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4.10.24

IL NEO-ANTISEMITISMO PROVOCATO DA “BIBI”.benjamin netanyahu

 

.IL NEO-ANTISEMITISMO. .PROVOCATO DA “BIBI”.

IL CONFRONTO La violenza del 7 ottobre è stata il frutto della scelta terroristica di uccidere i civili. I morti di Gaza sono opera di uno Stato che si proclama democratico, ma colpisce anche i vecchi e i bambini

FOTO ANSA
L’uomo e la sua guerra Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu

La trasformazione di Israele in un Paese autoritario avanza, la polizia attacca ogni manifestazione di dissenso, le prigioni sono piene di cittadini arabo-israeliani e dei Territori detenuti senza processo, le dichiarazioni razziste dei ministri si moltiplicano.

Una parte non indifferente della società civile reagisce nonostante le crescenti difficoltà: chiede la cessazione delle ostilità, la liberazione degli ostaggi, le dimissioni del governo. Ci sono militari che rifiutano di andare a combattere a Gaza, preferendo la prigione. Si è formata addirittura un’organizzazione di genitori che invita i figli a rifiutare di combattere questa guerra. Basterà a rallentare o a fermare il suicidio di Israele? Come fermarlo se non attraverso una sollevazione della società? E come possono partecipare gli ebrei della diaspora? Quanto avviene si delinea infatti sempre più come una catastrofe non solo per lo Stato ma anche per il resto del mondo ebraico. L’antisemitismo non è mai morto del tutto nel mondo, nemmeno nell’europa i cui ebrei sono stati quasi completamente distrutti nella Shoah. Originariamente appannaggio dell’estrema destra neonazista, e fondato sul negazionismo della Shoah, si è saldato fra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento con l’ostilità terzomondista verso Israele e con la posizione antisionista assunta dopo il 1954 dal blocco sovietico, in forme non sempre e non necessariamente antisemite, e fortemente dipendenti dalle vicende mediorientali, in particolare dopo la Guerra dei sei giorni e l’inizio dell’occupazione: “Dichiarazioni intempestive – scrive lo storico Eli Barnavi, ambasciatore israeliano in Francia dal 2000 al 2002 – insediamenti minuscoli e inutilmente provocatori, confische di terre arabe, peraltro spesso sconfessate dall’alta Corte di Giustizia, internamenti amministrativi, distruzione di case con la dinamite, espulsioni, repressione fondata sul principio della responsabilità collettiva: tutto questo forma la trama della vita di un’occupazione che si è voluta ‘liberale’, (...), ma che non per questo è meno odiosa, e danneggia l’immagine di Israele nel mondo” .

Come respingere l’assimilazione fra israeliani ed ebrei quando nella diaspora le voci contro Netanyahu sono flebili e accusate troppo spesso di antisemitismo? È necessario ricorrere a una definizione dell’antisemitismo che consenta di mettere dei paletti. Ma anche qui la situazione è complicata. Di definizioni ne abbiamo due recenti. Una è quella dell’international Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), del 2016, adottata da 43 Stati, Italia compresa, che pone un legame stretto tra antisionismo e antisemitismo. L’altra è quella di Gerusalemme del 2021, opera di ambienti accademici israeliani e americani preoccupati delle conseguenze che la definizione dell’ihra avrebbe avuto sul piano della delegittimazione delle critiche a Israele come antisemite. Il documento di Gerusalemme definisce l’antisemitismo come “la discriminazione, il pregiudizio, l’ostilità o la violenza contro gli ebrei in quanto ebrei (o le istituzioni ebraiche)”.

Tutto ciò è diventato ancora più importante oggi. Infatti, come possiamo limitarci a condannare l’antisemitismo che cresce, estendendo il termine “antisemitismo” a ogni condanna della guerra di Gaza? Paragonare il clima di oggi a quello che in Italia accompagnò le leggi razziali del 1938, come è stato fatto, mi sembra una forzatura. (...) Non è che a forza di estendere a dismisura la nozione di antisemitismo finiremo per perderne la specificità?

Che fare, ad esempio, quando gli studenti (...) si battono contro dei veri e propri massacri? Limitarci a denunciarli come antisemiti? Non riesco a non riconoscere in molte di queste loro parole d’ordine, sia pur confuse e inadeguate, che la Shoah debba essere un insegnamento e un monito per tutti i genocidi, che questo non debba succedere più. È vero che in molti casi siamo di fronte a movimenti che per attaccare la politica israeliana giungono anche ad attaccare gli ebrei in quanto tali.

È antisemitismo, certo, ma non un antisemitismo di Stato. È un antisemitismo con cui si può provare a discutere, a spiegare. Per questi movimenti, il sionismo è colonialismo, apartheid, razzismo. Considerando la guerra di Gaza tout court come un genocidio, la maggior parte degli studenti, credono di battersi contro il Sudafrica dell’apartheid, il razzismo dell’america degli anni Cinquanta, l’imperialismo americano in Vietnam. (...)

La questione se il termine genocidio si possa o meno applicare a Gaza è controversa, soprattutto per la condizione di intenzionalità, necessaria a definire il genocidio. Meno controverso dal punto di vista giuridico è però l’uso del termine “crimine contro l’umanità”. (...) Cosa cambia per chi muore sotto le bombe se definiamo la sua morte “massacro” o “genocidio”? Le distinzioni verranno dopo, nei processi, che speriamo ci siano, delle Corti internazionali.

Personalmente, non riesco a condividere l’allarme del mondo ebraico diasporico sull’antisemitismo. Uno degli aspetti che mi preoccupa è quello delle università che chiedono l’interruzione dei rapporti culturali con Israele. Il movimento Boycott, Divestment, Sanctions (BDS), nato nel 2005 all’università di Bir Zeit, nella West Bank, fino a qualche mese fa minoritario nella sinistra, è cresciuto dopo l’inizio della guerra di Gaza fino a diventare una presenza forte e influente. Il risultato però è quello di accrescere il senso di solitudine di Israele.

