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1.4.24

Diario di bordo n 41 anno II -amicizie feline , Uova di Pasqua più costose per la crisi del cacao che affonda le radici nella crisi climatica ., Nel mese di Ramadan come nella Pasqua la condivisione del cibo è sacra ., I nazisti andarono a caccia di balene per ottenere l’autarchia della margarina ., e altre storie

 Care lettrici e cari lettori, buona pasquetta.
Spero che ieri abbiate passato un sereno giorno di festa. E che anche oggi possiate trascorrere la giornata all'aria aperta (tempo permettendo) con le persone a voi più care. Se avrete tempo per leggere, in questa newsletter trovate oggi articoli e racconti presi  come  sempre  di più ampio respiro, slegati (   almeno  ci  ho  provato  )  dalla pressione dell'attualità.




25 m ·

In Corso Matteotti a Tempio, c'è una coppia inseparabile che ha catturato il cuore di tutti: Anita e Rocco, due gatti affascinanti per la loro dolcezza e pulizia. Questi amici pelosi hanno scelto di celebrare la loro amicizia ritrovandosi, da anni, sempre davanti allo stesso negozio. Stanno diventando un simbolo per le
passeggiate quotidiane dei cittadini di Tempio, attirando sorrisi e saluti affettuosi dai passanti. Osservandoli, non ho potuto fare a meno di notare l'onda di tenerezza che suscitano in chiunque li incontri. Anita e Rocco non sono solo compagni di vita, ma anche testimoni silenziosi delle storie che si snodano attorno a loro. Condividere la loro storia è un modo per celebrare l'amicizia perché spesso, nel loro piccolo, gli animali sanno insegnare qualcosa a noi umani.
Poi io adoro i gatti, quindi non posso che pubblicare questa foto







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  da   :www.editorialedomani.it/


Uova di Pasqua più costose: la crisi del cacao affonda le radici nella crisi climatica

I prezzi alle stelle del cacao di questi ultimi mesi sono lo specchio di come gli eventi estremi legati al cambiamento climatico stiano già modificando le disponibilità di alcuni dei prodotti alimentari più diffusi e consumati al mondoCacao amaro. Non tanto nel gusto, ma certamente nel prezzo a tonnellata, che è quasi quintuplicato rispetto agli scambi del 2020. In questi giorni a New York una tonnellata di cacao è arrivata a toccare quota 10.000 dollari.A parità di peso, il cacao vale oltre 11 volte più del petrolio. Una crisi di tutto il settore, ma che affonda le sue radici in Africa Occidentale, dove si produce il 70 per cento delle fave di cacao a livello globale. Già nelle prime settimane di marzo, infatti, i principali impianti di lavorazione in Costa d’Avorio e Ghana segnalavano di aver interrotto o ridotto le operazioni perché i prezzi delle fave erano troppo elevati, non permettendo loro di acquistare la materia prima.E tutto questo arrivava dopo un’eccezionale ondata di calore che ha colpito l’area del golfo di Guinea e che ha indubbiamente avuto un impatto anche sul settore agricolo. Molti contadini infatti riportavano danni alle colture, riduzione nella crescita delle piante e un rallentamento in quella dei baccelli, causati proprio dalle temperature estremamente elevate per la stagione.
ONDATA DI CALORE ANOMALAA febbraio, l’Africa Occidentale è stata colpita da un’ondata di caldo insolitamente intensa per l’inizio della stagione, con temperature che normalmente non vengono raggiunte fino a marzo o aprile. Il caldo più intenso si è verificato dall’11 al 15 febbraio, con temperature superiori a 40°C.
Secondo uno studio pubblicato dalla World Weather Attribution (Wwa) la combinazione di temperature elevate e di aria relativamente umida ha portato a valori medi dell’indice di calore di circa 50°C, mentre a livello locale i valori hanno raggiunto addirittura il livello di “pericolo estremo”, con valori percepiti fino a 60°C. Secondo i ricercatori l’indice di calore è più elevato di 4°C a causa dei cambiamenti climatici in atto, e gli eventi di caldo umido così intensi sono diventati 10 volte più probabili con un aumento delle temperature medie di 1,2°C (l’attuale riscaldamento registrato a livello globale).
UOVA DI PASQUA
Non solo. Nel dicembre 2023 la Costa d’Avorio e il Ghana, i due maggiori paesi produttori di fave di cacao al mondo, hanno registrato piogge intense che hanno decimato le rese delle coltivazioni. Precipitazioni totali che sono state più del doppio della media trentennale per quel periodo dell’anno.Le condizioni umide estreme hanno così portato molte piante a contrarre la cosiddetta “malattia del baccello nero”, che causa la marcescenza dei frutti della pianta del cacao. Tuttavia, queste condizioni umide sono state rapidamente seguite dalla siccità tipica di El Niño a febbraio 2024, portando a un’ulteriore perdita dato che la coltura del cacao è estremamente sensibile alla carenza d’acqua. Gli agricoltori si son così trovati dall’avere troppa acqua a non averne abbastanza.
«Gli agricoltori dell’Africa Occidentale che coltivano l’ingrediente principale delle uova di Pasqua che molti di noi non vedono l’ora di ricevere stanno lottando contro condizioni estreme di caldo e di precipitazioni intense», ha commentato in un recente rapporto Amber Sawyer, analista presso l’Energy and Climate Intelligence Unit (Eciu) inglese. Mentre Ben Clarke, assistente di ricerca sull’analisi e l’interpretazione dei dati climatici per le condizioni meteorologiche estreme presso il Grantham Institute, ha sottolineato come «il cambiamento climatico, guidato sempre più dal consumo di combustibili fossili, sta moltiplicando questa sfida naturale in molte regioni, alimentando condizioni sempre più estreme, devastando i raccolti e facendo aumentare i costi del cibo per tutti».
CHI PAGA QUESTA CRISI ?
Fa riflettere un punto su tutti. Chi sta pagando per questa crisi? Certamente i consumatori, che si ritrovano con prezzi al dettaglio estremamente elevati.Ma se guardiamo dall’altra parte della catena la situazione è ancora peggiore: basti considerare che, in media, il 70 per cento del valore totale e il 90 per cento dei margini totali generati dai coltivatori di cacao vanno agli ultimi due attori della catena: ai marchi e ai rivenditori. A monte, solo il 18,6 per cento del valore totale e meno del 7,5 per cento del margine totale sono generati dalla forza lavoro presente nei paesi produttori di cacao (dalla coltivazione del cacao fino alle esportazioni delle fave).C’è da chiedersi, quindi, chi stia realmente guadagnando da quella che sembra essere una crisi di approvvigionamento mondiale, mentre la cioccolata sta diventando sempre più un bene di lusso.


