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14.5.07

Senza titolo 1826




















Rignano: liberi i bianchi
Cpt per il "negro"


 


Tutto ciò
non è forse
fascismo?


 


Piero Sansonetti da Liberazione del 13-05-07
Noi non ci siamo occupati della scuola di Rignano. Quella al centro dello scandalo giornalistico-giudiziario di questi giorni. Sapete tutti cos'è successo: qualche settimana fa hanno fatto una retata di maestre, bidelli e amici vari delle maestre e dei bidelli, e li hanno sbattuti tutti in galera accusandoli di essere un branco di pedofili. Alcuni di loro hanno avuto le celle assediate giorno e notte dagli altri carcerati che li insultavano e minacciavano di pestarli. Poi si è scoperto che non era vero niente, neanche uno straccio di indizio: liberi. Il motivo per il quale noi non abbiamo mai scritto su questa vicenda è che - a naso - abbiamo sempre avuto la sensazione che fosse una montatura. E preferiamo, in genere, non cadere nelle trappole.
Oggi però voglio raccontarvi un dettaglio di questa vicenda, che è sfuggito quasi a tutti (ne ho letto solo su "Repubblica"). Quando hanno finalmente aperto le porte del carcere ai sei arrestati, li hanno divisi in due gruppi: un gruppo di cinque persone e un gruppo di una sola persona. I cinque erano bianchi, il sesto era un po'"negro". Cingalese. Lui non è potuto tornare a casa, lo hanno mandato al Cpt. Sapete, credo, cosa sono i Cpt: campi di concentramento per stranieri clandestini. Rebibbia è un discreto carcere - specie ora, dopo l'indulto - il Cpt è un inferno. Il benzinaio cingalese innocente ha subìto un danno dalla decisione del giudice che ne ha riconosciuto l'innocenza: è finito in un girone peggiore di quello della prigione.
Voi adesso potete stare anche due ore a spiegarmi che purtroppo è così, che la legge è quella, che per modificare la Bossi-Fini ci vuole un po' di tempo, che Kelum Weramuni de Silva (si chiama così il benzinaio di Rignano) aveva il permesso di soggiorno scaduto, che la legalità è un valore superiore, altissimo supremo e che va rispettato, eccetera, eccetera eccetera. Io non vi sto a sentire: da estremista quale sono ripeto quello che ho scritto qualche giorno fa: a me tutto ciò sembra frutto di una mentalità razzista, totalmente razzista, e nella sostanza fascista. Dicono tutti che sbaglio le parole, che non è bene dire fascista: il Cpt però mi ricorda troppo il confino dei tribunali speciali di Mussolini. E in fondo, Ustica o Ponza non erano peggiori delle stamberghe di Porto Galeria, dietro il raccordo anulare di Roma.
Perché non si solleva una gigantesca protesta intorno a questo episodio, francamente paradossale e infame? Ve lo spiego: perché è in corso una monumentale campagna, nella quale sono impegnati anche uomini politici chiave del centrosinistra e grandi giornali democratici, volta a dare base di massa e legittimità culturale al nuovo razzismo.
Ho letto ieri l'articolo di Miriam Mafai, su "Repubblica", e sono rimasto di ghiaccio.
M iriam è una grandissima giornalista, la considero una delle due o tre persone dalle quali ho cercato di imparare qualcosa di questo mestiere. Ma perché anche lei - che è di sinistra, che è liberale - si allinea a questa orda, messa in movimento con quella lettera sciagurata di un lettore un po' fesso? Non riesco a spiegarmelo. Possibile che non capisca che legalità non vuol dire proprio un fico secco difronte a una società dove c'è chi gudagna 7 o 8 milioni di euro all'anno, e chi ne guadagna 10.000? Possibile che non capisca - senza andare a questi estremi - che nella metà di questo pianeta con il mio stipendio (e il suo penso che sia più grande) vivono 100 persone?
Diceva il lettore di "Repubblica": «oddio, una ragazza nera non si è alzata in autobus davanti a una vecchietta, e io l'ho dovuta buttare giù dal bus... oddio ho visto uno scippo... oddio, una zingara sporcava...". Nessuno che gli abbia risposto: «non è illegale restare a sedere, è illegale buttare giù dal bus: sì sei razzista e basta, e hai anche commesso un reato». No, tutti a fargli i complimenti. E tutti a dire, a chi obiettava: «se ti capitasse a te di passare una giornata in autobus con gli albanesi e i rom!»
Io vi do un consiglio (lo do anche alla mia amica Miriam): passate mezz'ora, solo mezz'ora davanti a un semaforo, dove delle ragazze puliscono i vetri e chiedono le elemosina; e ascoltate le reazioni e i commenti dei bianchi. Poi tornate davanti alla tastiera e scrivete un articolo: vedrete che vi verrà diverso, molto diverso da quelli scritti in questi giorni...
13/05/2007  da Liberazione

