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29.9.24

Da Casnigo all’Università di Pavia, oggi ha 81 anni. Una vita racchiusa in un dipinto ex voto nella sacrestia del santuario della Madonna d’Erbia, a Casnigo:

Mi che riporto oggi mi ha commosso fino alle lacrime. Un chirurgo non può salvare tutti, ma ci deve provare. E questo primario l'ha fatto, anche con una sorella, che non ha potuto sopravvivere. Tanto onore

a lui... E alla moglie, che non era presente al momento in cui il giornalista l'ha incontrato, ma che di certo avrebbe avuto anche lei molte cose da raccontare .



da corriere  della sera  tramite   https://www.msn.com/it-it/notizie/italia/



Un uomo che cade da un ponte, un altro sfiorato da un fulmine, una donna a letto malata, e sopra a tutti una Madonna benedicente e salvifica. Gli ex voto tappezzano la sacrestia del santuario della Madonna
d’Erbia, a Casnigo: lo stile delle pitture è popolare e le dinamiche delle azioni improbabili, ma all’uscita viene da pensare alle storie di paura e sollievo che raccontano, e alle persone coinvolte, che non conosceremo mai.«Quello lì è il mio», dice una voce.
Fermi tutti, si torna indietro.
Nell’abside dietro l’altare, davanti al quadro di una sala operatoria con le finestre c’è un signore anziano appoggiato a un bastone.
In che senso, è il suo?
«Questo ex voto l’ho dipinto io, per ringraziare dopo 21 mila interventi. Quando mi lavavo le mani prima di operare pregavo la Madonna d’Erbia».
Si scopre così che il signore con il bastone è Luigi Bonandrini, ha 81 anni, è di Casnigo ed è stato primario di Chirurgia a Pavia, dove insegnava anche all’Università. Tre anni fa è stato premiato dall’ateneo di Bergamo tra le personalità «che si sono distinte per la loro attività e hanno portato in alto il nome di Bergamo nel mondo». Con lui c’era anche Franco Locatelli, insieme al quale ha studiato. Cominciamo dall’inizio: come si parte da Casnigo negli anni Quaranta per finire a insegnare a Pavia? «Mio padre era elettricista, è diventato direttore della centrale di Ponte Nossa, dove ci siamo trasferiti. Mia madre era sarta. Avevo due sorelle, una l’ho operata tre volte ma non ce l’ha fatta. I miei ci ha fatto studiare tutti e tre. Le medie a Gazzaniga, all’epoca c’era l’istituto del Sovrano Ordine di Malta, era territorio extraitaliano. Un rigore militare pazzesco. Poi il Sarpi e l’Università a Milano. Mio padre pensava che volessi fare Ingegneria». E invece: «L’idea del medico è maturata piano piano, ma ce l’avevo già nel cuore. Nessuno dei miei cinque figli ha fatto medicina ma li capisco: io e mia moglie eravamo reperibili quindici giorni ciascuno al mese, io in Chirurgia d’emergenza e lei in Ostetricia, ogni notte c’era qualcosa».Anche sua moglie è medico, quindi: «Si chiama Maria Luisa Pinetti: ci siamo conosciuti all’asilo di Ponte Nossa, abitavamo su due rive opposte del Serio e ci salutavamo dalla finestra. Abbiamo fatto insieme il Sarpi e l’Università. Ma non eravamo morosati, solo amici, la portavo in giro in Lambretta. Dopo laureati ci siamo detti che era il caso di sposarci».Romantico. «Certo, eravamo sotto l’arco di uno studentato delle suore a Pavia: la ospitavano perché le curava gratis. Era una cosa alla quale abbiamo sempre pensato tutti e due, ma senza dirlo. Volevamo prima laurearci bene e pensare al resto dopo. Ci sono stati cinque anni di specialità in cui non avevamo un soldo, tiravamo avanti con le supplenze. Poi abbiamo vinto insieme un concorso al vecchio ospedale San Biagio di Clusone. Ci eravamo andati d’estate da studenti, ci facevano fare le punture lombari e dei versamenti pleurici. Io o sono arrivato come primario di Chirurgia, lei di Ostetricia, è stata la prima donna in Italia ad avere quell’incarico».
L’ospedale non c’è più: «A Clusone mi odiavano perché volevo chiuderlo e trasferire tutto a Piario dove c’era un sanatorio bellissimo, aveva anche il teatro e il biliardo a cui aveva giocato Garibaldi. Avevo perfino proposto di spostare i confini di Clusone per includerlo. Poi ho vinto il concorso per Pavia e anche mia moglie. È stata la prima specialista in Ginecologia e la prima in Endocrinologia. Voleva laurearsi anche in Filosofia ma ha smesso, ormai avevamo cinque figli, lei teneva in piedi la baracca. Io andavo in giro per il mondo a vedere i grandi chirurghi e lei mi diceva: comoda così». Arriviamo all’ex voto. «Ci sono le finestre perché il San Matteo era l’unico al mondo con le finestre in sala operatoria. Facendo chirurgia d’urgenza non posso non avere perso dei pazienti, ma su 21 mila interventi non ho mai avuto conseguenze legali». Una storia su tutte? «Un mattino alle 4 sto andando a casa, sento una voce dalla sala operatoria che diceva: è morto. Entro come mi trovo, in maglione, c’è un ragazzo di 19 anni con un trauma cranico spaventoso. Mi faccio dare un bisturi, taglio i vestiti, squarcio il torace e prendo in mano il cuore. Ho fatto il massaggio cardiaco interno, io stesso ero sorpreso da quello che stavo facendo. Anche adesso che lo racconto stringo la mano come se tenessi quel cuore. Dopo 15 minuti è apparsa la fibrillazione, lui ha aperto gli occhi e ha detto una parola: “Aria”. Poi è morto. Ho fatto il volontario durante il Covid, riconoscevo lo sguardo spaventato di chi ha fame d’aria».È rimasto qualcosa del Covid? «Ho fatto realizzare nel piazzale del cimitero una cappella che è stata benedetta il 5 settembre per ricordare le vittime delle pandemie. Il ricordo è importante».

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