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27.6.08

Quante strade portano al camp


Ma come fa a piacerti Renato Zero? Correvano, o meglio passeggiavano, gli interminabili '70 e davvero non era facile capire come la compagna di liceo più freak e ricca, con le sue vacanze a Londra e le sue dissimulate raffinatezze, trovasse di affascinante e divertente nel carrozzone, nelle svenevolezze, nei travestimenti, nel neomelodico, nel patetico della Zerolandia.
Come spesso accade, la soluzione dell'enigma era contenuta nella sua stessa formulazione: adorava Zero proprio perché era stata a Londra.

E così ci si sarebbe davvero stupiti, a colpi di "ma va là" e di "non scherziamo", se una prefigurazione del professor Fabio Cleto avesse allora assicurato che il circo di Triangolo ed EroZero non era poi molto lontano da quel Flowers di Lindsay Kemp che invece deliziò più di una domenica pomeriggio dei non-sorcini; o dal culto di Ziggy Stardust di David Bowie, già membro della stessa compagnia di Kemp, o infine dalla boccaccesca (anche nel senso delle boccacce) baracconata di The Rocky Horror Picture Show.

Ognuno ha i suoi sentieri per entrare nel camp: Fabio Cleto - professore di letteratura inglese all'Università di Bergamo - del camp è il maggior studioso italiano e compila elenchi di eloquenti coppiette: Oscar Wilde e Madonna, per esempio; o Fassbinder ed Elton John, Versailles e Gore Vidal, la regina madre e Pedro Almodovar... L'accostamento tra Zero e Kemp non è certo più stravagante di questi, e la realtà è che non si può parlare del camp senza con ciò stesso farne almeno un poco.

Così il numero della rivista "Riga", diretta da Marco Belpoliti ed Enzo Grazioli, dedicato al pop camp (il camp nell'era delle mode di massa) e curato da Fabio Cleto, è diventato un discreto caso di camp esso stesso: nella quantità, estendendosi sino a riempire quarantatré volumi (editore Marcos y Marcos; I vol. 352 pagine, 25 euro); nella forma, che mutua quella di un teatrino, tra siparietti, "tirate" e intermezzi; nel metodo degli accostamenti di autori e argomenti, dall'opera lirica sino al camp sovietico e a quello ecclesiastico. La stessa rivista prende l'occasione per un cospiscui restyling grafico curato da Paola Leonarduzzi, che la trasforma in una collana di libri. All'usuale scansione di antologie della letteratura critica, testimonianze e testi inediti, poco noti o scritti per l'occasione, si aggiunge un sontuoso apparato iconografico, vero saggio figurativo diffuso lungo il volume: da Bette Davis nei panni della regina Elisabetta al performer Juan Ybarra travestito da alieno in The Museum of Fetished Identity, passando da Aubrey Beardsley, Liza Minnelli, David LaChapelle e Lou Reed.


Più facile che definire il camp è negargli lo statuto di corrente, forma d'arte, concetto, categoria o - peggio che peggio - scuola. Accostando le copertine dei due volumi di "Riga" si ricostruisce lo sguardo della modella di "Ciglia in fiore", una fotografia del 1965 in cui due corone di petali circondano gli occhi. Il camp sarà dunque una fantasia vegetale, la natura che si trasforma in maquillage, una creatura fitomorfa che ci scruta?
E' una "sensibilità", si dice, riprendendo lo storico saggio di Susan Sontag (qui riproposto) che già nel 1964 ne aveva scorto, dietro alle ammiccanti allusioni, le fondative elusioni. Il camp è un "cifrario privato" che dopo gli anni Sessanta diventa pop, il segreto del travestimento che diventa esibizione smaccata, nel passaggio dalle eccentricità clandestine di fine Ottocento alla scena dello spettacolo globale. Oggi anche i dizionari italiani conoscono la parola "camp", e la definiscono come "affettato, artificioso, manierato". Il raro uso che se ne fa forse enfatizza anche troppo la pur innegabile connotazione di estetica gay e lesbica, Se, come voleva SusanSontag, il camp mette tutto fra virgolette, (non una lampada ma una "lampada", non una donna, ma una "donna") e finisce con ciò col diventare "il trionfo dello stile ermafrodita", allora il suo legame originario con la cultura gay è destinato a divenire meno sostanziale, a sublimarsi e a farsi metodo di lavoro e sguardo. "Il Camp è completamente ingenuo o totalmente consapevole", dice ancora Sontag, e questa propensione all'ambiguità travolge tutti quegli schemi categorici di cui tutti i teorici si sono accorti quando sono caduti: alto e basso, bello e brutto, naturale e artificioso, tragico e comico, kitsch e trash. "Gli uomini sono donne come tutte le altre", disse un giorno Groucho Marx: e il camp segnò un altro punto a suo favore.


Se poi pensiamo che l'enfatica alchimia dei sincretismi stilistici ha come esito la trasformazione del serio in frivolo ci accorgiamo che il potenziale di espansione del camp non trova, nella contemporaneità, limti visibili. Che fare, del resto? Mettere paletti alle paillettes? Chiudere la gabbia quando le piume di struzzo sono già scappate fuori?



Stefano Bartezzaghi (la Repubblica, 26 giugno 2008)







5.10.07

Senza titolo 2060


MACERATA: Ciao a tutti i compagni di viaggio. Voglio ricordare con un solo pensiero il terremoto di dieci anni fa Marche/Umbria (anche se in ritardo). Un terremoto "amico", perché causò pochissimi morti (12 in tutte le zone) ma un terremoto che ha distrutto molti paesi, costringendo le persone a confrontarsi con una durissima realtà. La famiglia di mia madre viene da Nocera Umbra (PG), che fu uno dei paesi più colpiti. Oggi, piano piano, Nocera sta rinascendo. Voglio farvi vedere il paese in cui ho passato la mia infanzia.


Nocera Umbra

23.10.06

Senza titolo 1481

 leggo solo  ora  visto   gli impegni  salvo il fine settimana    di queste  due    news
la prima  è   tratta  da www.repubblica.it

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La rivolta dei rifugiati a Caltanissetta   "Prendono soldi per farci scappare dal Cpt" I 55 giorni nel centro siciliano degli scampati del naufragio del 20 agosto Hanno lo status di perseguitati politici e ora denunciano i maltrattamenti Nelle "evasioni" le responsabilità di interpreti e mediatori culturali







