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10.7.22

La bambina che ci ha cambiato la vita - di Silvia Nucini



Il perimetro di ciò che è #famiglia è fatto da una linea invisibile che smargina dalle Leggi e smentisce i teoremi delle convenzioni sociali; la geometria euclidea non può dimostrare perché la retta che parte dal piccolo braccio teso di Antonella e arriva fino a Paolo, fa di Paolo un padre. Ma è così.Infatti purtroppo , anche se sempre di meno ma forti dal punto di vista di pressione poolitica , visto che le coppie omogenitoriali o agiscoo sul filo della legalità o sfruttando le maglie che i garbugli legislativi e burocrastici offrono , oppure vanno all'estero . Ed è questa la bellezza ed la particolarita della storia emozoioante di Paolo Pedemonte, Marco Valota e Antonella, raccontata da Silvia Nucini (  autrice nel 2010  del  libro “È la vita che sceglie”, edito da Mondadori  ) per #AltreStorie ovvero La Newsletter di Mario Calabresi


[...] Ma è così, e la spiegazione va cercata altrove. «Quando siamo entrati nella stanza, lei era seduta per terra a giocare, ha studiato me e Marco per un po’, e poi ha fatto quel gesto: voleva solo darmi il suo pennarello. Dentro di me, quello, è stato l’inizio di tutto».Paolo Pedemonte, Marco Valota e Antonella

La storia di Paolo Pedemonte, Marco Valota e Antonella è iniziata il 22 aprile, nemmeno tre mesi fa, quando – era un venerdì mattina, erano le nove – una delle assistenti sociali del Centro Affidi del Comune di Bergamo ha chiamato Marco per dirgli: «È arrivata, venite». Ma, come tutte le storie, era iniziata molto tempo prima, sotto forma di un desiderio.
«Stiamo insieme da sette anni e quasi subito ci siamo raccontati di un sogno che avevamo entrambi: diventare genitori», dice Marco. Continua Paolo: «Abbiamo preso in considerazione diverse ipotesi: la maternità surrogata (ndr, comunemente detta utero in affitto), senza giudicare chi la fa, non rientra nel nostro orizzonte etico. Andare all’estero per adottare era una possibilità. Ma poi ci siamo detti: siamo italiani, facciamo quello che ci permette la Legge italiana. Vediamo fino a dove possiamo arrivare. E così abbiamo cominciato a pensare all’affido. Veniamo entrambi dal mondo dell’associazionismo cattolico, l’idea di fare qualcosa di buono per gli altri è una parte importante delle nostre vite. L’affido ci è sembrato il modo giusto per mettere insieme la gratuità e il nostro egoismo».
Per molto tempo, però, Paolo e Marco non hanno fatto niente, indecisi sulla direzione giusta in cui muoversi, spaventati dalla possibilità di ricevere un no. «Un no che sarebbe stato un giudizio anche su chi siamo. Quindi, molto difficile da accettare». Poi, poco prima della pandemia Marco scrive una mail al Centro Affidi di Bergamo. Due ore dopo arriva la risposta: «Per noi va benissimo, basta che siate idonei, per noi non fa nessuna differenza. Magari sarà difficile, magari ci sarà un po’ di battaglia da fare, ma se voi ve la sentite, noi ci siamo per farla con voi».
Come sarebbe stata la strada, lì al centro non lo sapeva nessuno perché Paolo e Marco erano la prima coppia omogenitoriale della provincia di Bergamo a fare richiesta. Tanti altri come loro, scopriranno poi Paolo e Marco, avevano avuto paura di quel “no”. E invece una pandemia e una decina di colloqui con vari psicologi dopo, l’idoneità è arrivata. Nemmeno il tempo di festeggiarla, che una notizia ancora più bella l’ha superata: «Dieci giorni dopo essere diventati idonei al centro affidi ci hanno detto di prepararci che c’era bisogno di una famiglia affidataria per Antonella, una piccolina di dieci mesi».
L’incontro con la mamma di Antonella, una ragazza molto giovane, è stato uno snodo fondamentale del percorso e non solo perché lei ha dato il suo benestare. «È come se quella prima volta lei, con le sue parole, ci avesse detto: prendetela e abbiatene cura», ricorda Paolo. A quel primo incontro ne seguono e ne seguiranno molti altri: Antonella vede la mamma una volta la settimana. «È come se insieme ad Antonella avessimo in affidamento anche lei, è come se le stessimo dando un pochino più di tempo per attrezzarsi e diventare una brava mamma». Paolo chiama questi incontri tra Antonella e la madre i “bagni di realtà”: «I momenti in cui torno con i piedi per terra e mi ricordo che non è figlia mia. La prima volta che le ho viste insieme dopo sono stato molto scosso, sono crollato in preda ad emozioni che non sapevo nemmeno di avere dentro di me. Ma con il tempo mi sono reso conto che il legame viscerale c’è anche con la mamma di Antonella: mi sto abituando a questo amore condiviso».
La piccola Antonella

