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13.2.17

in Germania il nazismo delle forze dell'ordine non lo premiano in italia invece lo si esalta


Mentre  in Germania  come   leggo  su  facebook  , il post  di istangram  di  

da Leonardo Bianchi Ieri alle 12:05 ·



Ricordate i due agenti che - per puro caso - avevano ucciso il responsabile della strage al mercatino di Berlino, Anis Amri?
Quando si erano sollevate delle perplessità sul fare i nomi, e soprattutto sulla costruzione forzata degli eroi mediatici, il capo della polizia Franco Gabrielli aveva sedato le polemiche dicendo che "non c'è alcuna esposizione, ma un riconoscimento chiaro".
Quanto alla chiusura dei profili su Facebook e Instagram - zeppi di foto inneggianti al Duce e di post anti-immigrati presi da sitacci di estrema destra - lo stesso Gabrielli aveva spiegato che si tratta di un'ulteriore "cautela" per "evitare una eccessiva sovraesposizione in quanto, in un mondo in cui tutto passa attraverso i social, si sarebbero potuti far prendere la mano coinvolgendo anche altri colleghi".
Bene: secondo il Corriere della Sera - che cita il Bild - il governo tedesco aveva valutato un'onoreficienza ai due, ma poi l'ha esclusa proprio per certe porcherie postate sulle loro bacheche (http://bit.ly/2l5L19Q).
Come dice Stephan Mayer della CSU, "la decisione del governo federale di non dare un'onoreficienza a questi due poliziotti è assoluta corretta a causa della loro ovvia attitudine neofascista".
Quella che in Italia è passata come una polemica da due soldi - e persino "indelicata", visto quello che era successo - per le autorità tedesche è invece un punto centrale: in una democrazia, premiare degli agenti che hanno opinioni fasciste è semplicemente inaccettabile, punto.
La prossima volta, insomma, è meglio dare un'occhiata a cosa mettono gli "eroi" su Facebook.

 Alcuni come  questo commento  /(  che poi  risulterà caustico  ed  satirico   leggendo  il resto della  discussione )     , sul  fb di Leonardo , potranno pensarla  cosi

Silvia Occhipinti Chi di noi, d'altronde, non condivide almeno un paio di volte al giorno una foto o due di Mussolini, giusto per disorientare i nostri contatti?

   
Leonardo Bianchi difficilissimo, praticamente impossibile

L'immagine può contenere: 2 persone, sMS
Marco Infussi Questa è pesante!
Federico Sardo va beh fantastico
Marco Infussi ebbene, anche su questo pensierino facile facile... ci distinguiamo per arretratezza

Silvia Occhipinti Non è un problema, sono opinioni!
Fabio Marcon Secondo me quando affrontano gli immigrati sono serenissimi, sanno che hanno il manganello dalla parte del manico.
Arianna Ciccone Ma poi non sono stati anche trasferiti per motivi di sicurezza? A proposito delle critiche che alcuni di noi hanno fatto sul rendere pubblici i nomi?
Arianna Ciccone ha risposto3 risposte
ma  come  giustamente    fa notare    
Antonio Lo Conte Soprattutto, chi dovrebbe proteggere la popolazione, non dovrebbe avere idee pregiudizievoli verso alcun tipo d'individuo.

chi ricopre tali ruoli  dovrebbe tenersi   per  se  le  proprie oinioni  ideologiche  \  politiche  e  rimanere  neutrale

Matteo Pascoletti "Alcuni italiani non si postano".
Emiliano Ceredi Per puro caso e anche per una certa imperizia da novellini, come ampiamente dimostrato


in italia    invece   la    destra  si spelle  le mani  per  applaudirli e     grida  allo scandalo arrampicandosi sugli specchi  difendendo l'indifendibile  e  sminuendo le accuse   lampanti   di fascismo  dei due  agenti " eroi "











