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3.6.22

I pugili di Auschwitz, veri e improvvisati: costretti a battersi nei lager per sopravvivere


  repubblica  online  

La storia di Noah Klieger, che sarebbe poi diventato scrittore, giornalista e dirigente sportivo in Israele, ha ispirato José Ignacio Perez a scrivere ''K.O. Auschwitz". Atleti nell'inferno dei campi di concentramento 


Noah Klieger ha avuto un vita lunga, dal 1925 al 2018. E’ stato scrittore, dirigente sportivo, giornalista: ha raccontato il basket in dieci mondiali e

cinque olimpiadi. Tutto o quasi passa però in secondo piano rispetto ad anni maledetti, a un maledetto: 1944, 1945, Auschwitz. “Sai fare la boxe?”. In quella miriade di porte che il destino apre e chiude, la sua vita può ruotare anche intorno  a una banale domanda. No, la boxe Noah non la sa fare, ma coglie la sfumatura, capisce che può essere una via di scampo. “Sì”, nonostante non abbia mai messo un paio di guantoni e sul ring non sia ammessa improvvisazione, perché su quel quadrato ci salgono non solo kapo fisicamente molto più in forma di lui, ma anche gente che prima di entrare nell’inferno la boxe l’ha fatta davvero.

Quel ‘Sì’ potrebbe trasformarsi in una condanna se non fosse per Jacko Razon: campione di Grecia, poi militare e fatto prigioniero dai nazisti, che lì sono intervenuti dopo l'impantanamento delle truppe italiane. Jacko, che deve affrontare Noah, ci mette poco a capire che il suo avversario di boxe sa poco. E allora gli insegna i rudimenti, come stare sul ring, la fase difensiva. Di fatto il loro incontro è una sorta di recita, ma tanto basta a Noah per prendere tempo, imparare, combattere (lo farà una ventina di volte), per salvarsi con la classica forza della disperazione. Una storia raccontata nell’ultimo anno della sua vita a José Ignacio Perez, che ne ha tratto ispirazione per scrivere ‘’K.O. Auschwitz”. E’ un libro in cui si ripercorrono le vicende di alcuni pugili, veri o improvvisati, nei campi di concentramento.

Match organizzati usando violenza allo spirito nobile della boxe, degradata a senso della sopraffazione, privata di qualsiasi significato sportivo. Eppure, sembra impossibile, anche un contesto di follia presenta delle eccezioni. Come quella di Walter Durning, un kapo meno spietato del solito: affronta Tadeusz Pietrzykowski, pugile forte e molto popolare in Polonia. Ne esce demolito, ma riconosce la grande bravura dell'avversario al punto da fargli aumentare le razioni di cibo e alleggerirgli i carichi di lavoro. Tadeusz è fortunato, non come Victor Young Perez, che invece non sopravvive alle tante marce della morte.

Un libro che ci dà lo spunto anche per ricordare tante altre storie. Quella sinti Johann Trolmann ad esempio, un ballerino del ring, forte al punto da diventare campione di Germania in anni difficilissimi per la sua etnia. Purtroppo lui sulla sua strada non trova Walter Durning, ma Emil Cornelius: è uno che non accetta di essere distrutto sul ring da un avversario che neanche riesce più a stare in piedi e si vendica a colpi di piccone.

Quella di Harry Haft: il nome è l’americanizzazione di Hertzko. Lui è un pugile vero, lo dimostrerà nel dopoguerra, quando riuscirà addirittura a ottenere una chance mondiale per il titolo dei pesi massimi contro l’immenso Rocky Marciano.  Si chiama ancora Hertzko quando mette nei suoi combattimenti ad Auschwitz una tale ferocia da venire chiamata la ‘belva giudea’. Le cicatrici nell’anima gli rimarranno, ma la sua storia è di quelle in cui tante sensazioni si confondono. Una storia diversa da quella del romano Leone ‘Lelletto’ Efrati, uno dei parecchi idoli dei ring romani degli anni Trenta. Va forte, abbatte i confini, va all’estero: in Francia e poi in America, dove arriva a battersi per il titolo mondiale fallendo di poco l’impresa. Potrebbe restarsene al di là dell’oceano, ma torna per stare vicino alla famiglia. Caduto in una retata della Gestapo, vincerà tante volte nonostante – peso piuma – venga spesso costretto a battersi contro gente fisicamente molto più grande. Non potrà farlo quando, intervenuto per difendere il fratello, la furia dei guardiani si accanirà contro di lui.

23.1.22

Le storie dimenticate degli italiani non ebrei deportati ad Auschwitz

 come promesso nei post  precedenti  dedicati  a  tale  giornata     riporto   qui   un articolo interessantissimo      do   editorialedomani  del  22\1\2022     di  Laura Fontana  Storica della Shoah ed esperta di didattica. È responsabile per l’Italia del Mémorial de la Shoah di Parigi, ha pubblicato numerosi saggi scientifici in diverse lingue. È autrice di Gli Italiani ad Auschwitz. 1943-1945. Deportazioni, “Soluzione finale”, lavoro forzato. Un mosaico di vittime, Oswiecim, Museo Statale di Auschwitz-Birkenau, 2021. 



