Come promesso nel post precedente ¹ , onde evitare di cadere nella solita retorica celebrativa lascio che a parlare siano questa testimonianza appello
che conferma quello che dicevo e provo a dire d'anni nonostante sia deriso è trattato come un passatista e diffusore di anticaglie , ovvero che la shoah e l'olocausto debbano essere anche se con gradualità insegnante fin dalla più tenera età .
e i fatti Conferenza di Wannsee cui quest'anno si celebrano gli 80 anni ovvero quando dalla discriminazione " semplice persecuzione " si è passati al genocidio .
da https://encyclopedia.ushmm.org/search?query=Conferenza+di+Wannsee&languages%5B%5D=it
Durante la Conferenza di Wannsee, tenutasi a Berlino nel gennaio 1942, le SS (la guardia speciale d'elite dello stato nazista) e i rappresentanti dei ministeri del governo tedesco stimarono che la Soluzione Finale (il piano nazista per l'eliminazione degli Ebrei d'Europa) avrebbe coinvolto 11 milioni di Ebrei, inclusi quelli di paesi in quel momento non occupati, come l'Irlanda, la Svezia, la Turchia e la Gran Bretagna. Molti degli Ebrei che vivevano in Germania e nelle zone europee occupate furono deportati tramite convogli ferroviari nei campi di sterminio situati nella Polonia occupata, dove vennero uccisi. I Tedeschi cercarono di celare le loro intenzioni riferendosi alle deportazioni come a "re-insediamenti a est"; alle vittime veniva detto che sarebbero state portate nei campi di lavoro, ma in realtà, a partire dal 1942, la deportazione significò per la maggior parte degli Ebrei un breve periodo di transito verso i campi di sterminio e poi la morte.
da https://it.wikipedia.org/wiki/Conferenza_di_Wannsee
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Alla data dell'invasione nazista della Polonia, il regime hitleriano era riuscito a cacciare dalla Germania circa 250 000 ebrei; tuttavia con l'inizio della seconda guerra mondiale la Judenpolitik «entrò in una fase totalmente nuova e più radicale». Circa 1,7 milioni di ebrei polacchi si ritrovarono nei territori annessi al Reich e così nell'orizzonte mentale nazista nacque l'impellente necessità di trovare una soluzione a ciò che era percepito come un notevole problema[5]. Le soluzioni iniziali furono di tipo «territoriale», ovvero la deportazione organizzata e sistematica degli ebrei soggetti al controllo tedesco in una «riserva» situata alla periferia dei territori conquistati; tuttavia le difficoltà logistiche e l'impossibilità di deportare semplicemente gli ebrei in altri paesi confinanti rese impraticabile questo progetto. Successivamente, con la conquista della Francia e delle sue colonie nella primavera-estate 1940, fu lanciata una radicale idea di «soluzione territoriale», ossia quella di deportare tutti gli ebrei nella colonia francese del Madagascar. Secondo le stime, dai 4 ai 6 milioni di persone dovevano essere trasferiti sull'isola e sottoposti a un regime di polizia. Come affermò in merito Franz Rademacher, «referente per gli ebrei» (Judenreferat) presso il ministero degli Esteri, l'intenzione era quella di considerarli «ostaggi della Germania a garanzia della buona condotta dei loro compagni di razza americani» e, «in caso di azioni ostili degli ebrei statunitensi contro il Reich», prendere nei loro confronti i «necessari e adeguati provvedimenti punitivi». Il clima intimidatorio creato da queste minacce, ma soprattutto il fatto che l'isola non offriva le condizioni per permettere a milioni di emigranti di sopravvivere (peraltro non considerate dai responsabili tedeschi) indicano che anche l'opzione Madagascar non ambiva a costruire una sorta di patria in cui accogliere gli ebrei d'Europa, bensì a sottoporli a insostenibili condizioni di vita, con conseguente abbassamento del tasso di natalità e un progressivo annientamento fisico[5]. Il persistere della guerra con l'Impero britannico e la conseguente inaccessibilità dell'isola costrinse Heydrich, capo del Reichssicherheitshauptamt (Rsha) e all'epoca figura centrale nella persecuzione degli ebrei, a elaborare una terza «soluzione territoriale». Nel gennaio 1941 presentò a Hitler un progetto dettagliato per la «soluzione finale» in ambito europeo, da portare a termine una volta conclusa la guerra; questa consisteva nel deportare tutti gli ebrei a est, in Unione Sovietica, dato che il Reich si stava preparando a invaderla. Tra marzo e luglio 1941 Heydrich presentò a Göring due bozze in cui venivano predisposti i piani generali di