L’amore condiviso è qualcosa che l’arrivo della bambina ha generato e propagato nelle famiglie, tra gli amici e nei concittadini di Carobbio degli Angeli, dove Paolo e Marco vivono. «Abbiamo passato le prime due settimane dopo l’arrivo della bambina a commuoverci per quello che vedevamo succederci intorno: amici che arrivavano con le macchine cariche di scatoloni con giocattoli e vestitini divisi per taglie e stagioni, associazioni e parrocchie che ci hanno scritto chiedendoci come potevano aiutarci, persone sconosciute che ci mandavano biglietti di auguri e piccoli regalini», dice Marco.
«Una mia amica del liceo, che non vedevo da anni, mi ha spedito un passeggino. Il parroco del nostro paese è venuto a casa a conoscere Antonella e ci ha dato una mano per trovare un posto in un asilo nido», continua Paolo. «Io e Marco non siamo sposati, ma ci sentiamo da sempre famiglia al cento per cento. Non credevamo che anche gli altri ci vedessero così. Abbiamo scoperto una società più aperta e bella di quello che immaginavamo».
Per Paolo che si occupa di pubbliche relazioni e Marco che guida l’azienda di abbigliamento di famiglia, l’arrivo di una bambina così piccola è stato una specie di terremoto. «Abbiamo cambiato tutta la casa, e anche la vita. Siccome al nido andrà a settembre in questi mesi ci stiamo organizzando tra smart working, giornate che passa al lavoro con me e mia madre e altre in cui di lei si occupano tutti i nonni», racconta Marco. Paolo, che è un super appassionato di food, la sera si dedica alla preparazione delle pappe per il giorno successivo.
Antonella non parla ancora, ma tra poco lo farà. Paolo e Marco si sono chiesti che parole userà per loro. «Chi siamo noi? Papà? Zii? Nonni? Le psicologhe ci hanno detto che guiderà lei la scelta. Noi non le stiamo insegnando a chiamarci in nessun modo particolare. Probabilmente ascolterà i nostri nomi e li ripeterà, saremo Paolo e Marco. Se è importante il nome? No, non lo è. È importante che quando i nostri occhi si incrociano i suoi diventano contenti».
Quando Antonella è arrivata le assistenti sociali hanno detto alla coppia che la bambina si addormenta solo in braccio. «Ma io non ero disposto ad andare incontro a questo vizio», racconta Marco «così abbiamo trovato insieme, io e lei, il nostro metodo. Ci sdraiamo nel lettone, lei si mette sulla mia pancia e, mentre si addormenta, mi scivola accanto e io riesco a spostarla nel suo lettino». Paolo li guarda in silenzio «perché sono troppo belli».
Chiedersi quanto durerà è la domanda sbagliata, ma molto umana, che sta dietro ogni affido. Il tempo massimo è due anni, ripetibili fino a tre volte. Se Paolo e Marco hanno capito che quella è la loro strada è stato grazie ai racconti di altre famiglie affidatarie le cui storie, tutte diverse, dicono una cosa soltanto: che l’amore ha mille forme, infiniti intrecci, e nessuna data di scadenza.
«Ci siamo convinti che l’affido fosse un’esperienza meravigliosa la sera che abbiamo conosciuto una coppia di favolosi settantenni: girano sulla loro Harley-Davidson, sono pieni di tatuaggi e in casa hanno sempre una stanza pronta, un letto fatto per il “pronto intervento”. Significa che gli assistenti sociali li possono chiamare all’ultimo momento e dire: sta arrivando un bambino. Hanno già fatto otto affidi e sono disponibili per altri. Una lezione di vita incredibile», dice Paolo che pur nella convinzione totale della strada scelta, conserva un rimasuglio di amarezza. «Io e Marco siamo stati giudicati idonei come genitori affidatari. Idonei a fare un servizio allo Stato. Però di fronte all’eventualità dell’adozione, improvvisamente per la Legge non andiamo più bene. È strano no? Eppure, siamo sempre noi due, Paolo e Marco, proprio noi».

