repubblica del 24 dicembre 2014
Il boom dei vegani d'Italia ora arriva anche in farmacia
Niente carne, niente uova, solo cibi "etici". E anche medicinali su misura. Sono ormai 700 mila nel nostro paese, un fenomeno in costante crescita
di MICHELE BOCCI
Il boom dei vegani d'Italia ora arriva anche in farmacia
NON è solo una questione di dieta. Chi decide di diventare vegano cambia le sue abitudini anche quando si tratta di comprare un giubbotto oppure curarsi. In Italia ci sono tra le 400 e le 700mila persone che hanno fatto questa scelta e il loro numero aumenta a un ritmo del 10-15% all'anno. Si tratta di consumatori, molto consapevoli ed esigenti, ma pur sempre consumatori. E così chi gestisce una tipologia di esercizio commerciale tra i più attenti ad intercettare le esigenze di chi compra sta pensando a loro. Sono già conclusi infatti i primi corsi per farmacisti che vogliono diventare vegano, ma anche vegetariano, friendly , cioè in grado di dare suggerimenti a chi sceglie non solo di non mangiare animali ma anche di non consumare prodotti che prevedano il loro sfruttamento. Il mercato c'è, e sempre più dottori farmacisti chiedono di fare la formazione necessaria ad ottenere l'attestato che assicura questo tipo di clienti. Sono già 120 i negozi abilitati dalla società Pharmavegana, che per 2.900 euro all'anno fornisce quattro anni di corsi (ma dopo il primo si ha già il "bollino" per la farmacia), e a marzo dell'anno prossimo saliranno fino a 300. E sta per partire con un progetto simile anche l'associazione Assovegan, e non è da escludere che nel futuro prossimo si muova anche qualcun altro. Così nel giro di un paio d'anni gli esercizi in grado di accogliere i vegan cresceranno in modo esponenziale.
"Tutto parte da un gruppo di farmacisti - spiegano da Pharmavegana - Ci hanno chiesto loro di dargli una mano per imparare a confrontarsi con queste persone, che hanno una serie di richiesta salutistiche di vario tipo. Così abbiamo messo in piedi il nostro programma di formazione". Anche integratori e prodotti fitoterapici o erboristici possono non andare bene per questo tipo di clienti, perché alcuni contengono lattosio, propoli o miele ma anche gelatine o grassi di origine animale. "I vegan non possono prenderli e hanno bisogno di qualcuno che li consigli consapevolmente riguardo a possibili alternative - dicono sempre dall'azienda - Per curarsi o anche per supportare la loro alimentazione". Tutto questo teoricamente non riguarda i medicinali. Tutti i prodotti in vendita, anche larga parte di quelli omeopatici, sono testati su animali e così sono tutti inadatti per i vegan. Ma un farmacista consapevole delle esigenze di quel tipo di cliente può anche fargli capire che se ha una malattia importante, per guarire deve per forza prendere un farmaco.
Pharmavegana è legata a Sitar, un'azienda che produce alimenti. "Ma non sono specificamente per vegani", dicono dalla società: "Noi ci siamo mossi perché ce lo hanno chiesto i professionisti". Intanto hanno preparato anche un codice etico dove si legge, tra l'altro, che "il farmacista Pharmavegana si impegna a rispettare le esigenze del cliente vegetariano e vegano e a segnalare, nei limiti delle sue conoscenze, i prodotti per cui non viene effettuata sperimentazione animale. Allo stesso modo il farmacista s'impegna a un consiglio mirato sui prodotti finiti per cui non è stata effettuata sperimentazione animale, e a informare il cliente su prodotti sperimentati in passato sugli animali".
Quanto il settore sia in crescita lo dimostra la nascita di una seconda organizzazione che intende formare farmacisti. Nasce dall'associazione Assovegan, che fino a poco tempo fa collaborava con Pharmavegana ma poi per divergenze di vario tipo ha deciso di fare da sola. "La nostra è una visione etica - spiega la presidente Renata Balducci - e infatti tutti coloro che fanno i nostri corsi, nutrizionisti, medici, pediatri, sono loro stessi vegani". E così è iniziata anche la concorrenza.
Il boom dei vegani d'Italia ora arriva anche in farmacia
Niente carne, niente uova, solo cibi "etici". E anche medicinali su misura. Sono ormai 700 mila nel nostro paese, un fenomeno in costante crescita
di MICHELE BOCCI
Il boom dei vegani d'Italia ora arriva anche in farmacia
NON è solo una questione di dieta. Chi decide di diventare vegano cambia le sue abitudini anche quando si tratta di comprare un giubbotto oppure curarsi. In Italia ci sono tra le 400 e le 700mila persone che hanno fatto questa scelta e il loro numero aumenta a un ritmo del 10-15% all'anno. Si tratta di consumatori, molto consapevoli ed esigenti, ma pur sempre consumatori. E così chi gestisce una tipologia di esercizio commerciale tra i più attenti ad intercettare le esigenze di chi compra sta pensando a loro. Sono già conclusi infatti i primi corsi per farmacisti che vogliono diventare vegano, ma anche vegetariano, friendly , cioè in grado di dare suggerimenti a chi sceglie non solo di non mangiare animali ma anche di non consumare prodotti che prevedano il loro sfruttamento. Il mercato c'è, e sempre più dottori farmacisti chiedono di fare la formazione necessaria ad ottenere l'attestato che assicura questo tipo di clienti. Sono già 120 i negozi abilitati dalla società Pharmavegana, che per 2.900 euro all'anno fornisce quattro anni di corsi (ma dopo il primo si ha già il "bollino" per la farmacia), e a marzo dell'anno prossimo saliranno fino a 300. E sta per partire con un progetto simile anche l'associazione Assovegan, e non è da escludere che nel futuro prossimo si muova anche qualcun altro. Così nel giro di un paio d'anni gli esercizi in grado di accogliere i vegan cresceranno in modo esponenziale.