deportazione, che Heydrich stesso avrebbe supervisionato e coordinato. Il 31 luglio Göring ordinò a Heydrich di predisporre «tutte le necessarie misure per preparare dal punto di vista organizzativo, pratico e materiale una soluzione globale della questione ebraica nell'area dell'Europa sotto influenza tedesca», di coinvolgere, qualora necessario, altre istanze centrali (soprattutto il ministro dei Territori occupati Alfred Rosenberg) e infine di presentargli un «piano globale» relativo ai provvedimenti da adottare: a questa delega Heydrich si sarebbe richiamato in occasione della conferenza di Wannsee. Le premesse per la deportazione in massa degli ebrei d'Europa all'indomani della vittoria sull'Unione Sovietica erano dunque state create; nel frattempo sarebbe stato il territorio del Governatorato Generale (Generalgouvernement) a ospitarli in zone da utilizzare come «riserva per gli ebrei» o Judenreservat (ad esempio nel distretto di Lublino) in attesa di essere deportati verso le zone interne della Russia[6]. Questi progetti non erano stati concepiti per promuovere una futura patria semita, come rivelò nel novembre 1939 in un rapporto il vicegovernatore Arthur Seyss-Inquart:
«[...] il distretto di Lublino, assai paludoso, potrebbe ben servire come riserva per gli ebrei, producendo con ogni probabilità una drastica decimazione» |
(Rapporto di Seyss-Inquart, 20 novembre 1939[7]) |
Le deportazioni iniziarono effettivamente nell'autunno 1941, ma la Wehrmacht non ottenne la preventivata veloce vittoria sull'Unione Sovietica. Si generò, pertanto, un'ulteriore radicalizzazione della Judenpolitik che, dopo l'attacco tedesco ai territori sovietici, assunse rapidamente le dimensioni di un genocidio[5].
L'operazione Barbarossa, scattata il 22 giugno 1941, servì alla Germania a dare avvio a una campagna militare razziale, di conquista brutale e distruzione. La popolazione sovietica, che nell'immaginario nazionalsocialista non era altro che un insieme eterogeneo di popoli slavi e «razze miste» di ceppo asiatico considerate "sottouomini" (Untermenschen), sarebbe stata assoggettata, espulsa verso le aree interne della Russia o lasciata morire di fame. Ciò avrebbe permesso di liberare uno «spazio vitale» in cui i coloni tedeschi, o quelli provenienti da aree geografiche o nazioni considerate germaniche, come i Paesi Bassi e la Scandinavia, si sarebbero trasferiti.
La guerra, inoltre, creò i presupposti per un'azione diretta nei confronti della componente ebraica della popolazione dell'Europa orientale, componente che sarebbe stato necessario eliminare sistematicamente per privare il cosiddetto «bolscevismo giudaico» della propria base demografica. Perciò, uno degli obiettivi principali dell'invasione tedesca dell'Unione Sovietica fu quello di sopprimere tutti gli esponenti di una non meglio definita classe dirigente ebraico-comunista, per consegnare ai coloni tedeschi a guerra finita lo spazio vitale "libero dagli ebrei" (Judenfrei) nell'ambito del più generale progetto di ristrutturazione territoriale e demografico dell'Est europeo sotto dominio tedesco, noto con il nome di Generalplan Ost[8]. Già durante la preparazione dell'invasione dell'Unione Sovietica, Hitler aveva emanato una serie di direttive che miravano all'eliminazione dell'«intellighenzia giudaico-bolscevica», chiarendo a generali, ufficiali delle SS e della Wehrmacht che la guerra a est non si sarebbe svolta secondo i classici canoni di uno scontro tra belligeranti, ma che sarebbe stata una vera e propria lotta tra due ideologie contrapposte, da svolgersi quindi con tutta la determinazione possibile: si doveva agire senza pietà contro gli agitatori bolscevichi, i partigiani, i sabotatori, gli ebrei e annientare ogni forma di resistenza attiva o passiva. Parallelamente furono diramate disposizioni che di fatto concedevano carta bianca alle truppe al fronte, le quali non sarebbero state in alcun modo punite se ritenute responsabili di crimini di guerra: in questo contesto il Reichsführer-SS Heinrich Himmler affidò le mansioni di rastrellamento ed eliminazione fisica delle categorie citate a quattro Einsatzgruppen ("unità operative" composte da personale della SiPo e del SD), ma anche a ventitré battaglioni della Polizia d'ordine e a tre SS-Totenkopfbrigaden (i reparti "Testa di morto" delle SS, sottoposte direttamente a Himmler), che avrebbero agito nelle retrovie del fronte in collaborazione con distaccamenti dell'esercito regolare[8].