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Nel mese di Ramadan come nella Pasqua la condivisione del cibo è sacra

Cibo e religione sono legati da un connubio antichissimo. Si vede nel rito della messa, ma anche nell’islam, con l’Iftar, il pasto conviviale che spezza il digiuno nel mese di Ramadan La celeberrima frase «L’uomo è ciò che mangia», formulata nell’Ottocento dal filosofo Feuerbach, contiene in sé una verità umana fondamentale. Se andiamo al di là del senso materialistico con cui il filosofo la intendeva, ci rendiamo conto che il cibo non è solo l’alimento necessario per la sopravvivenza fisica, ma è anche un importante segnale attraverso il quale l’uomo interagisce con il prossimo, condividendo le gioie ma anche i dolori. Al di là dei nutrienti, il cibo risulta “condito” da un profondo valore simbolico e conviviale la cui massima espressione la si ritrova in gran parte delle religioni. Il cibo allora rappresenta un importante paradigma che non solo predispone il contatto tra gli uomini ma realizza anche l’incontro con la divinità.Cibo e religione sono legati da un connubio che risale alla notte dei tempi. Sono i dettami alimentari e i precetti da rispettare a tracciare il fil rouge che lega le tre religioni monoteiste, cristianesimo, ebraismo e islam.

Oggi, abituati a mangiare da soli, talvolta in piedi e spesso compiendo altre azioni, le religioni ci ricordano che il cibo non è solo un elemento materiale, ma è un dono di Dio e il sedersi a tavola insieme è espressione di intimità non solo tra i commensali ma anche con il divino.

Prendete e mangiatene tutti


In questo contesto trova ampio respiro la dimensione conviviale del cristianesimo che secondo Montanari, storico dell’alimentazione, è emersa nel momento in cui da religione di popolo si è aperta a religione universale, scegliendo di condividere e rispettare gli usi di tutti.Nei cristiani, l’espressione più significativa della convivialità la si ritrova nell’ultima cena quando Cristo spezza il pane e lo con-divide insieme al vino con gli apostoli. Basti pensare che, la messa si celebra intorno ad un altare che è ara sacrificale, dove viene “reso presente” il sacrificio di Cristo, e mensa conviviale, dove la famiglia di Dio partecipa al banchetto eucaristico. La messa, infatti, è proprio un pasto comune in cui “si mangia Dio”.Tutto ruota intorno al «Prendete e mangiatene tutti...» dove nel condividere un pasto c’è un elemento di partecipazione tra i membri del convito, partecipazione che viene estremizzata perché uno dei membri assimila a sé gli altri e da loro vuole essere assimilato.Ciò che il cristianesimo condanna è l’atteggiamento egoistico di trattenere tutto il cibo per sé: è la voracità a rappresentare un principio antisociale, d’altronde anche Dante colloca i golosi all’inferno. E a dare il buon esempio, non poteva che essere Gesù: mangia con chiunque lo inviti e non solo con gli amici, tanto che l’ultima cena si svolge a casa di un estraneo.
L’Iftar
E a proposito di condivisione del cibo, non possiamo non fare cenno alla singolare condivisione del cibo che spezza il digiuno quotidiano durante il Ramadan. Nel nono mese lunare di ogni anno i musulmani compiono un digiuno durante il quale non è possibile ingoiare nemmeno una briciola né deglutire liquidi, dall’alba fino al tramonto.
Il digiuno, sawm, introdotto da Maometto nell’anno 624, ha lo scopo sia di esercitare l’autocontrollo, ponendo il credente di fronte alle sue dipendenze fisiche e mentali, sia di dimostrare amore per Allah e rispetto per i poveri.
Ebbene, durante questo mese c’è un momento della giornata molto significativo: l’Iftar, la rottura del digiuno al calar del sole. Questo pasto serale permette di recuperare le forze spese durante le attività quotidiane che non vengono sospese.
Ma c’è una sfumatura di significato che va oltre il puro interesse sostanziale del cibo: per il musulmano che osserva il precetto, condividere il pasto dopo il digiuno, non solo è incontro con il divino ma ha un profondo valore comunitario. I fedeli sono uno di fronte all’altro con la propria individualità ed insieme condividono la vita e i beni della terra.
Dopo il tramonto, la condivisione di pasti e di cibo si moltiplica non solo nelle case, ma anche nelle moschee e, in alcuni paesi, anche ai lati delle strade che si affollano di banchetti che vendono cibo. La rottura del digiuno porta con sé una convivialità così estremizzata che i musulmani tendono a stare svegli più a lungo nelle ore notturne tanto che il ritmo sonno-veglia è alterato.
L’ospitalità e lo stare insieme sono infatti caratteri religiosi importanti per la società islamica, soprattutto se legati alla misericordia, principio fondamentale per il profeta che amava gli Iftar collettivi e aveva piacere di rompere il digiuno insieme ai poveri. Una delle sue raccomandazioni era proprio quella che i compagni non celebrassero l’Iftar da soli ma che coinvolgessero poveri ed emarginati.
Tre datteri sono i protagonisti dell’Iftar accompagnati da un bicchiere di acqua o di latte per preparare lo stomaco al pasto successivo, proprio sull’esempio di Maometto che «…celebrava l’Iftar con datteri freschi, se non ne aveva, altrimenti utilizzava i datteri secchi ed in mancanza anche di quelli, con acqua» (Abu Dawood).
Dopo i datteri, rigorosamente in numero dispari, si alternano altre due portate: una zuppa a base di lenticchie, pollo, avena e patate seguita da un’ulteriore portata più abbondante e varia, con carne, verdure e formaggi.