25.1.19

lotta contro le mafie , contro l'odio , contro l'apartheid ed il razzsmo e d altre storie

Nessuna descrizione della foto disponibile.

sono orgoglioso d'averle tra i miei contatti di Facebook








https://www.huffingtonpost.it/CRONACA24/01/2019 11:44 

La ribellione dell'edicolante: "Per non fomentare l'odio, qui non si vende Libero"
Andrea Malavasi, titolare di un bar a Marcaria, ha tolto il quotidiano di Feltri dal ripiano dopo il titolo da molti considerato omofobo


leggi anche




                       LA GAZZETTA DI MANTOVA




Al caffè Vannucci di Marcaria, in provincia di Mantova, non si vende il quotidiano Libero. La decisione di togliere dal ripiano dei giornali è dell'edicolante Andrea Malavasi, che ha deciso così di protestare contro il titolo, considerato da molti omofobo, del quotidiano diretto da Vittorio Feltri. "Per motivi diplomatici e per non fomentare l'odio", ha spiegato in un cartello affisso. A raccontare la storia èLa Gazzetta di Mantova:
Il cartello è appeso davanti al locale, in mezzo alle locandine degli altri giornali. E parla chiaro: Libero, qui, oggi non si vende. E per ragioni sacrosante, che hanno a che vedere con civiltà, diritti e dignità: "Per motivi diplomatici e per non fomentare odio inutile in questo mondo difficile, oggi in questa edicola non si vendono copie del quotidiano Libero". La scritta l'ha messa Andrea Malavasi, titolare del Caffè Vannucci, il locale degli aperitivi e delle colazioni nel centro del paese, a Marcaria. Sul ripiano dei quotidiani, la mattina del 23 gennaio, il quotidiano fondato da Vittorio Feltri non c'era. Andrea e molti dei suoi clienti, i soliti affezionati e quelli che ieri hanno preso un caffè al volo, non hanno gradito il titolo di copertina ("Calano fatturato e Pil ma aumentano i gay"), l'occhiello che fa da corollario ("C'è poco da stare allegri") e il sommario che completa l'informazione ("Tre imprenditori su quattro fuggono dalla ricevuta elettronica e l'economia soffre. Gli unici a non sentire la crisi sono gli omosessuali: crescono in continuazione")

Sudafrica, il bacio interrazziale  in tv che indigna i conservatori

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Una soap opera in afrikaans trasmette per la prima volta una scena d’amore tra una dottoressa bianca e un suo collega nero. I produttori ricevono una montagna di insulti

Fonte: https://www.corriere.it/esteri/19_gennaio_24/sudafricail-bacio-interazziale-tv-che-fa-infuriare-conservatori-203752b8-1fb1-11e9-bb29-037a280df036.shtml

  da  la  nuova   sardegna 

Sassari, fine di un amore: bambola gonfiabile abbandonata in viale Umberto

Curiosità per il sex toy lasciato vicino al cassonetto, qualcuno si è fatto anche il selfie

