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13.10.24

diario di Bordo n 81 anno II "Vergognatevi", il fratello di Totò Schillaci contro la Rai., Da poliziotta a suora: «Così continuo ad aiutare le vittime della violenza»., la seconmda vita di armanda gallius scampata ad uno stalker., trisnonna a 85 anni

Italia-Belgio di Nations League è stato un momento anche per ricordare l'ormai scomparso da qualche settimana Totò Schillaci, simbolo di quelle notti magiche di Italia '90. La Rai però al momento del suo ricordo in campo ha mandato in onda la pubblicità.
L’attore e doppiatore Luca Ward ha letto un messaggio in sua memoria e invitato il pubblico a inscenare una coreografia di luci con i telefonini per dare maggiore
suggestione a quegli attimi: “Totò Schillaci rimarrà nel cuore di tutti noi, ha fatto sognare l’Italia intera con le sue esultanze travolgenti. È il simbolo di una nazione che non si arrende”.In quel momento però le immagini, mandate in diretta dalla Rai, si sono poi interrotte per uno spot pubblicitario che non ha permesso di vedere nulla ai tifosi da casa. Una scelta che ha mandato su tutte le furie la famiglia Schillaci. A scrivere un messaggio di disappunto è stato Giuseppe Schillaci, fratello del calciatore ex Inter, Juve e Messina: "Vergogna, la Rai interrompe il ricordo di Totò Schillaci per la pubblicità. Vergognatevi".

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L’hanno cercata ben 8 emittenti televisive: Il boccone del resto era ghiotto: la suora-poliziotta, la religiosa che trent’anni fa arrestava i malfattori, oggi lavora perché nella Chiesa nessuno più abusi dei minori. Suor Tosca Ferrante, originaria di Visciano (5mila abitanti in provincia di Napoli) si è negata: a lei quell’etichetta sta stretta, anche se non rinnega nulla di quando, prima della professione religiosa, a 19 anni decise di entrare in polizia. Una confidenza ad Avvenire però la concede: quello che l’aveva convinta era stata la serie televisiva degli anni Ottanta “CHiPs”, due poliziotti in moto che facevano del bene al prossimo.

Suor Tosca nel 2024 ha compiuto 55 anni, ha festeggiato i 25 di professione religiosa ed è stata eletta superiora generale delle suore Apostoline di Castel Gandolfo, l’ultima creatura del beato don Giacomo Alberione. Laureata in psicologia dopo la professione religiosa, oggi coordina il Servizio di tutela minori delle diocesi toscane e di quello diocesano di Pisa; spesso è in trasferta per tenere corsi di formazione per gli operatori pastorali, ed è stato proprio in occasione di un seminario a Pistoia, qualche giorno fa, che la sua storia di suora-poliziotta è stata “intercettata”.


Suor Tosca, la divisa è stata una piccola parte della sua vita. Che ricordo ha di quella esperienza? Quando pensa a sé stessa, giovane, con la pistola nella fondina, che sensazioni prova?

Quando si pensa a una persona in divisa, con pistola e manette, la si associa spesso a un potere. Invece io ho vissuto l’esperienza in Polizia come servizio alla collettività.

Come hanno vissuto i suoi genitori la sua scelta giovanile?

Mio padre faceva il muratore, mia madre la casalinga, entrambi molto credenti, iscritti all’Azione Cattolica. Mio padre è stato molto tempo all’estero, in Venezuela e in Germania e ha trasmesso a me e a m io fratello, che lavora nell’Esercito, il valore della giustizia e dell’aiuto al prossimo. La Polizia è stato il mio primo spazio in cui incarnare quei valori. Quindi sì, dopo il disorientamento iniziale, sono stati favorevoli alla mia scelta.

Quali sono stati i suoi primi incarichi?

All’inizio sono stata a Roma, al Commissariato di Tor Pignattara. Dopo due anni e mezzo sono stata trasferita a Napoli, all’Ufficio stranieri. La sera andavamo negli alberghi a recuperare le prostitute per dar loro il foglio di via. Ho incontrato tante persone sofferenti: delinquenti, tossicodipendenti, giovani donne vittime della tratta, stranieri in attesa di permesso di soggiorno spesso vittime di raggiri: insomma tanta povertà, tanto vuoto e anche tanto male. E questo mi ha permesso di comprendere qual era la mia vocazione: ho sentito che Dio mi chiamava a donare tutta la mia vita.

E ha scelto la vita religiosa. Come è accaduto?

È stato un percorso, iniziato a 15 anni quando andai a Castel Gandolfo, dalle Suore Apostoline, per un’esperienza estiva. Ho sempre continuato a frequentarle, anche durante i miei cinque anni di lavoro in Polizia. Un giorno mi venne chiesto di vigilare su un minorenne che aveva compiuto un furto, il primo della sua vita. Dopo un po’ che parlavamo, lui iniziò a piangere, era spaventato. Poi mi disse: “Ho paura, mi dai un abbraccio?”. Non potevo, ero in divisa. Tornata a casa, mi guardai allo specchio e dissi: “Ma chi stai diventando?”.

Il carisma delle suore Apostoline, di cui lei è la superiora generale, è vocazionale, cioè stare accanto ai giovani affinché ciascuno trovi la sua strada e a chi ha già fatto una scelta di vita e vive un tempo di difficoltà vocazionale. Lei ha raccontato che da bambina voleva diventare maestra o infermiera, poi è diventata poliziotta e ora è psicologa e suora. È un po’ un cerchio che si chiude?

Mi pare che ciò che accomuna queste esperienze è la dimensione della cura della persona, attraverso l’ascolto, per garantire a tutti di stare al mondo con dignità.

Nel 2020 la Conferenza episcopale italiana ha istituito i Servizi diocesani e regionali per la tutela dei minori. Lei coordina quelli di Pisa e della Toscana. Questa rete anti-abusi funziona?