Leggi   anche  
Natale in Egitto, i copti tra tradizioni culinarie e il terrore del fondamentalismo islamista ( Youssef Hassan Holgado ) 


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I nazisti a caccia di balene per ottenere l’autarchia della margarina

Anche il regime di Hitler aveva grandi aspirazioni autarchiche. Che passarono però dalla ricerca di un animale molto particolare. A un certo punto balenò l’idea di produrre margarina usando il grasso dei cetacei. Tanto da provare a conquistare un pezzo di AntartideSi racconta che Adolf Hitler fosse rimasto particolarmente sconvolto dalle conseguenze del blocco navale che gli inglesi imposero alla Germania nel 1914, durante il primo conflitto mondiale. Le condizioni in cui riversava il paese lo convinsero della fondamentale importanza per una nazione di avvicinarsi il più possibile all’autarchia, per non dipendere in alcun modo da nazioni estere.Al tempo, un terzo del fabbisogno della popolazione tedesca veniva importato e, a causa della restrizione operata per mano della Royal Navy, si stima che nel paese persero la vita 800mila persone, soprattutto per la mancanza di cibo. Quando nel 1933 salì al potere, il Führer pianificò di evitare gli errori dei suoi predecessori: il popolo tedesco avrebbe avuto la sua margarina.

La margarina

Nel 1869 il chimico francese Hippolyte Mège-Mouriès, spinto da un cospicuo premio finanziario offerto da Napoleone III, brevettò un nuovo grasso spalmabile a base di sego bovino e latte. Chiamò il prodotto Margarin, un termine derivato dalla parola greca margaritēs che significa perla, per via del suo aspetto bianco e lucente. L’imperatore era convinto che questa alternativa, più economica del burro, avrebbe giovato alle classi sociali più indigenti. Se in Francia però questo prodotto non fu mai davvero apprezzato, la margarina diventò fondamentale nelle cucine tedesche del primo dopoguerra. Dopo il trattato di Versailles la Germania si trovò a dover affrontare un periodo di grande instabilità economica e in questo contesto drammatico trovare un’alternativa più accessibile al burro fu una salvezza per tanti. Quando in sostituzione del latte vaccino si scoprì che era possibile utilizzare gli scarti di grasso animale abbassandone ancora di più il prezzo, questa antagonista del burro si diffuse ancora di più tra le classi meno abbienti.Si stima che in quel periodo il consumo annuo di margarina tedesco fosse di circa otto chili pro-capite. Di pari passo con la sua popolarità però crescevano anche i timori legati a questo prodotto controverso: prima di tutto perché si scontrava con gli interessi degli agricoltori tedeschi che producevano burro e vedevano le loro produzioni minacciate, in secondo luogo perché la margarina veniva prodotta a partire da grassi importati da altre nazioni.

L’opzione balena

Nel contesto dell’ascesa del nazionalsocialismo, queste condizioni risultavano essere semplicemente inaccettabili. Quando il partito nazista salì al potere nel 1933 infatti, la produzione di margarina venne ridotta del 40 per cento per legge e venne imposta anche una tassa sui grassi di origine estera, in modo da favorire la produzione di burro tedesco. Nel 1936 Adolf Hitler annunciò il celebre piano quadriennale, un ambizioso programma economico il cui obiettivo finale era quello dell’autarchia entro il 1940. L’incarico di gestire il programma venne affidato a Hermann Göring, al tempo un semplice funzionario nazista di alto rango, diventato successivamente leader della Gestapo e consegnato alla storia come il secondo uomo più potente del Reich.