UN MOSAICO DIFFICILE DA COMPORRE

Le storie dimenticate degli italiani non ebrei deportati ad Auschwitz





Nella foto: Vittoria Gorizia Nenni (Wikipedia)



Nonostante la mole impressionante di studi oggi disponibili, Auschwitz resta per molti, sostanzialmente, un’idea e un’immagine (del male, della crudeltà, della disumanizzazione). Quando a prevalere è la dimensione simbolica o il discorso morale attorno al tema, il rischio è quello di sconnettere i diversi elementi della storia e di tramandare un racconto sempre più generico e impreciso, confondendo i percorsi delle vittime e i contesti della loro deportazione. L’intuizione di approfondire queste vicende mi ha portato a scoprire le storie di 1.200 non ebrei internati in quel campo. Sono emerse le biografie di tante storie dimenticate di “triangoli rossi” (simbolo nel lager dei prigionieri politici). Dalla fine della guerra, la storia di Auschwitz è stata abbondantemente documentata. Eppure, la conoscenza comune resta limitata a pochi fatti essenziali (date, numeri, nomi) e la narrazione appare improntata a una visione parziale, non inclusiva di tutte le politiche criminali che i nazisti realizzarono in questo sito. In sintesi, per tutti Auschwitz è la Shoah e ogni prigioniero dietro il filo spinato era ebreo, destinato alla camera a gas. Dal 1943 al 1944 lo sterminio costituì la funzione principale del sito (almeno il 90 per cento delle vittime furono ebrei). Ma la Shoah – il cui svolgimento non coincise, per la maggior parte, con la cronologia di Auschwitz – non rappresentò mai l’unico obiettivo dei nazisti. L’istituzione stessa del campo, nel 1940, non fu motivata dalla logica di eliminare gli ebrei, ma dal contesto di brutale repressione della Polonia. Anche quando Auschwitz iniziò ad assumere un ruolo centrale nella Soluzione finale, il sito mantenne la sua funzione di campo di concentramento e di lavoro forzato, internando prigionieri che non erano solo ebrei. Nonostante la mole impressionante di studi oggi disponibili, Auschwitz resta per molti, sostanzialmente, un’idea e un’immagine (del male, della crudeltà, della disumanizzazione). Quando a prevalere è la dimensione simbolica o il discorso morale attorno al tema, il rischio è quello di sconnettere i diversi elementi della storia e di tramandare un racconto sempre più generico e impreciso, confondendo i percorsi delle vittime e i contesti della loro deportazione. Tra storia e microstoria Capodistria (Koper) 1945.  Su questo riflettevo qualche anno fa, quando ho intrapreso il progetto di un libro sugli italiani
Jolanda Marchesich mostra il suo numero di
matricola di Auschwitz tatuato sul braccio.
deportati ad Auschwitz. L’intenzione era di narrare le vicende umane della Shoah italiana a un ampio pubblico di lettori, dando spazio alle memorie dei superstiti e adottando un approccio integrato tra storia e microstoria, per far emergere le relazioni tra i diversi ambiti di azione che avevano reso possibile quella tragedia. All’epoca non conoscevo la storia di italiani non ebrei finiti ad Auschwitz, salvo quella di tre donne, arrestate in luoghi e circostanze diverse: Vittoria (Vivà) Nenni, figlia del leader socialista Pietro Nenni e deportata come resistente dalla Francia, la triestina Ondina Peteani, catturata come giovane staffetta partigiana, e Ines Figini, operaia della Tintoria Comense, arrestata perché aveva scioperato. L’intuizione di approfondire queste vicende per collocarle nel racconto della deportazione italiana ad Auschwitz mi ha portato a scoprire le storie di 1.200 non ebrei internati in quel campo, grazie a una lunga ricerca negli archivi europei. Il libro ha, quindi, imboccato un’altra strada, più complessa e ambiziosa, volta a riscrivere una storia che fino ad allora era stata raccontata solo attraverso la lettura della Shoah. Dalle carte degli archivi sono emerse le biografie di tante storie dimenticate di “triangoli rossi” (simbolo nel lager dei prigionieri politici). Le biografie di Ondina e di Ines sono state la chiave per conoscere altre storie di giovani italiane, almeno un migliaio, quasi tutte arrestate nel 1944 nelle province di Udine, Gorizia, Trieste, Fiume, Pola e Lubiana, incorporate nel Reich dopo l’8 settembre. Territorio sottoposto a una durissima repressione nazista, il litorale adriatico fu oggetto di vaste azioni di arresto e di rastrellamento di civili, volte a stroncare la Resistenza e raccogliere manodopera per le industrie belliche tedesche. Maria Rudolf, 18 anni di Gorizia, o Adriana Bruschi, 16 anni di Fiume, sono due esempi tra centinaia di giovanissime italiane coinvolte nell’azione