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25.11.22

Veghu Lab di Marcello Contu il formaggio che arriva dalle piante

DALLA RUBRICA GUSTO DELLA NUOVA SARDEGNA DEL 25\11\202

 Veghu Lab   di  Marcello  e   il formaggio che arriva dalle piante
Un’azienda con sede nel piccolo paese di Bidonì nel Barigadu produce semistagionati, spalmabili ed erborinati e li esporta in tutta Europa Rigorosamente prodotti con materie prime non animali

Semi stagionati, erborinati, spalmabili, crosta fiorita. Un repertorio di formaggi belli da vedere e, soprattutto, buoni da mangiare. Con una particolarità: tutti rigorosamente di origine vegetale. Non c’è caseina, e quindi latte, e neanche i batteri e i microorganismi legati alla produzione casearia, ma tutto il processo viene dal mondo vegetale. È la realtà di Veghu, un’azienda-laboratorio nata e cresciuta in un luogo bellissimo e remoto come il paesino di Bidonì, nel cuore del Barigadu, conosciuta ormai in tutta Europa dove vende i propri prodotti non soltanto ai vegani, ma anche a persone che non possono assumere il lattosio e ad altre che semplicemente trovano questi prodotti particolarmente gustosi. L’avventura, per Marcello Contu, titolare dell’azienda, è cominciata circa sei anni fa: «Sono vegano per scelta ideologica da tanti anni – racconta – e, mentre la carne l’ho messa da parte senza tanti rimpianti e da subito non ne ho sentito la mancanza più di tanto, per i formaggi la questione era diversa. Trovavo questa rinuncia particolarmente impegnativa e così, dopo tanti anni in giro per il mondo a lavorare nel settore del food,
ecco  uno dei  suoi  formaggi 



mi sono deciso a provare a realizzare qualcosa che non mi facesse desiderare i sapori del formaggio. Insieme ad altri sperimentatori sparsi per l’Italia, abbiamo cominciato a utilizzare materie prime di alta qualità e messo a punto il procedimento ideale. Così sono arrivato al prodotto che oggi portiamo sul mercato». Ma c’è da chiedersi, se non c’è latte in questi sorprendenti “formaggi”, quale è la materia di cui sono fatti? «Si tratta di “latte” di origine vegetale, come quello di mandorle, di anacardi e di soia.

Anche i batteri, le muffe e gli altri organismi utilizzati per la fermentazione vengono dal mondo vegetale. Dopo le prime sperimentazioni, credo che oggi stiamo scrivendo una nuova tradizione, per certi versi più adatta alle tendenze contemporanee in atto in tutto il mondo». Così, a curiosare nel sito dell’azienda veghu.org, ci si ritrova in una community che affianca all’impresa commerciale una certa idea del rapporto con l’alimentazione propria e degli altri. Una sorta di “visione” che Marcello condivide con i suoi due nuovi soci, Francesca Zuddas e Carlo Floris, una coppia che viveva e lavorava in Inghilterra e che, in vacanza nell’isola, si è imbattuta nel laboratorio unico di Bidonì. Da quel giorno i due giovani hanno mollato tutto e si sono trasferiti nel micro paese per lavorare al progetto dei formaggi vegetali. Insieme hanno dato vita a una pagina Facebook chiamata Formaggi vegani che conta su 6-7mila iscritti. Marcello, oltre a sperimentare e produrre, insegna come si fa il formaggio vegetale. Tiene corsi nei quali si studia la trasformazione delle materie prime e si impara la lavorazione più adatta per raggiungere ogni tipo di risultato. «Oltre che in azienda, a breve partiranno anche i corsi online», spiega. E Veghu mette a disposizione il kit che permette a ciascuno di provare a farsi il formaggio vegetale a casa. «Ovviamente si tratta delle lavorazioni più semplici – spiega Marcello –, per il resto ci vuole esperienza e determinate skill, ma c’è il tanto da appassionarsi». E non si possono trascurare le proprietà nutritive di questi prodotti che per loro natura, a parità di apporto calorico, mettono al riparo chi è intollerante al lattosio e sono privi di colesterolo. Marcello Contu oggi e domani sarà presente a Sassari con i suoi seminari all’Weekend dei gusti 

11.4.21

L'economia circolare della natura, così in Sardegna i pastori salvano i grifoni e risparmiano



da repubblica 10 APRILE 2021


Un tempo gli allevatori erano i peggiori nemici di questi avvoltoi in via di estinzione. Ora un progetto dell'ateneo di Sassari ha istituito i carnai aziendali. I grandi rapaci sono sfamati. E non si deve più pagare per lo smaltimento delle carcasse