Tra i molti punti del piano, che spaziavano dal riarmo della nazione alla costruzione di nuove infrastrutture, venne anche ridisegnato l’approvvigionamento dei grassi e in particolare dell’olio di balena, ingrediente fondamentale sia per l’industria bellica (utile, ad esempio, nel processo di creazione della nitroglicerina) che per la realizzazione di prodotti alimentari. Nello stesso periodo il cherosene, una nuova sostanza raffinata a partire dal petrolio, si stava diffondendo sempre più velocemente come combustibile economico per le lampade a olio, soppiantando proprio l’olio di balena fino ad allora impiegato e producendo un’eccedenza che non si capiva come poter smaltire. Furono due aziende produttrici di margarina a capire che quel grasso poteva essere impiegato come ingrediente nelle loro ricette. Il paese che forniva la quasi totalità di questo ingrediente era la Norvegia, che si era spinta fino all’antartico per la caccia dei cetacei, a causa della decimazione già avvenuta in tempi precedenti nell’oceano Atlantico. Göring iniziò quindi a valutare l’idea di compiere una spedizione per far sì che anche la Germania potesse avere un proprio accesso alle acque antartiche, assicurandosi tutto l’approvvigionamento di olio di cui necessitava per soddisfare i consumi dei tedeschi. Nell’agosto del 1936, il ministro degli Esteri Konstantin von Neurath trovò un territorio non reclamato in Antartide e l’idea prese definitivamente forma. L’area designata era nota come Queen Maud Land ed era stata precedentemente esplorata proprio dai norvegesi, che le diedero il nome della loro regina. La spedizione fu organizzata nell’estate del 1938 e alla guida fu posto Alfred Ritscher, un comandante navale decorato della Prima guerra mondiale. La nave Schwabenland, dal nome della regione tedesca della Svevia, salpò da Amburgo il 17 dicembre 1938 e alla spedizione presero parte 82 persone tra scienziati, ufficiali e balenieri, più due aeroplani utili per la ricognizione di tutto il territorio dall’alto. La porzione di territorio destinata ad essere conquistata si sarebbe chiamata Neu-Schwabenland, o Nuova Svevia. A bordo dell’imbarcazione un ufficiale nazista si occupava di controllare il rispetto degli standard richiesti dal regime. Ci volle un mese prima che l’imbarcazione raggiungesse la costa antartica e una volta approdati l’equipaggio iniziò subito a cartografare la regione.

Piano sfumato

Le cose però andarono diversamente da come erano state pianificate. Il 14 gennaio 1939 infatti, mentre la baleniera era ancora in viaggio, attraverso una proclamazione reale la Norvegia decise di ufficializzare la propria rivendicazione sulla Terra della Regina Maud. Per questo motivo la spedizione non durò a lungo e il 5 febbraio del 1939 la nave ripartì per la Germania. Tornato a mani vuote, Göring cercò un modo per risolvere la situazione. Venne a sapere di un farmacista che aveva scoperto come sintetizzare la margarina dal carbone, il suo nome era Arthur Imhausen. ùIl comandante convinse il partito nazista ad investire sulla nuova promettente tecnologia e quando Hiltler venne informato della scoperta, ne fu entusiasta. Possiamo immaginare che lo fosse meno nell’apprendere che la reputazione del suo partito stava venendo salvata da un uomo di origine ebrea, ma in quel momento l’autarchia era più importante.


legi anche 
  
L’autarchia impossibile del fascismo Andrea Strafile
La torta fascista per sostituire il panettone Alberto Grandi

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Quest’anno si va in gita l’anno prossimo


I casi di Pioltello e di Torino hanno oscurato altri problemi, che riguardano molti più studenti in numerosi istituti. Per la precisione, per il 50% degli studenti, quest’anno, le gite scolastiche rimarranno un miraggio. La ragione principale è quella economica, con le famiglie che fanno fatica a permettersi l’esborso per mandare i figli in viaggio. Ma questo aspetto tocca anche i professori, che da tempo chiedono compensi maggiori per l’impegno e la responsabilità che si assumono in questi contesti. 👉🏼 Gite scolastiche? Per uno studente su due sono un miraggio: costano troppo e i docenti non vogliono partire








Le università telematiche rischiano di chiudere


Negli ultimi mesi si è complicata anche la situazione delle università telematiche. Tutto verte attorno al rapporto tra il numero degli studenti e quello dei professori. Nelle università telematiche c’è un professore ogni 380 alunni, in quelle tradizionali lo stesso rapporto è oltre dieci volte minore: 28,5. Differenza eccessiva secondo un decreto del governo Draghi, che stando ai termini attuali deve essere sanata entro il prossimo novembre. Al momento, però, una soluzione sembra lontana.
👉🏼 Università telematiche, boom di studenti ma rischio fallimento con le regole di Draghi. Il governo Meloni le salverà?


I problemi della primavera in anticipo


La primavera non è solo la stagione delle gite scolastiche. È anche quella delle scampagnate, delle allergie e delle giornate tiepide. Protagoniste del periodo che anche quest’anno si sono presentate ben prima del normale. Già prima dell’equinozio le temperature di molte città italiane si sono avvicinate ai 20 gradi, mandando in tilt le simbiosi naturali tra fiori e rispettivi impollinatori, anticipando la fine del letargo di molti animali, e mettendo la parola fine a un inverno che non è mai veramente iniziato.👉🏼 L'equinozio di primavera arriva un giorno prima con temperature sopra la media

Sulle Alpi manca la neve e lo sci muore

Gli inverni sempre più caldi non stanno mettendo a repentaglio solo gli equilibri naturali, ma anche le attività umane. In questi anni, a soffrire particolarmente è stato lo sci, con decine e decine di impianti che ogni stagione chiudono definitivamente, e centinaia d’altri che continuano a sopravvivere solo grazie a centinaia di milioni di euro di finanziamenti pubblici. Iniezioni di liquidità definite da Legambiente come un «accanimento terapeutico».👉🏼 «150 milioni di soldi pubblici agli impianti sono accanimento terapeutico»