dal nostro inviato  GIOVANNI MARIA BELLU






AGRIGENTO - "Una notte ne ho visti scappare una trentina, poi un'altra volta cinque. Erano tutti africani come noi, ma di pelle bianca". Mekonem Kribrome, 24 anni, cittadino eritreo, è uno dei dieci superstiti del naufragio avvenuto il 20 agosto a 70 miglia da Lampedusa. Ha visto annegare sua moglie Lemlem, incinta di 6 mesi, e altri 28 compagni di viaggio, tra i quali 4 donne e un bambino di 2 anni. È un uomo distrutto, ma quei 55 giorni a Caltanissetta, tra il Centro di "accoglienza" e quello di "permanenza temporanea", li ricorda molto bene. Con lo stesso inorridito stupore degli altri superstiti.
Sono tutti africani neri, eritrei per la maggior parte, e somali. In questo tempo hanno ottenuto chi l'asilo politico, chi la protezione umanitaria, e il relativo permesso di soggiorno. Non sono "clandestini": potrebbero stare tranquilli, in Italia, coi loro incubi. Eppure hanno deciso di raccontare il loro soggiorno a Caltanissetta, dove hanno vissuto fino a quando sono stati trasferiti ad Agrigento, in uno dei centri del "Sistema nazionale di protezione per richiedenti asilo e rifugiati".
È una specie di rivolta. Una rivolta non violenta realizzata attraverso testimonianze concordanti. Le fughe degli immigrati nordafricani, messe in atto col sostegno di loro connazionali che lavorano a Caltanissetta come interpreti o mediatori culturali, sono un ricordo comune. E, con esse, le vessazioni piccole e grandi. Dice Mihretab Malik, eritreo 35enne: "Quando da Lampedusa sono stato portato nel Centro di Caltanissetta ho assistito a fatti che non immaginavo potessero accadere in un paese come l'Italia. Eravamo quasi tutti africani, ma gli operatori, con l'eccezione di tre di loro, ci distinguevano in base al colore della pelle. Noi neri dovevamo pagare per ogni cosa: le schede telefoniche, le sigarette, i vestiti. Dovevamo fare la fila per parlare col medico mentre gli africani bianchi ci passavano davanti".
Mihretab, e il sudanese del Darfur Mansur Basher, sono gli unici del gruppo ad aver compiuto una traversata del Mediterraneo relativamente tranquilla. Tutti gli altri - sette eritrei e due somali - si trovavano sullo stesso gommone scassato da dove Mekonem ha visto annegare la giovane moglie. Adhinom Petros, eritreo, 22 anni, ha assistito alla morte di 3 suoi cugini. A Caltanissetta, poi, alla fuga di 24 arabi, al solito col sostegno dei social workers nordafricani: "Era la notte tra il 24 e il 25 settembre. Hanno aperto con le cesoie un varco nella recinzione e sono usciti. Fuori dal campo c'erano dei poliziotti, ma sono rimasti assolutamente immobili".
Tefit Okbatsion, 24 anni, eritreo, nel naufragio del 20 agosto ha visto morire uno zio, Biran Araya. Anche lui ha ricordi precisi delle fughe: "Ho visto fuggire una trentina di arabi. So che pagavano per farlo. Ho sentito che ne parlavano chiaramente tra loro. La polizia era immobile. Quando ho chiesto spiegazioni a uno degli operatori mi ha risposto che non erano cose che mi riguardavano".
Tutti gli ex ospiti di Caltanissetta hanno un ricordo preciso del tariffario dei commerci interni. Racconta il somalo Aidrous Abdelkadir: "Per 4 sigarette un euro, per un pacchetto 5 euro, per uno zaino 10 euro". Persino sulle le carte telefoniche un ricarico di 50 centesimi. Ma Debesay Fikadu, eritreo, afferma di essersi sentito chiedere del denaro per poter avere dei farmaci per le emorroidi. E Mihretab Malik, che come tutti i giovani eritrei ha fatto forzatamente il militare e ha nozioni di pronto soccorso, parla con indignazione di quelle pastiglie bianche, sonnifero, che venivano distribuite come farmaco generale per tutti i mali dopo visite frettolose.
Tra il 25 e il 27 settembre, tutti i componenti del gruppo hanno avuto il colloquio con la commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato. Ottenuto il permesso di soggiorno, sono entrati nella seconda fase del percorso e destinati al centro del "Progetto Tarik", gestito ad Agrigento dalla "Cooperativa Acuarinto".
Questo centro, che gode di un finanziamento annuo di oltre 400.000 euro per ospitare 55 immigrati al giorno, si trova in un fabbricato all'interno del vecchio ospedale. Non esiste la cucina: la colazione e la cena sono realizzati da un servizio di catering, per il pranzo gli ospiti devono recarsi alla Mensa della solidarietà. È stato là che, dieci giorni fa, hanno incontrato alcuni operatori di Medici senza frontiere. "Ancora - spiega Guilhem Molinie, responsabile di Msf per l'area - non usufruivano di assistenza sanitaria. Così, anche se il nostro servizio è per immigrati irregolari e loro non lo sono, li abbiamo informati dell'esistenza dell'ambulatorio gratuito, che gestiamo per conto della Ausl. Nessuno di loro ci ha detto di aver avuto, fino a quel momento, qualche forma di assistenza psicologica".

Lo sgomento per i giorni a Caltanissetta, ad Agrigento è diventato rabbia. Non solo per la perenne vista del mare che in ogni momento risveglia la memoria dell'orrore. "Prima che lasciassimo il Cpt - racconta Mihretab Malik - ci avevano detto che ad Agrigento la nostra condizione sarebbe cambiata. Avremmo studiato la lingua italiana, avremmo avuto assistenza psicologica. Non era vero". "Sono fortemente traumatizzati - afferma Donato Notonica, coordinatore del "Progetto Tarik" - e lo psicologo suggerisce in questi casi di evitare di attuare interventi troppo pressanti e invasivi".

Di certo martedì mattina, Mekonem era nella sede della "Mensa della Carità" e riceveva assistenza psicologica da Maria Stella Rizzo, che tutti chiamano suor Stellina, una religiosa che manda avanti eroicamente la mensa con pochi soldi e l'aiuto di volontari, preparando ogni giorno 150 pasti. Mekonem, che evidentemente non aveva il problema di "interventi invasivi", le chiedeva come fare per ottenere un certificato di morte presunta della moglie. Il corpo, infatti, non è stato recuperato. In Eritrea c'è l'abitudine di arrestare i familiari di chi espatria. Fratelli, padri e madri diventano ostaggi dello Stato e, per uscire, devono sborsare una somma equivalente a 2mila dollari. "I miei suoceri - spiegava Mekonem - sono stati arrestati. Ma se riuscirò a dimostrare che mia moglie è morta, potranno tornare in libertà".

(21 ottobre 2006)
 
>>

Ora ciò non è una  news.google.it/news  cio è solo
punta dell'iceberg  cercando corruzione  o vioolenza  dei nei  cpt  e vedrete che ci sono molti siti considerati coglioni che  denunciano tali cose o a cui non si da  seguito perchè vengono  essendo dell'estrema sinistra  considerati  come mosche bianche  .  Inoltre  di tali eventi oltre  al racconto  uscito su tutti i giornali  Mariana Dontcheva  direttrice di un museo in Bulgaria.  finita   nei cpt  ho sentito testimonianze dirette o indirette   da gente che  ci è passata  o  ci ha  o ha avvuto parenti o amici che  ci sono  finiti . lascio il mio commento  con  questo murales di orgosolo da me fotografato il 22\10\21006 alle cortes apertas di orgosolo  . su cui  c'è scritto  : << siamo tutti  clandestini >>












  

P.s
  vista la sua grandezza e non avendo una  digitale professionale   ho  fatto tre  " scatti "  anzi  che uno  solo

La  seconda  news   che mi ha ingannato  è  presa Dal blog di diego marchesi Venerdì, 22 Settembre 2006 - 4:20pm



Come ci si spiega la decisione di Italia dei Valori di votare contro l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sui gravi fatti del G8 di Genova 2001  ? Diaz,Bolzaneto,Pestaggi,Abusi,Torture,Infiltrati, Disordine pubblico,Repressione e Violenze su gente inerme, Criminalizzazione dei pacifisti e accondiscendenza verso i vandalismi…tutto questo non può avere Responsabilità Politiche ? Le vittime non hanno diritto ad ottenere chiarezza sulla vicenda? (si veda nei link finali il caso di Mark Covell, giornalista inglese) .   L’inchiesta è chiaramente promessa nel programma  dell’Unione ( pag.77 ), programma che tutti i partiti hanno firmato e che gli elettori conoscevano.Visto che per quanto riguarda il partito di DiPietro ci si è scandalizzati per la condotta di DeGregorio, ricordo quale altro personaggio annovera tra le sue fila un partito che si definisce di centro-sinistra!    Enrica Bartesaghi  Presidente Comitato Verità e Giustizia per Genova .. ha scritto  ;                                                                                              :