SASSARI.  La storia della bambola gonfiabile abbandonata in un cassonetto di Viale Umberto e raccontata in un articolo della Nuova Sardegna scritto da Luigi Soriga è finita su Radio 2. Stamane, 25 gennaio, a catapultarla sulla ribalta nazionale ci hanno pensato Marco Presta e Antonello Dose, conduttori dello storico e popolarissimo programma "Il ruggito del coniglio".
 I due, come si può sentire in questo file audio, hanno anche loro trattato l'argomento con ironia, simpaticamente bacchettando chi ha lasciato nuda e al freddo la bambola di latticeFine di un amore in viale Umberto. Lei, bionda patinata, cacciata via di casa e lasciata per strada, nuda, al freddo e sotto la pioggia, sul muretto a pochi passi dall'incrocio con via Torres. L'hanno notata in molti questa avvenente signorina abbandonata. E tutti, pedoni e automobilisti, non hanno potuto far a meno di strabuzzare gli occhi. Solo dopo qualche secondo, infatti, si capiva che quella ragazza nuda, con il seno xxl, altro non era che una bambola gonfiabile in pensione.Ora non capita tutti i giorni di imbattersi in carne e lattice con una di queste creature mitologiche del piacere che in genere campeggiano sulle riviste e poi vivono nella più totale segretezza domestica. Le bambole gonfiabili sono un po' come le fate, le sirene o l'araba fenice: tutti ne hanno sentito parlare ma nessuno le ha mai toccate con mano. La curiosità, intorno a loro, è atavica. Qualcuno si è addirittura fatto un selfie.Per fortuna al gelo di viale Umberto la signorina non è rimasta per molto. C'è chi dice che ci abbia pensato un netturbino, e chi dice che abbia trovato un nuovo fidanzato. (lu.so.)



20.1.19

Il regalo del fotografo Salgado ai ragazzi di Binario 49, una mostra con le sue foto inediteBinario49 ha condiviso una foto. 2 h · Già è tutto vero ! La realtà, se si vuole, è un sogno meraviglioso.


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Inizialmente ero  incredulo ,  credevo  fosse  una   bufala  \ fake news    perchè  è rarissimo (   ed  questo  è uno dei rarissimi casi  )    in  cui  fotografi  professionisti   e  altamente  quotati  come  Salgado       regali    ad  un locale  appena  aperto   un anteprima  nazionale  di una  mostra    , per  lo   più  con foto inedite  . Ma   poi  leggendo   un post        trovato  sulla pagina    facebook  del locale in questione  Scopro   che  ciò'  È tutto vero. 

Ecco    quindi   La storia dei ragazzi di provincia che convincono @sebastiaosalgadoofficial a portare una sua mostra, inedita in Italia, in via Turri a Reggio Emilia è reale. È in arrivo una nuova esposizione a Binario49 e Spazio Gerra, organizzata da Casa D’Altri con il nostro Team e con il contributo del @comunedireggioemilia



Ora    va bene ed è  comprensibile    che   Repubblica (    trovate  sotto   un mio  tentativo   di  riportane  una  foto     con l mio cellulare  )   non pende più  sold pubblici e  si basa  sugli abbonamennti dei  lettori  ,  ma  almeno  gli articoli  più  importanti  potrebbe  metterli   o  free     oppure   far  pagare lo  quell'articolo e non costringerti  ad  abbonarti  all'intero  giornale  

L'immagine può contenere: 3 persone, persone che sorridono, testo

  Un post  che  sarebbe rimasto  incompleto  ,   visto  che  gogle  riportava   solo  l'articolo  a  pagamento  di repubblica  ,  ma  per  fortuna ho  avuto l'intuizione  di   cercare  su  fb     (  di vui  trovate  la  foto  a  centro )    la  pagina  del  locale che  mi  ha permesso di trovare





questo articolo  di  https://www.reggiosera.it/2019/01/



Il regalo di Salgado ai ragazzi di Binario 49, una mostra con le sue foto inedite