Il nuovo codice della strada non agisce sulla principale causa di morte sulle strade

Le giornate lunghe e il tepore spingono tante persone a rispolverare la bicicletta e a unirsi a quelli che invece la usano tutto l’anno per fare attività sportiva o semplicemente spostarsi. L’uso della bici come mezzo di trasporto è tra le soluzioni più efficaci per agevolare gli spostamenti nei centri urbani, eppure il nuovo codice della strada, al voto in questi giorni alla Camera dei Deputati prima di passare al Senato, ha diverse misure che penalizzano i ciclisti e gli altri utenti deboli della strada. Il nuovo testo è stato duramente criticato da esperti ed attivisti. Infatti l’obiettivo dichiarato dal ministero dei Trasporti di Matteo Salvini è ridurre il numero di vittime sulle strade, ma non agisce sulla prima causa di morte: la velocità dei veicoli a motore. Anzi, propone di alzare i limiti, riduce la facoltà di controllo e quella di multare i contravventori.👉🏼 Il nuovo codice della strada al voto alla Camera: «È un codice della strage, così non rende le strade più sicure»


Perché le auto elettriche non si ricaricano con la dinamo


Una mobilità più sostenibile passa anche da una decarbonizzazione dei mezzi a motore, che dovranno cedere il passo alla mobilità attiva e a quelli elettrici. Da giorni è diventata virale   soprattutot sui  social  e   condivisa  anche  da  me  che  sono ignorante  in materia  nonostante  abbia  fatto  il liceo scientifico     , un’immagine che mostra la ruota di un’auto elettrica collegata a una dinamo. Una soluzione apparentemente semplice per estendere di molto la durata della batteria del mezzo. Ma che in realtà è solo controproducente.
👉🏼 L’auto elettrica che (non) si ricarica con la dinamo






Se sei arrivato fino a qui, grazie per il tempo che ci hai dedicato. Ti aspettiamo per le prossime puntate e… ricorda che mi \  ci  trovi anche su  facebook ,  Instagram, Threads, Twitter













28.3.23

i I dolci di Anna Gardu per raccontare una Via Crucis speciale La mostra a Irgoli alla presenza di Vittorio Sgarbi

 

da la nuova sardegna 28\3\2023



Una mostra sulla via Crucis dal sapore e dal tratto particolare. Quindici tavole che documentano il percorso doloroso del Cristo con l’ultima di queste dedicata alle Sacre Spine di Irgoli. Un elemento tra religiosità e leggenda con le Sacre Spine, un tratto distintivo di questa comunità che è conservata nella chiesa parrocchiale di San Nicola: la tradizione dice che quella è appartenuta alla corona, di spine, appunto, che ha cinto la testa di Gesù nel momento della Crocifissione. Una tradizione e una leggenda appunto intrisa di devozione e spirito cristiano. Anna Gardu, dopo l’intenso lavoro dei mesi scorsi, firma una mostra di grande impatto secondo lo stile che caratterizza l’artista capace di creare dei veri e propri gioielli con pasta, mandorle e zucchero. Dolci buoni per il palato e gioia anche per la vista per forma e cromatismi. Abituata alle sfide negli sconfinati campi dell’arte questa volta l’artista originaria di Oliena, è stata chiamata a pensare attraverso le sue opere decorate con un minuzioso processo di miniaturizzazione che esalta tratti e figure, uno dei momenti più toccanti e ricchi di pathos della Settimana santa: la via Crucis. Calando il rito nei canoni davvero particolari della tradizione di Irgoli, centro che conserva intatte numerose tradizioni (dal canto liturgico alle eccellenze architettoniche), tra queste emerge con forza la Sacra
Spina. Un tratto distintivo della Pasqua di questo centro della Baronia che in queste giornate è caratterizzato dalla presenza dei fedeli davanti alla teca della parrocchiale. Momenti che diventano sempre più grandi e intensi. In tutte le tavole della Via Crucis di Anna Gardu è rappresentato un telo rosso. Quello in cui rimasero infilzate le sante spine. Ci sarà poi una sedicesima tavola che raffigurerà il mendicante con le spine sante. La mostra verrà inaugurata nella chiesa di Santu Miali a Irgoli, sabato 8 aprile, alle 18. Oltre all’artista ci sarà il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi, da sempre grande estimatore dell’arte di Anna Gardu, il consigliere regionale Franco Mula. L’incontro sarà moderato dal giornalista Antony Muroni. Questa volta stimolata a esporre a Irgoli all’interno della manifestazione
Andalas Anna Gardu ha tirato fuori dal suo estro un nuovo capolavoro che i visitatori potranno ammirare nella chiesetta di Santu Miali, dedicata a san Michele, risalente al 1200. Qui Anna Gardu che porta avanti con orgoglio l’arte dolciaria esistente da quattro generazioni nella sua famiglia

25.11.22

Veghu Lab di Marcello Contu il formaggio che arriva dalle piante

DALLA RUBRICA GUSTO DELLA NUOVA SARDEGNA DEL 25\11\202

 Veghu Lab   di  Marcello  e   il formaggio che arriva dalle piante
Un’azienda con sede nel piccolo paese di Bidonì nel Barigadu produce semistagionati, spalmabili ed erborinati e li esporta in tutta Europa Rigorosamente prodotti con materie prime non animali