*Complimenti all’avvocato Li Gotti, nuovo sottosegretario alla Giustizia ! Dopo una militanza a destra più che trentennale, nel 2003 passa sull’altro fronte e  aderisce a “L’Italia dei Valori”. Penalista, conosciuto per essere stato difensore di pentiti deflagranti quali Buscetta, Contorno, Brusca.                 
Luigi Li Gotti, 55 anni, è stato avvocato di parte civile nel processo per la strage di Piazza Fontana, ha rappresentato i familiari del maresciallo Leonardi nel processo Moro, ha tutelato la famiglia del commissario Calabresi in un lungo iter processuale. Crotonese, Luigi Li Gotti vive e lavora a Roma, con la sua famiglia. A Crotone ha cominciato a fare politica alla fine degli anni sessanta nelle organizzazioni giovanili del Msi, partito del quale è diventato successivamente segretario di federazione e che ha rappresentato in Consiglio comunale dal 1972 al 1977. In un cassetto, l’avvocato Li Gotti custodisce le sue 35 tessere d’iscrizione annuale al Msi e poi ad An. Per chi volesse  approfondire    consulti  questo sito http://snipurl.com/105fi
IL personaggio  in questione  attualmente  è  il Responsabile Dipartimento Giustizia Italia dei Valori e (ex)avvocato difensore di Gratteri uno degli imputati tra i più alti in grado per le violenze alla scuola Diaz nonostante, o forse grazie alla sua presenza alla Diaz, pluripromosso.  Ricordo che l’onorevole Antonio Di Pietro, contribuì all’affossamento nella precedente legislatura all’introduzione del reato di tortura in Italia: dal quotidiano il il maanifesto, 4/12/2003:

<< 
…sono tutti favorevoli a punire la tortura…


però non si possono «prevedere dieci anni di carcere per chi cerca di investigare» (Antonio Di Pietro, ex pm).
L’avvocato Li Gotti, nel mese di dicembre 2003 ha chiesto di spostare il processo Diaz a Torino, ora chiederà di spostare Gratteri da questore di Bari a Roma, per più alti incarichi ….
Ci manca solo l’amnistia per chiudere definitivamente il processo per Bolzaneto……..


Le vittime delle violenze, degli abusi e delle torture della scuola Diaz e di Bolzaneto, ringraziano.


Enrica Bartesaghi


>>


Ricordo che la stessa contrarietà alla commissione è stata espressa da ROSA NEL PUGNO e UDEUR
                                                                                                                                                       



per chi volesse  sapere  perchè    su tali fattio occorre un altra commissione si legga  questi  url e questi artioli

.



  1. intervista della BBC a Mark Covell, ridotto in fin di vita alla Diaz

  2. Servizio della BBC sul caso Diaz

  3. Link a video con intervento di Mark Covell

  4. Articolo di “Bellaciao.Org”

  5. articolo “VeritaGiustizia.It”

  6. Intervento citato nella notizia

  7. Articolo di Carta.Org - 1

  8. Articolo di Carta.Org - 2








  9. ,

  10. ,








1.7.06

Senza titolo 1361

Mare mattutino




Alghero, spiaggia Le Bombarde. 


Fermarmi qui! Mirare anch'io questa natura un poco.
Del mare mattutino e del limpido cielo
smaglianti azzurri e gialla riva: tutto
s'abbella nella grande luce effusa.

Fermarmi qui. Illuso di mirare
ciò che vidi davvero l'attimo che ristetti,
e non le mie fantasime, anche qui,
le memorie, le forme del piacere.



Constantinos Kavafis


6.2.06

Senza titolo 1120


mentre   cercavo  di posizionarmi  su radio 24 , stazione  che nella mia zona è quasi   sempre  disturbata   da stazioni di  evangelici e  da radio maria  , in attesa  della trasmissione   zombie di diego cugia   , ho ascoltato questa  bellissima  canzone  di De  Gregori


 

 LA  DONNA  CANNONE 

Butterò questo mio
enorme cuore
tra le stelle un giorno
giuro che lo farò
e oltre l'azzurro della tenda
nell'azzurro io volerò
quando la donna cannone
d'oro e d'argento diventerà
senza passare per la stazione
l'ultimo treno prenderà
in faccia ai maligni
e ai superbi
il mio nome scintillerà
dalle porte della notte
il giorno si bloccherà
un applauso del pubblico pagante
lo sottolineerà
dalla bocca del cannone
una canzone esploderà
e con le mani amore
per le mani ti prenderà
e senza dire parole
nel mio cuore ti porterò
e non avrò paura
se non sarò bella come dici tu
e voleremo in cielo
in carne ed ossa
non torneremo più
e senza fame e senza sete
e senza ali e senza rete
voleremo via
così la donna cannone
quell'enorme mistero volò
tutta sola verso un cielo nero
nero s'incamminò
tutti chiusero gli occhi
l'attimo esatto in cui sparì
altri giurarono spergiurarono
che non erano mai stati li
e con le mani amore
per le mani ti prenderò
e senza dire parole
nel mio cuore ti porterò
e non avrò paura
se non sarò bella come vuoi tu
e voleremo in cielo
in carne ed ossa
non torneremo più
e senza fame e senza sete
e senza ali e senza rete
voleremo via


 




 Mi  è  venuta  in mente   questa   storia    di  un campione di  deltaplano a motore Angelo D'Arrigo  che  ha  rinunciato  alla  sua  carriera  di campione per  volare  con i   gli uccelli migratori    . Dato che non sono  bravo a  riassumere  la vicenda  lascio   che  a parlare  sia  il  suo  sito  http://www.angelodarrigo.com/




Nel corso della sua carriera agonistica ai vertici internazionali del volo sportivo, Angelo d'Arrigo ha avuto modo di volare in giro per il mondo. Durante i suoi viaggi attraverso i vari continenti, Angelo ha sorvolato mari, deserti, vulcani e catene montuose, insieme ad aquile e rapaci di ogni specie.Laureato all'Universita dello Sport di Parigi, ma innamorato della montagna, Angelo d'Arrigo esce dalla sua metropoli per cimentarsi negli sport estremi.Con i suoi titoli di istruttore di volo, di maestro di sci e di guida alpina, riesce a vivere delle sue passioni legate agli sport "Plein Air".Progetta e realizza delle "Prime" sulle Alpi nelle sue tre specialita: Sci Estremo, Volo Libero e Alpinismo.Dal Monte Bianco al Cervino, dall'Aiguille Verte all'Aiguille du Midi, Angelo riesce ad esprimere il suo stile di vita con successo.Realizzando dei documentari amatoriali sulle sue "imprese"che divulga nelle scuole e nei centri culturali della capitale francese, Angelo ha contribuito allo sviluppo e alla popolarizzazione degli sport estremi, dove l'individuo e la natura sono gli assoluti protagonisti.Denominato, allora in Francia, "Le Funambulle de l'Extreme", Angelo progetta di operare anche fuori Europa: l'Himalaya e le Ande.In occasione di un reportage per una rete nazionale francese, Angelo vola per la prima volta dal vulcano piu alto d'Europa in piena eruzione: l'Etna.Attratto dal contrasto degli elementi di questo paesaggio Siciliano, al quale sono legate le sue origini, Angelo decide di istallarsi sulle falde del vulcano e crea una scuola di volo libero: l'ETNA FLY.Ambientato in un quadro unico e spettacolare, dove i quattro elementi ARIA ACQUA TERRA e FUOCO si mescolano, questo centro di addestramento al volo libero si e trasformato, oggi, in un centro turistico basato sulla pratica di sport estremi: il No Limits Etna Center.Dopo anni di agonismo in volo libero e due titoli mondiali con il deltaplano a motore, Angelo decide di allontanarsi dal circuito delle competizioni per potersi dedicare ai voli record ma soprattutto all'emulazione del volo dei rapaci per la ricerca del volo istintivo.