partigiana. Altre, invece, vennero arrestate perché sospettate di fiancheggiare le bande partigiane. Alla cattura, spesso su delazione dei fascisti locali, seguì talvolta la tortura fisica, persino lo stupro. Aurelia Gregori, slovena di 23 anni, partorirà ad Auschwitz la sua bimba, frutto di violenza, pochi giorni prima dell’arrivo dell’Armata rossa. Molte delle politiche italiane deportate da Gorizia e Trieste erano slovene e croate, nate in località annesse all’Italia dove il fascismo aveva pesantemente discriminato queste minoranze, imponendo un’italianizzazione forzata. Negli anni tra le due guerre, si era diffuso nelle popolazioni locali un sentimento sempre più forte di opposizione, esacerbato poi dall’occupazione nazista. Da Bergamo furono deportate circa quaranta operaie scioperanti delle fabbriche lombarde: una misura punitiva, unita a ragioni di sfruttamento economico. Resta da chiedersi, perché solo loro finirono ad Auschwitz, tra molte altre scioperanti. Dimensione polivalente È complicato interpretare per tutte queste italiane la motivazione che ne determinò la deportazione ad Auschwitz. Nel 1944, oltre che centro di sterminio per gli ebrei, Auschwitz era un gigantesco complesso di campi adibiti al lavoro forzato, non solo industriale. Eppure, le testimonianze delle italiane superstiti convergono su un punto: quasi nessuna dovette svolgere un lavoro a scopo produttivo o in fabbrica. Peraltro, tante vi rimasero internate solo per il periodo di quarantena, a ricordare che Auschwitz funzionava anche come campo di smistamento di prigionieri. Fu solo dopo il trasferimento in altri lager che le italiane iniziarono a essere impiegate per la produzione bellica. Quanto ai più di duecento uomini internati come triangoli rossi, nessuno risulta arrivato direttamente dall’Italia, ma trasferito con specifici trasporti di prigionieri, scelti per categoria (malati e inabili al lavoro per Majdanek) o per professione (lavoratori specializzati e medici da Mauthausen e Dachau). Gli uomini giunsero ad Auschwitz in condizioni ben peggiori delle connazionali. Già sfiniti dal duro lavoro in diversi campi, spesso sei o sette lager diversi, come per il piemontese Pio Bigo, in molti non fecero ritorno a casa. Generalmente i medici, uomini e donne, che ad Auschwitz furono scelti per la loro professione, come Luciana Nissim, amica di Primo Levi, o il maggiore dell’esercito Giuseppe Filippini, poterono contare su migliori condizioni di sopravvivenza. Per ognuno il trauma rimase indelebile, anche per l’impossibilità di curare i prigionieri ammalati. Solo ricollocando al centro del quadro la dimensione polivalente di Auschwitz nel 1944, quando vi arrivò la quasi totalità degli italiani, è possibile attribuire un senso alle tante e diverse storie, in particolare quelle delle donne non ebree. Il lavoro forzato, inteso però in senso ampio, come sfruttamento del corpo degli internati a servizio delle mansioni più disparate (tra le quali svuotare le latrine, trasportare i cadaveri, livellare continuamente un terreno paludoso e ghiacciato), rimase una funzione importante nella storia del complesso di Auschwitz, mai però prevalente, anche durante gli anni dello sterminio e al termine delle operazioni di uccisione col gas, nell’autunno 1944. È il 2 dicembre 1944 quando, a pochi giorni dalla grande evacuazione, arriva da Mauthausen un trasporto numeroso di lavoratori specializzati, come fabbri, falegnami, elettricisti, ma anche cuochi: tra loro, 165 prigionieri registrati come italiani. Non è un trasferimento casuale, ma giustificato dall’indicazione delle diverse professioni che hanno motivato la scelta di quei prigionieri da inviare proprio ad Auschwitz, dove la pluralità dei campi e sotto-campi della sua amministrazione, richiedevano con urgenza molta manodopera. Allo stesso modo, le continue epidemie di tifo e malattie contagiose, richiedevano la presenza di medici anche per curare le SS e le loro famiglie. Gli ultimi cinque medici prigionieri italiani, internati come triangoli rossi a Dachau e a Mauthausen, giungono ad Auschwitz il 22 novembre 1944 e il 3 gennaio 1945. La storia degli italiani ad Auschwitz è un mosaico difficile da comporre, perché mancano alcuni tasselli. Le fonti sono frammentarie e le testimonianze dei superstiti non ebrei poco numerose, rilasciate in età molto anziana, oppure raccolte in sloveno e croato e non tradotte. Raccontare i diversi aspetti di una tragedia, ricordando tutte le vittime, non serve solo a raccogliere le memorie e a riscrivere il racconto storico. È anche un atto di giustizia per tutti coloro che per tanto tempo sono stati ingiustamente dimenticati.