"Tutto parte da un gruppo di farmacisti - spiegano da Pharmavegana - Ci hanno chiesto loro di dargli una mano per imparare a confrontarsi con queste persone, che hanno una serie di richiesta salutistiche di vario tipo. Così abbiamo messo in piedi il nostro programma di formazione". Anche integratori e prodotti fitoterapici o erboristici possono non andare bene per questo tipo di clienti, perché alcuni contengono lattosio, propoli o miele ma anche gelatine o grassi di origine animale. "I vegan non possono prenderli e hanno bisogno di qualcuno che li consigli consapevolmente riguardo a possibili alternative - dicono sempre dall'azienda - Per curarsi o anche per supportare la loro alimentazione". Tutto questo teoricamente non riguarda i medicinali. Tutti i prodotti in vendita, anche larga parte di quelli omeopatici, sono testati su animali e così sono tutti inadatti per i vegan. Ma un farmacista consapevole delle esigenze di quel tipo di cliente può anche fargli capire che se ha una malattia importante, per guarire deve per forza prendere un farmaco.
Pharmavegana è legata a Sitar, un'azienda che produce alimenti. "Ma non sono specificamente per vegani", dicono dalla società: "Noi ci siamo mossi perché ce lo hanno chiesto i professionisti". Intanto hanno preparato anche un codice etico dove si legge, tra l'altro, che "il farmacista Pharmavegana si impegna a rispettare le esigenze del cliente vegetariano e vegano e a segnalare, nei limiti delle sue conoscenze, i prodotti per cui non viene effettuata sperimentazione animale. Allo stesso modo il farmacista s'impegna a un consiglio mirato sui prodotti finiti per cui non è stata effettuata sperimentazione animale, e a informare il cliente su prodotti sperimentati in passato sugli animali".
Quanto il settore sia in crescita lo dimostra la nascita di una seconda organizzazione che intende formare farmacisti. Nasce dall'associazione Assovegan, che fino a poco tempo fa collaborava con Pharmavegana ma poi per divergenze di vario tipo ha deciso di fare da sola. "La nostra è una visione etica - spiega la presidente Renata Balducci - e infatti tutti coloro che fanno i nostri corsi, nutrizionisti, medici, pediatri, sono loro stessi vegani". E così è iniziata anche la concorrenza.
sempre su repubblica nela stessa data c'è quest'altro articolo interessante . speriamo ncome ho già deto nel titolo . speriamo non sia solo per moda \ omologazione culturale ma che sia una scelta coerente
La voglia di cambiare il mondo a cominciare dalla nostra tavola
«COSA c'è di male nel latte?». Il vegano sa che susciterà stupore spiegando perché, al di là degli spietati metodi della produzione intensiva, il bianco nutrimento materno non sia in principio destinato a noi: ma a un cucciolo, allontanato dalla mamma, quindi ucciso. Come in una rivelazione, l'interlocutore distinguerà la mucca da una gettoniera capace di produrre a comando la bevanda. Vegan, vegano; prima suonava extraterrestre, oggi invece piace e convince, tanto da diventare sinonimo del più vasto concetto di cruelty free. Senza crudeltà verso ogni specie, a maggior ragione la nostra. Se il vegetariano infatti ripudia il sacrificio altrui, allontanando da sé le proposte estreme degli acconciatori di cadaveri ( così Plutarco definì i cuochi), ma non quanto deriva dallo sfruttamento animale, il vegano salta il fosso e unisce le proprie sorti al resto del vivente. Egli intuisce bene e salvezza in quella che altri chiamano austerità, ritrova le proprie ragioni nell'essere liberamente essenziale.
Il difficile sforzo di coerenza all'interno del sistema consumistico ci mostra che ancora, a differenza dei polli in batteria, possiamo scegliere. Disattendere all'obbligo di consumare senza tregua, cambiare passo, anche se solo il nostro, rispetto alla corsa verso la distruzione del Pianeta, ci allontana dalla primitiva idea che la soluzione alle nostre paure sia nella sopraffazione dell'altro — cibo, pelli, vivisezione. Il vento cambia. Giovani vegani assaltano la politica, mentre tramontano le invenzioni linguistiche — vegetaliano? — dei virtuosi che rinunciano alla bistecca, ma non al pesce. Di VegFest, festival della veganità, è piena quell'Italia che spera nel riscatto di luoghi, salute e bellezza, intanto che governanti smarriti predicano l'insostenibile crescita sotto lo sprone delle multinazionali.
Margherita D'amico