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16.3.17

Mandò la figlia sui gommoni per salvarla dall'infibulazione. Ora rischia di non vederla più in quanto la madre non ha il passaporto . verrà accettata o rimandata indietro . s'accettano scommesse

i soffondo \ musica consigliata la versione di "Clandestino" con cui Manu Chao la preso parte al progetto "Playing For Change 3: Songs Around The World". Nel disco, pubblicato nel 2014



da http://www.repubblica.it/cronaca/ del 15 marzo 2017




  Mandò la figlia sui gommoni per salvarla dall'infibulazione. Ora rischia di non vederla più Quattro mesi fa la piccola arrivò sola a Lampedusa dalla Costa d'Avorio, ora è in una casa famiglia ma la mamma non ha il passaporto e quindi teme di non potere venire a riprendersela.  di ALESSANDRA ZINITI





PALERMO.
 “Oumoh, attends moi, maman sera là bientot…”. Dallo schermo del tablet, via skype, il volto di Zanabou mostra un sorriso forzato, la voce squillante un’allegria che non ha. Ma dall’altra parte, la piccola Oumoh freme. Il suo sguardo è distratto, risponde a monosillabi, l’educatrice accanto a lei fatica a tenerla davanti allo schermo, poi quando la bambina si chiude in un silenzio assoluto la lascia andar via a giocare. Zanabou esplode in un pianto dirotto: “ Rivoglio mia figlia, se non mi venite a prendere mi rivolgo di nuovo ai trafficanti e salgo sul primo barcone per l’Italia”.
Sono passati più di quattro mesi da quando la piccolissima bimba ivoriana, 4 anni appena, arrivò tutta sola a Lampedusa su un gommone soccorso nel Canale di Sicilia. Portata lì da una giovane donna alla quale la mamma l’aveva affidata all’ultimo istante per salvare sua figlia dal barbaro rituale dell’infibulazione al quale, in Costa d’Avorio, la famiglia voleva sottoporre anche Oumoh. Inseguita dal marito e dagli altri parenti, Zanabou – messa in salvo la piccola – è riuscita a rifugiarsi in Tunisia e lì, nel giro di un paio di settimane grazie alle indicazioni fornite dalla ragazza che aveva portato con sè sul gommone Oumoh, la polizia italiana è riuscita a ritrovarla.
Quella che segue è una tragica quanto purtroppo ordinaria storia di burocrazia che, da quattro mesi a questa parte, rende ancora impossibile il ricongiungimento di mamma e figlia, pure previsto dalla legislazione internazionale. Ma in Tunisia, Zanabou è senza documenti, la rappresentanza diplomatica della Costa d’Avorio fa orecchie da mercante, e senza titolo di riconoscimento sembra non esserci modo di far arrivare la ragazza in Italia. E nel frattempo la piccola Oumoh si allontana da lei sempre di più.
Drammatico il racconto della psicologa che segue la piccola nella comunità per minori alla quale è stata affidata dal tribunale dei minorenni di Palermo dopo il suo arrivo a Lampedusa nel novembre scorso.
“I primi tempi, Oumoh reagiva bene al contatto con la mamma con la quale cerchiamo di farla parlare quasi tutti i giorni via skype. Ma ormai da diverse settimane la piccola è sempre più distratta e lontana da quella figura che vede sullo schermo e della quale probabilmente non riesce più a capire il ruolo. Oumoh è una bimba di quattro anni, che negli ultimi quattro mesi nella sua vita qui a Palermo ha vissuto tante esperienze nuove che finiscono con il sovrastare quella, per altro evidentemente traumatica, vissuta prima in Costa d’Avorio e con la madre. Si è molto affezionata alle educatrici della comunità che vive come la sua nuova famiglia, ha cominciato ad andare a scuola, a farsi degli amichetti, sta imparando l’italiano e dimenticando il francese. E, ovviamente, dall’altra parte del Canale di Sicilia, sua madre ne soffre disperatamente. Per noi è estremamente difficile cercare di mantenere vivo questo rapporto a distanza, la bambina è insofferente quando la spingiamo a rimanere davanti allo schermo e a colloquiare con la mamma, preferisce scappare via a giocare. E’ evidente che ogni giorno che passa il ricongiungimento, quando avverrà, sarà sempre più complicato”








31.1.16

Le difficoltà degli apolidi in Italia

In Italia ci sono 15 mila apolidi ( ma le stime ufficiali spesso sono truccate , magari saranno di più ) : non hanno cittadinanza e passaporto, e per questo non possono sposarsi, lavorare e non hanno accesso ai diritti fondamentali. Il fotografo Denis Bosnic ( una più bella dell'altra le altre le trovate qui ) ha raccontato le storie di alcuni di loro per la campagna ‪#‎NonEsisto‬, organizzata dal Consiglio italiano per i rifugiati
In Italia ci sono 15mila apolidi: persone che per diverse ragioni non hanno cittadinanza e passaporto, e per questo non possono studiare, sposarsi, lavorare e non hanno accesso ai diritti fondamentali. La maggior parte degli apolidi in Italia sono persone fuggite dalla ex Jugoslavia durante la guerra. In Europa sono 600mila a vivere in queste condizioni.
L’apolidia è una condizione che può diventare una condanna in un paese come l’Italia, dove il riconoscimento dello status è molto difficile. A causa di procedure burocratiche complicate in Italia solo 606 persone hanno ottenuto lo status di apolide, che gli garantisce di avere documenti regolari. Inoltre l’apolidia si tramanda di padre in figlio a causa dello ius sanguinis in vigore in Italia, che prevede che possano essere cittadini italiani solo i figli di italiani, oppure i bambini nati in Italia da genitori di nazionalità straniera solo al compimento della maggiore età.
Ramadan è nato in Macedonia ed è stato abbandonato dai genitori, è cresciuto con i nonni che non lo hanno mai registrato all’anagrafe e non lo hanno mai mandato a scuola. Dopo la morte dei nonni, quando Ramadan aveva dieci anni, il ragazzo ha deciso di trasferirsi in Italia, qui ha incontrato Elena e se ne è innamorato. “Io vedo per lui, sento per lui, parlo per lui. E per i miei figli”, afferma Elena che ha la cittadinanza romena e nel frattempo è diventata madre di quattro figli che hanno rischiato di essere apolidi come il loro padre.
Sandokan è nato in Italia e ha perso il diritto alla cittadinanza italiana a causa della guerra in Bosnia e delle rigide regole previste dal diritto italiano per gli apolidi. Una persona nata in Italia può chiedere la cittadinanza solo quando ha raggiunto la maggiore età, ma questa possibilità rimane aperta solo per un anno. Quando Sandokan ha compiuto diciotto anni nel suo paese d’origine, la Bosnia, c’era la guerra e il ragazzo non è riuscito a ottenere un documento richiesto dalle autorità italiane.
I figli di Sandokan hanno ereditato l’apolidia del padre. Cristina, la maggiore delle figlie è nata con gravi disabilità fisiche e mentali e non ha avuto accesso a cure adeguate fino a 16 anni. A 18 anni Cristina è in procinto di chiedere la cittadinanza italiana, ma le autorità gliela vogliono negare a causa della sua disabilità mentale: Cristina infatti non può dare un consenso consapevole.
Il 25 novembre 2015 la Commissione diritti umani del senato in collaborazione con il Consiglio italiano per i rifugiati e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha presentato il disegno di legge sul riconoscimento dello status di apolide.