Sì, funziona. La chiave del servizio è la ricerca delle verità e trovare strade perché ciò che è accaduto non accada mai più. Una strada è la formazione: molto del nostro lavoro è richiamare alla responsabilità dell’essere adulti a coloro che operano in contesti parrocchiali. La fatica per i giovani è trovare punti di riferimento a cui guardare, adulti affidabili, maturi, che siano in grado di accompagnarli nella loro ricerca di senso.

Nelle diocesi, accanto ai Servizi di tutela, ci sono anche i Centri di ascolto, a cui arrivano segnalazioni di casi o testimonianze. Ha incontrato anche vittime di abusi?

Ho incontrato vittime di abusi, uomini e donne, e il mio lavoro è stato quello di accompagnarle a sentirsi riconosciute come tali. È il bisogno primario di ciascuno, in un processo che richiede molto tempo e pazienza perché le ferite sono profondissime. Per me è come prendersi cura di Cristo Crocifisso.



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Unione    sarda  13 ottobre


La seconda vita di Amanda

Sei mesi fa, in auto, l'uomo che si era invaghito di lei le era piombato addosso. Amanda Gallus, 40 anni,
di Carbonia, sta rimarginando le ferite (non solo fisiche) per iniziare una nuova vita. Lo stalker era stato arrestato
«Non è facile ricominciare a vivere dopo aver visto la morte in faccia ma io ce la sto mettendo tutta. Sono stati sei mesi durissimi e il percorso di guarigione non è ancora finito ma mi sto impegnando per riprendere in mano la mia vita». Sono passati sei mesi da quando Amanda Gallus, quarantacinquenne di Carbonia, ha rischiato di morire in un terribile scontro frontale. Non era stato un generico incidente stradale: a bordo dell'auto che ha travolto la sua utilitaria c'era Alessio Zonza, l'uomo di 53 anni che Amanda aveva denunciato per stalking e atti persecutori dopo che la sua vita era ormai un incubo quotidiano. L'incidente Nell'auto di Amanda c'era una telecamera che la donna aveva fatto piazzare a sua tutela e quel pomeriggio era al telefono con gli agenti del Commissariato perché si era accorta che Zonza la stava seguendo: le drammatiche immagini immortalate dalla telecamera e la disperata richiesta di aiuto raccolta al telefono non hanno permesso di evitare quel tragico schianto che ha fatto finire Amanda in ospedale in gravissime condizioni, ma hanno fatto in modo che l'uomo, anche lui ferito, venisse arrestato subito dopo l'incidente. Nella sua auto, nonostante avesse cercato di nasconderlo agli agenti, era stato trovato anche un martello. Due giorni fa un perito ha detto che Zonza, per il quale i suoi difensori hanno chiesto una perizia psichiatrica nell'ambito della processo per il reato di stalking, non è incapace di intendere e di volere e questa conclusione potrebbe essere determinante nel momento in cui si dovrà decidere il rinvio a giudizio per l'ipotesi di tentato omicidio. Le cure Amanda è chiaramente informata dell'evolversi della vicenda giudiziaria per la quale è seguita dagli avvocati Marco Aste e Maria Cristina Lindiri, «ma finché è ancora in corso preferisco non esprimere alcun commento – premette – ci sarà tempo e modo di parlarne, ora devo pensare alla mia salute». Non sono stati sei mesi facili: «Qualche santo mi ha protetto perché in quello schianto sarei potuta morire – dice – tuttavia ho riportato gravissime lesioni e fratture per le quali sono stata sottoposta a diversi interventi chirurgici e a una lunga fisioterapia, ancora in corso, che va in parallelo alle sedute di analisi con le quali cerco di metabolizzare il trauma che ho subito. Per fortuna ho intorno tante persone che mi vogliono bene, in primis il mio compagno e la mia famiglia e poi gli amici e i preziosi compagni di lavoro». La solidarietà Dal giorno dell'incidente Amanda è stata travolta da un'ondata di solidarietà e affetto dalla comunità di Carbonia e non solo: «Ho ricevuto migliaia di messaggi di auguri e di vicinanza che mi hanno commosso e mi hanno aiutato a non farmi mollare mai in questi mesi in cui i momenti di sconforto non sono mancati – afferma – ne sono arrivati moltissimi anche dai clienti del centro commerciale dove lavoro e dove i miei colleghi per mesi hanno ricevuto messaggi di affetto da inoltrarmi». Con i colleghi e le colleghe del centro Conad di Carbonia Amanda c'era già prima un rapporto di amicizia prezioso che questo dramma ha saldato ancora di più: «Per permettermi di continuare a curarmi, ora che ho esaurito i mesi di malattia disponibili ma ho ancora davanti un lungo percorso terapeutico, mi hanno donato parte delle loro ferie – racconta – un gesto importantissimo che mi lega in maniera indissolubile a ciascuno di loro, la mia riconoscenza è grandissima e spero con tutto in cuore di poter tornare tra loro, ritrovando la quotidianità e la serenità che ho perso, lasciandomi alle spalle questo tremendo incubo».

