Paola Turci e Francesca Pascale “si sposano”. In realtà un unione civile cioè si “uniscono” perché in Italia ci sono le unioni civili e non ancora il matrimonio egualitario. Infatti in Italia l’unione civile non è uguale al matrimonio. Per esempio, se decidessero di diventare mamme( tramite utero d'affitto \ maternità surrogata o fecondazione esterna ) , solo una delle due sarebbe riconosciuta come madre dallo Stato italiano”. << [...] Al di là di tutto l’amore trionfa sempre perché chi è se stesso ha già vinto>> ( dagli auguri di Vladimir Luxuria )
Comunqu ciò è sempre , vip o non vip una bellissima notizia. Anzi, in un Paese normale, non dovrebbe essere neanche una notizia, se non per le persone che vogliono loro bene e per il pubblico che le segue con affetto.
Ma siamo in Italia. E allora, in pochi minuti, ecco che esce fuori tutto il basso repertorio di bigottismo,
omofobia, cialtroneria e battutine ignobili.
Addirittura riviste (o presunte tali) come Dagospia che titolano: “Impepata di nozze lesbo” in un goffo tentativo di gioco di parole e il riferimento scontatissimo all’ex fidanzata di Berlusconi che - letteralmente - “si butta sulla patonza”. Come se una donna che prima è stata con un uomo non potesse amare una donna.E ancora, sui social: “Che schifo”, “Mi viene da vomitare”, addirittura: “Meriteremmo l’estinzione, ci salverà Gesù” e via più giù, sempre più giù, in uno spurgo dalle fogne di una società sempre più incattivita, ignorante e retrograda.Io, davanti a questa (non) notizia, vedo solo due donne che si amano e decidono di unirsi insieme. Se proprio volete scandalizzarvi per qualcosa, fatelo perché ancora oggi, nel 2022, due persone dello stesso sesso non possono ancora avere un matrimonio come tutti, perché il matrimonio egualitario in Italia ancora non esiste. A fare notizia non è tanto per i nomi dei vip ma per il fatto ,
normale in tutta Europa , che la Pascale è stata l ex compagna di un maschio all’antica , si sposi ( anche se in realtà è unione civile non un vero e proprio matrimonio ) con una donna era inimmaginabile fino a qualche tempo fa. E non solo perché non esisteva ancora una legge che consentisse in questo caso a Paola Turci e Francesca Pascale di dirsi quel che si diranno domani davanti al sindaco di Montalcino. Il paese reale ( non quello politico \ istituzionale ) anche se con notele ritardo proprio cambiando che lo si voglio o meno il nostro modo di accostarci a questo genere di notizie, che per chi ha meno di trent’anni non sono neanche più notizie, ma quieta normalità. <<Se noi "boomer" >> come dice Massimo Gramellini, Paola e Francesca sul il corriere della sera d'oggi << ancora ci emozioniamo a parlarne, è perché ci ricordano che quello dei diritti civili, pur tra contraddizioni e ritardi, è uno dei pochi mondi a essere cambiato [o in via di cambiamento corsivo mio ] in meglio nel corso della nostra vita, avendo allargato il ventaglio delle opportunità (esattamente l’opposto di quanto è accaduto per i diritti sociali).>> La storia d’amore tra Paola e Francesca è più forte dei pregiudizi e persino della popolarità delle protagoniste. Ma non per tutti /e visto anche non pochi elesa tu
Paola Turci denuncia gli insulti omofobi ricevuti dopo la notizia delle nozze con Francesca Pascale
Nelle sue storie di Instagram Paola Turci mostra un insulto omofobo ricevuto dopo la notizia delle sue nozze con Francesca Pascale
Alla notizia delle nozze tra Paola Turci e Francesca Pascale moltissimi si sono congratulati con la coppia per il grande passo – che sarebbe dovuto restare segreto – e hanno gioito commossi per la loro storia d’amore. Allo stesso tempo però sui social si è riversata sulla cantante e sulla donna di spettacolo un enorme carico di odio omofobo e di invidia, tra chi si arrabbiava per il risalto dato alla notizia e chi sosteneva di stare per “vomitare”. La stessa Paola Turci ha denunciato nelle storie del suo profilo Instagram personale un messaggio privato ricevuto da una guest house piemontese: “Lesbicona, che schifo”. “Ignoranza, omofobia, cattiveria e infelicità in una sola frase”, ha commentato la cantante indicando lo squallido commento.