9.7.13

Non date soldi ai clandestini": il cartello sulla 130 ad Assemini

anche il  nazismo e poi a  ruota il fascismo con le leggi razziali  iniziarono cosi  , questo è l'unio commento    che mi sento di fare   sui tale  fatto



Non date soldi ai clandestini":
il cartello sulla 130 ad Assemini





Legata a un cartello stradale la scritta contro chi vende mercanzia ai semafori.
"Non date soldi ai clandestini, tanto vi entrano lo stesso a rubare in casa". Scritto nero su bianco su un pezzo di cartone poi legato con del fil di ferro a un cartello sulla strada 130, all'altezza di Assemini. Strada, appunto, molto frequentata dai "clandestini" cui si riferisce la scritta, gli stessi che cercano di vendere fazzoletti, accendini e non solo agli automobilisti.


lascio  che a commentare  per me   sia  la mia amica  fb  Naza Xaxa   che  dice   quello che vorrei dire  io in questo momento  e  che  ho ripetuto più  volte  sia  in questo blog    quando ancora  si chiamava cdv.splinder.com  

Leggendo certi post, onestamente, mi scende il latte alle ginocchia,oltre a venirmi rabbia.
Italiani che sputano veleno con gli stranieri che vengono qui a cercare fortuna.
Si,è vero che non viviamo nell'oro,e lavoro non ce nè per nessuno,ma guardate un attimino indietro nel tempo.In periodo di guerra non siamo andati via per caso?
In America Latina ci saranno si e no 30 milioni di italiani, che partirono a cercare fortuna,e vennero considerati dei puzzoni fannulloni,proprio come molti ora dicono degli stranieri.
Molti che parlano dei casini che procurano gli stranieri...la mafia per esempio chi la portò nel mondo?
Per tanti l'italiano puo' avere la libertà di andarsene,gli altri qui non ci devono essere..bah.
Gli stranieri vengono considerati fannulloni,ma quasi tutti quelli che tanto hanno da dire non andrebbero a raccogliere patate,preferiscono dire che non c'è lavoro.
E si criticano stranieri,clandestini,chi chiede l'elemosina.
Dare un euro a un poveraccio non mi fa diventare povera,e spero che nella vita non mi capiti mai una cosa simile...ma nessuno cerca di mettersi nei panni delle disgrazie altrui.
Io sono cittadina del mondo e ritengo che lo siano tutti.
Attenzione al troppo veleno razzista,se in Italia continua cosi' voglio vedere se rimanete qui o...fate come quelli che tanto criticate.

2.7.08

MILANO CITTÀ APERTA LIBERA E ACCOGLIENTE

SABATO 5 LUGLIO - DALLE 15:00 ALLE 19:00
in largo Cairoli, a Milano

Siamo donne e uomini, cittadini italiani e cittadini stranieri che hanno deciso di essere in piazza insieme per offrire alla nostra città una occasione di festa, di riflessione e di conoscenza reciproca.


Con tante voci vogliamo rompere il silenzio pesante che da troppo tempo incombe a Milano su episodi drammatici che per decisioni del Governo ricadono su individui e comunità che nelle nostre città hanno radicato le loro speranze di una vita migliore.


Retate sui mezzi pubblici, ronde notturne, espulsione dagli alloggi, campagne contro le moschee, sgomberi violenti, schedature etniche di Rom e Sinti: sono solo alcuni esempi di un crescendo impressionante che vede misure legislative e scelte governative che vogliono l'esercito nelle strade, la reclusione nei Cpt fino a 18 mesi e la criminalizzazione degli irregolari.


Eppure nella nostra città la società multietnica è ormai una realtà: italiani o stranieri, cristiani, musulmani o non credenti, viviamo tutti qui, frequentiamo le stesse scuole, lavoriamo fianco a fianco e facciamo tutti la stessa fatica per tirare a fine mese.


Siamo consapevoli che Milano, come molte altre città, è attraversata da manifestazioni sempre più evidenti di disgregazione sociale che colpiscono soprattutto i quartieri periferici, ma proprio perché viviamo in questa città e ne conosciamo i problemi, siamo convinti che per farvi fronte, legalità e sicurezza non possono essere interpretate solo come controllo e repressione.


La sicurezza va intesa come un sistema di garanzie per difendere i diritti umani: il diritto alla salute, all'educazione, al lavoro, alla casa, alla libertà di espressione.


La sfida è mettere in campo politiche urbane, abitative, sociali, culturali in grado di produrre solidarietà, partecipazione e rispetto dei diritti, attraverso percorsi democratici e condivisi.