di TITO FLAVI domenica 12 febbraio 2017 - 17:44  

La Germania infligge uno schiaffo all’Italia e il governo Gentiloni tace. Ha dell’incredibile la vicenda dell’onorificenza negata ai due poliziotti italiani che hanno ucciso la belva islamista Amri, autore della strage al mercatino di Berlino. La motivazione di tale vergognosa scelta del governo tedesco, come già riferito dal Secolo, è che i due poliziotti avevano postato nei rispettivi profili Facebook immagini e post considerati “fascisti” e politicamente scorretti. Ebbene, a molte ore dalla notizia riferita dal Bild, non una solo voce di protesta s’è levata da alcun componente del governo.
Si fa invece sentire il centrodestra, che esprime la propria indignazione attraverso Maurizio Gasparri: “Promuoverò un’iniziativa parlamentare perché l’Italia biasimi i ministri tedeschi che hanno negato la medaglia ai poliziotti italiani che hanno fermato il terrorista Amri. Forse la Merkel preferisce gli assassini a chi è impegnato con sacrificio e dedizione per la sicurezza di tutti noi? Trovo vergognosa la retromarcia del governo tedesco che prima vuole insignire i due poliziotti di Sesto San Giovanni e poi si rimangia la parola per alcune condivisioni fatte sui social network da parte dei due agenti. Invece di ringraziarli per aver posto fine alla fuga di un terrorista che era riuscito a scappare dalla Germania rivelando i clamorosi fallimenti dell’intelligence e della sicurezza tedesca, li mette sotto accusa. Alfano, Minniti e lo stesso Gentiloni non hanno nulla da dire? Basta con questo asservimento alla Germania”. 
Calderoli: “Governo tedesco ingrato”
Sul tema interviene anche Roberto Calderoli. “Mi stupisce l’atteggiamento della Germania, annunciato da due ministri e confermato anche dalla Csu, di non voler più premiare i due nostri agenti eroi del commissariato di Sesto San Giovanni, i due agenti che hanno intercettato e ucciso Amri, l’autore della strage di Berlino di pochi giorni prima, solo perché nelle loro pagine Facebook avrebbero postato commenti o foto riconducibili all’estrema destra. Alla faccia dell’ingratitudine! Se questi due ragazzi non avessero fermato questo pericoloso terrorista, facendo il loro dovere e mettendo a rischio la loro vita, forse questo jihadista sarebbe ancora libero, libero di uccidere gente innocente, libero di spaventare tutti noi”. “Ma sono stupito anche -conclude l’esponente della Lega – per l’imbarazzato silenzio del governo italiano sulla vicenda e sono ulteriormente stupito leggendo commenti giornalistici che giustificano l’atteggiamento del governo tedesco e stigmatizzano i nostri due poliziotti solo per aver espresso opinioni personali sulla loro pagina Facebook”.



ha  ragione  , il libro che  ho letto di recente   e di  cui  riporto sotto l'introduzione , il  fascismo   in italia non  è mai  morto   ed  , SIC  ,   ha lasciato  una profonda eredità  come    testimoniava  predicendolo   già  dagli anni   70    un famoso  poeta ed artista 







Gli italiani? Sono fascisti dentro
Il libro di Tommaso Cerno, racconta come la mentalità del Ventennio sia ancora 
oggi diffusa nella politica, nella società, nella cultura del nostro Paese
DI TOMMASO CERNO  


Pubblichiamo l’introduzione del libro di Tommaso Cerno, “A noi”Rizzoli, 
la  copertina  del libro 
pp. 310, € 19