Non quello del governo, che si fa un vanto del suo isolamento, ma quello delle forze progressiste israeliane scoraggiandole nella loro battaglia contro il governo. È vero, c’è oggi un’ondata di antisemitismo nel mondo, (...) la parola sionismo sembra diventata una bestemmia, in Italia il movimento delle donne “dimentica” gli stupri del 7 ottobre e il pride emargina i movimenti LGBTQ+ ebraici, di nuovo “dimenticando” gli omosessuali impiccati da Hamas a Gaza. Tutto vero. Ma la colpa non è certo solo dell’antisemitismo, (...) ma del comportamento di Israele e del suo governo dopo il 7 ottobre, dei morti innocenti causati nella guerra di Gaza, dei proclami di pulizia etnica (...). D’altra parte, durante le manifestazioni anti-israeliane viene ripetuto lo slogan “dal fiume al mare, Palestina libera”. Si tratta o meno di uno slogan antisemita, nel senso che vorrebbe la scomparsa di Israele sostituito da una grande Palestina, proprio come per i sionisti religiosi a dover scomparire da Giudea e Samaria sono i palestinesi? So che è possibile interpretarlo anche come libertà per tutti e come immagine di uno Stato binazionale, come ha scritto recentemente uno studioso attento come Enzo Traverso. Ma chi lo grida nelle manifestazioni ha in mente questa interpretazione, (...) o si limita a gridare uno slogan contro l’esistenza stessa di Israele?

Percorrere la via stretta tra il governo di Netanyahu e Hamas è difficile, soprattutto nel mondo ebraico abituato a denunciare ogni crescita dell’antisemitismo e ormai convinto che si debba far un tutt’uno di antisemitismo e antisionismo. Intanto Israele è sempre più isolata, il mondo condanna la distruzione di Gaza. I più stretti alleati di Israele si distanziano dalla sua politica.

(...) Come possiamo celebrare la memoria della Shoah oggi, senza parlare del 7 ottobre e di Gaza? Ma è davvero possibile confrontarli, come fa Netanyahu, mettendo entrambi sotto lo stesso ombrello dell’antisemitismo? L’uno, il 7 ottobre, frutto dell’antisemitismo, l’altro, la distruzione di Gaza, come necessità di difendersi dall’antisemitismo? La violenza del 7 ottobre può anche essere apparsa come il desiderio di uccidere gli ebrei, (...) ma è stato il frutto di una scelta deliberata, e terroristica, di uccidere i civili e di esporre alla morte gli abitanti di Gaza per una battaglia che Hamas vuole fare apparire come una lotta di liberazione. Ma i morti di Gaza sono opera di uno Stato che si proclama democratico, ma che non esita a colpire vecchi e bambini per uccidere un solo capo di Hamas. Un capo che sarà sostituito da un altro dopo pochi giorni. E gli ebrei del mondo (...) come possono accettarlo senza reagire?

L’unico modo in cui possono farlo è se davvero credono che tutti gli arabi, che tutti i palestinesi, siano terroristi pronti a sgozzarli. Non voglio pensare che sia così, preferisco vedere in questo il volto terribile della vendetta.

26.1.24

l'olocausto non è solo shoah .Manifestazione pro Palestina, Ascari: per la pace dovrebbe partecipare anche comunità ebraica




 ecco la mia risposta al no no della comunità ebraica e al doivieto dei cortei da parte dei profeti al corteo, nel Giorno della Memoria, pro-Palestina: “Una sconfitta per tutti


infatti




la memoria   dell'olocausto    come ho già etto  nel  post precedente   non  dovrebbe essere  a senso  unico  

31.5.23

la menoria condivisa non esiste il pasticcio della memoria alla Stazione Centrale di milano e delle lapidi in cui l’omaggio ai deportati della Shoah convive con quello alla guerra del Duce in Etiopia

 La  vicenda   che riporto  nel post   odierno  dimostra   che   la memoria  condivisa  non esiste  ed   un utopia . Al contrario esistono    più memorie   su detterminati eventi del secolo scorso come  fa  notare  quest'articolo : <<  La memoria condivisa non esiste >> de Il Foglio di    qualche anno fa  

da https://www.open.online/ del  24 MAGGIO 2023 - 06:35

Milano, il pasticcio della memoria alla Stazione Centrale: l’omaggio ai deportati della Shoah convive con quello alla guerra del Duce in Etiopia

                                        di Simone Disegni






La giustapposizione delle targhe al binario 21 dello scalo milanese, da cui partivano i convogli della morte della Shoah. Lo storico Filippi: «Così l’Italia (non) fa memoria»
Ai viaggiatori che sbarcano a Milano da fuori città, la Stazione Centrale dà il benvenuto con un strano minestrone: di Storia e di memoria. Per lo meno a quelli non distratti da smartphone e bagagli che alzano lo sguardo sul complesso di targhe che domina l’ultimo avamposto della stazione: il famigerato binario 21. Situato all’estremità destra del grande scalo ferroviario, il binario apre la via a quelle che oggi sono le ultime tre aree di partenza di treni, per lo più regionali: i binari 21, 22 e 23. Ma nella memoria collettiva, quel nome corrisponde soprattutto al luogo di partenza dei vagoni della morte che gli occupanti tedeschi organizzarono tra il 1943 e il 1945 per deportare verso i campi di sterminio migliaia di nemici del Reich. Stipati in quei carri bestiame, partirono dal “centro di smistamento” ferroviario di Milano a centinaia e centinaia gli ebrei e gli oppositori politici rastrellati dai nazifascisti in tutto il Nord Italia. Per destinazioni a loro ignote – che rispondevano a nomi come Auschwitz e Mauthausen – da cui nella maggior parte dei casi non avrebbero mai fatto ritorno. Tra le eccezioni più note, quella di Liliana Segre, partita sul convoglio stipato all’inverosimile del 30 gennaio 1944
È stata proprio la senatrice a vita, il 27 gennaio di quest’anno, a dare ulteriore rilevanza al grande progetto di memoria che sorge nelle viscere della Stazione Centrale proprio per ricordare quel crimine: quel Memoriale della Shoah quotidianamente visitato da scolaresche di tutta Italia che Segre ha voluto fosse teatro dell’intervista-testimonianza con Fabio Fazio trasmessa in diretta tv su Rai1 nell’ultimo Giorno della Memoria. Ma che tracce restano del buio del Novecento sul “vero” binario 21, quello situato sopra terra da cui transitano ogni giorno migliaia di pendolari e viaggiatori? Molte, varie e contrastanti.