Avvia un progetto intitolalato Metamorphosis" che e uno studio analitico delle tecniche di volo dei piu grandi rapaci dei cinque continenti.Dalleaquile delle Alpi ai rapaci dell'Himalaya e dagli avvoltoi dell'America Latina a quelli Australiani, Angelo impara ad osservarli e convivere con loro, nel loro elemento e con le loro regole gerarchiche.Osservare, studiare ed imitare il volo istintivo dei grandi veleggiatori è stato per lui un percorso naturale che gli ha permesso di perfezionare la sua tecnica di volo. Angelo ha voluto dedicare questo suo bagaglio di esperienze al servizio della scienza. Questa sua ricerca lo ha portato a compiere delle imprese uniche che hanno suscitato un forte interesse mediatico a livello mondiale.
E' stato il primo uomo a percorrere in volo libero, senza ausilio di motore, il Sahara, ad attraversare la Siberia e ultimamente a sorvolare la montagna più alta della terra: l'Everest. Un'incredibile esperienza umana, in luoghi ostili e spesso inesplorati che lo hanno visto protagonista di eventi straordinari dai quali sono stati tratti diversi documentari.Questo misto di sport, avventura, scienza e tecnologia hanno reso possibile il sogno dell'uomo che, dai tempi di Icaro fino a quelli di Leonardo da Vinci, ha sempre sognato di volare come gli uccelli.








 

 

 

 


progetto Metamorphosis




Nel 2000 Angelo avvia il progetto Metamorphosis. Uno studio analitico delle tecniche di volo dei più grandi uccelli migratori dei 5 continenti.
Angelo d'Arrigo, sulle orme del Premio Nobel Konrad Lorenz, continua la ricerca sulle leggi dell'imprinting. "Diventare il genitore" facendosi seguire a terra dagli uccelli dal momento della schiusa dell'uovo è quanto scoperto da Lorenz.



Angelo elabora una estensione al lavoro di Lorenz, e ne dà un seguito. Mette a punto una specifica strategia che porterà i pulcini a spiccare il primo volo insieme lui, seguendolo come un genitore, ma questa volta in volo, nel loro elemento: l'Aria.




Angelo insegna a volare ai giovani uccelli, a procurarsi il cibo e a sfruttare le correnti ascensionali per poi seguirlo lungo la loro rotta migratoria. Grazie a lui molte specie sono state reintrodotte nel loro habitat.
















Quando lo sport è al servizio della scienza

Questo progetto in collaborazione con la Facoltà di Biologia dell'Università di Mosca, ha rappresentato un grande esperimento per la comunità scientifica internazionale.



Per ulteriori approfondimenti giornalistici e non solo  sull'evento in questione   puo  contattare  il diretto  interessato a questa  email    : info@angelodarrigo.com .


P.s
dedico questo  post  agli  amici e compagni di viaggio del gruppo ops  ex  gruppo (  speriamo sia  una  pausa di riflessione  o non , come  sembra  intravedere  nelle  news  del loro sito , una decisone definitiva   ) vinavill e di cui riporto  una delle loro canzoni attinenti a questo post 


COME LE  NUVOLE 






















Guardo i cieli aperti come spazi immensi
li puoi respirare e far quel che ti pare.
Non importa l'aria quanto sia malsana
quanto lo scirocco influenzi il corpo
si respira meglio quando sta per piovere
quando dalla terra tutto viene fuori.
E, voglio vivere come te
per trovarmi in alto e volare libero
disorientato sopra le nuvole.
Se volassi in alto proprio come un falco                                                                                                                              scoprirei che il quadro                                                                                                                                                                è immensamente ampio
e ascoltare il tempo
che a volte passa lento                                                                                                                                                               
e a volte corre svelto  inesorabilmente.                                                                                                                                                                                                Si respira meglio quando sta per piovere
quando dalla terra tutto viene fuori.
E, voglio vivere come te
per trovarmi in alto e volare libero,                                                                                                                                   disorientato come le nuvole.




con questo  è veramente  tutto   


 




18.1.06

Senza titolo 1099

 

Per dire cos’ hai fatto
di me, non ho parole.
cerco solo la notte
fuggo davanti al sole.
La notte mi par d’oro
più di ogni sole al mondo,
sogno allora una bella
donna dal capo biondo.
Sogno le dolci cose,
che il tuo sguardo annunciava,
remoto paradiso
di canti risuonava.
Guarda a lungo la notte
e una nube veloce
per dire cos’ hai fatto
di me, non ho la voce.


17.12.05

Gesù ti ama!

Mentre giochi a strappare petali,chiedendoti se qualcuno ti ama,GESU' CRISTO vuole dirti che TI AMA, è morto crocifisso per te, così che se tu credi in Lui non morirai, ma avrai la vita eterna!



                            



GESU' è la via, la verità e la vita!!


                          Buon fine settimana nel Suo Santo nome!

6.12.05

Senza titolo 1022



unico commento che mi sento di fare  suquello che stà  succedendo  in Val Susa  è  lasciato a questa  canzone  proveniente da una  musicassetta o  vinile  adesso non ricordo bene  con esattezza  dei miei  , trovata mentre rimettevamo  apposto  il  solaio  .essa s'intitola Questa democrazia  di  Mario Pogliotti ecco il testo 



Ammesso e non concesso
che l’italiano medio è un poco fesso
è democratico, ma è un gran pericolo
lasciar permettere troppe libertà.

Abbiam la libertà
di esporre i panni al vento
nell’ore consentite
dal regolamento
Abbiam la libertà
di attraversare i viali
fruendo delle strisce pedonali.
D’appenderci sui tram
al mancorrente
di scendere e salire
ripetutamente.
Di far firmare il padre
o chi ne fa le veci
ed innalzare al cielo
laudi e preci.

Eppoi la libertà,
dove la mettiamo
d'emettere un assegno,
di sporgere reclamo,
d'evadere le pratiche
emarginare i codici
estendere le analisi
estinguere i depositi?

Ammesso e non concesso
che l’italiano medio è un poco fesso
dovete credere è un gran pericolo
lasciar permettere troppe libertà.

La libertà di sesso
di mistificazione
d’accattonaggio
di supposizione.
La libertà di moto
e, questo ci conforta,
la libertà di palpo e manomorta.
La libertà di fumo
la libertà d'ingresso
quella d'affermare
«c'accà nisciuno è fesso!»
Di stendere verbali
spedire contrassegno,
la libertà di nuoto
e tiro a segno.
D’emettere cambiali
condurre cani sciolti
di tutelar minori capovolti.
Di battere primati
di catturare vermi
di far votare suore, frati e infermi.
Ammesso e non concesso
che l’italiano medio è un poco fesso
è democratico, ma è un gran pericolo
lasciar permettere troppe libertà.
E non abbiam parlato
di libertà di stampa
la carta ed i caratteri
nessun vi mette zampa.
E poi la libertà cosiddetta di pensiero:
poter pensare un gatto od un veliero!
La libertà di sogno: sognare donne nude
d'andare in aeroplano alle Bermude,
eppoi la libertà che a queste s'accompagna
è di salir lassù sulla montagna.
E là in questa Italia
che al rosso dei vulcani
accosta il verde degli ippocastani
e il magico candore delle sue nevi annali
che cosa ci consentono
le autorità centrali?
La libertà più bella
potete qui trovare
è quella di sciare
sciare sciare sciaaareee !!!






  meditate  gente meditate    





proprio mentre  finivo di ascoltare  questa canzone  e  di scrivere questo post   mi  è  venuta  in mente  una  domanda  con una domanda  ( sperando  che susciti  dibattito e discussioni )   ma  la democrazia  esiste  ?  significa  ancora qualcosa  ?  se esiste perchè  continuiamo ad andare a  votare  gente  che indipendentemente dallla parte\ideologia politica   permette tali cose e tali aberrazioni  .