Sarà inaugurata il 9 febbraio nel locale di via Turri e nello spazio Gerra: cento scatti mai visti dei suoi viaggi in quel continente. Il grande fotografo: "Chi lavora controcorrente deve essere aiutato"
REGGIO EMILIA – Una mostra in prima nazionale, il 9 febbraio, a Binario 49, del grande fotografo brasiliano Sebastião Salgado, inedita per l’Italia. Si chiamerà Africa (nella foto un’immagine della mostra “Africa” (Etiopia 1985). Foto Sebastião Salgado / Amazonas Images) ed è stata regalata dall’artista che si è innamorato del progetto dei tre giovani reggiani, Claudio Melioli, Alessandro Patroncini e Khadija Lamami, che hanno scommesso sull’apertura di un caffè letterario in via Turri, nel cuore del quartiere più multetnico e problematico della nostra città.
Non è un caso che Salgado abbia scelto questi ragazzi. Proprio una riproduzione gigantesca della affollatissima stazione di Bombay, presa da una foto scattata da Salgado, è appesa al muro di Binario 49, a ricordare che, in fondo, tutti questi posti sono uguali: luoghi di scambio, brulicanti di umanità. E Claudio Melioli, ricercatore astrofisico e ceramista, ha lavorato per dieci anni in Brasile come operatore sociale e come astronomo.
Claudio ha pensato che le cose impossibili sono, forse, le uniche che si possono realizzare e, tramite suoi amici brasiliani, ha iniziato a cercare Salgado fino a che, una domenica mattina, il grande fotografo lo ha chiamato e gli ha detto: “Sono Salgado, so che mi state cercando. Cosa posso fare per voi?”. Dopo la conversazione telefonica ha deciso di regalare una mostra a Binario 49. Si chiamerà Africa: cento foto originali, il riassunto di trent’anni di viaggi in quel continente. La mostra è talmente grande che non starà tutta a Binario 49, ma verrà suddivisa fra via Turri e lo Spazio Gerra.
Binario
Salgado proverà a venire per l’inaugurazione se ce la farà, dato che ha subito un’operazione per un tendine rotto durante i suoi sopralluoghi nella foresta amazzonica. Ci sarà sicuramente il figlio Juliano, autore delle sequenze di quello che, assieme a Wim Wenders, è diventato il film “Il Sale della tera”.
Ha detto il grande fotografo in un’intervista a Repubblica: “E’ il mio regalo a questi amici mai visti. Quello che sta succedendo ai nostri due Paesi è molto simile. Qui la vittoria di Bolsonaro è una minaccia per gli indios, i neri, la povera gente. Da voi crescono la paura e l’ostilità verso i migranti. Chi lavora controcorrente deve essere aiutato”.




4.2.15

Sport e Integrazione”: lo sport ha capito, ma il Paese ?