E non mancano quelli pronti a scomodare la parola “schifo” per la vicenda, come se il loro giudizio sulla relazione importasse davvero a qualcuno
È la storia di rinascita che tutti sogniamo. Quando il destino, dopo averti toccato duramente (penso a Paola Turci, sopravvissuta a un terribile incidente stradale), ti concede una seconda possibilità, quella di reinventarti una vita e un’identità. È così bello essere liberi ed esercitare la propria scelta di vita senza arrecare danno agli altri. Perché a qualcuno fa ancora tanta paura ?
Tutti, a Palmadula, sapevano di quella casa finita all'asta giudiziaria. Niente di che, una manciata di metri quadrati segnati dal tempo, crepe nel soffitto, un terreno zeppo di erbacce. Ma, a quelle quattro mura le sorelle Zara erano legate dall'infanzia. «Era di babbo - dicono - veniva qui a piedi dall'Argentiera». L'aveva comprata 80 anni fa il nonno. Poi il proprietario era diventato uno zio, morto improvvisamente nel 1995, senza testamento ma con una lunga scia di debiti. I familiari non trasferirono subito la proprietà e la casa venne requisita dal tribunale. Il valore del bene stimato era di 129mila euro. Così i familiari cercarono di recuperare i soldi, contattarono il curatore fallimentare manifestando l'interesse a riacquistare l'immobile, e nel frattempo aspettarono che, dopo qualche asta deserta, il prezzo diventasse abbordabile. Alla fine, con 35mila euro, l'affare si poteva chiudere. A quell'asta, tra i compaseani, non si era presentato mai nessuno. Perché delle 300 anime di Palmadula, chi avrebbe mai avuto il coraggio di fare un simile torto? Eppure dal curatore fallimentare si fece avanti un acquirente del tutto inaspettato. «Quando l'ho visto non volevo credere ai miei occhi - dice Luca Massetti, figlio di Anna - era padre Alberto Azzeris Moretti, il parroco della nostra borgata». Nella sua busta chiusa c'erano 55 mila euro, contro i 35 della famiglia Massetti-Zara. L'asta partì proprio da quella cifra, e con un paio di rilanci pesanti il sacerdote si aggiudicò il bene per 80mila euro. I diretti concorrenti si arresero a 71mila. «Mai ci saremmo aspettati una simile pugnalata dal nostro prete», dissero. E lui, don Alberto, rispose così: «Io mi sono presentato a quell'asta in qualità di privato cittadino, non di sacerdote e come privato cittadino ho il diritto di investire i miei soldi come meglio ritengo. Senza dare spiegazioni a nessuno. Da quel rudere realizzerò una residenza per anziani che in futuro donerò alla diocesi». Invece, scherzo da una parte, scherzo dall’altra, la storia è andata ben diversamente. Ci sono voluti otto anni per il lieto fine, ma finalmente è arrivato. Infatti se Il primo a fare lo scherzo da prete, otto anni fa, era stato don Alberto Azzeris Moretti. Si era presentato a sorpresa all’asta giudiziaria, e a colpi di rilancio aveva soffiato la casa di Palmadula agli ex proprietari che tentavano di ricomprarla.