      


 

P.s

 


per chi volesse approfondire   e   continui aggiornamenti dai media non ufficiali    su quello che  stà succedendo in val  di Susa    può andare  su e  http://italy.indymedia.org o http://www.informationguerrilla.org/ ;  il sito  del movimenti   conro al tav www.notav.it ed in particolare quello della zona di www.notavtorino.org oppure ancora e  fate circolare   l'inchiesta  di www.diario.it  ( qui e qui ) gli url  dell'inchiesta )  che  dimostra  l'inutilità  e i retroscena  dela tav come   quella che una  dele ditte  dei lavori appartiene  alla   famiglia , più precisamentre alla moglie  del ministro dei trasporti la notizia  è  confermata  anche da un sito "ufficiale"ovveroil sito  ufficiale della Rocksoil.spa cioè laditta inquestioneeccovi url leggere per  credere in quanto ma il nostro "Onorevole" nonche' Ministro della Repubblica non si e' nenche si è preoccupato di rimuovere le proprie "tracce" dal sito  in questione

30.11.05

Senza titolo 1010


Se non l'avete ancora fatto, mettete sul vostro blog il banner al documentario sull'uso del fosforo bianco a Falluja. Il codice html da inserire nel template è:



<a href="http://snipurl.com/jor0"
target="_blank" title="Falluja"><center><img
src="http://snipurl.com/kdd9
"></center></a>


Guardatelo e fatelo vedere, perchè dubito che lo vedremo mai in TV... tutti devono vedere gli effetti dell' "esportazione della democrazia" compiuta dagli americani in nome della lotta al terrorismo... questo è terrorismo. Punto.


11.11.05

Senza titolo 968

Alla vita


La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla
dal di fuori o nell'al di là.
Non avrai altro da fare che vivere.


La vita non é uno scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla é più bello, più vero della vita.


Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant'anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.


Nazim Hikmet



immagine di Iperio, toscana meridionale, agosto 2004

24.10.05

Senza titolo 922






L'UOMO E IL MARE
(I fiori del male - Baudelaire)


Uomo libero, sempre tu amerai il mare! Il mare è il tuo specchio; tu miri, nello svolgersi infinito delle sue onde, la tua anima. Il tuo spirito non è abisso meno amaro.



Ti compiaci a tuffarti entro la tua propria immagine; tu l'abbracci con gli occhi e con le braccia, e il tuo cuore si distrae alle volte dal suo battito al rumore di questo lamento indomabile e selvaggio.



Siete entrambi a un tempo tenebrosi e discreti: uomo, nessuno ha mai misurato la profondità dei tuoi abissi; mare, nessuno conosce le tue ricchezze segrete, tanto siete gelosi di conservare il vostro mistero.



E tuttavia sono innumerevoli secoli che vi combattete senza pietà né rimorsi, talmente amate la carneficina e la morte, eterni lottatori, fratelli implacabili.


26.9.05

Senza titolo 823

 


la nuova del  27\9\2005  Pagina 44 - Cultura e Spettacoli
 
La Barbagia apre le sue «Cortes»  Sino a gennaio artigianato e gastronomia in mostra a Nuoro e in 24 paesi   Bitti, Oliena e Orani le prime tappe di un lungo viaggio nella tradizione e nell’antica ospitalità  

 
«Camminare tra le case di pietra dei centri storici, assistere alle lavorazioni artigiane, assaporare prodotti tipici dai sapori genuini, scoprire i segreti di una cultura millenaria nello splendido scenario di una natura incontaminata». Romolo Pisano, presidente della Camera di Commercio di Nuoro, illustra così la filosofia alla base di «Autunno in Barbagia», la manifestazione che da alcuni anni si propone come vetrina delle zone interne dell’isola e che attrae migliaia di visitatori ad ogni sua tappa. Venticinque i centri della provincia di Nuoro, capoluogo compreso, che da settembre sino a metà gennaio propongono al pubblico un’offerta che ha nella nota ospitalità barbaricina il suo punto forte. «Autunno in Barbagia» è nata per riunire le manifestazioni dal nome «Cortes Apertas» che da diversi anni l’Aspen, l’azienda speciale della Camera di Commercio, organizza in collaborazione cone le varie amministrazioni comunali. A queste da quest’anno si aggiunge la seconda edizione di «Mastros in Santu Predu» (18-19-20 novembre), dedicata ad artisti e artigiani del quartiere più antico di Nuoro, ma anche la tradizionale Sagra della castagne e delle nocciole di Aritzo (28-29-30 ottobre), o «La montagna produce» di Desulo (dal 31 ottobre al 2 novembre). «Autunno in Barbagia» si è aperta ai primi di settembre con le «Cortes» di Bitti, Oliena (una delle più suggestive), e poi Orotelli e Orani, che si è chiusa proprio domenica scorsa. I prossimi appuntamenti sono in programma a Sarule e Ollolai (dal 30 settembre al 2 ottobre), dove si svolgeranno le «Cortes Apertas». A Tonara, il 1° e il 2 ottobre tocca invece alla sagra «Sonaggias e turrones, teruddas e taggeris». L’appuntamento successivo è a Gavoi (dal 7 al 9 ottobre) con «Ospitalità nel Cuore della Barbagia», cui segue Osidda (dal 14 al 16 ottobre) con le «Dommos Antigas». Il 15 e il 16 ottobre ci si sposta a Lollove, l’unica frazione di Nuoro, un borgo di pastori che conserva intatte, forse un caso unico nell’isola, le abitazioni tradizionali. La manifestazione ha per titolo «Vivilollove». Poi è di scena Orgosolo (21-22-23 ottobre) con «Gustos e Nuscos», e Belvì, negli stessi giorni con «Giochi e sapori in Barbagia». A Sorgono, il 22 e il 23 ottobre si svolge «Sa Innenna». Ottobre chiude con la sagra di Aritzo e le «Cortes Apertas» di Dorgali (28-29-30). Tra fine ottobre e inizio novembre Desulo ospita «La Montagna Produce», vetrina dei prodotti del Gennargentu che ogni anno richiama migliaia di visitatori. «Tappas a Mamoiada» e l’appuntamento dal 4 al 6 novembre, mentre a Ovodda (dall’11 al 13 novembre) le «Cortes Apertas» diventano «Ungrones de bidda». Un discorso a parte merita «Mastros in Santu Predu», la manifestazione che dal 18 al 20 novembre si svolge a Nuoro, dove non era mai stata realizzata una «Cortes Apertas». Due anni fa, in modo spontaneo e senza alcuna sponsorizzazione pubblica, un gruppo di artisti e artigiani del quartiere San Pietro, il nucleo storico della città, aveva dato vita a un percorso, «Le vie di San Pietro», che per un’intera giornata attirasse i visitatori nelle loro botteghe. L’iniziativa ebbe successo e l’anno dopo diventò «Mastros in San Predu», curata dall’associazione Traccas con la collaborazione dell’Aspen. Quest’anno è alla sua seconda edizione. «Autunno in Barbagia» prosegue ad Atzara (26-27 novembre), poi a Olzai (2-3-4 dicembre), Fonni (9-10-11 dicembre), Orune (17-18 dicembre), Tiana (16-17-18 dicembre), e si conclude a Teti (16-17 genanaio 2006). (p.me.)
 