Nel maggio 1941 le condizioni di vita nel
ghetto di Varsavia erano già atroci: un anziano giace sul marciapiede, sopraffatto dalla fame e dalla fatica
Le fucilazioni sistematiche e indistinte degli ebrei iniziarono dunque già nella prima metà dell'agosto 1941; al contempo Himmler aveva ingiunto di dare inizio a uccisioni in massa anche di donne e bambini, esortando le SS-Totenkopfbrigaden a organizzare grandi massacri di migliaia di civili ebrei. Allo scopo di completare tale piano, il Reichsführer-SS spostò il cuore delle operazioni dalla SiPo, le cui Einsatzgruppen erano addette in primo luogo alle uccisioni dei bolscevichi ebrei, ai comandanti in capo delle SS e della polizia, i quali, in quanto suoi plenipotenziari a livello locale, potevano coinvolgere i membri di tutti i corpi delle SS e della polizia per un genocidio da estendere all'intero territorio. In tal modo, accanto alla rodata via gerarchica per la politica verso gli ebrei che andava da Hitler a Göring fino a Heydrich, Himmler ne attivò una seconda con l'autorizzazione di Hitler. Da allora poté intervenire ovunque nella Judenpolitik attraverso i suoi sottoposti delle SS e della polizia, riguadagnando quindi il terreno politico perduto nei confronti di Heydrich, il quale dal 1939 era stato colui che più di tutti si era dedicato alla persecuzione degli ebrei[8].
Alla fine del 1941 almeno mezzo milione di ebrei era già stato ucciso dalle forze armate tedesche in Unione Sovietica, ma lo sterminio non era ancora diventato la soluzione definitiva: Hitler, Heydrich e gli alti gerarchi continuarono a confidare nell'idea di trasferire gli ebrei d'Europa nei territori che avrebbero conquistato alla conclusione vittoriosa del conflitto[9] e, non a caso, il processo di raccoglimento degli ebrei nei grandi ghetti del Governatorato Generale era andato avanti speditamente. Tuttavia, quando si comprese che la guerra sarebbe durata ancora a lungo, si andarono delineando in maniera più precisa i contorni della tappa successiva alla ghettizzazione. Nell'inverno 1941-1942 cominciò l'estensione del sistema concentrazionario tedesco sul territorio polacco, comprese le aree della Polonia annesse al Reich (come nel caso di Auschwitz), operazione che fu contraddistinta dalla costruzione di veri e propri campi di sterminio e che segnalò una nuova e inquietante fase dell'atteggiamento nazista nei confronti della questione ebraica[10].
Scarico di cadaveri da un treno di deportati verso i campi di concentramento
Questo "salto qualitativo", incrociato con il piano di ristrutturazione territoriale e demografico teorizzato nel Generalplan Ost, non lasciava dunque alternativa alcuna alla soluzione della liquidazione fisica. Secondo lo storico Enzo Collotti, quindi, a differenza dell'ipotesi avanzata dallo storico statunitense Arno J. Mayer, la decisione dello sterminio non fu conseguente al fallimento dell'operazione Barbarossa, ma anteriore a essa, in quanto appunto guerra di sterminio su base ideologica e biologica fin dalla preparazione. Alla fine del 1941 il meccanismo della distruzione in massa, del quale le Einsatzgruppen non erano che una variante relativamente autonoma, era ormai in pieno dispiegamento: la conferenza di Wannsee non rappresentò, come talvolta si dice, il momento in cui fu decisa la soluzione finale, ma semplicemente la tappa fondamentale per il suo coordinamento e la sua sincronizzazione a livello continentale europeo[11].
Nel settembre 1941 Hitler aveva già deciso di dare avvio alle deportazioni senza attendere la vittoria sull'Unione Sovietica e, nell'autunno successivo, i vertici del regime nazista presero a considerare e condurre la guerra su tutti i fronti come una lotta «contro gli ebrei»; Hitler e i gerarchi si mostrarono decisi a non farsi influenzare dall'andamento delle ostilità e a perseverare nell'obiettivo di deportare gli ebrei in un luogo isolato per abbandonarli al loro destino o ucciderli attraverso il lavoro[9][12]. Nelle settimane che seguirono la decisione di dare avvio alle deportazioni, Hitler evidenziò la sua risolutezza a espellere definitivamente tutti gli ebrei dall'Europa e il 23 settembre il ministro della propaganda, Joseph Goebbels, fu informato dal Führer che Berlino, Vienna e Praga sarebbero state le prime città a essere "liberate" dagli ebrei. Il successivo 6 ottobre Hitler dichiarò che tutti gli ebrei dovevano essere allontanati dal Protettorato, ma non condotti nel Governatorato Generale, bensì ancora più a est. Insieme agli ebrei del Protettorato sarebbero dovuti «scomparire anche gli ebrei di Vienna e Berlino». Come Heydrich chiarì durante un colloquio tenuto il 10 ottobre a Praga, Hitler si augurava che gli ebrei venissero allontanati dal suolo tedesco possibilmente entro la fine dell'anno. Inoltre le deportazioni della primavera successiva avrebbero interessato anche le popolazioni semite presenti nei territori occupati[9].