18.1.22

a quando il 27 gennaio Memoria senza retorica

 Avrei preferito, pur essendo  contro  le  giornate  a tema  ,  che  l'olocausto  e lo shoah ( per  me  nessuna  differenza     se  non sottilissima  )  stessi eventi    


Differenza tra Olocausto e Shoah

Quale è la differenza tra Olocausto e Shoah? In quali contesti storiografici si usano?
Col termine Olocausto viene attualmente designato il genocidio o sterminio di una considerevole componente degli ebrei d’Europa. Assieme agli ebrei altri gruppi finirono nel programma di sterminio dei regimi nazi-fascisti, anche se l’ostilità antiebraica – nella sua nuova veste di moderno antisemitismo razziale – fu fin dall’inizio parte integrante della ideologia del Nazismo tedesco.
Il termine olocausto, che deriva dal greco e successivamente dal latino, traduce anche un termine biblico legato alla sfera dei sacrifici cruenti e animali. Con tale termine si traduce in lingua greca il sacrificio ebraico detto ‘olah, ossia innalzamento, un sacrificio che viene “tutto bruciato”. Il fumo che sale “è odore gradito al Signore”.
Il termine utilizzato per descrivere la lo sterminio degli ebrei d’Europa si è mantenuto nella lingua inglese (Holocaust). Che esso provenga da ambienti cristiani di età medievale, che indichi un lemma proveniente dal mondo pagano, che abbia un significato troppo religioso, come spesso si afferma, è tutto sommato irrilevante. Certo ci può essere una sorta di assonanza tra il fumo dei campi di sterminio e quello della vittima sacrificale, ma si tratta di assonanza superficiale e deviante, poiché l’immagine biblica indica ben altro gesto culturale. Cosa si voleva intendere quando si associò lo sterminio degli ebrei all’offerta sacrificale del mondo antico? Un “sacrificio” dei nazisti al “dio della Razza”? O una auto concezione del sé ebraico come vittima sacrificale simile alle concezioni del sacrificio cristiano?
L’ambiguità del significato di questo termine è ovvia, provoca di certo disagio. Da qualche decennio – per lo più nei paesi di tradizione non anglosassone – è invalso l’uso di utilizzare un termine ebraico, ritenuto più pertinente . Il termine Shoah –  שואה – veicola, nel lessico biblico, diversi significati legati all’idea di distruzione. Esso è certamente più neutro, meno  connotato in senso religioso, anche se a dire il vero, il lemma ricorre frequentemente nel libro di Giobbe, nella lingua del profeta Isaia e in alcuni salmi, ed essendo in qualche senso legato alla sfera del religioso, non è così determinato dalle azioni di carattere cultuali.

 che  hanno in comune  le atrocità umane  ma  con significato   semantico  differente , fosse  celebrata\  ricordata  il  16  ottobre    in quanto  in tale data  nel  1943  ci fu la  Deportazione dal Ghetto di Roma di 1023 ebrei verso il Campo di sterminio di Auschwitz  o  quelle  del primo convoglio di deportati ebrei diretto ad Auschwitz partì da Milano il 6 dicembre 1943 o  dell’ultimo, il 15 gennaio 1945  Ma  l'italia    pur di  non   mettere  il coltello  nella piaga   e   voler fare  autocritica   in quanto   alle date  sopra  riportate    parteciparono   anche   militari italiani    ha preferito  per  salvare   capra  e cavoli  s'adegua  passivamente     alla   risoluzione ONU del 2005  che per celebrare il 60° anniversario della liberazione  dal nazismo  e   per ricordare l'orrore della Shoah e commemorare le vittime dell'Olocausto è stata istituita una ricorrenza internazionale ha stabilito che il 27 gennaio – giorno in cui le truppe sovietiche liberarono Campo di sterminio di Auschwitz  – sia il Giorno della memoria.
Come si può raccontare l’orrore dell’Olocausto agli studenti? Come è possibile parlare della Shoah e del Giorno della Memoria anche se sono lontani dal periodo storico che si sta studiando  s e mai  si  arriva  a studiarlo  ? La Memoria non si insegna   visto  che : << [ ... ] Io chiedo quando sarà che l' uomo potrà\ imparare  \a vivere senza ammazzare \e il vento si poserà \e il vento si poserà [ ... ] >>  ( La canzone del bambino nel vento (Auschwitz) )   o se  non  è  coltivata    ed  praticata  . Conviene partire dagli eventi della Storia e lasciare spazio alle parole degli ultimi testimoni sopravvissuti  se   ce  ne  sono ancora   o  alle loro  memorie  . Lo so che questo   si  differenza   dalla  storia    come  spiega  benissimo Alessandro  barbaro    , nel video  sotto

ma io non ne vedo altri modi che non sia retorica e nozionistici . Ma soprattutto concordo   con  la riflessione della giornalista Francesca Paci, autrice di Un amore ad Auschwitz. Edek e Mala: una storia vera, edito da UTET <<  Cosa accadrà quando non ci saranno più i testimoni, quando anche l’ultimo sopravvissuto sarà sepolto da qualche parte? I più giovani di loro, i rarissimi bambini usciti vivi dal lager, hanno abbondantemente superato gli ottanta. Il tempo vola. A un certo punto il compito di tramandare la memoria toccherà a noi, a chi ha avuto il privilegio di ascoltare le loro voci.
Per questo mi sono appassionata immediatamente a Mala e Edek, perché sono due figure fuori dal comune che in condizioni estreme costruiscono un rapporto intenso, romantico, quasi un film, ma soprattutto perché la loro è una storia d’amore reale laddove di reale c’era solamente la morte>>.