Ci sono molti amministratori, forze politiche e mezzi di comunicazione che oggi continuano a seminare ostilità e conflitti, indicando negli stranieri e nei poveri il capro espiatorio per tutti i problemi sociali, economici e urbani che determinano la condizione precaria di ognuno di noi, gettando un'ombra inquietante sul presente e sul futuro della nostra comunità.


Una società che imbocca la strada della xenofobia e del razzismo diventerà sempre più insicura e invivibile, perché la sicurezza non può nascere dall'emarginazione, ma dall'accoglienza e dal riconoscimento dei diritti di tutti sulla base di valori irrinunciabili:


- i principi di uguaglianza, di rispetto delle diversità e di giustizia sociale, presenti nella Costituzione italiana, devono vivere concretamente nelle politiche e nelle azioni amministrative.
- non si possono imporre regole speciali che violino il principio dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alle leggi.


È necessario che si levino mille e mille voci per chiedere:
- abolizione della legge Bossi - Fini perché costringe alla clandestinità
- regolarizzazione di tutti coloro che lavorano e vivono in Italia
- tempi certi e rapidi per il rilascio dei documenti senza tassazione e con trasferimento delle competenze agli enti locali
- introduzione di una legge organica per i richiedenti asilo politico e umanitario
- superamento di forme abitative ghettizzanti e su base etnica (i cosiddetti "campi nomadi"), garanzia di condizioni abitative dignitose e non discriminanti.
- no al pacchetto sicurezza
- no al reato di immigrazione clandestina
- chiusura dei CPT no alla schedatura etnica
per questi motivi vi invitiamo ad essere presenti

SABATO 5 LUGLIO - DALLE 15:00 ALLE 19:00
in largo Cairoli, a Milano
durante il pomeriggio sono previsti interventi e spettacoli
di Djiana Pavlovic, Mohamed Ba, Tommaso Vitale

promuovono: Arci, Camera del lavoro di Milano, Centro delle Culture, ass. Dimensioni diverse, ass. Punto Rosso, SdL Intercategoriale, Mosaico interculturale, ASMP, ass. Arci Todo Cambia, ass. Arci Zagridi, Comitato "Movimento Pais", Federación ecuatoriana de asociaciones, Rete di scuole senza permesso, Circolo Arci "Blob"

partecipano inoltre: Partito Umanista; Associazione 3 febbraio; Ernesto Rossi (pres. ass. Aven Amenza); Sinistra critica, Luciano Mulbahuer (Consigliere regionale Lombardia, Prc); AceaOnlus; Massimo De Giuli; Federazione milanese PRC; CRIC; Ass. Altropallone Ads Onlus; Vittorio Agnoletto (europarlamentare); Sinistra democratica per il socialismo europeo (zona 8); Ass. per una Libera Università delle Donne; ACCESSO Coop.sociale; Alessandro Rizzo (Capo lista Uniti con Dario Fo consiglio zona 4 Milano); Comitato No Expo; Arci Corvetto; Sinistra Zona 4; Alfredo Di Sirio, portavoce Movimento studentesco di Bergamo; Casa della Sinistra


adesioni: retemigrantemilano@gmail.com



7.5.08

Senza titolo 503

Lo  so che è un post non mio  ma tale  fatto , nonostante sia appassionato di storia  , a me ignoto , mi ha molto scioccato , soprattutto da sardo  perchè non credevo che  anche in italia  fossero successe cose  simili  . Ringrazio vivamente  il nostro compagno  di strada copperhead 

Itri 1911: il colore del sangue


 da wikipedia : << [...] Nel 1911 erano presenti nel comune cinquecento dei circa mille emigranti sardi arrivati per lavorare al V lotto della Direttissima Roma-Napoli. Nel contesto nazionale erano già presenti elementi di razzismo contro i sardi, chiamati sardegnoli, che non scomparvero fino alle imprese della Brigata Sassari nella Prima guerra mondiale Gli emigranti ricevevano un salario inferiore rispetto agli altri lavoratori, ma si rifiutarono di pagare ogni tangente alla camorra, allora infiltratasi nell'appalto, e per tutelarsi cercarono di costituire una lega di autodifesa operaria. Il 12 e 13 luglio, a seguito di futili pretesti, avvengono due imboscate a cui partecipano gli stessi notabili del paese, nell'indifferenza delle forze dell'ordine. Si contarono, non senza difficoltà e intralci, 8 vittime e 60 feriti, tutti sardi,  mentre dalla Corte d'Assise di Napoli trentatré imputati furono assolti dai giurati popolari e nove condannati in contumacia, a trenta anni di carcere.  Fonti locali parlano di una ribellione contro i sardi da parte della popolazione "stanca di sopportare violazioni e prepotenze [...] soprusi d’ogni genere"  di come "i sardi si trovavano nella condizione psicologica dei conquistatori [...] in questo centro-sud da poco conquistato dal loro Re" e "gli itrani non trovarono alcuna difesa nello Stato Sabaudo mentre ai sardi fu accordata una sorta di tacito salvacondotto tanto da portare all'esasperazione la società itrana non nuova ad atti di resistenza violenta." .>>
 
da
copperhead 

Itri, comune del Lazio meridionale oggi in provincia di Latina ma nella prima decade del secolo scorso collocato in quella di Caserta, fu teatro nel luglio 1911 di un controverso episodio di cronaca nera che ancora oggi è coperto da una cortina di riserbo che sa tanto di rimozione: la “Caccia ai Sardignoli”.