11.5.07

Senza titolo 1818


PADOVA


Le prostitute di Padova risarciranno i clienti multati per via di un'ordinanza del sindacato con una prestazione gratuita. La disponibilità al risarcimento verrà comunicata ai clienti attraverso il bollino rosa,anche detto bollino dell'amore,che verrà indossato sopra i vestiti e segnato sul marciapiede. E' la contromisura decisa dalle prostitute che operano nella città veneta dopo che il sindaco Flavio Zanonato ha rispolverato un'ordinanza di nove anni fa grazie alla quale si possono multare per intralcio alla circolazione automobilistica i clienti delle prostitute.Tale  news  è  confermata  anche  da tale flash dell'agenzia ANSA del  2007-05-11 11:10 di cui riporto sotto l'articolo 


PADOVA
Prestazione gratis ai clienti padovani se dovessero essere multati dai vigili. E' il ''bollino rosa dell'amore' istituito dalle prostitute.Cosi' la categoria ha risposto all'ordinanza antilucciole del sindaco di Padova Flavio Zanonato.
Come spiegano oggi i giornali locali,che all'iniziativa ha aderito oltre l'80% delle ragazze che lavorano in strada.
IL bollino rosa dell'amore sara' indossato sopra i vestiti cosi' il cliente sapra' che se multato sara' risarcito con una prestazione gratis .

Una bella   protesta simbolica  con cui sono d'accordo perchè come  affermano  i ricercatori di Transcrime la politica del non intervento favorisce la tratta e lo sfruttamento delle ragazze . Il vuoto legislativo lascia mano libera ai sindaci : dalle telecamere di Veltroni ai progetti di quartieri per adulti .

Infatti : << (...) Rendere illegale la prostituzione, punendo la domanda produce una serie  d'effetti positivi  e negativi   spiega  Andrea di nicola  coordinatore di transcrimine  di Trento .
Priimo fra tutti  toglie le luccioe dala strade   e  li  porta  verso gli appartamenti  , dove  è più difficile venire beccati  . La tratta  continua 
-- di Nicola -- si fa  meno visibile  e   nel caso della Svezia, sembra si sia pure ridotta. Anche se essendo un fenomeno clandestino è  difficile avere stime esatte.Spesso le prostitute, poi, si spostano nei Paesi limitrofi, dove la legislazione è più morbida » (...) .
Quindi  una politica  restrittiva (  proibizionista )  va   dunque  a vantaggio  di chi  (  nella maggior parte dei casi , parlo  per esperienza personale  visto che  ad Olbia  a casa  di amici  e conoscenti   certi quartieri sono invibibili per questo problema ,   ipocritamente  )  non vuole le prostitute  sulle strade ed il  mercato ( perchè  di tale fenomeno si tratta  )  del sesso  a  cielo aperto  .                           
Ma  lo stato mettendo fuorilegge e reprimendo   tale fenomeno da'  una  chiara indicazione  che esso sia male  . Una convenzione, certo  giusta ,  ma limitandosi   solo a proibirla   non risolve  certamente tale fenomeno .
Infatti  nel lungo periodo oltre a creare  una'opposizione culturale al  fenomeno  , si creano efettivi   negativi  .
 Per  esempio si è indotti a credere  che la tratta e lo sfruttamento  della prostituzione  ( soprattuttto quella minorile )  da  parte delle  mafie  non esista e  che  gente senza  scrupoli   trascini  con l'inganno o  con la minaccia  le donne  in strada   o pegio,se tale politica repressiva continuasse  nelle case  e negli appartamenti affittati  o subaffittati   .
Allora : << (...)   lasciare le prostitute in strada  ? ---  continua l'articolo intervista  ad Andrea di nicola  --- direi di no  .
Una una politica sulla prostituzione  deve  ridurre i danni dello sfruttamento  delle ragazze,senso d'insicurezza  dei cittadini, contaggio da malattie infettive, ecc.  Non so  se il modello  svedese   possa essere  una  soluzione . Una cosa  è certa  la politica dello struzzo e  del lasciar fare  addottata  in tale ambito  dal nostro paese non paga  . Anzi accuisce  i danni  sociali.Un intervento  dello stato  è  neccessario .Ma  trovare  un  metodo  giusto spetta ai politici non ai  ricercatori >> .
Quindi  a mio  avviso  sarebbe  giusto, anche se per alcuni\e non  eticamente  giusto , ma è il male  minore ,  che  ritornino i  postriboli \ case  chiuse  gestite  dallo  stato  visto  che  fin'ora   non si riusciti a gestire  tale fenomeno  .
Il quale poteva essere risolto  con una politica  familiare  e sociale meno ipocrita  e confessionale   come dice l'utente  vogliopartire 