                                              Stefania Piredda
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Dal 1980 a tutta birra: Michele "il tedesco" quartese ad honorem

E chi non lo conosce, Michael Hans Dieter Fellmann! Forse il cognome è poco noto, ma basta precisare “Michele il tedesco di Quartu” per avere chiaro in mente il sorriso gioioso e la simpatia contagiosa del re della birra tedesca, che nei giorni scorsi ha avuto addirittura la cittadinanza benemerita, votata all’unanimità dal Consiglio comunale della terza città dell’Isola.Perché Michele il tedesco di Quartu, 69
anni, in città si è stabilito ben 44 anni fa, quando aprì per la prima volta le porte del suo locale, lo Zum Loeweneck, l’angolo del leone, in via Magellano, a un tiro di schioppo da viale Colombo. «Allora c’ero solo io», ricorda, «solo il mio locale e intorno nemmeno un bar. Poi le cose sono cambiate, Quartu si è completamente trasformata. Prima quando si usciva si andava solo a Cagliari, perché qui era il deserto. Ora ci sono pizzerie, ristoranti, discoteche. La città è viva e sono i cagliaritani a venire da noi».
Il riconoscimento
Questa cittadinanza benemerita «è stata una sorpresa e un onore», dice, «sono orgoglioso. Io da tempo sono residente qui e mi sento un cittadino a tutti gli effetti. Amo molto questa città». E pensare che all’inizio il pensiero di venire nell’Isola per Michele fu quasi un trauma. «Quando mi mandarono in Sardegna per il servizio militare pensai: è una punizione divina. Un posto così lontano e che io non conosco». Poi nel 1974 viene spedito nella base di Decimomannu come aviere scelto, addetto ai rifornimenti: «Fu una folgorazione. I colori, il cielo, il mare. E poi il mirto, le belle donne, la mia prima festa di Santa Greca. E fu così che ho deciso che non sarei più andato via».Da lì a poco prende forma un’idea: aprire un pub per far conoscere ai sardi la birra e il cibo tedesco. «Nel 1980 apro il mio locale, la prima birreria tipica bavarese, che è ancora lì con gli stessi tavoli».Ancora attiva dopo 44 anni, con il padrone di casa Michele che accoglie sempre tutti con un sorriso grande così.In poco tempo la sua birreria viene inserita tra le trenta migliori d’Italia e nel 1991 entra addirittura nel Guinness dei primati, per avere costruito la più grande tabacchiera da fiuto simultanea. Ce l’ha ancora qui nel locale, la tabacchiera, ma il record non c’è più «perché dai Guinness sono stati tolti tutti i record che hanno a che fare con il fumo e con l’alcol. Ogni tanto però la tiriamo giù perché le persone si divertono». E in effetti fa un certo effetto vederla scendere dall’alto ed entrare in azione.
Nuove passioni
Lasciata la sua birreria, Michele il tedesco ha fatto incursioni anche nel cinema: «Ho partecipato al film “L’arbitro” di Stefano Accorsi, dove ho fatto la comparsa, mentre invece in quello di Pieraccioni “Finalmente la felicità” ho anche recitato». E in men che non si dica snocciola le battute per filo e per segno senza dimenticarsi nemmeno una virgola.A Quartu ha trovato anche moglie. «Sia la prima – racconta ancora – che purtroppo è morta quando aveva 49 anni, sia la seconda che ho sposato 4 anni fa. Abitiamo sempre qui a Quartu e ci troviamo benissimo». La cosa che più gli piace del suo lavoro, ancora dopo tanto tempo, «è sicuramente il contatto con la gente, far gustare il cibo come se fossimo in Germania. Il locale è come un salotto di famiglia, dove ognuno si sente a casa». E infatti non chiedetegli se ha intenzione di andare in pensione: «Non ci penso nemmeno. Dobbiamo tutti festeggiare i cinquant’anni della mia birreria nel 2030».

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«Il piccolo Alessio mi ha reso trisnonna, è un dono di Dio» 

La storica bottegaia di Decimomannu: la famiglia è la cosa più importante 


 «Crema e profumo, gioielli e un bel vestito». Gianna Boeddu, 87 anni, decimese d’adozione, nonostante sia diventata trisnonna qualche giorno fa, non rinuncia al quotidiano tocco di eleganza e femminilità: «Prendersi cura del corpo e della mente, non abbattersi e leggere tanto sono i segreti per restare attivi». Quella di Gianna è un’energia contagiosa segnata da un sorriso smagliante contornato dal rossetto. Lei riserva questa energia soprattutto ai suoi numerosi nipoti, pronipoti e all’ultimo arrivato, il trisnipote Alessio Piredda: «La famiglia è la cosa più importante. Dio mi ha riservato un dono, nonostante i normali alti e bassi che ci sono in tutte le case». Mamma a 18, nonna a 36, bisnonna a 62 e trisnonna a 87 anni, Gianna è una vera forza della natura. 
«Sono nata a Bitti – racconta – ricordo bene la mia fanciullezza, quando scorrazzavo nel negozietto di paese gestito da mia zia. Mi parevano un sogno quegli scaffali pieni di ogni ben di Dio». 
 La sua famiglia, per questioni lavorative, si era poi dovuta trasferire a Iglesias, paese nel quale Gianna è sopravvissuta al tifo e ha conosciuto da giovanissima il ragazzo che sarebbe diventato suo marito: «Mi sono sposata a 15 anni e 2 giorni. Il mio fidanzato, Angelo Muroni, più grande di me di 9 anni, era originario di Sindia. I miei genitori non lo facevano entrare in casa e così abbiamo deciso di unirci in matrimonio». Fino al giorno del fatidico “sì” il padre non era d’accordo: «Prima ha acconsentito per poi cambiare idea il giorno prima della cerimonia. Ma siamo riusciti a convincerlo e così, volente o nolente, ha ceduto».   
 Gli sposini hanno deciso di mettere su famiglia a Decimomannu: «Mio marito non amava Iglesias, così abbiamo preso una casa in affitto in quello che sarebbe diventato il nostro nido “definitivo”, a parte una breve parentesi da emigrati in Francia».
  Dopo il rientro a Decimomannu, Muroni «ha appeso al chiodo le scarpette da minatore e ha preso in mano quelle di contadino e di agente forestale». Ma i soldi, con cinque figli, non erano sufficienti a tirare avanti la famiglia: «Avevamo acquistato casa in via delle Aie, il denaro scarseggiava comunque e io dovevo fare per forza qualcosa. Sotto casa avevo una piccola stanza inutilizzata, così ho pensato di avviare un negozietto». 
La bottega di via della Aie è diventato un punto di riferimento non solo per i decimesi: «Generi alimentari e fustini di detersivo in polvere erano i prodotti più venduti: acquistavo la merce dai rappresentanti e la rivendevo rincarata del 10 percento. In poco tempo l’attività è cresciuta vertiginosamente e ho dovuto ampliare il negozio». 
 Per tutti è diventata così “Gianna sa botteghera”: «Amavo il mio lavoro e stare in mezzo alla gente. I clienti si affezionavano perché non raccontavo in giro i loro segreti, non li giudicavo e permettevo loro di pagare a fine mese. Decimomannu è tutto per me. Mi sono sempre sentita a casa e voluta bene. Mi sono integrata e ho frequentato i corsi organizzati dal Cif. La dolce signora Augusta, moglie del medico di famiglia Mallus, teneva corsi di ricamo, maglia e comportamento». 
 Adesso Gianna è una nonna, anzi, una trisnonna, a tempo pieno: «Non mi dedico più a tutte le mie passioni (cucito, cucina e lettura) perché la salute non me lo permette. Ma riesco ancora ad assistere, per qualche oretta, i miei nipotini e a preparare loro delle semplici merende». Le difficoltà della vita non la buttano giù: «Prendo il mondo come viene». E a una società prettamente patriarcale dice: «Insegno soprattutto alle mie nipoti a lottare ed essere indipendenti. Le donne devono lavorare ed essere autonome. Come ho cercato di esserlo io per tutta la vita».