Semi stagionati, erborinati, spalmabili, crosta fiorita. Un repertorio di formaggi belli da vedere e, soprattutto, buoni da mangiare. Con una particolarità: tutti rigorosamente di origine vegetale. Non c’è caseina, e quindi latte, e neanche i batteri e i microorganismi legati alla produzione casearia, ma tutto il processo viene dal mondo vegetale. È la realtà di Veghu, un’azienda-laboratorio nata e cresciuta in un luogo bellissimo e remoto come il paesino di Bidonì, nel cuore del Barigadu, conosciuta ormai in tutta Europa dove vende i propri prodotti non soltanto ai vegani, ma anche a persone che non possono assumere il lattosio e ad altre che semplicemente trovano questi prodotti particolarmente gustosi. L’avventura, per Marcello Contu, titolare dell’azienda, è cominciata circa sei anni fa: «Sono vegano per scelta ideologica da tanti anni – racconta – e, mentre la carne l’ho messa da parte senza tanti rimpianti e da subito non ne ho sentito la mancanza più di tanto, per i formaggi la questione era diversa. Trovavo questa rinuncia particolarmente impegnativa e così, dopo tanti anni in giro per il mondo a lavorare nel settore del food,
ecco  uno dei  suoi  formaggi 



mi sono deciso a provare a realizzare qualcosa che non mi facesse desiderare i sapori del formaggio. Insieme ad altri sperimentatori sparsi per l’Italia, abbiamo cominciato a utilizzare materie prime di alta qualità e messo a punto il procedimento ideale. Così sono arrivato al prodotto che oggi portiamo sul mercato». Ma c’è da chiedersi, se non c’è latte in questi sorprendenti “formaggi”, quale è la materia di cui sono fatti? «Si tratta di “latte” di origine vegetale, come quello di mandorle, di anacardi e di soia.

Anche i batteri, le muffe e gli altri organismi utilizzati per la fermentazione vengono dal mondo vegetale. Dopo le prime sperimentazioni, credo che oggi stiamo scrivendo una nuova tradizione, per certi versi più adatta alle tendenze contemporanee in atto in tutto il mondo». Così, a curiosare nel sito dell’azienda veghu.org, ci si ritrova in una community che affianca all’impresa commerciale una certa idea del rapporto con l’alimentazione propria e degli altri. Una sorta di “visione” che Marcello condivide con i suoi due nuovi soci, Francesca Zuddas e Carlo Floris, una coppia che viveva e lavorava in Inghilterra e che, in vacanza nell’isola, si è imbattuta nel laboratorio unico di Bidonì. Da quel giorno i due giovani hanno mollato tutto e si sono trasferiti nel micro paese per lavorare al progetto dei formaggi vegetali. Insieme hanno dato vita a una pagina Facebook chiamata Formaggi vegani che conta su 6-7mila iscritti. Marcello, oltre a sperimentare e produrre, insegna come si fa il formaggio vegetale. Tiene corsi nei quali si studia la trasformazione delle materie prime e si impara la lavorazione più adatta per raggiungere ogni tipo di risultato. «Oltre che in azienda, a breve partiranno anche i corsi online», spiega. E Veghu mette a disposizione il kit che permette a ciascuno di provare a farsi il formaggio vegetale a casa. «Ovviamente si tratta delle lavorazioni più semplici – spiega Marcello –, per il resto ci vuole esperienza e determinate skill, ma c’è il tanto da appassionarsi». E non si possono trascurare le proprietà nutritive di questi prodotti che per loro natura, a parità di apporto calorico, mettono al riparo chi è intollerante al lattosio e sono privi di colesterolo. Marcello Contu oggi e domani sarà presente a Sassari con i suoi seminari all’Weekend dei gusti 

11.7.21

Aiuto, mi sono perso in cucina! Tra cibi preparati, poco tempo e vecchie abitudini non sappiamo più quale piatto mettere in tavola e non sappiamo più cucinare nonostante le trasmissioni e glinserti di di cucina

 

Nonoastante      sia nato e cresciuto in  campagna  ed   aiuto mio padre  all'orto  , La coscienza della mia ignoranza mi si è rivelata al mercato. Poichè ,  le  nostre patate    , sono venute  male  , mi manda  al mercato   della coldiretti  a prenderne  .  Chiedo al fruttivendolo un chilo di patate e lui mi domanda: «Vecchie o nuove?». Resto paralizzato  e spaesato  .  Mi arrendo  e provo a  chiamare  mia  madre  ,  ma  il   ha  il cellulare  spento    allra   chiedo  consiglio  al fruttivendolo  : «Devo farle rosolate, quali sono più adatte?». Esso  , forse perchè il paese   è piccolo  o  perchè  siamo clienti  abituali   ha pietà di me:   << le vecchie, asciutte e con la pelle rugosa, sono adatte a essere lessate, le patate più nuove, con la pelle liscia e un colore più vivace, servono per tutti gli altri usi.>>
E' stata la prima volta che mi sono reso conto di quanto non conoscessi o  abbia una  conoscenza    superficiale    delle materie prime da usare in cucina  e    ciascuno\a   di  noi 
ha  bisogno degli altri  .  Ora  in prevvisione    di  un futuro  sempre  più vicino in cui  i  miie  non  ci  saranno più , mi    chiedo   Quanto tempo devono cuocere le melanzane? Come si cuociono i fiori delle zucchine? Molti dei miei amici genitori come me, cucinano per i figli e in qualche modo se la cavano. Ma quasi sempre si rivolgono al cibo da supermercato:   cioè surgelati, piatti pronti, gastronomia o preparati che già a partire dall’etichetta ti strillano quanto è facile prepararli e i pochi minuti che ci impiegherai. “Pronto in cinque minuti!”, “Pronto in tre minuti!”. Chi offre di meno? Nessuna censura, né predicozzo sui cibi naturali: i surgelati per chi ha poco tempo sono una benedizione. Ma non è che affidarci così tanto a loro ci ha resi incapaci di capire il cibo?