23.10.06

Senza titolo 1481

 leggo solo  ora  visto   gli impegni  salvo il fine settimana    di queste  due    news
la prima  è   tratta  da www.repubblica.it

<<


 


La rivolta dei rifugiati a Caltanissetta   "Prendono soldi per farci scappare dal Cpt" I 55 giorni nel centro siciliano degli scampati del naufragio del 20 agosto Hanno lo status di perseguitati politici e ora denunciano i maltrattamenti Nelle "evasioni" le responsabilità di interpreti e mediatori culturali







dal nostro inviato  GIOVANNI MARIA BELLU






AGRIGENTO - "Una notte ne ho visti scappare una trentina, poi un'altra volta cinque. Erano tutti africani come noi, ma di pelle bianca". Mekonem Kribrome, 24 anni, cittadino eritreo, è uno dei dieci superstiti del naufragio avvenuto il 20 agosto a 70 miglia da Lampedusa. Ha visto annegare sua moglie Lemlem, incinta di 6 mesi, e altri 28 compagni di viaggio, tra i quali 4 donne e un bambino di 2 anni. È un uomo distrutto, ma quei 55 giorni a Caltanissetta, tra il Centro di "accoglienza" e quello di "permanenza temporanea", li ricorda molto bene. Con lo stesso inorridito stupore degli altri superstiti.
Sono tutti africani neri, eritrei per la maggior parte, e somali. In questo tempo hanno ottenuto chi l'asilo politico, chi la protezione umanitaria, e il relativo permesso di soggiorno. Non sono "clandestini": potrebbero stare tranquilli, in Italia, coi loro incubi. Eppure hanno deciso di raccontare il loro soggiorno a Caltanissetta, dove hanno vissuto fino a quando sono stati trasferiti ad Agrigento, in uno dei centri del "Sistema nazionale di protezione per richiedenti asilo e rifugiati".
È una specie di rivolta. Una rivolta non violenta realizzata attraverso testimonianze concordanti. Le fughe degli immigrati nordafricani, messe in atto col sostegno di loro connazionali che lavorano a Caltanissetta come interpreti o mediatori culturali, sono un ricordo comune. E, con esse, le vessazioni piccole e grandi. Dice Mihretab Malik, eritreo 35enne: "Quando da Lampedusa sono stato portato nel Centro di Caltanissetta ho assistito a fatti che non immaginavo potessero accadere in un paese come l'Italia. Eravamo quasi tutti africani, ma gli operatori, con l'eccezione di tre di loro, ci distinguevano in base al colore della pelle. Noi neri dovevamo pagare per ogni cosa: le schede telefoniche, le sigarette, i vestiti. Dovevamo fare la fila per parlare col medico mentre gli africani bianchi ci passavano davanti".
Mihretab, e il sudanese del Darfur Mansur Basher, sono gli unici del gruppo ad aver compiuto una traversata del Mediterraneo relativamente tranquilla. Tutti gli altri - sette eritrei e due somali - si trovavano sullo stesso gommone scassato da dove Mekonem ha visto annegare la giovane moglie. Adhinom Petros, eritreo, 22 anni, ha assistito alla morte di 3 suoi cugini. A Caltanissetta, poi, alla fuga di 24 arabi, al solito col sostegno dei social workers nordafricani: "Era la notte tra il 24 e il 25 settembre. Hanno aperto con le cesoie un varco nella recinzione e sono usciti. Fuori dal campo c'erano dei poliziotti, ma sono rimasti assolutamente immobili".
Tefit Okbatsion, 24 anni, eritreo, nel naufragio del 20 agosto ha visto morire uno zio, Biran Araya. Anche lui ha ricordi precisi delle fughe: "Ho visto fuggire una trentina di arabi. So che pagavano per farlo. Ho sentito che ne parlavano chiaramente tra loro. La polizia era immobile. Quando ho chiesto spiegazioni a uno degli operatori mi ha risposto che non erano cose che mi riguardavano".
Tutti gli ex ospiti di Caltanissetta hanno un ricordo preciso del tariffario dei commerci interni. Racconta il somalo Aidrous Abdelkadir: "Per 4 sigarette un euro, per un pacchetto 5 euro, per uno zaino 10 euro". Persino sulle le carte telefoniche un ricarico di 50 centesimi. Ma Debesay Fikadu, eritreo, afferma di essersi sentito chiedere del denaro per poter avere dei farmaci per le emorroidi. E Mihretab Malik, che come tutti i giovani eritrei ha fatto forzatamente il militare e ha nozioni di pronto soccorso, parla con indignazione di quelle pastiglie bianche, sonnifero, che venivano distribuite come farmaco generale per tutti i mali dopo visite frettolose.
Tra il 25 e il 27 settembre, tutti i componenti del gruppo hanno avuto il colloquio con la commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato. Ottenuto il permesso di soggiorno, sono entrati nella seconda fase del percorso e destinati al centro del "Progetto Tarik", gestito ad Agrigento dalla "Cooperativa Acuarinto".
Questo centro, che gode di un finanziamento annuo di oltre 400.000 euro per ospitare 55 immigrati al giorno, si trova in un fabbricato all'interno del vecchio ospedale. Non esiste la cucina: la colazione e la cena sono realizzati da un servizio di catering, per il pranzo gli ospiti devono recarsi alla Mensa della solidarietà. È stato là che, dieci giorni fa, hanno incontrato alcuni operatori di Medici senza frontiere. "Ancora - spiega Guilhem Molinie, responsabile di Msf per l'area - non usufruivano di assistenza sanitaria. Così, anche se il nostro servizio è per immigrati irregolari e loro non lo sono, li abbiamo informati dell'esistenza dell'ambulatorio gratuito, che gestiamo per conto della Ausl. Nessuno di loro ci ha detto di aver avuto, fino a quel momento, qualche forma di assistenza psicologica".