5.9.24

La storia di Yasamin A. R. è una medico del Sant'Orsola di Bologna -. 38 anni , nata , cresciuta , e laureata qui ma per lo Stato non sono italiana".

 È nata a Cesena ed è cresciuta a Treviso. Ha frequentato la facoltà di Medicina e
Chirurgia dell'Università di Bologna, dove si è laureata a pieni voti. E dopo un eccellente percorso di specializzazione ora lavora a tempo indeterminato al Policlinico Sant'Orsola
Eppure per lo Stato italiano non è italiana. È la storia Yasamin A. R., medico di 34 anni che ogni giorno vive sulla sua pelle il paradosso generato dalla burocrazia del nostro Paese. Yasamin, infatti, paga le tasse in Italia e qui ha vissuto quasi ininterrottamente da quando è nata. Ma a causa dei requisiti tanto stringenti quanto astratti, se tutto va bene potrà ottenere il passaporto soltanto quando spegnerà quaranta candeline. "Vuoi sapere la beffa? - aggiunge al telefono contattata da BolognaToday -. La cosa che le persone mi chiedono più spesso è: 'Da quanto tempo sei in Italia? " 
La richiesta negata per il trasloco a Londra per motivi famigliari

Yasamin risponde alla chiamata subito dopo che ha finito il suo turno nel reparto di Medicina fisica e riabilitativa. Nonostante la stanchezza, ha una voce energica da cui trapela una lieve inflessione romagnola. Racconta che ha la cittadinanza britannica perché britannica era sua mamma, mentre suo papà era iraniano. Dopo aver fatto l'asilo e i primi tre anni di elementari a Treviso, a otto anni deve con tutta la famiglia trasferirsi a Londra perché la madre è malata e ha bisogno di cure. Per frequentare la quarta elementare deve iscriversi all'anagrafe londinese. "Passati dodici mesi siamo rientrati in Italia perché mamma non ce l'aveva fatta - continua -. Da quel momento ho vissuto sempre qui". Quando compie diciotto anni, però, Yasamin non può inoltrare la richiesta di cittadinanza: la legge richiede dieci anni di continuità di residenza italiana.

L'inferno degli uffici e del permesso di soggiorno

Ma la sua vita va avanti. Diploma con voti brillanti e iscrizione all'Unibo. Sotto le Due Torri si trova anche un lavoretto per mantenersi: "Ho anche tre fratelli di cui due più piccoli - racconta - e a quel tempo le cose a mio padre non andavano molto bene dal punto di vista economico". Dopo il primo anno di Medicina scompare anche il papà. Diventando orfana, sfuma di nuovo la possibilità di richiedere la cittadinanza: "A ventidue anni avevo la continuità, ma non più una famiglia alle spalle per rientrare nei parametri economici richiesti".

La ragazza continua a studiare, affianca agli esami impieghi part-time come baby-sitting e ripetizioni e si laurea perfettamente in tempo. Prosegue con la specialistica e la conclude con il massimo dei voti. Nel frattempo, però, l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea con la Brexit stravolge di nuovo tutto e Yasamin diventa addirittura un'extracomunitaria. Comincia l'inferno dell'ufficio migrazioni e della burocrazia per ottenere il permesso di soggiorno: "È stato un periodo drammatico - ricorda il medico -. Nessuno rispondeva alle mail, non capivo come prendere appuntamento. Agli sportelli le persone vengono trattate malissimo. Io avevo bisogno del documento per partecipare a un concorso e la prima volta me lo consegnarono con il nome scritto sbagliato. Da gennaio 2025 avrò bisogno del visto per circolare in Europa e questa è un'altra 'comodissima' cosa che mi si prospetta davanti".

"Chi ha un parente italiano può arrivare a votare, mentre io non l'ho mai fatto"

Oggi Yasamin ha un visto permanente, ma questo non basta a fare la stessa vita di un'italiana. La mancanza della cittadinanza si ripercuote nella sua quotidianità, dalla partecipazione ai bandi ai controlli di sicurezza fino alle denunce: "Due mesi fa sono stata scippata, e l'agente di polizia mi chiedeva se avessi un lavoro e da quanto fossi in Italia. È la prima cosa che tante persone mi chiedono sempre. Ed è veramente snervante".