All’imbocco del binario, sorge in effetti una targa che commemora «il lungo viaggio di uomini, donne e bambini, ebrei e oppositori politici deportati verso Auschwitz e altri lager nazisti» dai sotterranei della stazione. «La loro memoria vive tra noi insieme al ricordo di tutte le vittime dei genocidi del XX secolo», richiama solennemente la stele, apposta sulla grande parete del binario 25 anni fa, il 27 gennaio 1998. Peccato che a pochi metri di distanza, prima di altri spazi murari dedicati ai ferrovieri caduti nella Prima Guerra Mondiale e in quella di Liberazione, giaccia un’altra targa, destinata questa volta a ricordare la «guerra italo-etiopica». Ovvero quella campagna d’invasione voluta da Benito Mussolini nella quale – pur di conquistare un “posto al sole” tra le potenze coloniali del mondo – le forze armate italiane non esitarono a sterminare migliaia di etiopi, civili compresi. Con una mobilitazione di uomini e forze straordinaria che comprese, come ormai ampiamente provato dagli storici, l’utilizzo di armi chimiche come l’irpite, usata senza troppi complimenti tra il 1935 e il ’36 per spegnere brutalmente i resistenti etiopici che difendevano più strenuamente le posizioni. Possibile un tale omaggio campeggi proprio a fianco del richiamo universale a custodire, nel nome di Primo Levi, «il ricordo di tutte le vittime dei genocidi del XX secolo»?
Possibile. Tanto quanto lo è il lapidario (letteralmente) omaggio d’accompagnamento al “Capitano Giovanni De Alessandri, Medaglia d’Oro”. Chi era costui? Un valente combattente della guerra anti-etiopica, già distintosi nelle operazioni di contro-guerriglia in Libia durante la Prima Guerra Mondiale, e autore poi di altre “valorose” azioni di polizia coloniale in Etiopia vent’anni dopo. L’ultima delle quali, un violento combattimento con le formazioni partigiane locali, gli costò infine la vita. «Rimproverato alla vigilia di un aspro combattimento dal comandante perché nella lotta si esponeva troppo – si ricorda nella solenne motivazione della medaglia d’oro attribuita nel 1937 – estraendo dal portafoglio il ritratto della figlia “le giuro su questa”, disse, “ch’ella non avrà a lamentarsi di avermi ricevuto alla banda. Non ci sarà nessuno domani davanti a me e farò vedere come combattono gli italiani”. E mantenne la promessa. In un furioso attacco contro un nido di mitragliatrici scatta per primo, si slancia con pugnale e bombe a mano, è ferito più volte, cadono i suoi intorno a lui ma in un ultimo sforzo giunge all’arma nemica, pugnala il tiratore, col nome della figlia sulle labbra, sorridente si abbatte. Il corpo è crivellato di ferite, l’anima è in Cielo, il nome è di un eroe».
Un perfetto eroe di un’epoca fortunatamente alle spalle, orgogliosamente fascista e razzista. Il cui ricordo resta a tutt’oggi evocato però proprio a fianco di quello dei cittadini italiani, ebrei e non, perseguitati, deportati e infine assassinati – non di rado proprio col gas – a prodotto compiuto proprio di quell’epoca e di quegli “ideali”. Poco più sotto, sulla stessa targa – verosimilmente aggiunto in un secondo momento – campeggia infine il ricordo «di tutti i ferrovieri che in servizio e in armi caddero per il supremo ideale della patria negli anni dal 1940 al 1945»: dalla guerra voluta dal Duce al fianco dei tedeschi a quella di Liberazione contro il regime stesso, dunque. Il minestrone di Storia è servito. Proprio a pochi passi da quel totem multimediale – voluto da Ministero della Cultura, Gruppo FS e Memoriale della Shoah stesso – inaugurato appena tre mesi fa alla presenza del ministro Sangiuliano, del sindaco Sala e dell’Ad di Ferrovie Luigi Ferraris per ricordare a tutti i frequentatori, con la viva voce di Liliana Segre, la tragedia che su quel binario si svolse e lo straordinario patrimonio del Memoriale distante appena pochi isolati.
«Più che di bisticcio di memoria parlerei di sovrascrittura di memoria», commenta con Open lo storico Francesco Filippi, che alla memoria abiurata o distorta dei crimini coloniali italiani ha dedicato diversi studi, confluiti da ultimo nel volume Noi però gli abbiamo fatto le strade (Bollati Bolinghieri, 2021). «La stratificazione di questo muro racconta molto dell’Italia – ragiona Filippi – Quella targa nasce con ogni probabilità nel momento in cui l’Italia si voleva imperiale e imperialista, per celebrare pubblicamente i trionfi della guerra di aggressione in Etiopia. Ma da un giorno all’altro, dopo il 1947, quella memoria per l’Italia non fu più comoda da indossare, e venne semplicemente amputata, o abbandonata a se stessa come in questo caso, sovrascrivendo la nuova memoria, quella della Resistenza. Senza nessuna preoccupazione di metabolizzare o contestualizzare la cesura. Come emerge plasticamente dall’accostamento alla Stazione Centrale di due azioni antitetiche: la condanna dello sterminio di altri uomini da parte di un regime totalitario da un lato, la sua esaltazione lì a fianco». «Quello che più stupisce dell’approccio italiano alla memoria pubblica – conclude Filippi – è la totale incapacità di vedere la bruttura, la stonatura, di un’associazione come questa. Neppure oggi, a 80 anni di distanza, tutto ciò dà fastidio». Fino a prova contraria, s’intende.