Si dice che un bambino nasca con la camicia, quando viene alla luce avvolto nel sacco amniotico. Quel sacco sembra un abito, cucito addosso durante i nove mesi dentro il ventre di mamma. E noi di chi siamo figli? L’Italia in cui viviamo, l’Italia del nostro Ventennio, quello che chiamiamo l’epoca di Berlusconi e Renzi, è nata con la camicia?
Proviamo ad azzardare un’ipotesi: l’Italia è nata con la camicia nera. Proprio così, fasciata nel sacco amniotico del fascismo, da cui cerca a fatica di liberarsi da settant’anni, senza riuscirci davvero. Nel dopoguerra la retorica antifascista può avere dato l’impressione di un taglio netto con i vent’anni precedenti, ma come il “politicamente corretto” non cancella il razzismo, non ridà la vista a un cieco chiamandolo non vedente, l’affermazione di essere antifascista, per quanto eticamente giustificabile, non basta a cancellare ciò che del fascismo è dentro di noi. Dentro di noi perché italiano come noi, forse più di noi.
In tutto il corso della sua storia, il fascismo fu senza dubbio un fenomeno rivoluzionario, giovanile, si direbbe oggi “rottamatore”. Mussolini contribuì a ringiovanire l’Italia, a partire dalla sua classe politica, così come consentì per la prima volta nella storia del nostro Paese ai ceti medi di entrare nelle stanze del potere. Questo significa che ebbe un legame con il Paese molto più radicato, profondo, osmotico di quanto si pensi. Un legame possibile solo quando c’è un collante. E questo collante viene proprio dall’essenza dell’italiano, dalle radici del nostro modo di essere, dal nostro rapporto con il potere, da ciò che non muta sulla nostra penisola al di là del regime o del governo, più o meno democratico, che ci capita di eleggere o di contestare.
Impegnati come siamo a ripeterci che il fascismo è finito, oppure che si manifesta solo nei simboli esplicitamente esibiti del regime, dentro i partiti dell’ultradestra xenofoba, che alzano le croci celtiche nelle manifestazioni, non ci rendiamo conto di una cosa: quei militanti postfascisti sono riconoscibili prima ancora che espongano il proprio pensiero, mentre il fascismo del Ventennio fu un grande movimento di massa. Se ci ostiniamo a cercare il fascismo lì dove è fin troppo facile trovarlo, non facciamo altro che insistere nel non vedere. E perché lo facciamo? Perché abbiamo paura di ritrovarlo dove non ce lo aspettiamo più, nel nostro modo di essere quotidiano, nei nostri difetti di Paese, nel nostro sistema politico e sociale. Annidato là dove sempre è stato, nell’angolo buio della Repubblica che preferisce puntare i fari altrove, dove sa che fascismo non se ne vedrà.
Riflettiamo su un fenomeno mediatico di questi ultimi settant’anni. Ancora oggi se accendiamo il televisore e ci sintonizziamo su un dibattito politico, sentiamo spesso ripetere come un ritornello: «Siete fascisti!». Si ascolta così tante volte, da essere assaliti dalla curiosità di capire perché. Un giorno il fascista in questione è Matteo Renzi, tacciato di metodi spicci da destra e da sinistra, addirittura da una parte del suo stesso partito, il Partito Democratico; il giorno appresso, invece, ci si riferisce a Silvio Berlusconi, accusato di avere addormentato il Paese come un nuovo Duce, di averlo assopito in una sorta di Ventennio che potremmo definire, piuttosto che regime dal volto umano, regime dal mezzobusto umano, trattandosi di un’anestesia televisiva pressoché totale.
Questa anestesia, però, ha generato la propaganda di governo, come tutti i regimi democratici e non, ma ha generato anche i suoi anticorpi: l’antiberlusconismo militante. Un terzo giorno l’epiteto di fascista è attribuito alle epurazioni del Movimento 5 Stelle e a Beppe Grillo, accusato di essere l’uomo solo che decide per tutti, quando il tal deputato è espulso dal gruppo parlamentare perché “ribelle” alla linea ufficiale. Fino a Matteo Salvini, il leader leghista dell’era post-bossiana, il quale, abbandonato il divino Po e la sacra ampolla, si fa crescere la barba e si reinventa una specie di marcia su Roma per allargare il consenso, ormai troppo stringato, del suo Nord.
La morale è che, almeno a parole, qui siamo tutti fascisti, destra e sinistra, alti e bassi, belli e brutti.
Saremo anche il Paese delle generalizzazioni, ma c’è davvero da chiedersi cosa stia capitando a noi italiani. Perché, all’improvviso, ci accusiamo l’un l’altro di fascismo? Perché dopo la fine del regime, dopo l’epopea della Resistenza, dopo sette decenni di democrazia quella parola torna sulle labbra di tutti noi, usata con sufficienza, con disinvoltura? Forse perché il 1945, la data che mette fine ai regimi fascista e nazista in Europa, non è una data che l’Italia abbia davvero digerito. Certo sul piano ufficiale, nei proclami, nelle affermazioni di principio, così come nella retorica di Stato, il fascismo è morto e sepolto, giace sotto strati e strati di antidoto costituzionale, democratico, parlamentare.
Eppure, nella vita di tutti i giorni, nel profondo degli italiani, la censura del modus vivendi mussoliniano non corrisponde affatto a una cesura, perché molti atteggiamenti del regime - che già provenivano dal passato - si sono conservati, pur con i naturali ammodernamenti, nel futuro: pensiamo ad esempio all’Italia bigotta e bacchettona che fa e non dice, al maschilismo diffuso in tutte le fasce sociali. Pensiamo alla distanza fra regole scritte e regole davvero applicate. Pensiamo all’usanza politica del dossier, all’insabbiamento dei misteri di Stato, alla corruzione come sistema di governo, all’utilizzo dell’informazione come macchina per controllare l’opinione pubblica prima ancora che per informarla, alle regole non scritte delle gerarchie comuniste del dopoguerra, dove il valore della “fedeltà coniugale” garantiva la scalata ai vertici del Pci (Partito Comunista Italiano) proprio come del Pnf (Partito Nazionale Fascista). Per arrivare, infine, all’uomo forte, al leaderismo craxiano, berlusconiano, renziano, incarnazioni del bisogno primario di un capo.
Sono solo coincidenze? No, siamo nati davvero con la camicia nera. C’è un filo conduttore che unisce il fascismo “a noi”, proprio come era il saluto ai tempi del Duce. A noi del fascismo è giunto più di quello che vogliamo ammettere. Un’eredità che arriva dritta nell’epoca di Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Un’eredità che non si manifesta nell’esibizione di simboli e bandiere, ma nei piccoli gesti, nei modi di pensare, nelle abitudini malate del nostro Paese che non mutano con i governi. Abitudini che ritroviamo nel fascismo di Benito Mussolini, nei risvolti del regime e del carattere del Duce che facevano del fascismo e del suo capo, prima ancora che una dittatura e un dittatore, un modello d’Italia e di italiano, simili nei difetti al popolo. Difetti che non sono scomparsi, sono solo mutati di sembianza. E che ritroviamo ancora oggi. Se sappiamo dove andare a cercarli.


meditate  gente  meditate  

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