lavoro», viene mandato a Verona come sede di prima assunzione. Prima di partire, da buon sardo, si era coperto le spalle «dando un altro concorso per avere la possibilità di rientrare in Sardegna». Il concorso riguardava le dogane ed era riservato ai laureati. Memore dei periodi trascorsi a Macomer e Nuoro, Albino Lepori volevo un posto di mare. «Sono stato chiamato alla dogana di Oristano, quando avevo già la casa a Cagliari. Per nove anni ho fatto il pendolare, Cagliari-Oristano-Cagliari. Nel 1989 finalmente sono rientrato a Cagliari dove ho prestato servizio alla dogana. Adesso, dal 1992, sono alla direzione regionale dell’agenzia delle dogane e mi occupo di contenzioso, faccio l’avvocato della dogana sarda, seguo i rapporti con l’avvocatura dello Stato, i procedimenti giudiziari e così via». Il rientro a Cagliari gli dà modo di frequentare «centri di consultazione che in altre città non ci sono, come l’archivio di Stato e la biblioteca universitaria». Luoghi molto importanti per l’ultimo libro su Tortolì ma anche per quello su Selegas. Racconta Lepori: «In pratica il libro su Selegas è servito come prototipo per poi fare il lavoro su Tortolì, che come argomenti si presta molto di più di un paesino come Selegas. Intanto, per Selegas, ho cominciato a sondare gli archivi, e quindi a non prendere cose scritte da altri ma a trovare notizie nuove ed elaborarle. Contemporaneamente scrivevo su alcune riviste: Quaderni Oristanesi, Il giornale della Trexenta, l’Ogliastra e Studi Ogliastrini».
Tra le scoperte cagliaritane, Albino Lepori ne privilegia una: «È stato molto proficuo l’incontro col Centro sardo studi genealogici, nel 1997: è veramente un’associazione fatta apposta per chi ama approfondire gli argomenti di cui stiamo parlando. È un gruppo composto da persone veramente serie e qualificate. Mi sono stati molto utili, mi hanno fatto crescere e dato consigli, abbiamo scambiato opinioni. Qui in questo lavoro infatti comincia ad esserci un abbozzo di genealogia. Anche il colloquio continuo con studiosi del livello di Lorenzo Del Piano, Marcello Lostia, Vittoria Del Piano, Francesco Floris, Pino Ledda e Sergio Serra mi aiuta ed incoraggia». Ma il pensiero finale di Lepori va «ad una persona molto importante che ha scritto su tutti i Comuni dell’Ogliastra, il canonico Flavio Cocco di Gairo Sant’Elena, un ricercatore infaticabile e metodico, di grande rigore intellettuale: per me è stato un vero caposcuola».
APPROFONDIMENTI
STORIA per informazioni sulle ex miniere della sardegna e sulla storia del movimento operaio sardo,le sue lotte,ecc . ; e questo altro qui sulla miniera dell'articolo http://tinyurl.com/apooj
LETTERATURA il figlio di bakunin di sergio Atzeni qui una lettura radiofonica e qui per trama del romanzo
SECONDO ARTICOLO
- artigianato sardo vendita e qacquisti
http://tinyurl.com/7gxgv http://tinyurl.com/e3s3m http://tinyurl.com/c8p2n
emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello
Apro l'email e tovo queste "lettere " di alcuni haters \odiatori , tralasciando gli insulti e le solite litanie ...

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