 



 dalla nuova  sardegna del  26\9\2005


Pagina 5 - Sardegna

A Nule gli artigiani custodi della storia e dell’economia
Per il sindaco è un paese povero ma nella capitale sarda del tappeto decine di persone producono e vendono



Per il sindaco, Angelo Crabolu, ingegnere, capo di una giunta di centro destra, «Nule è un paese povero». Può darsi che abbia ragione perché tra Barbagia e Goceano sono poche - o del tutto inesistenti - le isole di vero benessere economico (e sociale). Però in questo paese di granito e molti gerani sui balconi, ai piedi del castello «Santu Lesèi» (Sant’Eliseo), in un territorio dominato da quaranta siti archeologici, non ci sono possessori di panfili e di jet ma un patrimonio belante di ventimila pecore che però rappresentano una cifra superiore ai due milioni di euro. Tra i 1550 abitanti (meno di 400 i nuclei familiari) non ci sono gioiellieri né industriali, ma di questi ultimi è tutta la Sardegna a non poter tracciare identikit.
In quest’altra capitale sarda del tappeto - tra boschi, pascoli, sorgenti e rocce d’incanto - diverse decine di artigiani producono bene e vendono. Non c’è casa senza telaio, con o senza partita Iva. Ma soprattutto, c’è un’azienda, la «Tessile Crabòlu» che è riuscita nel miracolo di rivitalizzare un capannone quasi a mille metri sul livello del mare, nell’altipiano che porta a Bitti, zona archeologica di «Romanzesu». Per raggranellare miliardi a gogò dalla Regione era sorto alla fine degli anni Settanta, quando qualcuno - non ancora scottato dai cloni dei Nino Rovelli e brigate varie - credeva che bastasse un anonimo signore della Brianza a creare sviluppo tra i nuraghi. Nacque la Betatex, ci avrebbero dovuto lavorare cento ragazze soprattutto di Bitti ma erano state solennemente buggerate. Imprenditori da codice penale. Volevano lavorare nell’altipiano di San Giovanni la lana che arrivava addirittura dal Camerun. Fu un fallimento totale. Fino a quando sono emersi alcuni capitani coraggiosi locali. Cognome doc, Crabolu, che più sardo e bucolico non si può. I Crabolu di Nule acquistano lo stabilimento con i macchinari semimarci e arrugginiti. E gli ridanno vita. Sono loro a realizzare il sogno industriale, di trasformazione su larga scala dei prodotti locali. Creando l’unica azienda che utilizza la lana sarda, quella delle tosature delle pecore, raccolta in tutta la Sardegma, dal Sulcis alla Gallura. E da qui la lana esce in tappeti con lavorazione di pregio. Tra i clienti Porto Raphael di Perugia e altri bei nomi del bon ton tessile italiano e degli States. Un miracolo. Perché oggi a San Giovanni trovate montagne di sacchi di lana sarda che qui viene selezionata, pulita, filata in matasse o in rocche. Ci lavorano 18 persone di Nule e Bitti. Con professioni e macchine che ricordano la prima fase della rivoluzione industriale inglese. Ci sono i tessitori: Giovanni Pietro e Giuseppe Manca, Gianfranco Mellino, Davide Cancellu e Luca Sechi. Con loro i cardatori: Antonio Mellino (noto «Dentone») e Giuseppe Cossu. I filatori sono Mario e Giuseppe Manca, Antonello Bella e Mario Farre. Angelo Scanu, sassarese, è ritorcitore, prepara le rocche che poi vanno a finire sui telai. Biagio Masala è aspatore, segue alle macchine il confezionamento delle matasse. E poi il terzetto dei roccatori con Andrea Coratza, Gianfranco Mellino e Angelo Scanu. Macchinari computerizzati, quasi tutti nuovi. Se a San Giovanni si lavorano le lane (tra i 15 e i 18 mila quintali), in paese ci sono i laboratori. In mani femminili naturalmente. Qui vengono rifiniti i tappeti in cotone e in lana, tovaglie, tende, centrini, copriletto, tutto quanto è necessario e tutto quanto i clienti richiedono. Col lavoro manuale e creativo di Maria Antonietta Zoroddu (“madre di due figlie disoccupate”), Lucia Masala (altre due figlie, ancora a scuola), Maria Rita Manca e Manuela Mellinu. Due lavorano part time: Antonio Dessena e Simone Zoroddu. Il fatturato? Il 4 per cento in Sardegna, il resto tra Italia e mondo. Tutto avviene a Nule paese da export dove la lavorazione del tappeto tradizionale è nel dna di ogni ragazza che nasce sotto Punta Ameddaris. Continua a essere una grande tessitrice la madre dei Crabolu, Pietrina Cocco, 76 anni che aveva imparato “da zia Gavina”. C’è anche un decisivo innesto continentale. Il marito di Pietrina è Benedetto Crabolu, noto Initeddu, pastore di pecore nella solitudine delle campagne di Taspìle. Con la seconda guerra mondiale finisce in Grecia, sta per essere deportato in un campo di concentramento dei tedeschi, riesce a scappare dal treno in compagnia del suo tenente, bellunese. Initeddu resta quasi alla macchia perché qui, in Alta Italia, i tedeschi non perdonano. Fino a quando il tenente riesce a trovargli un lavoro clandestino in una filanda di Belluno. Initeddu vede i processi di lavorazione e giura che appena rientrato in Sardegna creerà a Nule un’azienda simile. Detto fatto. Initeddu e Pietrina si sposano il 22 agosto del 1953. Nel’64 nasce il primo laboratorio con personale di famiglia. «Ma facevamo solo la filatura», ricorda la signora Pietrina. La svolta è degli anni Ottanta. La Betatex va in malora. Subentrano i figli di Initeddu. Vanno in giro per fiere in Italia e all’estero, vanno a vedere aziende tessili in Italia e all’estero fino a quando la «Tessile Crabolu» decolla. Festa grande a San Giovanni. Dove oggi Giuseppe Luigi Crabolu, 47 anni, è presidente e amministratore unico con i fratelli soci: Biagio di 45 anni, direttore commerciale e Angelo, 41 anni (sindaco del paese). I punti di forza ?