Grazie al suo lavoro, tra due anni potrà finalmente fare l'agognata richiesta perché sarà in grado di dimostrare almeno tre anni di reddito. Dopodiché, se tutto fila liscio ce ne vorranno ancora quattro perché le venga finalmente riconosciuto un diritto: a quarant'anni Yasamin diventerà una cittadina italiana dopo aver vissuto 39 anni in Italia. Ma l'amarezza rimane: "Provo tanta rabbia, a volte ho pensato di andarmene dall'Italia - ribadisce la medico -. Tantissimi sono nella mia stessa situazione: persone che sono nate e hanno studiato e che sentono l'Italia come casa propria. Ed è assurdo invece che dall'altra parte del mondo c'è gente che non è mai stata in Italia, ha diritto a chiedere la cittadinanza perché ha sposato un italiano o perché ha un parente italiano, e può potenzialmente addirittura votare. Mentre io, che alle ultime elezioni europee ho fatto il medico scrutatore nell'ospedale in cui lavoro, non ho mai potuto farlo".

La lettera a Lepore, Zuppi e Bergonzoni: "Mi hanno risposto ma poi nulla"

Due mesi fa Yasamin ha scritto una lettera in cui raccontava la sua storia e il suo problema. L'ha inviata alle istituzioni locali, tra cui "il sindaco di Bologna Matteo Lepore, l'arcivescovo Matteo Maria Zuppi e l'attore Alessandro Borgonzoni". Da tutti loro, dice, ha ricevuto una risposta solidale, ma, aggiunge, "poi non è più successo nulla". La stessa lettera è stata ripresa dal giornalista del Post Francesco Costa nella puntata del podcast 'Morning' mercoledì mattina. Con le sue parole Yasamin spera di "contribuire a una maggiore apertura, una maggiore sensibilità. Perché le regole smettano di essere così rigide, perché chi nasce e cresce in Italia è italiano".

3.4.24

Cantiere o esercito? La sostituzione etnica funziona solo coi lavori di merda da l Fatto Quotidiano3 Apr 2024 ALESSANDRO ROBECCHI

 

Ma chissà perché con salari fermi da trent’anni, l’inflazione che si mangia il carrello della spesa, i giornali che invocano la guerra, i diritti in ritirata, la sanità pubblica gravemente ammalata e un dieci per cento della popolazione che balla intorno alla soglia di povertà, gli italiani fanno sempre meno figli. È davvero un mistero, porca miseria, chi l’avrebbe mai detto? Vabbè, comunque auguri ai 379.000 piccoletti nati nel 2023, pochi ma buoni, benvenuti! E mentre loro se ne stanno beati e ignari nelle loro culle e carrozzine, noi, qui, dobbiamo fare i conti con i giovani italiani che mancano, dannazione.Questo è un problema che ci esporrà a enormi rischi, per esempio quello di leggere altri tweet del ministro Valditara, una specie di incontro di wrestling con la grammatica e la sintassi, dove la grammatica e la sintassi hanno la peggio. Oppure – altro rischio molto sbandierato – di essere vulnerabili ad assalti stranieri all’arma bianca. Nel caso qualcuno ci attaccasse, il nostro esercito è fatto quasi tutto da graduati adipe-muniti, età media altina, reddito basso ma sicuro. Perché, come pare si stia riflettendo negli ambienti della Difesa, non ricorrere ad arruolamenti tra gli immigrati? Una specie di legione straniera, insomma. Non saranno gli “otto milioni di baionette” del Puzzone, d’accordo, ma qualcosa si può fare, e già si ventila – secondo numerose indiscrezioni – di attirare volontari con la promessa della concessione della nazionalità italiana. Insomma, ai “patrioti” che ci governano, che i soldati di truppa abbiano un’altra patria non importerebbe granché.E così assisteremmo al divertente paradosso che se imbracci un fucile ti facciamo diventare italiano, mentre se sei uno straniero – anche nato in Italia – e frequenti le elementari, o le medie, o le superiori, o ti laurei e diventi dottore no, non sei pronto.Naturalmente non è una cosa nuova, questa di prendere stranieri e di fargli fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare, basta dare un’occhiata a qualunque cantiere, a qualunque consegna di cibo a domicilio, a qualunque lavoro sottopagato, senza formazione e meno ancora diritti. Insomma, al fronte gli stranieri li mandiamo già, fronte interno, basti vedere i funerali dei lavoratori caduti al cantiere Esselunga di Firenze poco più di un mese fa: per quattro quinti di provenienza straniera (Tunisia e Marocco), alcuni fuori da ogni regola, che meriterebbero almeno una lapide: “Caduti sul fronte appalti & subappalti”.Insomma, la “sostituzione etnica” tanto temuta dal ministro cognato è in atto, e riguarda soprattutto i lavori di merda, rischiosi e sottopagati. Un vero peccato che non si possano mettere gli stranieri a fare anche altre cose che gli italiani non vorrebbero fare. Per esempio i malati. Quel 6,6 per cento di italiani che hanno dovuto chiedere prestiti per pagarsi cure che la Costituzione gli garantirebbe gratis, oppure quei 9 milioni che si dichiarano in difficoltà perché non riescono ad accedere alla sanità pubblica, non potrebbero essere sostituiti da pazienti stranieri? In cambio potremmo dargli la cittadinanza, dopo il funerale. O ancora, oltre al soldato, o all’operaio edile, o al consegnatore di pizze, agli stranieri potremmo affidare anche lavori che gli italiani non sono in grado di fare con i necessari requisiti di “dignità e onore”, come per esempio il ministro del Turismo. È possibile che tra Ghana, Togo e altri Paesi esotici se ne trovi uno non iscritto al registro degli indagati. Proviamo!