Esecuzione di civili sovietici da parte di
EinsatzgruppenUna volta iniziate le deportazioni alla metà di ottobre, i vertici nazisti iniziarono a parlare sempre più spesso e apertamente della «distruzione» degli ebrei[13]. Queste dichiarazioni perseguivano lo scopo palese di accelerare e forzare la radicalizzazione della Judenpolitik già avviata con le deportazioni e le «soluzioni finali» messe in atto a livello regionale e locale, ad esempio le fucilazioni di massa operate dalle Einsatzgruppen e dalla Wehrmacht in Unione Sovietica e nei Balcani: infatti, soprattutto in Serbia, è provato che i soldati regolari giustiziassero in gruppi gli ebrei presi in ostaggio come ritorsione per le aggressioni dei partigiani nei confronti di militari tedeschi. Nel paese fecero inoltre una precoce comparsa i gaswagen creati su iniziativa del Sonderkommando Lange, inizialmente destinati alla soppressione dei disabili in Germania e, successivamente, utilizzati per uccidere ebrei e prigionieri di guerra sovietici anche nei territori occupati all'est. Sempre nella seconda metà del 1941 i tedeschi avevano avviato le sperimentazioni con lo Zyklon B nei campi di concentramento, dove furono edificate le prime rudimentali camere a gas, e l'impostazione dei primi campi di sterminio, che dovevano spostare il massacro dal livello dell'efferatezza selvaggia dei reparti speciali alla premeditazione scientifica dell'eccidio programmato e industrializzato.[14][15] Una radicalizzazione ulteriore della Judenpolitik avvenne con l'ingresso in guerra degli Stati Uniti d'America, il che rappresentò per i vertici nazisti un segnale inequivocabile dello spettro della congiura mondiale giudaica contro la Germania[13]. Se nell'autunno 1941 Hitler aveva considerato l'ipotesi di usare gli ebrei deportati come ostaggi per impedire l'entrata in guerra degli Stati Uniti, l'apertura delle ostilità con Washington rese obsoleto questo machiavellico calcolo politico; tuttavia, il Führer mantenne ferme le proprie convinzioni e ribadì le minacce di distruzione[16]. La decisione presa da Hitler di deportare nell'immediato tutti gli ebrei nei territori sotto l'influenza tedesca a est, tracciò le coordinate degli sviluppi futuri della Judenpolitik, nonostante non esistesse un piano globale o un preciso orientamento temporale per la distruzione degli ebrei d'Europa: prima della decisione definitiva e in attesa di una vittoria totale sui sovietici, le deportazioni sarebbero approdate in ghetti sparsi tra il Governatorato, l'Unione Sovietica e la Cecoslovacchia, pensati come campi di transito. La decisione di dare il via alle deportazioni ebbe come conseguenza l'inizio di frenetici preparativi volti alla costruzione di grandi strutture in cui uccidere con l'ausilio dei gas gli ebrei locali «inabili al lavoro», fatte sorgere nei pressi dei ghetti scelti come meta delle prime ondate di deportazioni dal Reich: a Riga per l'area di Łódź, a Bełżec (Lublino) e a Mogilëv (Minsk)[17]. Tuttavia, nell'autunno 1941, l'intenzione di deportare verso est gli ebrei rimasti nei territori sovietici occupati all'indomani della fine vittoriosa del conflitto non era ancora tramontata e rimaneva uno dei piani della «soluzione finale» da realizzarsi a lungo termine, non con lo sterminio diretto. Nell'ottica dei principali attori del genocidio, dunque, alla fine del 1941 nacque l'esigenza di ricondurre a un unico denominatore comune le due linee di sviluppo della Judenpolitik in cui si riconoscevano rispettivamente Himmler e Heydrich[17]: estendere le fucilazioni in massa e le «soluzioni territoriali» messe in atto dalle SS- und Polizeiführer in Unione Sovietica, trasformandole in genocidio; oppure sviluppare un «piano di totale evacuazione degli ebrei dai territori occupati», di cui Heydrich era debitore a Göring sin dalla fine di luglio precedente[9].
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è ricordate questo è stato .... mi fermo qui perchè due parole sono troppe e una è poco .
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