Lo sgomento per i giorni a Caltanissetta, ad Agrigento è diventato rabbia. Non solo per la perenne vista del mare che in ogni momento risveglia la memoria dell'orrore. "Prima che lasciassimo il Cpt - racconta Mihretab Malik - ci avevano detto che ad Agrigento la nostra condizione sarebbe cambiata. Avremmo studiato la lingua italiana, avremmo avuto assistenza psicologica. Non era vero". "Sono fortemente traumatizzati - afferma Donato Notonica, coordinatore del "Progetto Tarik" - e lo psicologo suggerisce in questi casi di evitare di attuare interventi troppo pressanti e invasivi".

Di certo martedì mattina, Mekonem era nella sede della "Mensa della Carità" e riceveva assistenza psicologica da Maria Stella Rizzo, che tutti chiamano suor Stellina, una religiosa che manda avanti eroicamente la mensa con pochi soldi e l'aiuto di volontari, preparando ogni giorno 150 pasti. Mekonem, che evidentemente non aveva il problema di "interventi invasivi", le chiedeva come fare per ottenere un certificato di morte presunta della moglie. Il corpo, infatti, non è stato recuperato. In Eritrea c'è l'abitudine di arrestare i familiari di chi espatria. Fratelli, padri e madri diventano ostaggi dello Stato e, per uscire, devono sborsare una somma equivalente a 2mila dollari. "I miei suoceri - spiegava Mekonem - sono stati arrestati. Ma se riuscirò a dimostrare che mia moglie è morta, potranno tornare in libertà".

(21 ottobre 2006)
 
>>

Ora ciò non è una  news.google.it/news  cio è solo
punta dell'iceberg  cercando corruzione  o vioolenza  dei nei  cpt  e vedrete che ci sono molti siti considerati coglioni che  denunciano tali cose o a cui non si da  seguito perchè vengono  essendo dell'estrema sinistra  considerati  come mosche bianche  .  Inoltre  di tali eventi oltre  al racconto  uscito su tutti i giornali  Mariana Dontcheva  direttrice di un museo in Bulgaria.  finita   nei cpt  ho sentito testimonianze dirette o indirette   da gente che  ci è passata  o  ci ha  o ha avvuto parenti o amici che  ci sono  finiti . lascio il mio commento  con  questo murales di orgosolo da me fotografato il 22\10\21006 alle cortes apertas di orgosolo  . su cui  c'è scritto  : << siamo tutti  clandestini >>