Ogni volta che si tratta l’argomento della Memoria o vedo    sui  social   foto di  pietre  d'inciampo  qui  maggiori  dettagli ( da  cui ho tratto la  foto sotto a  sinistra   )    mi chiedo come dice Fabio Perugia su https://www.interris.it/ Gennaio 27, 2017 <<cosa è possibile fare per non banalizzare il ricordo della
Shoah. Non è un’impresa facile, tutt’altro. Perché la storia è una sola e racconta lo sterminio – quasi portato a termine – degli ebrei nei campi nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. E perché un sinonimo di Shoah non esiste e solo in quella parola si può concentrare l’urlo di milioni di anime barbaramente deportate da ogni angolo della nostra Europa per poi finire nelle camere a gas.
>>
Eppure dobbiamo sforzarci per far sì  che  quando  si  parla   di shoah  e  di  olocausto    soprattutto  durante  la  giornata    ora  diventata   settimana    del  27  gennaio  non assuma il sapore del rito e della celebrazione istituzionale e  quindi  forzata \obbligatoria . << Un esercizio che oggi siamo ancora in grado di fare grazie alla presenza dei pochi sopravvissuti che attraverso i loro racconti dell’orrore riescono a fissare nelle nostre menti quel tragico ricordo. Ma domani, quando purtroppo passeranno a noi il testimone della narrazione della Shoah, cosa saremo in grado di consegnare ai nostri nipoti? Accanto al ricordo di Auschwitz Birkenau, il Giorno della Memoria deve trasmettere un messaggio, un insegnamento che sia alla base del motivo per cui i sopravvissuti sono sopravvissuti. Sami Modiano, che è stato deportato a Birkenau, dice sempre ai ragazzi che incontra: “Io vi racconto ciò che ho vissuto affinché non succeda mai più”.>>
Ecco quindi che celebriamo il Giorno  \  settimana   della Memoria non solo per ripercorrere il passato ma anche per costruire un migliore futuro. La prima cosa da imparare da Auschwitz  e  gli altri  campi  è che  non nascono  dal nulla. Non sono  la macchina della morte piombata all’improvviso al centro dell’Europa. Auschwitz e  gli altri  campi    sono  stati  solo il più tragico e ultimo tassello di un lungo percorso. Che inizia nelle nostre strade, nei paesi anche italiani, della profonda provincia o della viva città, dove il vicino di casa diventa improvvisamente un “diverso”, un cittadino di serie B. E a pochi è importato se quel vicino ebreo improvvisamente non poteva andare a scuola, lavorare, insegnare, vivere come gli altri suoi simili. In un’escalation progressiva, talvolta lenta, la società ha messo in un angolo gli ebrei e poi è rimasta in silenzio – tranne eccezioni – quando è arrivato il momento delle deportazioni. Anzi, alcuni hanno collaborato alle deportazioni dei loro concittadini.
<<Eppure, forse, non sono stati loro i peggiori. La maggioranza, la massa, è rimasta nell’indifferenza. Si è vista prima declassare e poi deportare verso la morte i propri amici ebrei [  e non solo  aggiunta mia  ]  restando in silenzio. Il Giorno della Memoria ci insegna che non possiamo distrarci, che dobbiamo essere attenti, che dobbiamo avere cura dei nostri comportamenti di tutti i giorni, che dobbiamo avere a cuore il prossimo, che dobbiamo guardarci intorno e capire se c’è il nostro vicino di casa che è stato messo nell’angolo. Se non lo facciamo, se permettiamo che altri esseri umani siano trattati come esseri umani di serie B, se permettiamo che un nero sia inferiore a un bianco, se permettiamo che un musulmano sia solo un terrorista, se permettiamo che un immigrato sia solo un clandestino, se permettiamo questo allora sappiamo che l’Uomo ha già dimostrato di poter costruire Auschwitz e dove la mente umana è arrivata può purtroppo tornare. [... ] >>

Per questo Giorno della Memoria 2022 vi propongo spunti didattici, consigli di letture e attività per affrontare e discutere in classe  o  a  casa  con i  figli    alcuni aspetti della Shoah.

le  letture    consigliate    insieme  ad altri materiali didattici    sono consigliati dal sito   https://blog.deascuola.it /   qui per   l'elenco  completo 


Luci nella Shoah

Nella tragedia della Shoah, lo sterminio degli ebrei operato da fascisti e nazisti negli anni della Seconda guerra mondiale, milioni di persone hanno sofferto un dolore simile. Spesso hanno anche subìto una sorte comune. Ma quel dolore non è stato l’unica esperienza. Ciò che univa le persone è stata spesso la vita passata, e la speranza presente. Molti sopravvissuti ricordano che pur nel buio e nell’angoscia si aggrappavano a ricordi, pensieri, oggetti per tenersi vicino un mondo che sembrava non esistere più. Piccole speranze che hanno permesso ai deportati di passare il tempo, arrivare a sera, non demordere, in una parola: resistere. La resilienza dei deportati passa attraverso piccoli oggetti quotidiani, passioni, affetti. Cose apparentemente poco significative che diventano fondamentali. Le 28 storie raccolte in questa antologia sono vere, e i loro protagonisti adolescenti del tutto simili ai giovani lettori cui il libro è destinato. Vicende commoventi, illuminanti ed esemplari che ci rivelano dove possiamo trovare la forza di cui abbiamo bisogno nei momenti difficili.



La stella di Andra e Tati

Quando anche gli ebrei italiani cominciano a essere deportati nei campi di concentramento nazisti, Andra e Tati sono solo due bambine. D’improvviso, si vedono strappare via tutto ciò che hanno; perfino la famiglia è travolta e straziata da eventi inspiegabili. Troppo piccole per capire, Andra e Tati si ritrovano sole e piene di paura. Il mondo comincia a cambiare e diventa un incubo, un’ombra minacciosa che si diffonde ovunque e a cui sembra impossibile sfuggire. Andra e Tati sono solo delle bambine, sì. Ma non smettono di sperare e di farsi coraggio a vicenda, unite e salvate dall’amore l’una per l’altra.