I fatti
Per la realizzazione del quinto tronco della tratta Roma-Napoli, le Regie Ferrovie e le aziende che avevano in appalto i lavori di costruzione della strada ferrata scelsero di avvalersi di circa un migliaio di operai fatti affluire in blocco dalla Sardegna.
Le ragioni di questo reclutamento di massa, apparentemente illogico in un momento storico in cui la forza lavoro a buon mercato non difettava nell’Italia Centro-Meridionale interessata da imponenti flussi migratori in uscita, stavano in un cinico calcolo.
I lavoratori sardi, poveri in canna, analfabeti e sostanzialmente estranei per ragioni storiche, culturali e linguistiche rispetto al resto della popolazione italiana, costituivano una manodopera tutto sommato facile da controllare perché priva di appoggi materiali e morali sul territorio; una manovalanza cui imporre i lavori più duri a un salario inferiore a quello - già misero - di altri operai e condizioni di vita che oggi considereremmo subumane.
Nell’estate del 1911, circa la metà di questi lavoratori sardi si trovava a spaccare e scalpellare pietre nei pressi di Itri, sistemata alla meglio in baracche, tuguri e altri ricoveri di fortuna.
La comunità di Itri guardava con diffidenza e irritazione quest’invasione imposta dall’alto, preoccupata dalla pressione esercitata da quella massa di forestieri male in arnese, chiusi in un loro mondo incomprensibile e alieno, abbruttiti dalla fatica e potenzialmente incontrollabili fuori dal cantiere.
Dagli archivi, infatti, sono emerse le proteste e le richieste di provvedimenti urgenti d’ordine pubblico inoltrate per via gerarchica dai maggiorenti itriani, ovviamente rimaste lettera morta.
A soffiare sul fuoco dell’intolleranza provvidero elementi della malavita collegati o direttamente affiliati alla Camorra, interessati a lucrare il pizzo anche sui magri salari dei lavoratori e indispettiti dal comportamento dei sardi, che avevano reagito alla tentata estorsione organizzando un abbozzo di lega di autodifesa operaia.
Il 12 e 13 luglio 1911, prendendo a pretesto alcuni episodi di frizione tra sardi e residenti, si scatenò nel cuore di Itri la “caccia al sardignolo” cui presero parte attiva anche i notabili locali.
In totale si contarono 8 morti e 60 feriti, tutti sardi.


Vincitori e vinti
Dagli atti del processo che si svolse prima a Cassino e successivamente presso la Corte d’Assise di Napoli, emerge una linea difensiva che invoca come attenuante la ribellione popolare giustificata da presunte violazioni e prepotenze d’ogni sorta patite dai pacifici e laboriosi itriani, colpevolmente lasciati in balia di sardi dipinti come una masnada in preda al delirio dei conquistadores.
Fonti locali arrivano a insinuare che la monarchia sabauda, memore della fedeltà dei sudditi isolani al Regno di Sardegna (!!!), avesse graziosamente concesso agli operai sardi in trasferta nel basso Lazio un implicito salvacondotto per razziare impunemente (sic!).
Non c’è dubbio che tali argomentazioni suonino ridicole, contrarie come sono alla logica e alla storia. Non di meno, a distanza di un secolo dai fatti è forse il momento di andare oltre le forzature di parte e i risentimenti incrociati.
Con tutta probabilità, la manodopera sarda fece le spese della partita a scacchi per il controllo del territorio tra il governo centrale, allora retto da Giovanni Giolitti, e i notabili locali; una contesa che nei territori appartenuti ai Borbone si era chiusa solo formalmente al momento dell’annessione forzata.
D’altra parte, il Regno d’Italia si poneva in continuità con il Piemonte sabaudo nella scarsa considerazione per i sudditi sardi, ritenuti con poche eccezioni “imbarazzanti” per diversità di costumi, miseria e arretratezza. Anche allora, i sardi erano preceduti dalla fama di essere lavoratori infaticabili, però anche caratterialmente difficili, ombrosi, inclini alle zuffe e alla violenza, specialmente se in preda ai fumi dell’alcool.
Sebbene sia un paragone antipatico, politicamente scorretto e antistorico, i sardi immigrati in Terra del Lavoro si ritrovarono a fare i conti con condizioni ambientali durissime, ai limiti della sopravvivenza, rese ancora più critiche da un muro di incomunicabilità, pregiudizio e sospetto: una situazione che per molti versi somiglia a quella delle comunità di rumeni o di slavi insediatesi ai margini estremi delle periferie delle nostre metropoli.
Questo background sfavorevole concorse a ingigantire le incomprensioni tra operai sardi e popolazione itriana: due mondi messi a contatto di colpo, senza alcuna mediazione né una giustificazione che non fosse lo sfruttamento rapace della forza lavoro.
La “Caccia ai Sardignoli” fu una mattanza del povero contro il più povero, mentre chi tirava le fila del gioco, come sempre, restava a guardare a debita distanza, pronto a raccogliere i frutti.

 APPROFONDIMENTI 

i libri  :


  •  Sardi a Itri – I tragici avvenimenti del 12 e 13 luglio del 1911. (La ricostruzione dello scontro, con morti e feriti, avvenuto a Itri tra sardi e itrani, che interessò stampa e Parlamento nazionale e le aule giudiziarie della Corte d’Assise di Napoli). DI  Pino (Giuseppe) Pecchia QUI   news  sull'autore

  • A. De Stefano, La rivolta d’Itri, legittima difesa di una folla, Milano, Vallardi, 1914 Angelo De Stefano