  

P.s
  vista la sua grandezza e non avendo una  digitale professionale   ho  fatto tre  " scatti "  anzi  che uno  solo

La  seconda  news   che mi ha ingannato  è  presa Dal blog di diego marchesi Venerdì, 22 Settembre 2006 - 4:20pm



Come ci si spiega la decisione di Italia dei Valori di votare contro l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sui gravi fatti del G8 di Genova 2001  ? Diaz,Bolzaneto,Pestaggi,Abusi,Torture,Infiltrati, Disordine pubblico,Repressione e Violenze su gente inerme, Criminalizzazione dei pacifisti e accondiscendenza verso i vandalismi…tutto questo non può avere Responsabilità Politiche ? Le vittime non hanno diritto ad ottenere chiarezza sulla vicenda? (si veda nei link finali il caso di Mark Covell, giornalista inglese) .   L’inchiesta è chiaramente promessa nel programma  dell’Unione ( pag.77 ), programma che tutti i partiti hanno firmato e che gli elettori conoscevano.Visto che per quanto riguarda il partito di DiPietro ci si è scandalizzati per la condotta di DeGregorio, ricordo quale altro personaggio annovera tra le sue fila un partito che si definisce di centro-sinistra!    Enrica Bartesaghi  Presidente Comitato Verità e Giustizia per Genova .. ha scritto  ;                                                                                              :



*Complimenti all’avvocato Li Gotti, nuovo sottosegretario alla Giustizia ! Dopo una militanza a destra più che trentennale, nel 2003 passa sull’altro fronte e  aderisce a “L’Italia dei Valori”. Penalista, conosciuto per essere stato difensore di pentiti deflagranti quali Buscetta, Contorno, Brusca.                 
Luigi Li Gotti, 55 anni, è stato avvocato di parte civile nel processo per la strage di Piazza Fontana, ha rappresentato i familiari del maresciallo Leonardi nel processo Moro, ha tutelato la famiglia del commissario Calabresi in un lungo iter processuale. Crotonese, Luigi Li Gotti vive e lavora a Roma, con la sua famiglia. A Crotone ha cominciato a fare politica alla fine degli anni sessanta nelle organizzazioni giovanili del Msi, partito del quale è diventato successivamente segretario di federazione e che ha rappresentato in Consiglio comunale dal 1972 al 1977. In un cassetto, l’avvocato Li Gotti custodisce le sue 35 tessere d’iscrizione annuale al Msi e poi ad An. Per chi volesse  approfondire    consulti  questo sito http://snipurl.com/105fi
IL personaggio  in questione  attualmente  è  il Responsabile Dipartimento Giustizia Italia dei Valori e (ex)avvocato difensore di Gratteri uno degli imputati tra i più alti in grado per le violenze alla scuola Diaz nonostante, o forse grazie alla sua presenza alla Diaz, pluripromosso.  Ricordo che l’onorevole Antonio Di Pietro, contribuì all’affossamento nella precedente legislatura all’introduzione del reato di tortura in Italia: dal quotidiano il il maanifesto, 4/12/2003:

<< 
…sono tutti favorevoli a punire la tortura…


però non si possono «prevedere dieci anni di carcere per chi cerca di investigare» (Antonio Di Pietro, ex pm).
L’avvocato Li Gotti, nel mese di dicembre 2003 ha chiesto di spostare il processo Diaz a Torino, ora chiederà di spostare Gratteri da questore di Bari a Roma, per più alti incarichi ….
Ci manca solo l’amnistia per chiudere definitivamente il processo per Bolzaneto……..


Le vittime delle violenze, degli abusi e delle torture della scuola Diaz e di Bolzaneto, ringraziano.


Enrica Bartesaghi


>>


Ricordo che la stessa contrarietà alla commissione è stata espressa da ROSA NEL PUGNO e UDEUR
                                                                                                                                                       



per chi volesse  sapere  perchè    su tali fattio occorre un altra commissione si legga  questi  url e questi artioli

.