Mia madre sostiene che anche lei non sa cucinare. E in un certo senso è vero  a metà : non è che può aprire il frigo e inventarsi una prelibatezza. Diciamo che ha un set di piatti semplici che prepara a menadito  e  per  tradizione  familiare   e qualche prelibatezza per la domenicae  le  feste  . Anche lei era una donna che lavorava , adesso  è  in pensione  ed  si  dedica di più alla  casa    e  quindi alla  cucina   Però  ai suoi tempi surgelati, piatti pronti e piatti con le istruzioni erano molto meno diffusi  o stavano appena  iniziando . Dunque, lei di cibo ne sa certamente  più di me. Ora   per colpa di questa progressiva perdita di sapere    ed  avere  la pappa  pronta  che siamo diventati il Paese europeo con i bambini più obesi ? Non ho la risposta assoluta  , ma qualche anno fa mi colpì    un articolo  che rivelava come noi genitori non avessimo una chiara percezione della forma fisica dei nostri figli. Secondo l’indagine di Altroconsumo, su 20mila famiglie solo il 17% dei genitori vedeva i figli in sovrappeso. E poiché in Italia lo sono il 32% dei bambini è chiaro che c’è un problema di percezione. Lo studio puntava il dito anche contro una cattiva abitudine dei genitori italiani: usare il cibo come gratificazione per i figli, meccanismo che crea un rapporto distorto con l’atto del mangiare. La nostra cultura alimentare, che ci rende famosi nel mondo per la qualità della ristorazione, ma anche un po’ ossessionati dal cibo,  veere   l'incremetatrsi  delle trasmissioni  tv      e  rubriche   televisive  ,   e  non solo dedicate  alla cucina  ed  alle  ricette   di vip   ed  influenzer   fa il resto.
Eppure, finché conoscevamo il cibo, la sua stagionalità, come si prepara, quanto nutre, le cose andavano un po’ meglio. Forse, invece di ricorrere a cibi bio, green, naturali, senza glutine, per celiaci e quindi alla fine ancora più elaborati, faremmo meglio a recuperare, magari insieme ai nostri figli, informazioni su quali patate è meglio usare in padella e nella pentola d’acqua bollente. Ed  andare   a   comprare  ,  possibilmente      ai mercati   o dal produttori   o   a non dipendere  soloed  esclusivamente  dai surgelati    e  dai cibi   da  gastronomici           

1.3.20

I sovranisti non demordono: fiumi di tweet razzisti contro i cinesi per dare ragione a Zaia


A cominciare dalla sovranista Radio Savana, twitter è pieno di video di cinesi che mangiano topi vivi per dare ragione al presidente veneto
Zaia

ed  alle  sue   ............   


In risposta a
Un paese come la Cina dove in molti paesi sono ancora all'età della pietra non ci puo dare lezioni di civiltà !
 tra  le poche  risposte    dei nonseguaci  ma   di gente  che  ha   ancora  un cervello    c'è  questa  
Per la verita mangiamo anche gatti e cose orribili o sporche come lumache, rane, aragoste e via dicendo.. e animali ormai da compagnia come i conigli.a Cina conta 1 miliardo ( o forse qualcosa in più ) di persone e un territorio grande e diversi stili di vita.Da metropoli all'occidentale e per certi versi piú avanti a zone rurali ancora con stili piú antichi e zone http://povere.Al solito,dovete fare discorsi semplicistici e demagogici e slogan

Prima     di   guardare    all'estero  e a  cosa  mangiano all'estero    guardassimo   cosa mangiamo noi     








































Infatti mentre Luca Zaia (non) si scusa con i cinesi per le storie sui topi vivi e dice, come sempre, di essere stato frainteso e strumentalizzato, grazie a Twitter torna in mente una vecchia storia che risale al 2015 e vede protagonista Mirco Lorenzon, assessore provinciale alla caccia e alla pesca, che si offrì come volontario per il primo banchetto a base di nutrie. Raccontava all’epoca Oggi Treviso: Dall’antipasto ai secondi. Al forno, arrosto o in umido. Nutria (sì, avete capito bene) per tutti i gusti alla cena organizzata sabato sera a Pieve di Soligo, a base, naturalmente, di nutria. A far da apripista 



l’assessore provinciale Mirco Lorenzon, vero appassionato che già lo scorso marzo aveva dato vita alla prima cena a base di nutrie. Ai fornelli la signora MariaGrazia, esperta cuoca, che ha preparato i piatti per i commensali: un gruppo di oltre 50 persone che da qualche tempo si dedica alla riscoperta gastronomica di questo animale. E insomma, de gustibus non est disputandum, nevvero?