25.1.23

perchè parlo ancora della shoah e dell'olocausto nonostante sia un tema inflazionato e ormai diventato giornata palla

 leggo   qualche      giorno fa      su  uno dei giornali  vecchi    che   uso  per  accendere  il  fuoco del  camino  che una  Liliana  Segre  particolarmente amareggiata quella che arriva a Palazzo Marino, a Milano, per presentare assieme al sindaco Beppe Sala le iniziative per il Giorno della Memoria  ha  dichiarato 



"Quando uno vecchio come me, che ha visto prima l'orrore, e poi, arriva a sentire che si nega addirittura quel che è stato la coscienza si sveglia. Dopo che sei stato silenzioso,
ammalato, non capito, a un certo punto succede che non si sia mai contenti, che si diventi pessimista. E che si ritenga che fra qualche anno, della Shoah ci sarà una riga sui libri di storia, e poi nemmeno quella".  [...] Capisco che la gente dice da anni "basta con questi ebrei, che cosa noiosa". [...]  "Il giorno della Memoria è inflazionato, la gente è stufa di sentire parlare degli ebrei.


il mio  commento  a  caldo  /d'istinto ( che poi  non lo è  se leggete i link riportati a fine post e le modifiche   segnalate  in  corsivo  del post  in questione    )è   stato  che  poi è  anche    la  risposta     a  chi mi  dice     perché   dici  che  è  una  giornata palla   e  poi  ne  parli  

19 h 
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adesso se ne accorge ? io sono anni che lo dico e lo scrivo come introduzione a miei post in cui ricordo tali che ancora continuo a scrivere perché ci sono ancora delle
💩 che negano o sminuiscono o creano miti auto assolutori tipo italiani brava gente dimenticando che anche noi italiani vi abbiamo partecipato direttamente ( leggi razziali , campi di internamento , poi di transito , collaborando con i tedeschi o da soli nelle deportazioni , con vagoni ferroviari la deportazione in quelli nazisti , ) o indirettamente ( silenzio , ovazioni nelle piazze , con spie e , delazioni , ecc ) a tali brutture e coloro che si sono opposti ed hanno reagito salvando e nascondendo ebrei si contano sulle dita delle due mani


le cause che i media ufficiali quando parlano del 27 gennaio fanno un unicum tra shoah e olocausto ( vedere nel precedente post , le differenze se pur sottili ) concentrandosi solo sul primo dimenticando o minimizzando che ci fu anche l'olocausto cioè lo sterminio di tutte le categorie di persone ritenute dai nazisti "indesiderabili" o "inferiori" per motivi politici o razziali, tra cui le popolazioni slave delle regioni occupate nell'Europa orientale e nei Balcani, neri europei e, quindi, prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici, massoni, minoranze etniche come rom, sinti e jenisch, gruppi religiosi come testimoni di Geova e pentecostali, omosessuali e portatori di handicap mentali e/o fisici

Sitografia




27.1.22

MEMORIA, AMNESIA, INCOERENZA

leggi anche

 
con il post  d'oggi   finisco   la  mia  contro  giornata settimana della memoria    del  27\1\2022   lo so  che   come  dice   


Emiliano Antonino Morrone

11 h 
MEMORIA, AMNESIA, INCOERENZA

Buongiorno per tutto il giorno. Oggi è il Giorno della Memoria. Molti scriveranno pensieri al riguardo: contro la violenza, l'odio, l'ingiustizia, la disumanità.
Domani sarà, come ogni giorno, la Giornata dell'Amnesia e dell'Incoerenza: riprenderemo le nostre piccole guerre contro il vicino di casa, il compaesano, il confinante. Lo riempiremo di insulti, proveremo ad infangarlo, diremo ogni male possibile sul suo conto. Incapaci di costruire comunità, di valorizzare le diversità, di essere accoglienti, solidali, inclusivi. Il buonismo social(e) è interno al capitalismo, che ci induce ad essere mercanti della nostra immagine, megafoni del nostro ego in cerca di quotazioni. Ci vendiamo come prodotti della moda: identici, sgargianti, privi di qualità. In fondo, la storia dei Migliori al governo non è che una metafora, una conferma del desiderio individuale, diffuso, di apparire per ciò che non siamo.

Sarò poco coerente perchè prima ne parlo male e poi lo celebro . Ma l'unico modo per rendere nelle nostre coscienze ( ecco perchè oltre il termine giornata palla uso il termine pulicoscienza ) fatti come : le leggi razziali del 1938 con tutto quello che ne consegue , i vagoni piombati che partirono da Roma a partire dalla notte del 15-16\ottobre del 1943 la retata nazista del ghetto  ( foto sotto a sinistra) ,  i  campi di Fossoli e  della  Riviera  di San Saba   oltre  a quelli    Tedeschi , ecc.    è di continuare  a raccontarla  visto  che i testimoni diretti   o semi diretti  sono scomparsi  o sono sempre  meno . Lo so  sembrerà    una  contraddizione  con quanto  ho  condiviso  con Emiliano  ma  sui ricordi   di  avvenimenti  simili maggiormente  su quelli  più bui    va  gettata (
non solo   a date  fisse , infatti   ne  ho  scritto   prima  di  questa  data  )    la  luce e del presente  per tenerli vivi  , per evitare  che  non si dimentichi ma  soprattutto  vengano emulati o  diffuse  quelle  aberranti ideologie  che ne  sono alla base  stessa .  Ed  i cui germi  \  scorie    troviamo  ancora  oggi   in atti  di nonnismo e  di bullismo estremo , o  in certi  discorsi   di politicanti come Pillon ed  Adinolfi    . 

Scusate   lo sfogo   ma  mi  sono  fatto prendere la mano  . ecco l'articolo  che volevo  proporre oggi   che  un tema      di cui non si parla   quasi  mai  nelle  rituali celebrazioni del  27  gennaio  . Ovvero  il perchè   gli Alleati  non  fecero pur   sapendolo niente 
 
Da il FQ  del  27\1\2022


                         IL SILENZIO   "ALLEATO " SUI LAGER 
SHOAH  DALLA RIUSSIA  AGLI USA  LA  COMPLICITA'   CON I  NAZISTI . 
STERMINIO TUTTI SAPEVANO 

Seppero e tacquero per molto tempo. Fecero finta di non capire o voltarono la testa dall’altra parte. Decisero che l’obiettivo era vincere la guerra e che del resto non potevano occuparsene. Per decine e decine di militari, funzionari, diplomatici, spie, politici dei governi Alleati la Shoah fu un film dell’orrore che – fotogramma per fotogramma – si svolgeva sotto i loro occhi. Intercettazioni,

decrittazioni, rapporti, testimonianze, gli appelli delle organizzazioni ebraiche per fermare lo sterminio: da subito dopo l’invasione nazista dell’unione Sovietica (giugno 1941) per mesi e anni la massa di informazioni prese forma fino a comporre il quadro nero dell’olocausto. Certo, nel dicembre del 1942 Stati Uniti e Gran Bretagna (assieme ai governi in esilio dei Paesi occupati da tedeschi e italiani) denunciarono lo sterminio in una dichiarazione congiunta minacciando di farla pagare alla “barbara tirannia hitleriana”. Troppo tardi.