  1. intervista della BBC a Mark Covell, ridotto in fin di vita alla Diaz

  2. Servizio della BBC sul caso Diaz

  3. Link a video con intervento di Mark Covell

  4. Articolo di “Bellaciao.Org”

  5. articolo “VeritaGiustizia.It”

  6. Intervento citato nella notizia

  7. Articolo di Carta.Org - 1

  8. Articolo di Carta.Org - 2








  9. ,

  10. ,








23.9.06

Senza titolo 1455

è  talmente  agghiacciante  questa news    , considerata  dai  media  una  non news , ed  emerge solo ora  nella  rubrica  "  Glia altri Noi  storie  d'immigrazione  "  di repubblica  .it ,  che    non riesco a  trovare le parole per   commentarlo  .  Perchè  se una  parola  è  troppo due  sono poche  ( cit  ) 

Derubata e subito arrestata i miracoli della Bossi-Fini



Una ragazza moldava subisce uno scippo, disperata si presenta dai carabinieri e viene arrestata. Come se non bastasse, è anche il giorno del suo diciannovesimo compleanno. E' stata una delle notizie minori dell'estate. E' rimasta schiacciata tra le previste stragi del Mediterraneo, il muro di Padova, le fanfaronate di Calderoli e le tradizionali tragedie di agosto. Eppure, almeno nello schema generale, è una notizia a diciotto carati. Somiglia molto al classico 'uomo morde cane'. Il problema è che appena si va oltre il racconto del fatto, si scopre che era tutto normale. Non è un caso di malagiustizia, né di razzismo: Maria è finita in cella perché la legge è stata applicata correttamente.
Appena dentro la stazione dei carabinieri, ha raccontato lo scippo, e non nemmeno ha perso la pazienza quando le sono stati chiesti i documenti. Con calma ha spiegato: "Erano nella borsa". Poi ha descritto la sua situazione: "Vivo a Roma con i miei genitori e i miei cinque fratelli. Hanno tutti il permesso di soggiorno. In casa sono l'unica irregolare". Infine ha detto il suo nome e il suo cognome.

I carabinieri hanno immesso i dati nel computer e hanno scoperto che all'inizio di quest'anno Maria era stata trovata senza permesso di soggiorno. Come prevede la legge, le era stato notificato l'ordine di lasciare l'Italia. Il computer però non spiegava che immediatamente, d'accordo coi genitori e con l'assistenza di un legale, aveva presentato ricorso. E aveva anche ottime speranze di vederselo accolto: la Corte costituzionale ha, infatti, corretto il rigido meccanismo della Bossi-Fini affermando che se l'immigrato irregolare dimostra di non essere in grado di ottemperare all'ordine di espulsione, il reato non c'è.
Maria si trova esattamente in questa condizione. Era minorenne e tutta la sua famiglia aveva già da tempo lasciato la Moldavia quando la madre, non avendo più nessuno che in patria potesse occuparsi di lei, decise di farla venire in Italia d'urgenza. Per non lasciarla sola.
Ma le cause davanti al giudice di pace hanno tempi lunghi. Così, il giorno dello scippo, Maria era ancora in attesa del giudizio. Consapevole dell'ambiguità della sua condizione teneva, nella borsetta rubata, una copia del ricorso al giudice di pace. Come d'altra parte, in lacrime, ha detto ai carabinieri.
E' stato inutile. Ha trascorso in una cella la sera e la notte del suo compleanno. L'indomani è stata portata al palazzo di giustizia per la direttissima di convalida dell'arresto. Convalida scontata, perché Maria all'ordine di espulsione non aveva ottemperato. Ma lo stesso pubblico ministero ne ha subito chiesto la scarcerazione. E il tribunale, accogliendo la richiesta di termini a difesa avanzata dal legale di Maria, Gianluca Arrighi, ha fissato la prossima udienza per il 20 ottobre. Un bel rinvio per una "direttissima". In realtà un modo per tentare di conciliare la Bossi-Fini col buonsenso.
Ma è molto difficile. Se entro il 20 ottobre il giudice di pace avrà deciso per la revoca dell'espulsione, Maria sarà assolta. Se invece la decisione le dovesse essere sfavorevole, l'assoluzione non sarebbe automatica e, in astratto, potrebbe anche essere condannata. Ovviamente, con tutti i benefici di legge. Inoltre ricorrerebbe in appello. Nell'attesa, non avendo alternative, resterebbe in Italia. E, chissà, dopo qualche mese potrebbe essere fermata per un nuovo controllo (è da escludere che, nel caso sfortunato di un nuovo scippo, vada dai carabinieri). E così via. Fino alla prossima sanatoria, alla Cassazione. O, chissà, alla riforma della Bossi-Fini.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...