Nell’era più buia della storia dell’umanità, la forza e la speranza sono le uniche armi per sopravvivere. Con le immagini originali del primo film d’animazione europeo sull’Olocausto, la commovente storia vera di due sorelline sopravvissute alla Shoah.



Il giorno speciale di Max

Max non ha mai avuto un animale domestico e adesso


che c’è Auguste non si stancherebbe mai di guardarlo mentre nuota felice nella sua boccia. Ma il mondo attorno a loro sta cambiando. Ora bisogna andare in giro con una stella d’oro sul petto. Si parla di “discriminazione” e “rastrellamento”, ma nessuno spiega a Max che cosa vogliano dire queste parole. Fino a che un giorno a casa Geiger, la casa di Max e Auguste, non arrivano i tedeschi. È il 16 luglio 1942. E la famiglia Geiger deve fare le valigie. Max non sa per dove, sa solo che il pesciolino Auguste non potrà seguirlo. Forse un giorno riuscirà a tornare da lui?



 Poiché    ,  come  ho  detto  provocatoriamente ( ma mica  tanto  ) in <<  visto che la scuola non forma i cittadini formiamoci da noi gli strumenti ci sono . non aspettiamo la manna dal cielo >>   perchè generalmente   non ci s'arriva  perchè gli insegnanti  (  la maggior  parte  )   non arrivano a  farlo nei  programmi o  nelle   giornate  e  non ne  parlano  o  non lo insegnano    se  non     nelle    giornate    istituzionali come queste   ,   andrebbe  spiegato o in famiglia  o  nelle  scuole  (  non solo  il  27 gennaio )    fin da bambini   .
Lo  so  che quello dell’Olocausto non è un concetto facile da spiegare e far comprendere prima dell’adolescenza. Tuttavia i bambini si possono avvicinare a questo argomento che sarà successivamente approfondito negli anni. Anche se nella scuola primaria gli insegnanti avvicinano i bambini al tema della shoah attraverso poesie, racconti e documentari, è solo dalle medie in poi che verrà interamente spiegato e analizzato.   dall'asilo ale  elementari   lo si può  fare  con filastrocche    ed   brani e  e poesie  come  quelle   suggerite  da   https://www.pianetamamma.it/la-famiglia/il-bimbo-nella-societa/giornata-della-memoria-come-spiegarla-ai-bambini.html    e  da   https://www.nostrofiglio.it/bambino/27-gennaio-giornata-della-memoria-bambini Più in la  come  suggerito da entrambi i siti  citati     più precisamente  qui  con   libri e film adatti ad avvicinare bambini e ragazzi al tema dell’Olocausto. Letture e visioni che andrebbero però fatte sempre attraverso la mediazione di un adulto.




Libri per spiegare la Shoa ai bambini
Tra i libri da leggere per affrontare il tema dell’Olocausto possiamo ricordare:


"L'amico ritrovato" di Fred Uhlman
"Ora mai più. Le leggi razziali del 1938 spiegate ai bambini" di Daniel della Seta
"Il diario di Anna Frank" di Anna Frank
"Portico d'Ottavia 13" di Anna Foa.
“Il bambino con il pigiama a righe” di John Boyne
“L’albero della memoria: la shoah raccontata ai bambini” di Anna e Michele Sarfatti
“In punta di stella. Racconti, pensieri e rime per narrare la shoah” di Anna Baccelliere e Liliana Carone



Film per spiegare l'Olocausto ai bambini
Anche i film possono essere un ottimo modo per iniziare a spiegare l'Olocausto ai bambini. Tra i film consigliati ci sono:


"Train de vie - Un treno per vivere" di Radu Mihăileanu
"La vita è bella" di Roberto Benigni
"Il bambino con il pigiama a righe" di Mark Herman tratto dall'omonimo romanzo
“Jona Che Visse Nella Balena” di Roberto Faenza
"La chiave di Sara" di Gilles Paquet-Brenner


non so cos'altro aggiungere  alla prossima  


P.s  

Mentre   rilleggevoil post   alla  ricerca  di refusi e  d'errori     mi  è arrivata  come  notifica   dei siti che     seguo   quest'articolo    cher  rpropongo sotto   .   Ovvvero fumettti\  graphic  novel  dedicati all'olocausto  \  alla  shoah  



Giorno della memoria, i fumetti da leggere per non dimenticare Dalla mostra La Shoah nel fumetto italiano  alle novità in arrivo in libreria, le graphic novel che raccontano gli orrori dell'Olocausto

                                         ANDREA CURIAT
Si avvicina il 27 gennaio, il Giorno della memoria; storica ricorrenza della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz. Anche il mondo dei fumetti raccoglie il compito di preservare il ricordo di quegli anni, per non dimenticare gli orrori dell'Olocausto e del nazismo, con tutta la forza di una forma d'arte che unisce le differenti capacità evocative del racconto e dell'illustrazione.L'importanza delle graphic novel è riconosciuta nella mostra virtuale organizzata in questi giorni dall'Istituto italiano di cultura di Tel Aviv e dedicata proprio a La Shoah nel fumetto italiano.