ERA GIÀ SCRITTO Pochi presero alla lettera il Mein Kampf di Hitler. Nella copia personale di Himmler compare questo passaggio sottolineato (riferito alla Prima guerra mondiale): “Se si fossero tenuti sotto i gas dodici o quindicimila di quegli ebraici corruttori del popolo... si sarebbe salvato un milione di tedeschi, preziosi per l’avvenire”.

I RADIOMESSAGGI decodificati dall’intelligence britannica:

Ucraina - 25 agosto 1941. 1342 ebrei uccisi durante “un’azione di Polizia”; 283 ebrei uccisi dalla Prima Brigata SS. Ucraina – 27 agosto 1941. 2200 ebrei liquidati vicino a Kamenec-podol’skij. Come scriverà il comando territoriale a Berlino, all’11 settembre gli ebrei sterminati ammonteranno a 23.600.

Prussia, Germania – 11 dicembre 1941. Il maggiore delle SS Franz Magill è inviato al campo di concentramento di Oranienburg per farsi spiegare dal personale della Tesch & Stabenow come utilizzare il gas Zyklon (acido prussico) per uccidere prigionieri. Bruno Tesch, il proprietario della società, sarà condannato a morte da un tribunale militare alleato e poi giustiziato.

IL TELEGRAMMA RIEGNER

È il messaggio che l’8 agosto del 1942 Gerhart Riegner, segretario della sezione svizzera del Congresso mondiale ebraico spedisce a Londra e a Washington. “Nel quartier generale di Hitler è stato discusso un piano che prevede che l’intera popolazione ebraica dell’europa sotto il controllo tedesco sia deportata a Est per essere sterminata. L’azione sarebbe programmata per l’autunno prossimo... con modalità che includono l’acido prussico”. La fonte di Riegner è un industriale tedesco.

IL RAPPORTO RACZYŃSKI Il titolo è: “Lo sterminio di massa degli ebrei nella Polonia occupata dai nazisti”, e non l’ha scritto un ricercatore anni dopo la fine della guerra, ma il ministro degli esteri del governo polacco in esilio Edward Raczynski il 10 dicembre 1942. Sedici pagine che riassumono testimonianze e documenti della resistenza: la storia in presa diretta dell’evacuazione dei ghetti, i nomi e i luoghi dei campi di sterminio come Treblinka e Belzec.

AUSCHWITZ Il 4 giugno 1942 i criptoanalisti britannici decodificano un messaggio nel quale il generale delle SS Hans Klammer – che sovraintende alla costruzione dei campi di sterminio – parla di un camino per il crematorio.

A ottobre il traffico radio delle ferrovie tedesche fa riferimento agli arrivi di ebrei polacchi, cechi e olandesi. Ormai i servizi alleati sanno che: 1) il numero di ebrei ammassati nelle baracche non è confrontabile con quello degli ebrei arrivati con i treni; 2) che gli ebrei non lasciano Auschwitz. Lo storico Richard Breitman si è chiesto ironicamente se Auschwitz non fosse diventata una delle più grandi metropoli d’europa.

Il 7 aprile 1944, l’anno nel quale la macchina infernale raggiunge il massimo livello di efficienza (600.000 vittime) due ragazzi slovacchi riescono a scappare dal campo e a tornare a casa. Il rapporto Vrba-wetzeler è la loro testimonianza scritta, c’è tutto: il numero dei treni, la descrizione accurata delle camere a gas e dei crematori, la stima dei morti. Il documento arriva anche in Vaticano mentre si compie il destino di centinaia di migliaia di ebrei ungheresi, il capolavoro logistico del criminale di guerra Adolf Eichmann. Pio XII chiede in una lettera aperta al dittatore ungherese Horthy alleato dei nazisti di “risparmiare a tanta gente sventurata ulteriori sofferenze”; il presidente americano Roosevelt avvisa Horthy di sapere tutto e per ritorsione ordina il 2 luglio di bombardare Budapest. Trenta organizzazioni ebraiche chiedono di colpire con l’aviazione le linee ferroviarie che portano ad Auschwitz e le camere a gas per interrompere lo sterminio. È tecnicamente possibile ma i militari si oppongono. Il 14 novembre il dipartimento della Guerra dice no, e lo scrive: “Siamo impegnati a distruggere le industrie tedesche, non possiamo permetterci diversioni”. Le SS hanno già cominciato a smantellare Auschwitz. I russi stanno arrivando.





22.1.22

la soluzione finale e lo shoah -olocausto compiono 80 . Conferenza di Wannsee. dalla discriminazione e dalla persecuzione al genocidio ebraico e non solo


Come promesso nel post precedente ¹  ,  onde  evitare  di cadere  nella  solita retorica  celebrativa  lascio    che  a parlare  siano  questa  testimonianza   appello 

che   conferma  quello che  dicevo e provo  a dire  d'anni  nonostante  sia deriso    è  trattato come un passatista   e diffusore  di anticaglie , ovvero che la  shoah  e     l'olocausto  debbano essere  anche  se   con gradualità   insegnante    fin dalla  più tenera  età .


  e  i  fatti Conferenza di Wannsee     cui quest'anno  si  celebrano  gli  80 anni   ovvero quando    dalla discriminazione   "  semplice  persecuzione  "   si  è passati al genocidio  .  


  da   https://encyclopedia.ushmm.org/search?query=Conferenza+di+Wannsee&languages%5B%5D=it