2.6.22

Il campeggio a scuola per diventare adulti , Raccontiamo la città con una Polaroid , L'auto del Presidente: a bordo della Flaminia 335

Anche in italia sta prendendo piede un esperimento simile a quello dell'Adulting School fondata nel
2016 in Massachusset di Rachel Weinstein qui e qui maggiori news . A Catania



 un progetto di cittadinanza ha trasformato gli spazi verdi dell'istituto in un villaggio. Per insegnare le regole della convivenza e la gestione di una comunità

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dopo  l'esperimento    di Gianluca  Vasallo   fatto  a Milano  ( Una Polaroid per raccontare Milano: il fotoprogetto su Instagram - la Repubblica ,  adesso anche  Savona   


Una staffetta social che utilizza strumenti d'altri tempi: è l'idea per realizzare una guida alternativa di Savona. Nata da una donna che è tornata nella sua terra

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Riappare ogni 2 giugno e nelle cerimonie di insediamento al Quirinale: un gioiello della tecnica italiana costruito nel 1961 per la visita della regina Elisabetta

1.10.19

sono italiana anche se con un cognome straniero ma per lo stato non lo sono la storia di Alessia Korotkova campionessa italiana di taekwondo ma non puo fare gare di livello superiore perchè non gli si permette d'avere la cittadinanza






lo so che certe storie sono all'ordine del giorno e che alcuni specialmente certi destronzi o i vecchi centristi mi diranno che sono buonista oppure prima gli italiani , ma io mene infischio e continuo o stesso a parlarne magari la cosa finora per mettere (  parafraso un vecchio gruppo indie italiano   ancora  in attività ) radici nel cemento e nell'ottusità mentale dei nostri nazionalisti ops sovranisti ( e non solo vedere mio post https://www.facebook.com/redbeppeulisse/posts/10220611267541579) che non solo hanno paura del diverso , ma rinchiudendosi nelle ormai astruse teorie della purezza della razza sconfitte dalla storia non si sono accorti oppure per cavalcare le masse specialmente quella parte malpancista fanno finita di non accorgersene che il paese ormai è cambiato . Ed  la  canzone .  in canna nello stereo in questo momento  ,  io non mi sento Italiano - giorgio gaber , mi  sempre    corrispondente  ed  attinente  alla storia  d'oggi

da https://www.reggionline.com/





1 ottobre 2019


Alessia, la campionessa senza cittadinanza: la Prefettura annuncia verifiche


                              Alessia Korotkova (foto da Facebook)



Korotkova ha 21 anni e fa incetta di titoli taekwondo. Nata in Russia ma cresciuta a Reggio, rischia di dover dire addio al suo sport perché non può più gareggiare con la nazionale azzurra






REGGIO EMILIA 
 La Prefettura di Reggio avvierà delle verifiche sulla pratica per ottenere la cittadinanza italiana presentata nel 2017 da Olesya ‘Alessia’ Korotkova, 21 anni, campionessa di taekwondo nata in Russia (a Krasnojarsk, in Siberia meridionale) ma cresciuta nella nostra città. Rischia di dover dire addio al suo sport perché non può più gareggiare con la nazionale azzurra.Sul caso – rilanciato oggi da Repubblica con un’intervista all’atleta – interviene il Prefetto Maria Forte: ‘La trattazione dei fascicoli avviene secondo un ordine cronologico da rispettare. Mi informerò al fine di verificare se eventualmente mancano dei documenti. Lungaggini burocratiche? Abbiamo un numero elevatissimo di pratiche e poi c’è una questione di determinate tempistiche dell’istruttoria. Prima del decreto Salvini il limite massimo per il rilascio era di due anni, ora si è allungato a quattro’.La giovane atleta vincitrice di un campionato italiano juniores e quattro Coppe Italia, non avendo la cittadinanza tricolore, una volta maggiorenne non ha potuto più gareggiare. ‘Temo di essere finita nel tritacarne delle lungaggini burocratiche’, ha raccontato Alessia a Repubblica. ‘Ho presentato domanda alla prefettura di Reggio Emilia due anni fa’, aggiunge, ma ‘sono ancora in attesa di una risposta’. ‘Il paradosso è che non posso nemmeno gareggiare per Mosca, perché non sono residente in Russia. Insomma non ho una casa davvero mia, sono una sorta di apolide’.