 L'esibizione è fruibile sui canali social Facebook e Instagram dell'ente, dove sino al 4 febbraio verranno pubblicati interventi e interviste video dedicati a opere come La porta di Sion, graphic novel di Walter Chendi che racconta gli anni bui delle leggi razziali e della fuga verso la terra promessa (Edizioni Bd, 108 pp, 12 euro); o le biografie a fumetti dedicate ai Giusti tra le nazioni, tra cui  Perlasca di Matteo Astragostino e Armand Miron Polacco (BeccoGiallo, 144 pp, 18 euro) e Giorgio Perlasca, un uomo comune, di Ennio Bufi, Marco Sonseri (edizioni ReNoir, 128 pp, 12,50 euro); o Jan Karski, l'uomo che scoprì l'Olocausto, di Marco Rizzo e Leilo Bonaccorso (Rizzoli Lizard, 160 pp, 17,50 euro).Tra le tante opere oggetto di approfondimento durante la mostra, merita sicuramente una menzione d'onore Una stella per Nella, graphic novel realizzata dalle giovanissime studentesse liceali Marta De Vincenzi e Maddalena Stellato nell'ambito di un progetto promosso dall'Anpi per raccontare la storia vera  di Nella Attias, deportata ad Auschwitz a soli cinque anni

Giorno della memoria i fumetti da leggere per non dimenticare

Oltre alla mostra sono diverse le novità in arrivo in libreria, fumetteria e negli store online per il Giorno della memoria 2022, tra cui due graphic novel edite da Coconino Press. La prima, firmata da Julian Voloj e Lorena Canottiere, racconta un lato poco noto nella vita di un grande atleta italiano. In Bartali. La scelta silenziosa di un campione (128 pp, 20 euro), (ri)scopriamo come il leggendario ciclista abbia sfruttato la propria notorietà per aiutare molti ebrei a sfuggire alla persecuzione nazifascista, lavorando segretamente come messaggero clandestino per i partigiani. Il fumetto indaga sull'umanità di Bartali e sulla sua scelta valorosa, portata avanti con grande rischio personale, e rimasta a lungo un segreto per volontà dello stesso ciclista. Solo nel 2013, infatti, gli fu riconosciuto il titolo di “Giusto tra le nazioni” da parte dello Yad Vashem, l'Ente israeliano per la Memoria della Shoah.
Il secondo volume è la ristampa di un'opera a lungo introvabile, ma quantomai necessaria: Una stella tranquilla. Ritratto sentimentale di Primo Levi (256 pp, 22 euro), di Pietro Scarnera. Non una semplice biografia di uno tra i più grandi testimoni letterari dell'Olocausto, ma la storia di uno scrittore e di un'esperienza letteraria durata decenni; dell'inestinguibile esigenza di raccontare l'orrore; e del passaggio generazionale ai testimoni del futuro - un'esigenza più che una speranza, lasciata come eredità ai posteri dallo stesso Primo Levi in una delle sue ultime poesie. Partendo da fotografie, copertine di libri e altri documenti storici, la graphic novel unisce biografia, documentario e fiction, in un riuscito esperimento che si è aggiudicato il Prix Révélation al Festival di Angoulême 2016.

Giorno della memoria i fumetti da leggere per non dimenticare

Einaudi porta invece in libreria Dov'è Anne Frank, nuovo graphic novel di Ari Folman e Lena Guberman (160 pp, 15 euro), tratto dal film animato del 2021 Where is Anne Frank (girato dallo stesso Folman). Non si tratta di una trasposizione del Diario, ma di un poetico viaggio sospeso a metà tra storia e attualità, in cui Kitty, l'amica immaginaria cui Anna Frank indirizzava ogni pagina delle proprie memorie, si fa bambina e accompagna i lettori in una riflessione sulle tragedie del passato e i rischi del presente. Sempre Ari Folman, insieme all'illustratore David Polonsky, aveva già firmato la graphic novel Anne Frank - Diario (Einaudi, 160 pp, 15 euro), tratta dalla versione definitiva del memoriale curata e autorizzata dalla fondazione Anne Frank Fonds. Un'opera perfetta per chiunque voglia scoprire, o riscoprire, perché il Diario sia considerato come uno dei libri più importanti della storia contemporanea, e perché sia stato inserito dall'Unesco nell'Elenco delle memorie del mondo.

Giorno della memoria i fumetti da leggere per non dimenticare

Chiude l'elenco delle novità 2022 una nuova edizione di una pietra miliare del fumetto e della letteratura collegata all'Olocausto. Maus di Art Spiegelman, prima graphic novel ad aggiudicarsi uno Special Award ai Premi Pulitzer nel 1992, torna in occasione del trentennale in un cofanetto composto da due volumi, che rispecchiano la suddivisione originale dell'opera ai tempi della sua pubblicazione originale tra il 1986 e il 1991 (Einaudi, 308 pp, 26 euro). Nel primo volume, Mio padre sanguina storia, Spiegelman racconta la storia di suo padre Vladek nella Polonia prima della Seconda Guerra Mondiale, quando iniziava a stringersi la morsa letale intorno agli ebrei polacchi. Nel secondo volume, E qui sono cominciati i miei guai, si raccontano gli anni trascorsi da Vladek e dalla fidanzata Anja nel campo di concentramento di Auschwitz. La narrazione di Spiegelman trova il perfetto equilibrio tra rigore storico-biografico (nella testimonianza diretta del padre) e potenza metaforica (nella decisione di ritrarre gli ebrei come topi antropomorfi, i nazisti come gatti, i polacchi come maiali, gli americani come cani…); e tra rievocazione del passato e riflessione su cosa significhi, oggi, essere discendenti di sopravvissuti all'Olocausto. Una graphic novel che, a trent'anni dalla pubblicazione, si conferma una lettura imperdibile per tutti.