 «Usare prodotti locali, sicuri, facciamo noi la raccolta ovile per ovile. Abbiamo tecnici di alto livello, veramente professionali e affiatati, fanno gioco di squadra. Rispettiamo la tradizione facendo un prodotto sicuramente industriale ma di alta qualità. E la clientela è affezionata», dice Biagio. E i punti di debolezza? «Quelli di tutte le zone interne della Sardegna: la difficoltà dei trasporti, l’alto costo dell’energia, l’Adsl è un miraggio. Ma ci misuriamo con negozi che apprezzano la qualità: che è la nostra forza». Tappeti industriali e tappeti tradizionali. Le tessitrici attive sono oltre cinquanta ma quelle in regola con le leggi sono appena cinque: la cooperativa Madonna del Rimedio, collegata all’Isola che qui ha creato un buon nucleo di tessitrici rispettose della tradizione senza tralasciare gli effetti positivi delle nuove tecnologie. Ci sono Giovanna Chessa e Giovanna Maria Campus che propongono pezzi di pregio, hanno una clientela scelta, raffinata. Ghitta Dore ha una bella casa a «Su tronu» dove mostra tutti i suoi lavori con i colori caldi del tappeto di Nule. Ha una bottega museo Pina Crasta, ha l’arte e il commercio nel sangue, sulla porta d’ingresso trovate il suo nome in ceramica e in ceramica c’è anche il numero di telefono di casa e il cellulare. Lavora spesso con le sorelle Maria e Lucia. Di lei parlano le riviste specializzate. «Nei miei tappeti - dice - ci sono i miei sogni, i miei desideri, tutti i desideri, e li realizzo con la tecnica delle dita storte, sos poddighes trotos». Su Traveller le hanno fatto raccontare la tecnica di s’ambisue, la sanguisuga, «una sorta di patchwork di grande effetto cromatico». Da Pina Crasta ieri c’erano molti turisti. Decisamente incantati Giovanni Grieco di Rionero in Volture (Basilicata) dipendente di un’azienda telefonica e Saturnino Norcini, bancario genovese. Arrivavano dalle Terme di Benetutti in compagnia di due amici sardi, Lorenzo de Martin di Villagrande e Franco Loddo di Muravera.
Ma non di soli tappeti vive Nule. L’artigianato garantisce reddito a diverse famiglie. Eugenio Bitti e il figlio Giampiero mandano avanti una bottega da falegnami e il lavoro, come capita ovunque a tutti i bravi «maestri del legno», non manca. Antonello Mellino si ingegna con creazioni in ferro battuto, Antonio Giuseppe Manca si industria con l’alluminio. Tre le imprese edili con Francesco Cocco, Giuseppe Manca e Marco Pintori. Due calzolai moderni, Giuseppe Dore e Franco Campus con clientela affezionata sparsa in tutta la Sardegna. Giuseppina Leoni ha un calzificio che sforna calze in lana sarda per pastori, per trekking, per cacciatori. E c’è una piccola azienda, la «M.N», Manifattura Nulese, dove dal polipropilene si produce «filo tecnico», cioè filo per corde, cinture di sicurezza per le macchine e per mille altri usi. La materia prima si poteva comprare a Ottana, adesso giunge da Oltretirreno. Il titolare è Giovanni Crabolu.
Anche l’agroalimentare comincia a ritagliarsi fette e nicchie di mercato ancora modeste ma promettenti. Tre i panifici mandati avanti da Francesco Mellino, Alfredo Mellino e Mario Mela con i fratelli. Due i negozi di pasta alimentare fresca (Marina Coloru e Silvana Zoroddu) e altri due di dolci tipici (Angelo Mellino e Maria Luisa Cocco). Da un anno è attivo il «Consorzio del formaggio dell’altipiano di Nule» per produrre un pecorino che è già riconosciuto «prodotto tipico» ora in attesa del Dop, denominazione di origine protetta. È un formaggio assolutamente eccellente, ottimo sapore, buona la pasta, bello l’aspetto. Sono già attivi quattro laboratori artigianali di trasformazione, non sono minicaseifici ma vere e proprie aziende che seguono metodi tradizionali di lavorazione proprio per conservare una tipicità che non deve andare dispersa. Questo consorzio (presidente Giuseppe Crabolu) coinvolge un po’ tutto il paese, dai Manca (Giuseppe, Rosalia, Andrea) a Maria Maddalena Mellino, Antonio Dettori, Giuseppe Dessena, Antonio Dore e Piero Mulas. È una attività che può prosperare soprattutto se alla bontà del prodotto si affiancherà un sistema agile ed efficiente di commercializzazione. Le pecore sono poco più di ventimila, un numero sufficiente per consentire agganci anche con la grande distribuzione specializzata. «Ma va spezzato l’isolamento della campagna, sono necessarie strade di penetrazione agraria agevoli», dice l’assessore all’Agricoltura Salvatore Mellino. Hanno da fare anche gli altri assessori. Ornella Manca, ragioniera in cerca di lavoro, ha la responsabilità del Bilancio, Giuseppe Luigi Mellino - dipendente del ministero di Giustizia - la delega per i servizi sociali, Raimondo Satta - ingegnere - è ai servizi generali. C’è tanto «sommerso». Ma Nule potrebbe produrre molto di più se anche le altre istituzioni capissero quali e quante sono le risorse dei paesi della Sardegna di dentro, dei paesi - dice il sindaco - «senza santi in paradiso». Perché Nule «è parte del Goceano ma ai suoi margini, è parte del Monte Acuto ma - ha scritto Giovanni Michele Cossu - ai margini del Monte Acuto, non fa parte della Barbagia ma confina con essa, tanto vicina da averne subìto gli influssi». Le carte da giocare non mancano. L’economia del tappeto confezionato casa per casa, quella dei prodotti alimentari, l’artigianato avrebbero maggiore fatturato se esistesse una calamita che sapesse attirare più visitatori. Forse bisogna specializzarsi di più, rischiare di più. Qualche esempio positivo Nule lo ha dato. Sono attesi gli emulatori.