  da  l'intervista   sotto   riportata  ,   a repubblica  del  1\10\2019  ,    si evidenzia    tutta  la sua tristezza   nel sentirsi , infatti  è  19  che  risiede   nel nostro paese   ,    Italiana   ma  per  ottusità   burocratica ed politica  non esserlo  .  InfattiAlessia si è arresa. Per la prima volta in vita sua è andata al tappeto. A sconfiggerla non è stata un'avversaria, ma la burocrazia italiana e una legge del '92. Alessia Korotkova è una campionessa nazionale di taekwondo, ma anche una "nuova italiana" appesa al permesso di soggiorno: "A 21 anni devo fermarmi, senza cittadinanza rischio di dover rinunciare a quello che era il mio sogno, da sola non posso farcela".
da  https://gazzettadireggio.gelocal.it/reggio/cronaca/2019/10/01
Qual era il suo sogno? "Era di poter continuare ad allenarmi, di combattere con la maglia azzurra e di rappresentare l'Italia, il Paese in cui vivo e in cui sono cresciuta, in tutte le gare internazionali. Ma tutto questo mi viene negato".
Perché? Di dov'è originaria la sua famiglia? "Il mio vero nome è Olesya, ma tutti mi chiamano da sempre Alessia. Sono nata a Krasnojarsk, una città russa della Siberia meridionale. Ma il mio Paese è l'Italia. Mi sono trasferita qui con i miei genitori che avevo solo tre anni. Siamo venuti a vivere a Reggio Emilia. Qui sono cresciuta, ho studiato, ho preso la maturità".
Quando ha cominciato a combattere? "Ho iniziato nel 2012 e subito ho capito che sarebbe stato un grande amore. Il taekwondo è un'arte marziale d'origine coreana, molto difficile e spettacolare. Bisogna allenarsi ogni giorno, se si vogliono raggiungere certi risultati".
A che livello è arrivata in questo sport? "Ho vinto quattro coppe Italia e un campionato italiano juniores. Ma non credevo di fermarmi qui. Anzi questo doveva essere solo l'inizio".
Cosa l'ha fermata? "Ero tesserata con la federazione tricolore. Ma il problema è l'età: finché sei minorenne puoi partecipare ai campionati italiani juniores, ma da maggiorenne per indossare la maglia azzurra devi avere per forza la cittadinanza".
E lei non è ancora cittadina italiana? "No, non ancora e non per colpa mia. Ho presentato domanda alla prefettura di Reggio Emilia due anni fa. Ma temo di essere finita nel tritacarne delle lungaggini burocratiche e sono ancora in attesa di una risposta".
Oggi si riparla di una riforma della cittadinanza, lei che ne pensa? "Che chi nasce, cresce, studia qui deve potersi dire italiano. Senza incertezze. L'assurdo è che io sono italiana, non sono certo un'immigrata".
Oggi cosa fa? "Mi sono messa a lavorare, non posso sostenere le spese di una sportiva professionista, senza una federazione alle spalle. Il paradosso è che non posso nemmeno gareggiare per Mosca, perché non sono residente in Russia. Insomma non ho una casa davvero mia, sono una sorta di apolide".                                       

30.12.17

ho fatto un sogno che a certe persone fosse tolta la cittadinanza italiana visto che secondo salvini e company se la devono meritare


canzoni consigliate
patience-Guns Roses
Pink Floyd - Another Brick In The Wall
Stanotte  , per  problemi di stomanco  , mi  sono  svegliato alle  03.30\4      ed  per  cercare  ( cosa  sbagliata   , vero  , ma  non  potevo acendere  la  luce  grande   , essendo la bajour  fulminata  , per   leggere  avrei rischiato di disturbare  i matusa      che  dormono nella stanza  affianco  ) di  riprendere  sonno ho  accesso il cellulare   ed  ecco che leggo   oltre  , alla  news   sotto    , quest'altra news    che cosi ho commentato 
Mi chiedo se Il leghista in questione pare essere un infermiere
Come si comporterà quando, durante lo svolgimento del suo lavoro, si troverà di fronte un paziente non appartenente al suo partito ( partito?) O con il colore della pelle i nazionalità diversa ?
Nausea
                                                                                                                                                                   Saverio Tommasi
16 h ·


L'uomo in foto si chiama Giampiero Borzoni ed è consigliere comunale e segretario della Lega a Vercelli.
Nella notte fra il 19 e il 20 dicembre il padre di Giampiero Borzoni si è sentito male e ha chiamato il 118.
E' arrivata la Croce Rossa per soccorrerlo, ma Borzoni ha insultato uno dei soccorritori, di origine nordafricana, chiamandolo "marocchino di m...", sia durante le operazioni di soccorso - cioè mentre il barelliere stava soccorrendo suo padre! - che poi dopo, al pronto soccorso.
L'operatore della Croce Rossa, però, ha registrato le offese e ha denunciato Borzoni. E solo a quel punto Borzoni si è scusato.
Riassumendo: un operatore della Croce Rossa soccorre tuo padre, ma tu non trovi di meglio che insultarlo per la sua provenienza geografica, mentre lui prova a salvargli la vita.
Onestamente, non ho parole.

Poi  dopo che ho ripreso sonno   ho fatto il sogno descritto   dal titolo  cioè che     come provocatoriamente     suggerisce   Ilham Mounssif  in italiana da    20 anni ( ma   ancora  non  ha diritto alla cittadinanza  italiana  )     forse  tolta  la  cittadinanza  a    certa gente  .  
da http://www.giornalettismo.com del 29.12.2017 

Ilham Mounssif
 | 

L’ATTIVISTA ILHAM MOUNSSIF: «PERCHÉ NON SI LEVA LA CITTADINANZA A SALVINI?»

Lei si chiama Ilham Mounssif è nata in Marocco 22 anni fa ma da 20 anni vive in Italia e non ha ancora ottenuto la cittadinanza italiana. Divenne tristemente celebre perché il suo ingresso per lei, premiata dall’Onu, fu respinto alla Camera dei deputati. Respinta perché formalmente marocchina. La giovane era poi stata accolta dalla presidente della Camera Laura Boldrini, con tanto di scuse. Ilham è sarda, è cresciuta in Italia e rappresenta alla perfezione la necessità dello Ius Solinel nostro paese.



Ilham Mounssif@ilham_mounssif
Ricordi di un fatto in sé triste ma che ha segnato per sempre il mio percorso di vita e crescita.Tanti auguri di un sereno 2018, Presidente @lauraboldrini Un anno ricco, intenso (speriamo in positivo) ci attende tutti.
18:40 - 28 dic 2017
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   «Matteo Salvini dice che la cittadinanza va desiderata, maturata e meritata? Allora possiamo anche iniziare a toglierla a lui, visto che sul tricolore e sulla Costituzione i leghisti hanno sempre sputato e hanno detto di tutto», ha spiegato la ragazza nel corso di un’intervista rilasciata a EuroNews. Un’intervista che ha fatto adirare non poco siti leghisti come Il Populista:

Mounsiff, nata in Marocco ma residente in Sardegna da quando aveva due anni, è diventata nota nel marzo 2017 quando fu respinta da Montecitorio perché non aveva il passaporto italiano. E che c’è di meglio se non prendersela con la Lega e con Salvini, anziché con se stessa per non essere in regola?
«Se veramente fossero questi i requisiti lui sarebbe il primo a vedersela negata», ha concluso Mounsiff.  Mounssif ha espresso la sua delusione per la mancata discussione della legge sullo ius soli al Senato. «La conclusione di questo percorso con un parlamento che diserta è proprio triste». «Coloro che soffrono di più per la mancata riforma sono quelli nella mia situazione, noi che siamo cresciuti ma non nati in questo Paese. Non c’è una disposizione che disciplini la nostra situazione».