DALLA NOSTRA INVIATA CRISTINA NADOTTI

Badde Orca (Bosa) - Le grandi ali spiegate e immobili, portato dal vento, il primo grifone plana sull’altura che sovrasta il mare non appena l’auto del pastore si avvicina al carnaio. Ben presto sono in cinque a volare in cerchio sopra il quadrato di terreno delimitato dal recinto elettrificato, in attesa che una carcassa sia lasciata a loro disposizione. Oggi però, Salvatore Porcu non ha niente per i grifoni, è venuto soltanto a mostrarci con orgoglio l’area che, per primo in Sardegna e in Italia, ha messo a disposizione per il progetto Life di salvaguardia dei grifoni avviato dall’Università di Sassari.
Il suo terreno a Badde Orca, tra Montresta e Bosa, sulla costa occidentale della Sardegna, è in un punto perfetto: i grifoni trovano poco lontano da qui, nelle gole e nelle falesie a picco sul mare, le rocce ideali per fare il nido e le correnti ascensionali che vi si formano li aiutano come un ascensore a librarsi fin qui, sprecando meno energia possibile.
“Quando mi muore una pecora o una vacca – spiega Porcu –, una volta che il veterinario dà l’autorizzazione invece di portarla all’inceneritore la metto qui. Per me è un risparmio, perché lo smaltimento costa. Adesso poi si sta pensando di farne un’attività per i turisti, potremmo portarli ai carnai a vedere il pasto dei grifoni”. Anche senza osservarli all’opera come macchine perfette di smaltimento, capaci in dieci di spolpare perfettamente una carcassa in un’ora, i grifoni in volo su questo altopiano da cui la vista spazia sul mare e sulla foce del fiume Temo sono uno spettacolo.


La Sardegna, come gran parte dell’Italia, ha rischiato di perderlo: un tempo i grifoni si trovavano in tutta l’isola, ma negli anni ’80 ne rimanevano soltanto circa 60, concentrati vicino ad Alghero e Bosa. La loro sopravvivenza è stata minacciata dai pastori, che spargevano bocconi per eliminare i possibili predatori delle greggi come volpi, cani inselvatichiti e corvi reali, dai cacciatori che li uccidevano per imbalsamarli e dalle regole per lo smaltimento degli animali morti imposte dalla diffusione di malattie come la mucca pazza.
"Sul loro conto c’era anche una percezione sbagliata - spiega Alfonso Campus, dell'associazione L'altra Bosa, che collabora con l'università per il monitoraggio dei nidi - i grifoni (Gyps fulvus) non sono animali pericolosi per gli allevamenti, perché a differenza di altri rapaci, come l’aquila e il falco, non possiedono artigli affilati per afferrare e uccidere le prede. Questi avvoltoi non cacciano, possono nutrirsi soltanto di animali morti e costituiscono in natura uno straordinario strumento di smaltimento, visto che nel loro stomaco anche agenti infettivi come quelli del morbo della mucca pazza vengono neutralizzati".
Il veterinario e i carnai Sopra il dottor Marco Muzzeddu  
che a Monte Minerva segue il reinserimento in natura
di due grifoni giunti dallo zoo di Dresda
Per salvarli era indispensabile contrastare l’uso dei bocconi avvelenati e fornire loro cibo. Su queste due azioni si è concentrato all’inizio il progetto Life under griffon Wings, che ha avuto una prima fase di successo dal 2015 al 2020 ed è stato adesso rifinanziato. La collaborazione con i pastori è stato il primo passo. “Allestire il carnaio è semplice – spiega Fiammetta Berlinguer, professoressa associata del dipartimento di medicina veterinaria dell’Università di Sassari – basta un recinto elettrificato, per non fare avvicinare altri animali, e un palo sul quale piazziamo una fototrappola per monitorare i grifoni”.
Serviva poi rendere consapevoli i pastori dei danni provocati dai bocconi avvelenati e, grazie alla collaborazione con il Corpo forestale e l’addestramento di cani capaci di fiutare il veleno, si è fatta azione di dissuasione e di informazione. Una volta messi al sicuro i grifoni rimasti, il progetto ha poi previsto il ripopolamento, prima con animali arrivati dalla Spagna e adesso con alcuni esemplari da zoo olandesi e tedeschi. La popolazione di grifoni in Sardegna è passata così dai 95-100 individui del 2015 ai 272 registrati nel corso dell’ultimo censimento nel 2020, con un basso tasso di mortalità e l’aumento degli indici riproduttivi.
A Monte Minerva, poco lontano dalla zona del carnaio, la voliera allestita dal centro di Recupero fauna dell’Agenzia Forestas ospita gli ultimi due grifoni arrivati dallo zoo di Dresda. Il veterinario del Centro, Marco Muzzeddu, si sta occupando del loro reinserimento: “Sono animali cresciuti in gabbia – spiega - perciò abbiamo dovuto abituarli alla competizione e alle regole del gruppo quando si ciba della carcassa. Per questo gli abbiamo affiancato adulti irrecuperabili perché potessero osservarne i comportamenti”. La voliera si affaccia sull’altipiano, i due giovani grifoni tedeschi scrutano lo spazio aperto di fronte a loro come scolari impazienti di uscire dall’aula: presto potranno spiegare le enormi ali e unirsi al pasto offerto dai pastori insieme alla colonia.


emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...