Le due anziane sorelle, Anna e Paola Zara, ( foto sopra ) che in quelle quattro mura erano nate, cresciute, ci vivevano e ci lavorano, e che col parroco avevano un rapporto di amicizia e fiducia, per poco non ci restarono secche. Otto anni dopo, tra tira e molla in tribunale, sfratti, ufficiale giudiziario e sgombero con svenimento, lo scherzo da prete lo mettono a segno i figli e nipoti Massetti-Zara. «Non ci siamo mai rassegnati a perdere la casa di famiglia – racconta Luca – Quello era un pezzo di cuore». Così, dopo averle tentate tutte, tra litigi col parroco, avvocati, lettere ai vescovi e dopo aver scomodato perfino il Papa, non potendo bussare più in alto, hanno tentato la soluzione fai da te. Voce femminile, accento meneghino: «Buongiorno don Alberto, sono la signora... chiamo da Milano e sarei interessata ad acquistare la sua casa di Palmadula». Il parroco all’inizio non sembra molto entusiasta della proposta, ma dopo altre telefonate vacilla e comincia a mostrare interesse. I Massetti, in verità, ci avevano già provato qualche mese prima, ma l’accento romano non era stato altrettanto convincente. L’acquirente della borghesia lombarda, invece fa breccia. «È stata la compagna di mio fratello. Lui ci è cascato in pieno». Così si mettono d’accordo per il prezzo, consegnano tutta la documentazione al notaio, e finalmente il 26 di gennaio arriva il momento della firma. Don Alberto Azzeris Moretti impugna la penna e mette il suo nome nero su bianco. Non appena la casa cambia proprietario, ecco l’operazione “Carramba che Sorpresa!!!”. Quando “l’imprendiprete”, così è stato soprannominato a Palmadula, esce dallo studio notarile, ad accoglierlo c’è la famiglia Massetti. Luca abbassa la mascherina e dice: «Don Alberto, come va? Mi riconosce adesso? Ha visto? Tutto è bene quel che finisce bene. Alla fine la casa è ritornata ai suoi proprietari».Il parroco a quel punto capisce tutto, ma non fa una piega. Incassa lo scherzo da prete senza scomporsi. Saluta e va via con gentilezza, come se nulla fosse accaduto. D’altronde quella casa l’aveva comprata all’asta per 80mila euro, e adesso l’aveva ceduta per 110. «Sì – dice Luca Massetti – ma a noi non l’avrebbe venduta nemmeno per un milione».
Eccco uan storia che succede in un italia sempre più multi etnicsa . Dove basta un nome straniero , che a causa dell'ignoranza dei media ( ed incosapevolmente dei bambini , in particolare quelli fra fra i 3-14-15) che sono come spugne ssorbono tutto quelllonche sentono \ vedono da tv , internet e genitori . E quindi avranno sentito che Jihad
voglioa solo dire qguerra santa e quindi secondo " noi occidentali " terrorismo e barbarie.Infatti : << In età contemporanea il termine viene utilizzato con significato esclusivamente militare; tuttavia per quanto questa sia l'interpretazione più comune di jihād, è degno di nota che la parola non è usata strettamente in questo senso nel Corano, il testo sacro dell'Islam. È anche vero, tuttavia, che la parola è usata in numerosi hadīth sia in contesti militari che non militari >>( dalla voce Jiad di wikipedia )
Da dieci anni, da quando è nata, si chiama Jihad: questo il nome che i
suoi genitori, una coppia di origine marocchina e residente in provincia
di Macerata, aveva scelto. Ora però mamma e papà ci hanno ripensato, e
hanno deciso di cambiarle il nome, si chiamerà "Giada". La richiesta è
stata presentata alla Prefettura, che non ha ravvisato alcun motivo per
bocciarla e, anzi, ha ritenuto che il termine "sia correlato, in alcuni
contesti, ad eventi spiacevoli e può pertanto condizionare negativamente
le relazioni sociali della bambina".
Come ha spiegato il padre, "Jihad è
un nome molto diffuso nella cultura musulmana e significa 'esercitare
il massimo sforzo per fare del bene'. Un'accezione positiva: quando noi
musulmani pensiamo alla Jihad, infatti, pensiamo all'impegno verso la
famiglia, a un padre che si toglie il cibo di bocca per sfamare i propri
figli, nulla di tutto quello che vediamo in televisione. Nelle altre
culture si tende a confondere, a far passare tutto come negativo, mentre
i terroristi che uccidono solo per soldi non hanno nulla che vedere con
la nostra religione o con le nostra cultura. Ecco perché, per evitare
che nostra figlia crescendo potesse incontrare dei problemi solo per il
nome, abbiamo pensato di fare così".
La bimba ha raccontato che a scuola qualche compagnetto ha fatto qualche battuta
poco simpatica sul suo nome, e i genitori, dopo aver chiesto alla
piccola se fosse d'accordo, hanno quindi deciso di farla diventare
"Giada"