4.10.07

Un treno tanto


Ovvero la grande carovana, composta da circa duecentodieci persone che hanno vissuto una esperienza che definire storica non è certo una esagerazione: un lunghissimo viaggio, partito lo scorso 8 agosto da Mestre, e che toccando tappe come Budapest, Mosca, Ulan Batur, dopo venti giorni esatti si è chiuso con il ritorno in Italia. I protagonisti sono stati le delegazioni dei pazienti (complessivamente erano in sessanta) dei Centri di Assistenza Psichiatrica provenienti da dodici regioni, gli operatori socio sanitari (psichiatri, psicologi, educatori), i familiari, e tanti cittadini attivi nella difficile causa della lotta allo stigma che colpisce i sofferenti dell’anima. Sulla scia di quella temeraria traversata che ha ripercorso la storica rotta di Cristoforo Colombo è nata l’idea di un altro viaggio, stavolta specchio dell’itinerario seguito da Marco Polo. Destinazione, come detto, Pechino. Una esperienza estenuante quanto entusiasmante per chi, quotidianamente soffre e sostiene la battaglia per il riconoscimento dei diritti di riabilitazione e emancipazione dei malati psichici. E’ stata una tappa fondamentale verso un cambiamento. Quel treno così rappresentativo, ha macinato quindicimila chilometri attraversando, binario dopo binario, paesi dove ancora vige il sistema manicomiale. Stati dove parlare di sofferenza psichica è un tabù o, peggio ancora, un divieto. E da quella immensa catena umana partita dall’Italia, sono stati lanciati il messaggio di dialogo e la testimonianza di quanto sia importante attuare un processo per la chiusura di queste strutture. Non che da noi la completa attuazione della legge n° 180, quella appunto che ha decretato la definitiva chiusura dei manicomi, sia un processo portato a termine, con la creazione di una totale rete di servizi alternativi. Ma, la cancellazione di quei luoghi disumani è un buon argomento di discussione da portare nelle nazioni dove tutt’ora esistono. E, in questo senso, gli oppressi, le vittime della privazione dei diritti umani hanno trovato i loro preziosissimi ambasciatori contro i pregiudizi e le strutture manicomiali. L’idea di fondo del treno per è nata a Trento. Nell’autunno 2006 un equipaggio di utenti, familiari e operatori del servizio di salute mentale trentino, ispirato alle pratiche del ‘fareassieme’ e del movimento Le Parole Ritrovate ha attraversato l’Oceano Atlantico su una barca a vela. Ed ecco, con Pechino, la prosecuzione di quel progetto. tratto da El Giramundo

16.5.07

Senza titolo 1830

 
Volevo segnalarVi  il programma del festival Intermundia 2007, la festa dell'intercultura,  a piazza Vittorio , Roma che comincia la settimana prossima : cliccare sul link http://www.finisterre.it/eventi/


 In particolare  ci sarà  questa installazione dell'artista afroitaliana Veruska Bellistri, nonchè verrà presentato l'ultimo libro delle scrittriciafroitaliane Igiaba Scego e Ingy Mubiayi (vedere più sotto) .....


  
“Rag Dolls: Beauty and Blackness" 


   Installazione Multimediale

   a cura di Veruska Bellistri, Stephanie Muller, Christine Kewitz  

  

 

dal 22 al 25 Maggio * dalle ore 09:30 alle 22:00 * 26 Maggio * dalle ore 09:30 alle 13:00

25 Maggio Laboratorio “Beauty and Blackness” dalle ore 17:00 alle 19:00

presso Piazza Vittorio * Giardini Nicola Calipari * Festa Interculturale * INTERMUNDIA *


  

Descrizione Installazione


Dieci bambole nere di pezza lavorate con differenti stili e materiali, sono sospese a mezz'aria. Questo è possibile grazie ad un filo trasparente legato ai corpi delle bambole. Ogni bambola ha un piccolo macchinario al proprio interno dove è registrata una storia.

Sul vestito delle bambole c'è un bottone verde e se lo si preme sarà possibile ascoltare la storia di una bambina nera cresciuta in un paese occidentale.

Le storie che ascolterete sono estratti d’interviste realizzate con donne della diaspora africana tra Berlino e Monaco di Baviera, nel Novembre 2005 ed estratti di libri di autrici africane americane.

Parte dell’installazione è anche un video con le interviste in versione integrale intervallate da brani musicali e spoken word.  


 

 Concetto


Le bambine nere raramente vedono la propria identità riconosciuta, oltre che difronte ad uno specchio. Questa installazione si propone come riflessione su questo tema, raramente rappresentato. E' un invito a decolonizzare la nostra anima e la nostra mente. Ad essere sempre vigili ad ogni tentativo di svalutazione dell'esperienza/bellezza delle bambine/donne nere.

 


  

Lista dei nomi delle bambole e titoli dei libri da cui sono stati ispirati

 

 

Jabberwocky Baby – “The Riot Inside Me: More Trials and Tremors” di Wanda Coleman
Beloved  - "Amatissima" di Toni Morrison
Sula  - "Sula" di Toni Morrison
Pecola - "L'occhio più azzurro" di Toni Morrison
Po - "Po's Man Child" di Marci Blackman
Tashi - " Il Colore Viola" di  Alice Walker
Will Mae - "Short Stories for Students" di Jamaica Kincaid
Tar Baby - "Tar Baby" di Toni Morrison

Cypress  -  “Sassafrass, Cypress and Indigo” di Ntozake Shange
Precious Jones  - "Push" di Sapphire


 

L’installazione è stata presentata al: Ladyfest Nurnberg (2005), Torino Les Pride (2006), Ladyfest Frankfurt (2006), SomArts San Francisco (2006), Homo

a go go, Olympia WA (2006), Queer Beograd (2006), Black History Month, Newark NJ (2007), Black History Month, Parigi (2007), Sick Marilyn, Roma (2007)

 

 E QUESTO è IL LIBRO DI IGIABA E INGY:

QUANDO NASCI È UNA ROULETTE


Giovani figli di migranti si raccontano a cura di Ingy Mubiayi e Igiaba Scego Terre di mezzo Editore,120 pagine, 7,00 euro
Sette ragazzi e ragazze di origine africana spiegano cosa significa essere nati a Roma da genitori stranieri (o esserci arrivati da piccoli): la scuola, il rapporto con la famiglia e con i coetanei, la religione, il razzismo, i sogni. Il futuro dell’Italia sarà sempre più disegnato da storie come quella di Adil,che vorrebbe fare il giornalista, di George e del suo gruppo rap o, ancora,come quella di Iman, attiva nell’associazione dei Giovani musulmani d’Italia.





Ingy Mubiayi


congolese. È laureata in Storia della civiltà arabo-islamica e gestisce una libreria a Roma. Ha pubblicato racconti in diverse antologie, tra cui nere www.terre.it/libri


è nata a Il Cairo nel 1972 da madre egiziana e padrePecore(Laterza).