Durante la Conferenza di Wannsee, tenutasi a Berlino nel gennaio 1942, le SS (la guardia speciale d'elite dello stato nazista) e i rappresentanti dei ministeri del governo tedesco stimarono che la Soluzione Finale (il piano nazista per l'eliminazione degli Ebrei d'Europa) avrebbe coinvolto 11 milioni di Ebrei, inclusi quelli di paesi in quel momento non occupati, come l'Irlanda, la Svezia, la Turchia e la Gran Bretagna. Molti degli Ebrei che vivevano in Germania e nelle zone europee occupate furono deportati tramite convogli ferroviari nei campi di sterminio situati nella Polonia occupata, dove vennero uccisi. I Tedeschi cercarono di celare le loro intenzioni riferendosi alle deportazioni come a "re-insediamenti a est"; alle vittime veniva detto che sarebbero state portate nei campi di lavoro, ma in realtà, a partire dal 1942, la deportazione significò per la maggior parte degli Ebrei un breve periodo di transito verso i campi di sterminio e poi la morte.

da  https://it.wikipedia.org/wiki/Conferenza_di_Wannsee

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Metodi provvisori di persecuzione e uccisione[modifica | modifica wikitesto]

«Soluzioni territoriali»[modifica | modifica wikitesto]

In verde l'area del Governatorato Generale dopo la campagna di Polonia, e in verde chiaro l'area aggiunta al Governatorato dopo l'operazione Barbarossa

Alla data dell'invasione nazista della Polonia, il regime hitleriano era riuscito a cacciare dalla Germania circa 250 000 ebrei; tuttavia con l'inizio della seconda guerra mondiale la Judenpolitik «entrò in una fase totalmente nuova e più radicale». Circa 1,7 milioni di ebrei polacchi si ritrovarono nei territori annessi al Reich e così nell'orizzonte mentale nazista nacque l'impellente necessità di trovare una soluzione a ciò che era percepito come un notevole problema[5].  Le soluzioni iniziali furono di tipo «territoriale», ovvero la deportazione organizzata e sistematica degli ebrei soggetti al controllo tedesco in una «riserva» situata alla periferia dei territori conquistati; tuttavia le difficoltà logistiche e l'impossibilità di deportare semplicemente gli ebrei in altri paesi confinanti rese impraticabile questo progetto. Successivamente, con la conquista della Francia e delle sue colonie nella primavera-estate 1940, fu lanciata una radicale idea di «soluzione territoriale», ossia quella di deportare tutti gli ebrei nella colonia francese del Madagascar. Secondo le stime, dai 4 ai 6 milioni di persone dovevano essere trasferiti sull'isola e sottoposti a un regime di polizia. Come affermò in merito Franz Rademacher, «referente per gli ebrei» (Judenreferat) presso il ministero degli Esteri, l'intenzione era quella di considerarli «ostaggi della Germania a garanzia della buona condotta dei loro compagni di razza americani» e, «in caso di azioni ostili degli ebrei statunitensi contro il Reich», prendere nei loro confronti i «necessari e adeguati provvedimenti punitivi». Il clima intimidatorio creato da queste minacce, ma soprattutto il fatto che l'isola non offriva le condizioni per permettere a milioni di emigranti di sopravvivere (peraltro non considerate dai responsabili tedeschi) indicano che anche l'opzione Madagascar non ambiva a costruire una sorta di patria in cui accogliere gli ebrei d'Europa, bensì a sottoporli a insostenibili condizioni di vita, con conseguente abbassamento del tasso di natalità e un progressivo annientamento fisico[5]. Il persistere della guerra con l'Impero britannico e la conseguente inaccessibilità dell'isola costrinse Heydrich, capo del Reichssicherheitshauptamt (Rsha) e all'epoca figura centrale nella persecuzione degli ebrei, a elaborare una terza «soluzione territoriale». Nel gennaio 1941 presentò a Hitler un progetto dettagliato per la «soluzione finale» in ambito europeo, da portare a termine una volta conclusa la guerra; questa consisteva nel deportare tutti gli ebrei a est, in Unione Sovietica, dato che il Reich si stava preparando a invaderla. Tra marzo e luglio 1941 Heydrich presentò a Göring due bozze in cui venivano predisposti i piani generali di deportazione, che Heydrich stesso avrebbe supervisionato e coordinato. Il 31 luglio Göring ordinò a Heydrich di predisporre «tutte le necessarie misure per preparare dal punto di vista organizzativo, pratico e materiale una soluzione globale della questione ebraica nell'area dell'Europa sotto influenza tedesca», di coinvolgere, qualora necessario, altre istanze centrali (soprattutto il ministro dei Territori occupati Alfred Rosenberg) e infine di presentargli un «piano globale» relativo ai provvedimenti da adottare: a questa delega Heydrich si sarebbe richiamato in occasione della conferenza di Wannsee. Le premesse per la deportazione in massa degli ebrei d'Europa all'indomani della vittoria sull'Unione Sovietica erano dunque state create; nel frattempo sarebbe stato il territorio del Governatorato Generale (Generalgouvernement) a ospitarli in zone da utilizzare come «riserva per gli ebrei» o Judenreservat (ad esempio nel distretto di Lublino) in attesa di essere deportati verso le zone interne della Russia[6]. Questi progetti non erano stati concepiti per promuovere una futura patria semita, come rivelò nel novembre 1939 in un rapporto il vicegovernatore Arthur Seyss-Inquart:

«[...] il distretto di Lublino, assai paludoso, potrebbe ben servire come riserva per gli ebrei, producendo con ogni probabilità una drastica decimazione»

(Rapporto di Seyss-Inquart, 20 novembre 1939[7])

Le deportazioni iniziarono effettivamente nell'autunno 1941, ma la Wehrmacht non ottenne la preventivata veloce vittoria sull'Unione Sovietica. Si generò, pertanto, un'ulteriore radicalizzazione della Judenpolitik che, dopo l'attacco tedesco ai territori sovietici, assunse rapidamente le dimensioni di un genocidio[5].