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Un tesoro di tessuti e ricami nella mostra di Casa Garau  
  
 
 
Per due settimane a Thiesi, nell’antica abitazione al centro del paese, in esposizione indumenti e abiti di gala risalenti al periodo tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento  
 
 THIESI. Se l’abito non fa il monaco, certamente è uno specchio rivelatore - e neppure troppo segreto - dei percorsi storico-culturali di una comunità distinta fra molte come quella di Thiesi. Per due settimane la casa Garau - un palazzotto nobiliare del centro storico, edificato quattro secoli fa in quella che attualmente si chiama via Vittorio Emanuele, rione «Sos Cavaglieris» - ha ospitato una mostra di indumenti e abiti di gala thiesini risalenti a un periodo tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. All’interno di questa casa antica «tutto sembra paralizzato - hanno scritto gli organizzatori della Pro Loco nella presentazione -, senza dimensione temporale, come se la maga cattiva abbia disteso il velo del sonno su tutto». La maga buona, invece, è Giovanna Chesseddu, un’insegnante di lettere dagli occhi chiari e dall’eloquenza naturale, che le si esalta ancora di più quando parla in sardo, per l’uso straordinario che riesce a far della lingua resistenziale: limbazu lichitu, parlata di estrema eleganza. Con Salvatore Ferrandu e Stefano Ruiu, Giovanna è l’anima dell’iniziativa messa in moto dalla Pro Loco.Negli anni Sessanta i proprietari hanno abbandonato Thiesi», ricorda Ferrandu, ex-sindaco del paese oltre che insegnante e animatore dei maggiori eventi culturali. «Ma la figlia ritorna sempre, da noi, e si prende cura della casa. Teresina Garau ci ha dato la possibilità di esporre e ha esposto anche lei. Guarda che roba! Ha conservato perfino le scatole dei magazzini Printemps di Parigi. Qui c’è un tesoro. Fra un anno si potrà aprire per far visitare anche la casa, con i mobili, l’arredamento». Il professor Ferrandu conosce tutto a menadito: «Questi pezzi sono del 1900: una mantella-scialle, corsetti con il vitino cosiddetto da vespa, ornamenti vari tipo le piume da inserire nei cappellini, borse, borsette e borsellini. Ogni pezzo va esposto con grazia. Quest’altro è un prendisole del 1800.Teresina è la depositaria di tutti i ricordi familiari, dunque della nostra comunità intera». Anche Giovanna-maga-buona si è documentata alla perfezione: «Questa è una cuffia della belle époque», inizia a mostrare. «Ed ecco sas bértulas, le bisacce con l’albero della vita, lo stesso disegno che ritroviamo poi nelle camicie. La mostra racconta l’abbigliamento a Thiesi, tutto: il feriale e il festivo. Eravamo partiti dall’idea del solo vestire quotidiano, ma il materiale era poco. Abbiamo fatto venire qui Gian Mario Demartis, etnografo della Sovrintendenza, per evitare de nàrrere calchi machine, di dire sciocchezze. Soprattutto per le datazioni. Questi coritos, giubbonetti, come li chiama l’Angius, hanno gli stessi disegni delle bisacce e delle camicie che puoi vedere esposte, una simbologia comune: figurava praticamente in tutti i capi». In sardo logudorese la camicia maschile si chiama bentone e il sostantivo è di genere maschile, per l’appunto. Ite sun custos bentones, Juanna? «Queste camicie», risponde la professoressa, «sono un rifacimento di quelle più antiche, senza colletto». Nel periodo spagnolo - aggiunge Salvatore Ferrandu - «questa tipologia ha preso piede, come camicia più importante, la Sardegna aveva il simbolo protettivo dell’albero della vita: non contava solo la bellezza dell’indumento, ma l’albero serviva anche a proteggere chi lo indossava. Simboli apotropaici, come dicono i dotti». Vengono poi le gonne, che a Thiesi si chiamano bunneddas quando sono di fattura ordinaria e tùnigas quando si tratta di pezzi importanti. Spiega Giovanna Chesseddu: «Questa è la gonna gialla d’orbace, per il lutto». Come, un lutto tinto di giallo? «Sì, alla fine dell’Ottocento il lutto esterno era di quel colore», precisa. «Il fazzoletto-copricapo, su mucaloru, nel lutto serviva anche a nascondere il volto. Ma non c’era la civetteria del nodo, il fazzoletto veniva tenuto insieme da una spilla che nascondeva anche il petto. Sa tùniga groga era poverissima, molto adatta per esternare il dolore dal momento che non ostentava nulla. Quest’altra era una gonna di gala, forse. C’è un abito di una donna ricca del 1880. Lo studioso Gian Mario Mario Demartis, che se ne intende, dice che tutta questa ricchezza non si ritrova in altri centri. Roba antica e moderna e abbigliamento di transizione. Nel primo decennio del secolo scorso abbiamo scialli alla veneziana e scialli ottocenteschi, perché qui c’era gente che vestiva all’antica e contemporaneamente altra gente che vestiva a sa tzivile, secondo criteri moderni».
 Incorniciata su una parete, una foto di Don Enrico, «il capostipite dei Garau che un bel giorno vendette tutti i suoi possedimenti ad Arbus e comprò a Thiesi: terre e case dai feudatari», come racconta Salvatore Ferrandu. Si gira per le sale. Giovanna Chesseddu mostra su gabaneddu frunidu, il pastrano d’orbace ricamato in nero e foderato perché doveva essere comodo. Qui di ricostruito non c’è quasi nulla. Queste sono gonne di una che è morta al suo terzo o quarto parto, nel 1898: le sue gonne mostrano elementi di transizione come il ricamo a punto raso, importato a Thiesi dalle suore».
 Si possono ammirare altri coritos, di fidanzate vicine alle nozze. «Ce n’è uno - spiega ancora Giovanna Chesseddu - usato dalla moglie del poeta improvvisatore Andria Nìnniri il giorno del matrimonio. Non è vero che il costume fosse uguale, le varianti dipendevano, sì, dalle possibilità economiche, ma anche dall’abilità nel ricamo di questa o quella donna thiesina». Su una sovracoperta da letto matrimoniale (sa fàuna) in lino tessuto al telaio c’è una scritta: «Viva Gesù Nostro Amore e Maria Nostra Speranza dopo Gesù, donna Giovanna Livesi nata Gutierrez anno Domini 1764». La parola nata «è scritta con due t», osserva un visitatore. Un altro risponde: «No ti nd’ispantes, non meravigliarti: ancora oggi ci sono personaggi importanti, anche se non nobili, che con l’italiano hanno parecchie difficoltà». E fa il nome di un notissimo uomo politico. Chissà chi lo sa, avrebbe detto Febo Conti. Un’altra sovracoperta in lino reca la data del 1883, più avanti si può ammirare un reggiseno da giovinetta nubile, ma già predisposto - da un apposito bottone anteriore - per il tempo tempodell’allattamento. «Vivo bene questo impegno - confida Giovanna -. Ci siamo stancati, abbiamo anche litigato, ma ci serviva fare uscire queste perle dalle casse, far conoscere alla gente ciò che aveva in casa. Personalmente, è un piacere, oltre che un dovere nei confronti del paese. Anche noi abbiamo diritto al bello. Il costume di Thiesi non è quello che presentano i gruppi folk, tutti precisini ma sempre identici a sé stessi». Parla Stefano Ruiu, che ha il doppio impegno della mostra e della tesi di laurea in filologia romanza sui poeti di Thiesi: «Una bella esperienza - dice - anche se mi dispiace non aver potuto dedicarle tutto il tempo che avrei voluto, ma grazie a Giovanna e anche a Salvatore...». Dal fondo della sala una voce lo interrompe: «Come, anche? Salvatore può essere tutto, fuorché un’anche. Vogliamo scherzare»? Il Salvatore in questione è Ferrandu, che interviene: «Loro due, Giovanna e Stefano, erano già in sintonia, io sono entrato dopo». L’onore dei grandi è l’umiltà.


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 Il fascino dell’abito di gala  
La descrizione dell’abate Vittorio Angius nel 1846  
  
  
  
 
 THIESI. Quel cronista memorabile che risponde al nome dell’abate Vittorio Angius nell’anno di grazia 1846 scriveva così del costume di Thiesi: «Le donne del popolo seguono l’antica moda e amano il colore giallo nella gonnella di panno (sa tùniga groga), dal quale sono nei paesi vicini riconosciute fanciulle o donne di Thiesi. Il petto copresi in parte da un busto di velluto o di altra stoffa di color arbitrario e un giubbonetto (su coritu) con le maniche, nell’inverno». Questo nell’ordinaria amministrazione dell’uso. Per le solennità, ovviamente, il discorso cambia e l’abate-cronista-storico lo documenta perfino nei dettagli. «Quando sono in gala - distingue il curatore del dizionario del Casalis - allora le gonnelle gialle cedono a quelle di scarlatto (sas tùnigas rujas) - il busto di velluto a quello di broccato in oro od in argento; lo scarlatto serve anche di giubbone, nelle cui maniche pendono e suonano sei od otto grossi bottoni sferici di filigrana d’argento o d’oro con molti anelli, bei pendini pendinie collane di corallo incastrate nell’oro o nell’argento che si posano sul mezzo petto nudo, sopra i bottoni d’oro o d’argento, che chiudono la camicia ricamata sulle mammelle».Ausonio Spano, in una poesia intitolata «Sa thiesina» ricorda Giovanna Chesseddu, dice che le nostre antenate avevano scoperto assai presto sas artes de sas signorinas, le arti delle damigelle. Arriva l’ora dei primi bilanci. La mostra ha raggiunto quota mille e trecento presenze documentate dalle firme nel registro apposito. Ma si calcola che un numero di visitatori oscillante tra il quindici e il venti per cento non abbia firmato. «Noi siamo contenti, la gente è addirittura meravigliata», commenta ancora Giovanna. «Chi conosceva queste cose ha avuto modo di ricordarle e di rifletterci sopra, chi non le conosceva ha imparato qualcosa di nuovo». Le fa eco Stefano Ruju: «La collaborazione dei nostri compaesani è stata buona. La popolazione ha risposto molto bene: quando la gente vede un interessamento vero e capisce che tutto questo può servire alla comunità collabora volentieri. All’inizio, magari, c’è stata una qualche titubanza, poi abbiamo avuto una risposta piena». Ma il bello - o il brutto, a seconda dei punti di vista - deve ancora venire.
 Annuncia Giovanna Chesseddu: «Occorrerà documentare tutto questo fervore di iniziative con una pubblicazione che rimanga negli anni a testimoniare un patrimonio di valore fuori dal comune. Speriamo di essere all’altezza». Intanto, sempre per iniziativa della Pro Loco e del suo presidente Juanne Uneddu, sta per essere pubblicata una raccolta di versi di Juanne Antoni Cossu, poeta thiesino vissuto tra il 1897 e il 1972, dal titolo «Chentu poesias», con contributi di Salvatore Tola, Tonino Rubattu, Stefano Ruju, Giovanna Chesseddu e Angela Cossu, la figlia del poeta. E non sarà sicuramente dimenticato un altro artista di virtù elevata, il grande cantore estemporaneo Antoni Piredda, nato a Thiesi nel 1905 e morto a Sassari nel 1984.Tiu Piredda è stato uno degli estemporanei di maggior talento nella storia della poesia cantata in piazza, protagonista di ardite battaglie in versi con i più famosi cantadores logudoresi: Barore Tucone, Barore Sassu, Remundu Piras e Peppe Sozu in testa. Un onore che il paese renderà volentieri a chi ha fatto conoscere il nome di Thiesi nei più lontani villaggi della montagna sarda: un guerriero sui palchi, una persona amabile fuori dagli agoni poetici, un uomo vero.
 
 
 


 

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...