Ma poi , poco fa , leggendo i nuovi commenti alla discussione sul  mio fb a tale news ho ripensato a questaversione italiana della pietra miliare ( una delle mie prime canzon ascoltate da ragazzo ) di Like a rolling stone di Bob Dylan




e   mi sono accorto che     ha ragione questo mio contatto facebook 
 

Antonio Rossino credere che questo mondo è questa terra sia un fatto privato Nell'era in cui viviamo credo sia solo.... Anzi vorrei che fosse una egoista utopia....

3.2.12

repliche alle destre destre e alla sinistra destra ecco perchè per la cittadinanza italiana agli immigrati


da  diario di Repubblica  del 2\2\2012

Tre anni fa mi trovavo a Toronto, in Canada, per  un festival internazionale di letteratura. Ricordo, in particolare, un incontro interessante con un simpatico musicista. Mi disse che aveva da  poco ottenuto la cittadinanza italiana con estrema facilità, era bastato il certificato di nascita del bisnonno  immigrato dal Veneto all’inizio del secolo scorso. Niente esame di lingua, di storia, di cultura, di costituzione,per misurare la sua italianità. «Non parlo l’italiano – ripeteva ridendo – e non sono mai stato in Italia, Paese di cui conosco pochissime cose. Per essere sincero mi sento completamente canadese». Gli chiesi: «Allora perché hai deciso di diventare cittadino italiano?». Mi rispose: «Per far felice la nonna, l’unica in famiglia che  parla ancora qualche parola di italiano».


Gli raccontai la mia storia per ottenere la cittadinanza italiana, una cittadinanza “sudata”, non regalata. Un lungo percorso durato 12 anni di residenza, una maturazione profonda e una lenta italianizzazione fatta con la mente, la lingua, la conoscenza, il dialogo, la scrittura e soprattutto con il cuore.
Mi torna in mente spesso la storia del “canadese” quando incontro ragazze e ragazzi nati in Italia e con genitori immigrati. Mi colpisce la loro determinazione e  maturità: non hanno dubbi identitari, si sentono italiani a tutti gli effetti. Capiscono che il problema non sono loro, ma il contesto in cui si trovano, fatto di propaganda, ipocrisia, cattiveria e mancanza di buon senso. Ricordo che una volta una ragazza nata a Roma, di origine marocchina, mi spiegò con poche parole la grande frustrazione e ingiustizia in cui vivono giovani come lei: «Quando sono a Roma mi chiamano la marocchina, e quando vado in Marocco mi chiamano l’italiana». Non  parla arabo, però va fiera del suo romanesco, si considera una grande tifosa della nazionale di calcio e conosce a memoria le canzoni di Lucio Battisti. Poi, con un tono pieno di tristezza e di sofferenza: «Sono un’italiana con il permesso di soggiorno!». È umiliante e assurdo chiamarli “immigrati di seconda generazione”. Sono i genitori che sono immigrati, non loro. Aveva ragione il grande scrittore arabo Abu Hayyan Al-Tawhidi (morto nel 1023) quando sosteneva che «lo straniero più straniero in assoluto è quello che vive da straniero nella propria patria». In questi ultimi anni è stata concessa la cittadinanza italiana a tanti, soprattutto all’estero, in base solo allo ius sanguinis. Molti di loro votano anche se non pagano le tasse e possono condizionare la vita politica italiana. Invece i figli di immigrati nati in Italia sono esclusi perché non hanno un antenato italiano nel loro albero genealogico, cioè qualche goccia di sangue italiano nelle vene. Così si vedono costretti al diciottesimo anno a chiedere il permesso di soggiorno. L’Italia non dovrebbe essere il loro Paese? Perché continuare a rigettarli e a trattarli come figli illegittimi? Ne conoscono la cultura, la cucina, la storia, la geografia, lo sport e la politica. Ne parlano la lingua e i dialetti locali. Condividono con gli italiani “puri” felicità e dolori, pregi e difetti,  caratteri e umori. Insomma amano questo Paese e vogliono essere amati.Non dare la cittadinanza a chi è nato in Italia è semplicemente “vergognoso

qui il resto del numero dedicata appunto al tema  della   cittadinanza     e sul diritto dei figli di immigrati nati nel nostro paese a non essere discriminati per le loro origini   e la  loro provenienza  http://download.repubblica.it/pdf/diario/2012/02022012.pdf


dato che ci sono ne  approfitto per  rispondere  anche ai fanatici di forza  nuova  .
da quando  ho configurato la mia email  redbeppe@gmail.com  su  blogspost contattami (  a  disposizione   per   chi volesse  scrivermi )    ho ricevuto  diverse  email  di  gente  vicino  a tali elementi  o  di tali elementi stessi    vedere titolo  e  post   su Altan  e gli  insulti di Forza Nuova (  nuovo  mascherato da  vecchio )




 e  affini  .Lo so  che  direte , cancella  e cestina ,  vero  ma  non sempre  è possibile  con gente ipocrita  e bugiuarda  che nega l'evidenza  dei fatti   come dimostra  l'articolo  che

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...