12.1.16

Il Labirinto del Silenzio, la ricerca della verità nella Germania che voleva dimenticare Auschwitz


Più informazioni su: 
Auschwitz
Giornata della Memoria
Oscar
Processo di Norimberga

Il Labirinto del Silenzio, la ricerca della verità nella Germania che voleva dimenticare Auschwitz
da http://www.ilfattoquotidiano.it/ del 7\1\2016   di Aureliano Verità 7 gennaio 2016







Con l’avvicinarsi della Giornata della Memoria la parola d’ordine anche al cinema diventa “ricordare” e, come ogni anno, in sala arriveranno diverse pellicole che accompagnano lo spettatore attraverso un percorso non facile, quello di riportare alla mente l’orrore che è stato. La settima arte si conferma uno tra gli strumenti più congeniali per la Memoria e rende vivide e indelebili le immagini di un passato da non dimenticare, raccontando storie note e altre poco conosciute, come quella de Il Labirinto Del Silenzio.
Ambientato nella Germania degli anni ’50, a più di dieci anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il film diretto e co-scritto daGiulio Ricciarelli, mette in scena la storia di un giovane pubblico ministero che decide di battersi in favore della verità, combattendo il negazionismo, contro ogni ostacolo immaginabile, in un sistema dove era più facile dimenticare che ricordare. Sullo sfondo di eventi realmente accaduti, quest’opera prima, in corsa per gli Oscar 2016, affronta con uno sguardo diverso gli anni del “boom economico”, nell’epoca dell’ottimismo sfrenato, in cui le persone volevano solo dimenticare il passato e guardare avanti. Un capitolo poco noto della storia della Germania, che cambiò radicalmente il modo in cui i tedeschi guardano al proprio passato.









Johann Radmann, interpretato daAlexander Fehling è stato recentemente nominato pm e come tutti i novizi, inizialmente dovrà occuparsi di casi minori, di scarso interesse. Fino al giorno in cui il giornalista Thomas Gnielka (André Szymanski) porterà alla sua attenzione un caso diverso, secondo il quale un suo amico avrebbe riconosciuto un’ex guardia diAuschwitz, ora insegnante. Nessuno avrà la voglia perseguire legalmente quest’uomo, tranne Radmann che, contro il volere del suo diretto superiore, inizia a esaminare il caso facendo luce su una rete di repressione e negazione fino a quel momento celata. Erano gli anni in cui la parola “Auschwitz” alcune persone non l’avevano nemmeno sentita nominare, altre invece volevano dimenticarla il più in fretta possibile. Radmann incontra solo ostacoli sul suo cammino, fatta eccezione per il pm generale, Fritz Bauer, a cui presta il volto Gert Voss, che appoggia la ricerca del suo giovane collega, con l’intento comune di riportare all’attenzione pubblica i crimini commessi nel campo di concentramento.
Durante il processo di Norimberga tenutosi solo cinque anni prima degli eventi raccontati nel film, erano stati processati 24 tra i maggiori capi nazisti: “Diversamente dai processi di Norimberga, i processi di Auschwitz sono ancora oggi ignoti alla maggioranza delle persone e in un certo senso, consideriamo il nostro lungometraggio come un mezzo per evitare che restino sconosciuti” ha raccontato il produttore Jakob Claussen. Una storia certamente complicata da raccontare, per la quale Ricciarelli, italiano di nascita naturalizzato tedesco, ha scelto toni a metà tra il film storico e il thriller e un cast d’eccezione in primis Fehling e Szymanski, a cui si affiancano giovani attori come Friederike Becht, Johannes Krisch e Johann von Bülow. Il Labirinto Del Silenzioarriverà in Italia il prossimo 14 gennaio distribuito dalla Good Films e ilFatto.it ve ne propone una clip in esclusiva.


un film  che sta   , ancora  non è arrivato nelle  sale  italiane   è già crea ,   trovate  sotto alcuni come  dall'articolo de ilfatto ,  buon segno     discussioni  alcune   condivisibili altre no  ,l'importante  è che   non cali  iilenzio o  peggio il negazionismo \ revisionismo estremo su tali   orrori   della storia







Antitanti • 6 ore fa


Non se ne parla mai abbastanza, così come di altri genocidi.
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xeawzd@grandmasmail.com • 7 ore fa
genere fantasy
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FTW • 8 ore fa
a hollywood dovrebbero fare una statua di ringraziamento ai tedeschi
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agricolo • 9 ore fa


Forse è ancora presto per dibattere pubblicamente su questi argomenti. Troppe incrostazioni propagandistiche o difensive permangono dallo immediato dopoguerra. Certi discorsi di pura logica neanche si possono citare senza essere etichettati come postnazisti. Ognuno dovrebbe, se crede, studiare gli argomenti per suo conto. Sapendo che molte verità ufficiali vanno per lo meno sottoposte a oggettiva verifica. 
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roberto • 21 ore fa


Per nascondere le verità della seconda guerra mondiale,le hanno enfatizzate oppure denigrate. Giunto è il tempo dimostrare i fatti come sono accaduti realmente.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...