Deportazioni e fucilazioni[modifica | modifica wikitesto]

L'operazione Barbarossa, scattata il 22 giugno 1941, servì alla Germania a dare avvio a una campagna militare razziale, di conquista brutale e distruzione. La popolazione sovietica, che nell'immaginario nazionalsocialista non era altro che un insieme eterogeneo di popoli slavi e «razze miste» di ceppo asiatico considerate "sottouomini" (Untermenschen), sarebbe stata assoggettata, espulsa verso le aree interne della Russia o lasciata morire di fame. Ciò avrebbe permesso di liberare uno «spazio vitale» in cui i coloni tedeschi, o quelli provenienti da aree geografiche o nazioni considerate germaniche, come i Paesi Bassi e la Scandinavia, si sarebbero trasferiti.

Da sinistra a destra: Rudolf HessHeinrich HimmlerPhilipp BouhlerFritz Todt e Reinhard Heydrich ascoltano Konrad Meyer-Hetling durante un'esposizione del Generalplan Ost, 20 marzo 1941

La guerra, inoltre, creò i presupposti per un'azione diretta nei confronti della componente ebraica della popolazione dell'Europa orientale, componente che sarebbe stato necessario eliminare sistematicamente per privare il cosiddetto «bolscevismo giudaico» della propria base demografica. Perciò, uno degli obiettivi principali dell'invasione tedesca dell'Unione Sovietica fu quello di sopprimere tutti gli esponenti di una non meglio definita classe dirigente ebraico-comunista, per consegnare ai coloni tedeschi a guerra finita lo spazio vitale "libero dagli ebrei" (Judenfrei) nell'ambito del più generale progetto di ristrutturazione territoriale e demografico dell'Est europeo sotto dominio tedesco, noto con il nome di Generalplan Ost[8]. Già durante la preparazione dell'invasione dell'Unione Sovietica, Hitler aveva emanato una serie di direttive che miravano all'eliminazione dell'«intellighenzia giudaico-bolscevica», chiarendo a generali, ufficiali delle SS e della Wehrmacht che la guerra a est non si sarebbe svolta secondo i classici canoni di uno scontro tra belligeranti, ma che sarebbe stata una vera e propria lotta tra due ideologie contrapposte, da svolgersi quindi con tutta la determinazione possibile: si doveva agire senza pietà contro gli agitatori bolscevichi, i partigiani, i sabotatori, gli ebrei e annientare ogni forma di resistenza attiva o passiva. Parallelamente furono diramate disposizioni che di fatto concedevano carta bianca alle truppe al fronte, le quali non sarebbero state in alcun modo punite se ritenute responsabili di crimini di guerra: in questo contesto il Reichsführer-SS Heinrich Himmler affidò le mansioni di rastrellamento ed eliminazione fisica delle categorie citate a quattro Einsatzgruppen ("unità operative" composte da personale della SiPo e del SD), ma anche a ventitré battaglioni della Polizia d'ordine e a tre SS-Totenkopfbrigaden (i reparti "Testa di morto" delle SS, sottoposte direttamente a Himmler), che avrebbero agito nelle retrovie del fronte in collaborazione con distaccamenti dell'esercito regolare[8].

Nel maggio 1941 le condizioni di vita nel ghetto di Varsavia erano già atroci: un anziano giace sul marciapiede, sopraffatto dalla fame e dalla fatica

Le fucilazioni sistematiche e indistinte degli ebrei iniziarono dunque già nella prima metà dell'agosto 1941; al contempo Himmler aveva ingiunto di dare inizio a uccisioni in massa anche di donne e bambini, esortando le SS-Totenkopfbrigaden a organizzare grandi massacri di migliaia di civili ebrei. Allo scopo di completare tale piano, il Reichsführer-SS spostò il cuore delle operazioni dalla SiPo, le cui Einsatzgruppen erano addette in primo luogo alle uccisioni dei bolscevichi ebrei, ai comandanti in capo delle SS e della polizia, i quali, in quanto suoi plenipotenziari a livello locale, potevano coinvolgere i membri di tutti i corpi delle SS e della polizia per un genocidio da estendere all'intero territorio. In tal modo, accanto alla rodata via gerarchica per la politica verso gli ebrei che andava da Hitler a Göring fino a Heydrich, Himmler ne attivò una seconda con l'autorizzazione di Hitler. Da allora poté intervenire ovunque nella Judenpolitik attraverso i suoi sottoposti delle SS e della polizia, riguadagnando quindi il terreno politico perduto nei confronti di Heydrich, il quale dal 1939 era stato colui che più di tutti si era dedicato alla persecuzione degli ebrei[8].

Alla fine del 1941 almeno mezzo milione di ebrei era già stato ucciso dalle forze armate tedesche in Unione Sovietica, ma lo sterminio non era ancora diventato la soluzione definitiva: Hitler, Heydrich e gli alti gerarchi continuarono a confidare nell'idea di trasferire gli ebrei d'Europa nei territori che avrebbero conquistato alla conclusione vittoriosa del conflitto[9] e, non a caso, il processo di raccoglimento degli ebrei nei grandi ghetti del Governatorato Generale era andato avanti speditamente. Tuttavia, quando si comprese che la guerra sarebbe durata ancora a lungo, si andarono delineando in maniera più precisa i contorni della tappa successiva alla ghettizzazione. Nell'inverno 1941-1942 cominciò l'estensione del sistema concentrazionario tedesco sul territorio polacco, comprese le aree della Polonia annesse al Reich (come nel caso di Auschwitz), operazione che fu contraddistinta dalla costruzione di veri e propri campi di sterminio e che segnalò una nuova e inquietante fase dell'atteggiamento nazista nei confronti della questione ebraica[10].

Scarico di cadaveri da un treno di deportati verso i campi di concentramento

Questo "salto qualitativo", incrociato con il piano di ristrutturazione territoriale e demografico teorizzato nel Generalplan Ost, non lasciava dunque alternativa alcuna alla soluzione della liquidazione fisica. Secondo lo storico Enzo Collotti, quindi, a differenza dell'ipotesi avanzata dallo storico statunitense Arno J. Mayer, la decisione dello sterminio non fu conseguente al fallimento dell'operazione Barbarossa, ma anteriore a essa, in quanto appunto guerra di sterminio su base ideologica e biologica fin dalla preparazione. Alla fine del 1941 il meccanismo della distruzione in massa, del quale le Einsatzgruppen non erano che una variante relativamente autonoma, era ormai in pieno dispiegamento: la conferenza di Wannsee non rappresentò, come talvolta si dice, il momento in cui fu decisa la soluzione finale, ma semplicemente la tappa fondamentale per il suo coordinamento e la sua sincronizzazione a livello continentale europeo[11].