Igiaba Scego
Lingue e sta svolgendo un dottorato di ricerca in pedagogia all’università di Roma Tre. Ha pubblicato i romanzi è nata a Roma nel 1974 da genitori somali. È laureata inLa nomade che amava Alfred Hitchcock E nere Rhoda (entrambi Sinnos editrice) e due racconti nell’antologia Pecore(Laterza).


 


 


VEDERE ANCHE IL SITO www.secondegenerazioni.it che presentaranno al festival Intermundia il primo romanzo realizzato da una rete di figli di migranti nati e /o cresciuti in Italia, per pubblicizzare la loro rivendicazione al diritto di cittadinanza



29.4.07

Senza titolo 1789








dalla nuova sarrdegna di  oggi  29\4\2007


La commovente storia di un marocchino arrestato dai carabinieri a Pozzomaggiore  «Sfida» la legge per assistere la sorella malata  Clandestino per esaudire il desiderio della madre morente: «Occupati di lei»     Rischia l’espulsione ma il giudice non ha ancora deciso






SASSARI. Il sogno di raggiungere la famiglia, dopo avere attraversato il mare a bordo di un barcone della speranza, è svanito nello strazio di un addio. A gennaio Mohamed Ibnorida ha accarezzato per l’ultima volta il volto della madre Essalaha, stroncata da una grave cardiopatia a soli 43 anni. Da allora, a 26 anni, il giovane marocchino è l’unico punto di riferimento per la sorella diciottenne, bambina per sempre a causa di una grave patologia, e per il fratellino di cinque anni. Venerdì Mohamed è stato arrestato dai carabinieri di Pozzomaggiore, nella casa dove il giovane viveva nascosto da mesi.
 Mimetizzato nell’attesa che il padre ritornasse dal Marocco, dove era andato per riaccompagnare la moglie nell’ultimo viaggio, e dove è rimasto per cercare di ottenere il permesso di espatrio per il figlio maggiore. Perché Mohamed è ormai indispensabile alla famiglia, da quindici anni in Sardegna con tutte le carte in regola. Solo lui, cresciuto dai nonni in un paesino del Maghreb dopo la partenza dei genitori, restava tagliato fuori dal sogno del ricongiungimento familiare.
 Ieri mattina la commovente storia di «Mohamed il clandestino» è approdata a palazzo di giustizia dove il giudice Carla Altieri, dopo averla ascoltata, ha convalidato l’arresto riservandosi però di decidere se concedere o meno l’immediata espulsione dell’imputato dal territorio italiano. Il pm Antonio Piras ha chiesto che, come prevede la legge in casi di disobbedienza a un foglio di via, Mohamed Ibnorida venga rimpatriato. E non c’è dubbio che il giovane abbia ignorato il decreto di espulsione, notificatogli a ottobre dopo il suo avventuroso arrivo a Lampedusa a bordo di una bagnarola del mare carica di disperati.
 Lui, che non parla l’italiano e che ieri è stato interrogato con l’aiuto di un interprete, anche volendo a quell’ordine non poteva obbedire. Perché, ha spiegato il suo avvocato difensore Giuseppe Onorato, a Pozzomaggiore lo aspettava una famiglia in difficoltà. La madre gravemente malata, il padre narcotizzato dal dolore, la sorella bisognosa di assistenza continua. Perfino più, se possibile, del fratellino. Ieri mattina la vera protagonista di questa storia di integrazione sperata ha atteso, con alcuni membri della comunità marocchina accorsi a palazzo di giustizia, che il fratello maggiore uscisse dall’aula del tribunale. Non appena lo ha visto si è riappropriata di Mohamed con un abbraccio. È lui, adesso, il suo faro. Lei, che in Italia ha maturato tutti i diritti di un cittadino disabile totale, non sa che rischia di perdere l’unica persona al mondo in grado di occuparsi di lei.
 Titolare di una carta di soggiorno permanente per stranieri, qualcosa di più di un semplice permesso, la ragazza-bambina ha una pensione di invalidità civile che tiene conto della sua grave minorazione «che ne ha ridotto - si legge nel certificato dell’Asl - l’autonomia personale in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale e in quella di relazione». Ma la sua nuova patria ha fatto di più per la fragile sorella di Mohamed: l’ha integrata in una scuola e le ha assegnato una docente di sostegno. Tre volte la settimana, la ragazza riceve la visita domiciliare di personale specializzato sanitario. Ma è il calore della madre che le manca da quattro mesi. Un amore totale che lei ha riversato sul fratello ritrovato. Da parte sua, Mohamed ricambia curando la sorella e occupandosi a tempo pieno del fratellino. Un’assistenza che il padre, che si guadagna da vivere facendo il venditore ambulante, non è in grado di assicurare con la necessaria costanza.
 In attesa che la sorte di Mohamed venga decisa dal giudice, l’avvocato Giuseppe Onorato si sta già muovendo perché al giovane venga concesso il permesso di soggiorno. «Dopo avere valutato la situazione - ha spiegato il legale - il questore potrebbe permettere a Mohamed di restare in Italia per motivi familiari, di salute, oppure umanitari».
 E che la storia di Mohamed meriti un’attenzione speciale sono certi i suoi connazionali e parenti, residenti in altri centri del Sassarese. Questo perché il ragazzo possa mantenere la promessa, fatta a gennaio alla madre morente, di non abbandonare i fratelli.