Peccato che il Salone d’Onore del CONI oggi non fosse colmo come accade nelle grandi occasioni, spesso di vetrina più che di sostanza. Peccato perché quanto andato in scena in occasione della presentazione del progetto “Sport e Integrazione” ha un valore profondo, maggiore di quanto le parole dei convenuti siano riusciti ad evocare. Crediamo che oggi, parlando di sport e integrazione, si sia riusciti a toccare uno dei capisaldi di questa attività, antica e moderna, percependone i motivi per cui questa è legata intimamente all’uomo.
Ma senza voler andare troppo in profondità e per volare bassi (alla politica spicciola), la giornata di oggi ha mostrato quanto meschine e limitate sono tutte quelle istanze di rigetto delle altre culture, il razzismo strisciante, la xenofobia imperante. Proprie del nostro Paese e dell’Occidente in questi giorni ma non dello sport e, soprattutto, di chi fa sport.
Sport e Integrazione, Roma, Salone d'Onore del CONI (foto mezzelani)
Sport e Integrazione, Roma, Salone d’Onore del CONI (foto mezzelani)
In sostanza al Salone d’Onore del CONI, oggi, si è parlato di integrazione, senza se e senza ma, spostando l’asticella ben oltre il problema dello ius soli. Al presidente Malagò si possono rimproverare tante cose, sicuramente non la capacità di parlare al cuore: “Dobbiamo fare in modo che la cittadinanza sportiva, e non solo, venga rapidamente concessa a tutti quei ragazzi e ragazze che vivono, giocano, si allenano nel nostro Paese. Altri Paesi sono stati in grado di superare questa barriera psicologica. Lo sport adesso ha il dovere di smuovere le coscienze del legislatore e del Paese.”
E’ in gioco il nostro futuro: l’Italia senza quel milione di ragazzi stranieri che vivono qui (e che, come ha ricordato Natale Forlani, Direttore Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione “hanno una percezione dell’Italia migliore di quella che abbiamo noi…”) non potrebbe vincere le sfide del futuro, non solo in campo sportivo, anche economico e culturale. E’ anche una questione di civiltà. Privare della cittadinanza sportiva (e piena, aggiungiamo noi) questo milione di persone vuol dire creare tanti apolidi che non hanno una comunità di riferimento. Ne qui in Italia, tanto meno in paesi da cui provengono solo di nascita e che nella maggior parte dei casi non conoscono e che non li conosce.
Peccato che un così alto messaggio culturale rischia di perdersi in un Italia concentrata sulla caccia a “chi ruba il nostro lavoro”, come ha ricordato il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti: “Siamo così impegnati a trovare un responsabile della crisi che non ci rendiamo conto che l’unico modo per accrescere il nostro benessere è quello di accrescere il benessere delle persone che abbiamo vicino. La cittadinanza sportiva può essere un modello per convincere il Paese a seguire questa strada dell’integrazione.”
E’ inutile spiegare, a chi fa e vive di sport, quanto l’integrazione sia parte stessa dell’attività sportiva. Inutile perché scontato; Diana Bianchedi, membro del Comitato Scientifico “Sport e Integrazione”: “Lo sport è un veicolo privilegiato nell’integrazione perché assegna a ciascuno un ruolo preciso in un contesto collettivo, di squadra. E’ più facile ottenere integrazione nello sport che in un contesto scolastico: la comunità, infatti, riconosce l’atleta, lo integra e fa il tifo per lui. Per questo tutti gli atleti devono mettersi a disposizione per andare nelle scuole a raccontare la loro realtà a coloro che non conoscono da vicino il mondo dello sport tanto quanto un atleta”.
Abbiamo paura, però, che nel paese dei salvini e del “si però, gli zingari…”, un Paese che, guarda caso, ha una delle più basse percentuali di praticanti di una qualsiasi attività sportiva, queste parole e questo bellissimo progetto rischiano di essere inutili. Inutili, in questo caso, perché parole che cadono nel deserto dell’indifferenza e del qualunquismo. Dello sport siamo abituati a parlare solo in caso di successi o di fatti di cronaca. Tanto ci basta. Tutto il resto… è noia!
                                        Antonio Ungaro


2.2.15

una mela al giorno , specie se senza pesticidi , toglie il medico di torno . il caso di Malles ( bolzano ): il primo Comune italiano libero dai pesticidi


  canzone  consigliata  \  in sottofondo    AltrItalia - Modena City Ramblers

http://www.italiachecambia.org/2014/09/malles-venosta-primo-comune-no-pesticidi/ 

Lo so che  la notizia  e  vecchia  ( settembre  \ ottobre  2014  )   ma    i media ufficiali \ maistream  l'hanno subito  fatto  scomparire   quello  che  è successo a  Malles Venosta 


da https://www.facebook.com/tzetze.politica
 : <<  un comune italiano di 5.123 abitanti dell'alta Val Venosta della provincia autonoma di Bolzano in Trentino-Alto Adige. da Wikipedia >>
  da  https://www.google.it/
Ora   Speriamo che tale  esito del referendum   non sia  reso vano  e ritardato  da  garbugli  burocratici leggislativi  e forti pressioni   dei  grupi di potere   e  di politicanti lobbistici nel caso di quello sull'acqua e  sul caso  della fecondazione assistita   fatto fallire    ipocrtiti  \ opportunisti  falsamente  cattolici  e ligi   quand  gli conviene  ale gerarchie ecclesiastiche  che non solo lo  hanno fatto fallire  ma poi  cercano scuse  per  fare  i decreti attuativi  e nonapplicare le leggi e le sentenze     che    hanno smantelllato  la legge incivile    .  Speroamo cjhe tale fatto   sia  seguito anche  da  altri  comuni  , soprattutto del sud   che hanno  caratteristiche  produzioni  e  artiginali  
  da  

 Come è successo che un paese di cinquemila persone, prossimo al confine austriaco e svizzero, sia diventato un faro per il futuro dell'agricoltura ecologica in Europa? Semplice: i residenti non potevano più tollerare di vedere spargere pesticidi, stagione dopo stagione, intorno alle loro case, ai loro orti e campi. Alla fine, il comune ha ceduto alla crescente pressione sul problema e ha indetto un referendum: il 75% dei cittadini votanti ha scelto il bando di tutti i pesticidi dall'intero territorio comunale!