<< Ora è  vero  che  ci  sono  anche  dei video  (  salvo che  non   siano originali  e   non modificati  o  montati ad  arte corsivo  mio )  >> e   --- secondo questo articolo di  https://www.globalist.it del 29.2.2020 ----   sono piuttosto impressionanti. E ovviamente, da ieri stanno facendo la loro comparsa in moltissimi account di sovranisti e sostenitori della Lega, che per dare ragione a Zaia stanno riempiendo twitter e  non solo 
Ma  sono dei piatti in teoria proibiti, bisogna ricordarlo. E giudicare un popolo da quello che mangia potrebbe essere un boomerang: i topi fanno più impressione a noi occidentali perché più abituati ad associarli alla sporcizia, ma ci sono molti piatti che prevedono l'uccisione di animali appena nati (pensiamo ai maialini da latte, impiegati in moltissime ricette italiane, o alle uova di pesce o a moltissimi frutti di mare) o  larve  . Senza contare che, essendo piatti proibiti, su twitter c'è chi sta spiegando - con anni di vita in Asia alle spalle - che si tratta di 'stravanganze di pochissimi' e che la maggior parte dei cinesi la reputa una pratica disgustosa.  >>.
Ma sopratutto la verità credo sia rappresentata dal fatto che l’Occidente (che letteralmente significa Tramonto) sostanzialmente abbia formulato un parere sulla Cina, legandolo al suo buio passato pre e maoista. Chi critica in maniera molto prossima all’odio, sicuramente non conosce la Cina degli ultimi 20 anni, la quale benché debba fare ancora un percorso verso l’appropriazione di maggiore Cultura Moderna (che nel frattempo sta abbandonando l’Occidente...), si è trasformata al punto da essere irriconoscibile se vista con gli occhi del passato.... 
Ciò che ai sovranisti sfugge è che Zaia potrebbe anche aver detto una verità, e i video lo dimostrano. Ma  essa  viene   usata  per  nascondere  le  contraddizioni  politiche   ed  amministrative   di come  le  istituzioni regionali   abbiano   agito  a casaccio  . e che   l'Italia è un momento di difficoltà, decine di migliaia di persone stanno annullando i loro viaggi in un paese che di turismo vive, gli alberghi sono vuoti, i ristoranti chiusi. E allora, dare la colpa del Coronavirus a un popolo che 'non si lava e mangia topi vivi', un popolo che - di contro - ha gestito l'epidemia limitandola per moltissimo tempi solo all'interno dei suoi confini e che ha la funzionalità di costruire ospedali in 8 giorni per gestire l'emergenza,soprattutto  sta aiutandoci   a caro  prezzo   per  lo studio di  un antidoto 

  corriere  della  sera  online  del  29,2.2020  


La Cina punisce il professor Zhang che ha scoperto la sequenza del virus

Il suo laboratorio di Shanghai è chiuso dal 12 gennaio: il giorno prima, quando Pechino negava l’epidemia, aveva divulgato i risultati sul genoma e raccomandazioni sui contagi


La Cina punisce il professor Zhang che ha scoperto la sequenza del virus
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La Cina ha chiuso il laboratorio di Shangai che per primo ha isolato e messo a punto la sequenza del genoma del nuovo coronavirus. Il laboratorio del Centro di salute pubblica dove lavoravano i ricercatori coordinati dal professor Zhang Yongzhen è stato chiuso per una non meglio precisata «rettifica» il 12 gennaio scorso, all’indomani della pubblicazione online della loro scoperta: strano modo di «premiare» una divulgazione che ha aiutato la messa a punto di kit diagnostici da parte di diverse società nel mondo.

La chiusura del laboratorio, disposta dalla Commissione per la salute di Shangai, pare sia dovuta al fatto che il laboratorio ha pubblicato i dati prima di essere autorizzato, ricostruisce il South China Morning Post. I ricercatori sarebbero stati «puniti» per aver agito in modo unilaterale.

Poco importa che non abbiano aspettato il via libera da Pechino, per non perdere tempo prezioso.

Zhang e la sua squadra avrebbe insomma interferito con i tempi lunghi della politica, in un primo tempo restia a creare allarme intorno al virus.

Il suo laboratorio aveva riferito dell’esito delle sue ricerche alle autorità alla Commissione di salute nazionale il giorno stesso in cui erano state conseguite: il 5 gennaio, precisa il giornale di Hong Kong. Nell’informativa il professore raccomandava anche «misure di controllo e prevenzione del virus» da adottare subito nei luoghi pubblici. Questo due giorni prima dell’annuncio ufficiale di Pechino sul legame tra i misteriosi casi di polmonite di Wuhan e un nuovo coronavirus, quando ancora il contagio da uomo a uomo era messo in discussione.
I ricercatori di Zhang, non ricevendo alcun riscontro dalle autorità, sei giorni dopo, l’11 gennaio, hanno divulgato su alcune piattaforme scientifiche online i loro risultati. La direttiva di Xi con le misure per arginare la diffusione dell’epidemia arriverà soltanto il 20 gennaio.

Ora che l’emergenza è globale e che la Cina ha superato il picco dei contagi, il professor Zhang e i suoi speravano di poter tornare al lavoro. Invece no. «Hanno inviato quattro richieste di permesso per riaprire il laboratorio, tutte rimaste senza risposta — riporta il giornale di Hong Kong citando una fonte vicina ai ricercatori —. La chiusura ha avuto un grande impatto sugli scienziati e le loro ricerche proprio nel momento in cui dovrebbe esserci una corsa contro il tempo per trovare dei rimedi contro il virus».

   non è una saggia mossa diplomatica. È, a dirla fuori dai denti, una scemenza colossale, nonché una grande mancanza di rispetto. In Cina è tradizione mangiare topi vivi: ognuno si tenga i suoi commenti schifiltosi per sé, specie se rappresenta un'istituzione del paese. Dare la colpa agli altri in un momento di difficoltà fa apparire l'Italia, quella che è tanto cara ai sovranisti, come un paese permaloso e debole. 


Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...