23.10.06

Senza titolo 1481

 leggo solo  ora  visto   gli impegni  salvo il fine settimana    di queste  due    news
la prima  è   tratta  da www.repubblica.it

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La rivolta dei rifugiati a Caltanissetta   "Prendono soldi per farci scappare dal Cpt" I 55 giorni nel centro siciliano degli scampati del naufragio del 20 agosto Hanno lo status di perseguitati politici e ora denunciano i maltrattamenti Nelle "evasioni" le responsabilità di interpreti e mediatori culturali







dal nostro inviato  GIOVANNI MARIA BELLU






AGRIGENTO - "Una notte ne ho visti scappare una trentina, poi un'altra volta cinque. Erano tutti africani come noi, ma di pelle bianca". Mekonem Kribrome, 24 anni, cittadino eritreo, è uno dei dieci superstiti del naufragio avvenuto il 20 agosto a 70 miglia da Lampedusa. Ha visto annegare sua moglie Lemlem, incinta di 6 mesi, e altri 28 compagni di viaggio, tra i quali 4 donne e un bambino di 2 anni. È un uomo distrutto, ma quei 55 giorni a Caltanissetta, tra il Centro di "accoglienza" e quello di "permanenza temporanea", li ricorda molto bene. Con lo stesso inorridito stupore degli altri superstiti.
Sono tutti africani neri, eritrei per la maggior parte, e somali. In questo tempo hanno ottenuto chi l'asilo politico, chi la protezione umanitaria, e il relativo permesso di soggiorno. Non sono "clandestini": potrebbero stare tranquilli, in Italia, coi loro incubi. Eppure hanno deciso di raccontare il loro soggiorno a Caltanissetta, dove hanno vissuto fino a quando sono stati trasferiti ad Agrigento, in uno dei centri del "Sistema nazionale di protezione per richiedenti asilo e rifugiati".
È una specie di rivolta. Una rivolta non violenta realizzata attraverso testimonianze concordanti. Le fughe degli immigrati nordafricani, messe in atto col sostegno di loro connazionali che lavorano a Caltanissetta come interpreti o mediatori culturali, sono un ricordo comune. E, con esse, le vessazioni piccole e grandi. Dice Mihretab Malik, eritreo 35enne: "Quando da Lampedusa sono stato portato nel Centro di Caltanissetta ho assistito a fatti che non immaginavo potessero accadere in un paese come l'Italia. Eravamo quasi tutti africani, ma gli operatori, con l'eccezione di tre di loro, ci distinguevano in base al colore della pelle. Noi neri dovevamo pagare per ogni cosa: le schede telefoniche, le sigarette, i vestiti. Dovevamo fare la fila per parlare col medico mentre gli africani bianchi ci passavano davanti".
Mihretab, e il sudanese del Darfur Mansur Basher, sono gli unici del gruppo ad aver compiuto una traversata del Mediterraneo relativamente tranquilla. Tutti gli altri - sette eritrei e due somali - si trovavano sullo stesso gommone scassato da dove Mekonem ha visto annegare la giovane moglie. Adhinom Petros, eritreo, 22 anni, ha assistito alla morte di 3 suoi cugini. A Caltanissetta, poi, alla fuga di 24 arabi, al solito col sostegno dei social workers nordafricani: "Era la notte tra il 24 e il 25 settembre. Hanno aperto con le cesoie un varco nella recinzione e sono usciti. Fuori dal campo c'erano dei poliziotti, ma sono rimasti assolutamente immobili".
Tefit Okbatsion, 24 anni, eritreo, nel naufragio del 20 agosto ha visto morire uno zio, Biran Araya. Anche lui ha ricordi precisi delle fughe: "Ho visto fuggire una trentina di arabi. So che pagavano per farlo. Ho sentito che ne parlavano chiaramente tra loro. La polizia era immobile. Quando ho chiesto spiegazioni a uno degli operatori mi ha risposto che non erano cose che mi riguardavano".
Tutti gli ex ospiti di Caltanissetta hanno un ricordo preciso del tariffario dei commerci interni. Racconta il somalo Aidrous Abdelkadir: "Per 4 sigarette un euro, per un pacchetto 5 euro, per uno zaino 10 euro". Persino sulle le carte telefoniche un ricarico di 50 centesimi. Ma Debesay Fikadu, eritreo, afferma di essersi sentito chiedere del denaro per poter avere dei farmaci per le emorroidi. E Mihretab Malik, che come tutti i giovani eritrei ha fatto forzatamente il militare e ha nozioni di pronto soccorso, parla con indignazione di quelle pastiglie bianche, sonnifero, che venivano distribuite come farmaco generale per tutti i mali dopo visite frettolose.
Tra il 25 e il 27 settembre, tutti i componenti del gruppo hanno avuto il colloquio con la commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato. Ottenuto il permesso di soggiorno, sono entrati nella seconda fase del percorso e destinati al centro del "Progetto Tarik", gestito ad Agrigento dalla "Cooperativa Acuarinto".
Questo centro, che gode di un finanziamento annuo di oltre 400.000 euro per ospitare 55 immigrati al giorno, si trova in un fabbricato all'interno del vecchio ospedale. Non esiste la cucina: la colazione e la cena sono realizzati da un servizio di catering, per il pranzo gli ospiti devono recarsi alla Mensa della solidarietà. È stato là che, dieci giorni fa, hanno incontrato alcuni operatori di Medici senza frontiere. "Ancora - spiega Guilhem Molinie, responsabile di Msf per l'area - non usufruivano di assistenza sanitaria. Così, anche se il nostro servizio è per immigrati irregolari e loro non lo sono, li abbiamo informati dell'esistenza dell'ambulatorio gratuito, che gestiamo per conto della Ausl. Nessuno di loro ci ha detto di aver avuto, fino a quel momento, qualche forma di assistenza psicologica".

Lo sgomento per i giorni a Caltanissetta, ad Agrigento è diventato rabbia. Non solo per la perenne vista del mare che in ogni momento risveglia la memoria dell'orrore. "Prima che lasciassimo il Cpt - racconta Mihretab Malik - ci avevano detto che ad Agrigento la nostra condizione sarebbe cambiata. Avremmo studiato la lingua italiana, avremmo avuto assistenza psicologica. Non era vero". "Sono fortemente traumatizzati - afferma Donato Notonica, coordinatore del "Progetto Tarik" - e lo psicologo suggerisce in questi casi di evitare di attuare interventi troppo pressanti e invasivi".