Nel settembre 1941 Hitler aveva già deciso di dare avvio alle deportazioni senza attendere la vittoria sull'Unione Sovietica e, nell'autunno successivo, i vertici del regime nazista presero a considerare e condurre la guerra su tutti i fronti come una lotta «contro gli ebrei»; Hitler e i gerarchi si mostrarono decisi a non farsi influenzare dall'andamento delle ostilità e a perseverare nell'obiettivo di deportare gli ebrei in un luogo isolato per abbandonarli al loro destino o ucciderli attraverso il lavoro[9][12]. Nelle settimane che seguirono la decisione di dare avvio alle deportazioni, Hitler evidenziò la sua risolutezza a espellere definitivamente tutti gli ebrei dall'Europa e il 23 settembre il ministro della propaganda, Joseph Goebbels, fu informato dal Führer che Berlino, Vienna e Praga sarebbero state le prime città a essere "liberate" dagli ebrei. Il successivo 6 ottobre Hitler dichiarò che tutti gli ebrei dovevano essere allontanati dal Protettorato, ma non condotti nel Governatorato Generale, bensì ancora più a est. Insieme agli ebrei del Protettorato sarebbero dovuti «scomparire anche gli ebrei di Vienna e Berlino». Come Heydrich chiarì durante un colloquio tenuto il 10 ottobre a Praga, Hitler si augurava che gli ebrei venissero allontanati dal suolo tedesco possibilmente entro la fine dell'anno. Inoltre le deportazioni della primavera successiva avrebbero interessato anche le popolazioni semite presenti nei territori occupati[9].

Sterminio[modifica | modifica wikitesto]

Esecuzione di civili sovietici da parte di Einsatzgruppen

Una volta iniziate le deportazioni alla metà di ottobre, i vertici nazisti iniziarono a parlare sempre più spesso e apertamente della «distruzione» degli ebrei[13]. Queste dichiarazioni perseguivano lo scopo palese di accelerare e forzare la radicalizzazione della Judenpolitik già avviata con le deportazioni e le «soluzioni finali» messe in atto a livello regionale e locale, ad esempio le fucilazioni di massa operate dalle Einsatzgruppen e dalla Wehrmacht in Unione Sovietica e nei Balcani: infatti, soprattutto in Serbia, è provato che i soldati regolari giustiziassero in gruppi gli ebrei presi in ostaggio come ritorsione per le aggressioni dei partigiani nei confronti di militari tedeschi. Nel paese fecero inoltre una precoce comparsa i gaswagen creati su iniziativa del Sonderkommando Lange, inizialmente destinati alla soppressione dei disabili in Germania e, successivamente, utilizzati per uccidere ebrei e prigionieri di guerra sovietici anche nei territori occupati all'est. Sempre nella seconda metà del 1941 i tedeschi avevano avviato le sperimentazioni con lo Zyklon B nei campi di concentramento, dove furono edificate le prime rudimentali camere a gas, e l'impostazione dei primi campi di sterminio, che dovevano spostare il massacro dal livello dell'efferatezza selvaggia dei reparti speciali alla premeditazione scientifica dell'eccidio programmato e industrializzato.[14][15] Una radicalizzazione ulteriore della Judenpolitik avvenne con l'ingresso in guerra degli Stati Uniti d'America, il che rappresentò per i vertici nazisti un segnale inequivocabile dello spettro della congiura mondiale giudaica contro la Germania[13]. Se nell'autunno 1941 Hitler aveva considerato l'ipotesi di usare gli ebrei deportati come ostaggi per impedire l'entrata in guerra degli Stati Uniti, l'apertura delle ostilità con Washington rese obsoleto questo machiavellico calcolo politico; tuttavia, il Führer mantenne ferme le proprie convinzioni e ribadì le minacce di distruzione[16]. La decisione presa da Hitler di deportare nell'immediato tutti gli ebrei nei territori sotto l'influenza tedesca a est, tracciò le coordinate degli sviluppi futuri della Judenpolitik, nonostante non esistesse un piano globale o un preciso orientamento temporale per la distruzione degli ebrei d'Europa: prima della decisione definitiva e in attesa di una vittoria totale sui sovietici, le deportazioni sarebbero approdate in ghetti sparsi tra il Governatorato, l'Unione Sovietica e la Cecoslovacchia, pensati come campi di transito. La decisione di dare il via alle deportazioni ebbe come conseguenza l'inizio di frenetici preparativi volti alla costruzione di grandi strutture in cui uccidere con l'ausilio dei gas gli ebrei locali «inabili al lavoro», fatte sorgere nei pressi dei ghetti scelti come meta delle prime ondate di deportazioni dal Reich: a Riga per l'area di Łódź, a Bełżec (Lublino) e a Mogilëv (Minsk)[17]. Tuttavia, nell'autunno 1941, l'intenzione di deportare verso est gli ebrei rimasti nei territori sovietici occupati all'indomani della fine vittoriosa del conflitto non era ancora tramontata e rimaneva uno dei piani della «soluzione finale» da realizzarsi a lungo termine, non con lo sterminio diretto. Nell'ottica dei principali attori del genocidio, dunque, alla fine del 1941 nacque l'esigenza di ricondurre a un unico denominatore comune le due linee di sviluppo della Judenpolitik in cui si riconoscevano rispettivamente Himmler e Heydrich[17]: estendere le fucilazioni in massa e le «soluzioni territoriali» messe in atto dalle SS- und Polizeiführer in Unione Sovietica, trasformandole in genocidio; oppure sviluppare un «piano di totale evacuazione degli ebrei dai territori occupati», di cui Heydrich era debitore a Göring sin dalla fine di luglio precedente[9].

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    è ricordate  questo è  stato   ....  mi fermo qui    perchè  due  parole  sono troppe   e  una  è  poco  . 

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