Non è sorpreso dell'esito del referendum Claudio Porrini, entomologo dell'Università di Bologna, esperto che lavora nella zona e conosce la situazione: "Gli apicoltori sono disperati per le morie che hanno falcidiato le arnie e che sono legate a un uso molto intenso dei pesticidi. E poi quelle sono valli strette, con i frutteti che si alternano a scuole, impianti sportivi, boschi".
"Per poter convivere bisogna ridurre progressivamente l'uso di fitofarmaci. Il trattamento con i pesticidi frena l'aggressione dei parassiti ma apre altri problemi. I fitofarmaci vengono distribuiti con botti: ne esce uno spray che solo in minima parte va a colpire il bersaglio, il resto si diffonde nell'ambiente. È chiaro che, se i frutteti stanno vicino alle case, l'opposizione cresce". - ha detto
 da greenpeace
 Porrini recentemente intervistato da La Repubblica. È facile quindi capire perché gli abitanti di Malles preferiscano rafforzare la produzione biologica piuttosto che continuare ad utilizzare pesticidi. Una decisione di così vasta portata incoraggia e incrementa il turismo sostenibile, permette di creare percorsi ciclistici ed escursionistici nella valle e le visite alle aziende agricole, facendo crescere i benefici per gli abitanti nella vallata.
E ancora più importante è l'esempio dato ad agricoltori europei che ancora usano pesticidi: applicare le pratiche dell'agricoltura ecologica per coltivare cibo sano in armonia con la natura è possibile.
Il Consiglio comunale di Malles dovrà ora valutare i necessari cambiamenti del regolamento municipale in seguito al referendum. Non sarà semplice, dato che come sempre arriveranno le pressioni - a colpi di diffide e diatribe legali - promosse da chi non vuole cambiare lo stato di fatto, ma è chiaro che la consultazione popolare potrebbe avere, in ogni caso, un effetto domino sull'intero distretto delle mele nel nord Italia. Ci congratuliamo quindi con la popolazione di Malles che ha
https://www.google.it/
promosso e vinto il referendum e speriamo che questa iniziativa sia solo la prima di molte altre in Italia e nel resto dell'Europa. Per il territorio di Malles questo significa mele sane e un ambiente privo di residui di pesticidi, per il beneficio delle persone, delle api, dell'agricoltura e del nostro ambiente. (Fonte)
Infatti secondo  Greeenpeace ( la  finte  dell'artiolo precedente  ) 
(...) 
È facile quindi capire perché gli abitanti di Malles preferiscano rafforzare la produzione biologica piuttosto che continuare ad utilizzare pesticidi. Una decisione di così vasta portata incoraggia e incrementa il turismo sostenibile, permette di creare percorsi ciclistici ed escursionistici nella valle e le visite alle aziende agricole, facendo crescere i benefici per gli abitanti nella vallata.
E ancora più importante è l’esempio dato ad agricoltori europei che ancora usano pesticidi: applicare le pratiche dell’agricoltura ecologica per coltivare cibo sano in armonia con la natura è possibile.
Il Consiglio comunale di Malles dovrà ora valutare i necessari cambiamenti del regolamento municipale in seguito al referendum. Non sarà semplice, dato che come sempre arriveranno le pressioni - a colpi di diffide e diatribe legali – promosse da chi non vuole cambiare lo stato di fatto, ma è chiaro che la consultazione popolare potrebbe avere, in ogni caso, un effetto domino sull’intero distretto delle mele nel nord Italia.
Ci congratuliamo quindi con la popolazione di Malles che ha promosso e vinto il referendum e speriamo che questa iniziativa sia solo la prima di molte altre in Italia e nel resto dell’Europa. Per il territorio di Malles questo significa mele sane e un ambiente privo di residui di pesticidi, per il beneficio delle persone, delle api, dell’agricoltura e del nostro ambienteChi sarà il prossimo?

                   Federica Ferrario, Responsabile Campagna Agricoltura Sostenibile

 

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...