Di certo martedì mattina, Mekonem era nella sede della "Mensa della Carità" e riceveva assistenza psicologica da Maria Stella Rizzo, che tutti chiamano suor Stellina, una religiosa che manda avanti eroicamente la mensa con pochi soldi e l'aiuto di volontari, preparando ogni giorno 150 pasti. Mekonem, che evidentemente non aveva il problema di "interventi invasivi", le chiedeva come fare per ottenere un certificato di morte presunta della moglie. Il corpo, infatti, non è stato recuperato. In Eritrea c'è l'abitudine di arrestare i familiari di chi espatria. Fratelli, padri e madri diventano ostaggi dello Stato e, per uscire, devono sborsare una somma equivalente a 2mila dollari. "I miei suoceri - spiegava Mekonem - sono stati arrestati. Ma se riuscirò a dimostrare che mia moglie è morta, potranno tornare in libertà".

(21 ottobre 2006)
 
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Ora ciò non è una  news.google.it/news  cio è solo
punta dell'iceberg  cercando corruzione  o vioolenza  dei nei  cpt  e vedrete che ci sono molti siti considerati coglioni che  denunciano tali cose o a cui non si da  seguito perchè vengono  essendo dell'estrema sinistra  considerati  come mosche bianche  .  Inoltre  di tali eventi oltre  al racconto  uscito su tutti i giornali  Mariana Dontcheva  direttrice di un museo in Bulgaria.  finita   nei cpt  ho sentito testimonianze dirette o indirette   da gente che  ci è passata  o  ci ha  o ha avvuto parenti o amici che  ci sono  finiti . lascio il mio commento  con  questo murales di orgosolo da me fotografato il 22\10\21006 alle cortes apertas di orgosolo  . su cui  c'è scritto  : << siamo tutti  clandestini >>












  

P.s
  vista la sua grandezza e non avendo una  digitale professionale   ho  fatto tre  " scatti "  anzi  che uno  solo

La  seconda  news   che mi ha ingannato  è  presa Dal blog di diego marchesi Venerdì, 22 Settembre 2006 - 4:20pm



Come ci si spiega la decisione di Italia dei Valori di votare contro l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sui gravi fatti del G8 di Genova 2001  ? Diaz,Bolzaneto,Pestaggi,Abusi,Torture,Infiltrati, Disordine pubblico,Repressione e Violenze su gente inerme, Criminalizzazione dei pacifisti e accondiscendenza verso i vandalismi…tutto questo non può avere Responsabilità Politiche ? Le vittime non hanno diritto ad ottenere chiarezza sulla vicenda? (si veda nei link finali il caso di Mark Covell, giornalista inglese) .   L’inchiesta è chiaramente promessa nel programma  dell’Unione ( pag.77 ), programma che tutti i partiti hanno firmato e che gli elettori conoscevano.Visto che per quanto riguarda il partito di DiPietro ci si è scandalizzati per la condotta di DeGregorio, ricordo quale altro personaggio annovera tra le sue fila un partito che si definisce di centro-sinistra!    Enrica Bartesaghi  Presidente Comitato Verità e Giustizia per Genova .. ha scritto  ;                                                                                              :



*Complimenti all’avvocato Li Gotti, nuovo sottosegretario alla Giustizia ! Dopo una militanza a destra più che trentennale, nel 2003 passa sull’altro fronte e  aderisce a “L’Italia dei Valori”. Penalista, conosciuto per essere stato difensore di pentiti deflagranti quali Buscetta, Contorno, Brusca.                 
Luigi Li Gotti, 55 anni, è stato avvocato di parte civile nel processo per la strage di Piazza Fontana, ha rappresentato i familiari del maresciallo Leonardi nel processo Moro, ha tutelato la famiglia del commissario Calabresi in un lungo iter processuale. Crotonese, Luigi Li Gotti vive e lavora a Roma, con la sua famiglia. A Crotone ha cominciato a fare politica alla fine degli anni sessanta nelle organizzazioni giovanili del Msi, partito del quale è diventato successivamente segretario di federazione e che ha rappresentato in Consiglio comunale dal 1972 al 1977. In un cassetto, l’avvocato Li Gotti custodisce le sue 35 tessere d’iscrizione annuale al Msi e poi ad An. Per chi volesse  approfondire    consulti  questo sito http://snipurl.com/105fi
IL personaggio  in questione  attualmente  è  il Responsabile Dipartimento Giustizia Italia dei Valori e (ex)avvocato difensore di Gratteri uno degli imputati tra i più alti in grado per le violenze alla scuola Diaz nonostante, o forse grazie alla sua presenza alla Diaz, pluripromosso.  Ricordo che l’onorevole Antonio Di Pietro, contribuì all’affossamento nella precedente legislatura all’introduzione del reato di tortura in Italia: dal quotidiano il il maanifesto, 4/12/2003:

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…sono tutti favorevoli a punire la tortura…


però non si possono «prevedere dieci anni di carcere per chi cerca di investigare» (Antonio Di Pietro, ex pm).
L’avvocato Li Gotti, nel mese di dicembre 2003 ha chiesto di spostare il processo Diaz a Torino, ora chiederà di spostare Gratteri da questore di Bari a Roma, per più alti incarichi ….
Ci manca solo l’amnistia per chiudere definitivamente il processo per Bolzaneto……..


Le vittime delle violenze, degli abusi e delle torture della scuola Diaz e di Bolzaneto, ringraziano.


Enrica Bartesaghi


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Ricordo che la stessa contrarietà alla commissione è stata espressa da ROSA NEL PUGNO e UDEUR
                                                                                                                                                       



per chi volesse  sapere  perchè    su tali fattio occorre un altra commissione si legga  questi  url e questi artioli

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  1. intervista della BBC a Mark Covell, ridotto in fin di vita alla Diaz

  2. Servizio della BBC sul caso Diaz

  3. Link a video con intervento di Mark Covell

  4. Articolo di “Bellaciao.Org”

  5. articolo “VeritaGiustizia.It”

  6. Intervento citato nella notizia

  7. Articolo di Carta.Org - 1

  8. Articolo di Carta.Org - 2








  9. ,

  10. ,








emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...